IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  -  in funzione di giudice del lavoro - la seguente
 ordinanza nella causa iscritta al n. 418/94, ruolo  generale  lavoro,
 pendente  tra  Lavini  Umberto,  da  Salento,  rappresentato e difeso
 dall'avv.  Gianfranco Scarpa, giusta mandato a  margine  del  ricorso
 introduttivo,  ricorrente  e  Ferrovie dello Stato S.p.a., in persona
 del  legale  rappresentante  pro-tempore,  rappresentata   e   difesa
 dall'avv.  Gennaro  Feo  in  uno  all'avv.  Antonio  Sofo  di  Reggio
 Calabria, giusta mandato in calce alla memoria difensiva, resistente;
 nonche' Ministero di grazia e  giustizia,  in  persona  del  Ministro
 pro-tempore,   elettivamente   domiciliato   come  per  legge  presso
 l'Avvocatura dello Stato di Salerno, resistente;
                               F a t t o
   Con ricorso depositato in cancelleria  il  24  marzo  1994,  Lavini
 Umberto  esponeva  di  essere dipendente delle Ferrovie dello Stato e
 che, nel periodo compreso tra il 1 luglio e il 30 settembre del 1993,
 aveva prestato l'ufficio di giudice popolare.
   Per tali funzioni aveva ricevuto dal Ministero di grazia  giustizia
 (Corte  di  appello di Salerno) la complessiva somma di L. 2.492.845,
 per indennita' di presenza giornaliera, indennita' di  reperibilita',
 indennita'  speciale  ex  legge 9 febbraio 1981 n. 27, rimborso delle
 spese di viaggio.
   Il 28 ottobre 1993 le Ferrovie  dello  Stato  avevano  disposto  lo
 storno  della  somma di L. 1.985.000, pari allo stipendio del mese di
 agosto e, successivamente, con nota del 13 gennaio 1994  dell'ufficio
 amministrazione  e  controllo gestione di Reggio Calabria gli avevano
 comunicato la costituzione di un debito a suo carico per  complessive
 L.   2.361.861  per  recupero  delle  competenze  fisse  erroneamente
 percepite nel settembre del 1993 a causa delle  funzioni  di  giudice
 popolare espletate a luglio del 1993.
   Tanto  era  avvenuto in base ad una circolare del 28 settembre 1993
 dell'ufficio amministrazione e contabilita', la quale prevedeva che i
 giorni durante i quali i lavoratori delle FF.SS. avessero prestato le
 funzioni di giudice tutelare dovevano essere considerati come  giorni
 di  permesso  non  retribuito  ai  sensi  dell'art.  53  del c.c.n.l.
 vigente.
   Il Lavini riteneva che per effetto della prestazione delle funzioni
 di giudice popolare, ricevuta dalla Corte di appello  di  Salerno  la
 liquidazione  della somma di L. 50.000 per udienza giusta il disposto
 dell'art. 36  della  legge  10  aprile  1951,  n.  287,  aveva  visto
 sensibilmente  ridursi  la  sua  retribuzione  nei  suddetti mesi, in
 violazione   del   diritto   alla   retribuzione   costituzionalmente
 garantito.
   Chiedeva  pertanto  che  il  pretore, fissata l'udienza ex art. 420
 c.p.c. volesse:
     dichiarare il suo diritto a percepire la  retribuzione  da  parte
 delle Ferrovie dello Stato S.p.a.;
     condannare  le  Ferrovie  dello  Stato  al pagamento dell'importo
 complessivo di L. 6.331.861 quale retribuzione relativa  ai  mesi  di
 luglio,  agosto e settembre del 1993, o, in caso di contestazione, di
 quella maggiore o minore che risultasse dovuta a mezzo di  consulenza
 tecnica,   oltre   interessi   e   rivalutazione   monetaria,   oltre
 risarcimento del danno per la privazione della retribuzione per  tali
 mesi, unica fonte di sostentamento per la  sua famiglia.
   A tal fine articolava i mezzi di prova ed esibiva la documentazione
 indicata nel ricorso.
   Fissata  l'udienza  ex art. 420 c.p.c., si costituivano ritualmente
 in giudizio le Ferrovie dello Stato, rilevando  che  la  retribuzione
 non  era stata corrisposta perche' il Lavini doveva considerarsi come
 "assente senza diritto alla retribuzione" ai sensi dell'art.  53  del
 c.c.n.l.  per  i  ferrovieri  in  vigore per il periodo 1990-1992, il
 quale fa salvo "il diritto  dei  dipendenti  di  richiedere,  ove  ne
 ricorrano   le   condizioni,   i   permessi  previsti  da  specifiche
 disposizioni di legge, con  il  trattamento  economico  eventualmente
 previsto dalla stessa legge".
   Tale  trattamento, giusta l'art. 36 della legge 287 del 1951, per i
 lavoratori non aventi diritto alla retribuzione  nei  giorni  in  cui
 esercitano le loro funzioni e' previsto in ragione di L. 100.000.
   Se  dunque  il  Ministero  di  grazia  e giustizia aveva errato nel
 liquidare al Lavini la somma di L. 50.000  al  giorno,  da  cio'  non
 poteva  derivare  alcun  obbligo  retributivo a carico delle Ferrovie
 dello Stato, trattandosi di un ufficio parificato all'esercizio delle
 funzioni pubbliche elettive (art.11, comma 1, legge citata),  tant'e'
 che  il relativo periodo viene considerato come figurativamente utile
 ai fini previdenziali, con onere  gravante  direttamente  sugli  Enti
 previdenziali  erogatori  delle relative prestazioni senza il normale
 corrispettivo dei contributi (in termini anche Cass. 4748 del 1987).
   Concludeva pertanto per il rigetto della domanda con vittoria delle
 spese del giudizio.
   Dopo  alcuni  rinvii  di  ufficio   dovuti   all'astensione   dalla
 partecipazione  alle  udienze  degli avvocati del Foro di Vallo negli
 anni 1994 e 1995, all'udienza dell'11 gennaio 1996 il giudicante,  ai
 sensi  dellart.    107  c.p.c.,  ordinava  la  chiamata  in causa del
 Ministero di grazia e giustizia, posto che  l'attore  aveva  chiesto,
 proponendo anche una domanda di risarcimento del danno, una pronunzia
 che  affermasse  il  suo  diritto a percepire l'integrale trattamento
 economico di cui avrebbe goduto se non fosse stato  nominato  giudice
 popolare, cosi' mettendo in questione anche la misura dell'indennita'
 dovuta  ai  giudici  popolari, questione questa sicuramente comune al
 Ministero di grazia e giustizia, a cui peraltro  le  stesse  Ferrovie
 dello   Stato  attribuivano  l'erronea  liquidazione  dell'indennita'
 giornaliera di L. 50.000 anziche' 100.000.  Costituitosi in  giudizio
 il  Ministero di grazia e giustizia, rilevava che al Lavini era stata
 corrisposta  la  complessiva somma di lire 2.492.845 per l'ufficio di
 giudice popolare svolto nella  terza  sessione  dell'anno  1993,  con
 riferimento  alla  misura  dell'indennita'  prevista  per  i  giudici
 popolari  aventi  diritto  alla  retribuzione  (L.  50.000),  perche'
 l'attore  non  aveva  comunicato  all'Amministrazione di avere invece
 diritto  all'indennita'  nella  misura  prevista  per   coloro   che,
 prestando  tale  ufficio,  non  avevano diritto alla retribuzione (L.
 100.000).   Ne'  successivamente  alla  liquidazione  l'attore  aveva
 richiesto   il   pagamento  della  differenza.    Pertanto  risultava
 improponibile nei confronti dell'Amministrazione sia la  domanda  per
 conseguire  il  pagamento della retribuzione, sia quella per ottenere
 il risarcimento del maggior danno  subito,  mancando  il  presupposto
 dell'illiceita' del comportamento della pubblica amministrazione.
   Il  pretore  quindi,  con  ordinanza  depositata il 26 giugno 1996,
 sollevava questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  36,
 secondo  comma,  della legge 10 aprile 1951 n. 283, per contrasto con
 gli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 51,  primo  comma  della
 Costituzione.
   La Corte costituzionale con ordinanza del 18 luglio 1997 dichiarava
 la manifesta inammissibilita' della questione, rilevando in proposito
 che:
     "l'ordinanza    non    precisa    i   criteri   di   liquidazione
 dell'indennita' con specifico riferimento alle diverse voci stabilite
 dalla norma in esame;
     che, inoltre, l'ordinanza non esplicita se nella sessione per  la
 quale  il  ricorrente  e'  stato  chiamato  ad esercitare la funzione
 giurisdizionale siano stati o meno programmati i giorni di udienza  e
 se,  comunque, sussisteva l'eventuale possibilita' della convocazione
 anche per i giorni in cui non erano state fissate udienze;
     che il provvedimento neppure specifica  se  il  predetto  (Lavini
 Umberto - n. d.r.) sia stato informato di tali circostanze e, quindi,
 abbia  avuto  contezza  dei  giorni  in cui eventualmente, non doveva
 garantire la reperibilita' e la disponibilita';
     che   proprio   in   relazione   alla   reperibilita'   e    alla
 disponibilita', l'ordinanza neppure chiarisce quali siano le mansioni
 del  ricorrente  e  le  modalita'  di svolgimento del suo rapporto di
 lavoro ...".  A seguito di detta ordinanza, il giudice  chiedeva  gli
 opportuni  chiarimenti  alla  Corte di assise di Salerno, chiarimenti
 forniti in data 9 giugno 1998, ed  ordinava  altresi'  alle  Ferrovie
 della  Stato  la produzione di documentazione attestante le modalita'
 di svolgimento del rapporto di lavoro; sicche' oggi ritiene di  poter
 riproporre la questione di legittimita' costituzionale, non essendosi
 la  Consulta  pronunziata sul merito della medesima per un difetto di
 motivazione sulla rilevanza, difetto di  motivazione  superabile  con
 l'integrazione mediante le indicazioni richieste.
                             D i r i t t o
   Su  tali  premesse in fatto e diritto ritiene il giudicante che sia
 rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 36 della della  legge  10  aprile  1951,  n.
 287.
   Occorre  rilevare  come  petitum  sostanziale  sia costituito dalla
 domanda di pagamento  della  retribuzione  che  sarebbe  spettata  al
 Lavini  -  svolgente  le  mansioni  di  capo stazione superiore della
 stazione di Vallo Scalo - nel periodo di partecipazione alla sessione
 della  Corte  di assise e dalla domanda di risarcimento del danno per
 la privazione della retribuzione nel medesimo  periodo,  nelle  quali
 deve ritenersi compresa, trattandosi di un minus, anche la domanda di
 adeguamento  della  liquidata  indennita',  domande queste certamente
 comuni al convenuto Ministero di grazia e giustizia.
   In proposito la legge 10 aprile  1951,  n.  287,  all'art.  36,  ha
 previsto la corresponsione ai giudici popolari di un'indennita' di L.
 50.000  per  ogni giorno di effettivo esercizio delle funzioni (primo
 comma), indennita' che sale a L. 100.000  al  giorno  per  i  giudici
 popolari  che siano lavoratori autonomi o lavoratori dipendenti senza
 diritto alla retribuzione nei giorni in cui esercitano le funzioni.
   Sono poi previsti il rimborso delle spese di viaggio,  l'indennita'
 di soggiorno e l'indennita' di reperibilita', in ragione di L. 20.000
 per  ogni  giorno  di durata della sessione in cui i giudici popolari
 non svolgono l'effettivo esercizio della funzione giurisdizionale.
   Al riguardo l'orientamento della Corte di cassazione e'  nel  senso
 che   il  lavoratore  privato  (e  tale  deve  oggi  considerarsi  il
 dipendente delle Ferrovie dello Stato) chiamato a svolgere  l'ufficio
 di  giudice popolare, ha diritto, alla stregua della equiparazione di
 tale ufficio alle mansioni pubbliche elettive di cui  all'art.  2-bis
 della  legge 24 marzo 1978, n. 78 al computo dei giorni di assenza ai
 fini della anzianita' di servizio e della pensione, ma non  anche,  a
 differenza  del  dipendente pubblico al trattamento retributivo per i
 medesimi giorni, salvo diversa previsione di legge  o  di  contratto,
 proprio    in    considerazione    della    previsione   dell'aumento
 dell'indennita' giornaliera nel  caso  in  cui  tale  previsione  non
 esista (Cass. 4748 del 27 maggio 1987).
   Dalla  norma,  dunque, si ricava la conferma dell'inesistenza di un
 generalizzato diritto di ogni lavoratore dipendente alla retribuzione
 per il periodo in cui e' chiamato a svolgere le funzioni  di  giudice
 popolare.
   Infatti  la  suindicata  norma,  distinguendo tra lavoratori aventi
 diritto alla  retribuzione  per  il  periodo  di  espletamento  delle
 funzioni  di giudice popolare e lavoratori dipendenti non aventi tali
 diritto, e prevedendo  per  questi  ultimi  (come  per  i  lavoratori
 autonomi)   un   aumento   della   indennita'  giornaliera,  viene  a
 confermare, con una sorta d'interpretazione autentica, che non esiste
 un generalizzato  diritto  dei  lavoratori  dipendenti,  chiamati  ad
 esercitare la funzione di giudice popolare, alla corresponsione della
 retribuzione  da  parte  del  datore  di  lavoro. Non puo' dubitarsi,
 invero, che l'aumento dell'indennita' giornaliera abbia, nell'ipotesi
 prevista, funzione sostitutiva della retribuzione (Cass. 4748 cit. in
 motivazione).
   La ragione di cio' puo' essere individuata nel fatto che non sembra
 ragionevole porre a carico del datore  di  lavoro  l'onere  economico
 dell'espletamento  di  una  funzione  pubblica che deve gravare sullo
 Stato (art. 53 Cost.); peraltro, non prevedendo in linea generale  il
 diritto  alla retribuzione per il lavoratore dipendente chiamato alla
 funzione di giudice popolare, la  legge  non  ha  ne'  favorito,  ne'
 sfavorito  una  categoria  di  lavoratori rispetto ad un'altra (Cass.
 cit.).
   Il  giudicante  ritiene  che le suddette argomentazioni meritino un
 ulteriore approfondimento, perche' se  e'  vero  che  non  esiste  un
 obbligo   generalizzato   del  pagamento  della  retribuzione  per  i
 lavoratori dipendenti che prestino le funzioni di giudice popolare  e
 quindi  non si possono ipotizzare disparita' di trattamento in ordine
 alla  retribuzione,  cosi'  non  sembra  in  ordine  all'entita'  dei
 compensi che la legge stessa prevede.
   E  infatti  sembra  chiaro  che  per  coloro  i quali mantengono il
 diritto alla retribuzione, prevede l'indennita' giornaliera e  quella
 di  disponibilita'  si  traducono questi in una sorta di gratifica in
 aggiunta alla retribuzione,  per  quanto  da  questa  concettualmente
 diverse,   mettendo   il   lavoratore  in  una  condizione  economica
 complessiva   migliore   di    quella    precedente    all'assunzione
 dell'ufficio.
   Il  lavoratore  che  non  abbia  diritto alla retribuzione si trova
 invece  a  percepire  solo  l'indennita'  giornaliera  raddoppiata  e
 l'indennita'  di reperibilita', venendosi a trovare in una condizione
 economica  peggiore  di  quella  anteriore   all'espletamento   delle
 funzioni di giudice popolare.
   La  prova  si ricava proprio dalla condizione in cui si e' venuto a
 trovare l'attore, avente la qualifica di capo stazione  superiore  di
 Vallo  Scalo  (SA) il quale per il periodo della sessione della Corte
 di assise compreso tra il 1 luglio e il  30  settembre  del  1993  ha
 percepito,  detratto  il rimborso delle spese che non ha certo natura
 retributiva, la complessiva somma di L.  2.018.900,  al  lordo  della
 ritenuta  del  19%,  (piu'  precisamente L. 450.000 per indennita' di
 presenza  per  giorni  nove,   L.   1.420.000   per   indennita'   di
 reperibilita'  per  giorni  settantuno,  L.  184.500  per  indennita'
 speciale ex legge 27/1981, L.  356.400  per  indennita'  di  missione
 giornaliera  per  giorni nove), subendo detrazioni dalla retribuzione
 pari a L. 4.346.861 (1.985.000 + 2.361.861).
   Il  Lavini  era  stato  informato  della  necessita'  di   rendersi
 disponibile  e  reperibile per ogni giorno di durata della sessione e
 della possibilita' di convocazione; pertanto egli e' stato  vincolato
 per tutta la durata della terza sessione dell'anno 1993, per la quale
 le  udienze  programmate da calendario erano per i giorni 1, 6, 7, 8,
 14, 15, 16 e 22 luglio, ed ha percepito  l'indennita'  di  L.  50.000
 solo  per  i giorni di effettivo esercizio delle funzioni, mentre per
 gli  altri  giorni  ha  percepito  quella  di  L.   20.000   prevista
 dall'ultimo comma dell'art. 36.
   Quanto  alle  modalita' di svolgimento del rapporto di lavoro, come
 noto, e come si evince dalla documentazione allegata - in particolare
 dal modello R27 -, esso era articolato in turni  giornalieri,  divisi
 in tre fasce, con alternanza per ogni dipendente tra ognuna di esse.
   In  conclusione,  risulta  evidente  che  il  lavoratore non avente
 diritto alla retribuzione nel periodo di svolgimento  delle  funzioni
 di  giudice popolare si trova in una condizione economica peggiore di
 chi ha il diritto alla retribuzione e, oltre a questa riceve anche le
 indennita' per la funzione.
   Il solo raddoppio  dell'indennita'  di  effettivo  esercizio  della
 funzione  (L.  100.000  in  luogo  di  L.  50.000)  non  e'  idoneo a
 pareggiare lo svantaggio  di  non  aver  diritto  alla  retribuzione,
 soprattutto perche' collegato all'alea del numero delle udienze a cui
 il  giudice popolare partecipa durante la sessione (nella specie nove
 in tre mesi).
   Si puo' dunque ipotizzare:
     1)  la  violazione del principio di uguaglianza e di quello della
 sufficienza della retribuzione per l'esistenza libera e dignitosa del
 lavoratore e della sua famiglia per il fatto che la indennita' per  i
 giudici   popolari   non   aventi  diritto,  quali  lavoratori,  alla
 retribuzione secondo le norme di legge o di contratto che regolano il
 loro rapporto, prevista dalla legge in misura fissa e non commisurata
 o  parametrata  all'entita'   della   retribuzione   (che   viene   a
 sostituire),  finendo  per  incidere  negativamente per il periodo di
 svolgimento della funzione - che nella specie e' stato di non modesta
 durata - sulla  soddisfazione  delle  esigenze  primarie  di  vita  e
 familiari del lavoratore;
     2)  la  violazione  dell'art. 3 della Costituzione per non essere
 razionale la parificazione, sotto  il  profilo  economico,  da  detta
 norma attuata nei confronti di lavoratori aventi diverse retribuzioni
 e  quindi  anche  diversi tenori di vita e complesso di bisogni a cui
 far fronte con la retribuzione,  di  fatto  sostituta  dal  complesso
 delle suddette indennita';
     3)   la  violazione  degli  artt.  3  e  51,  primo  comma  della
 Costituzione  per  la  creazione  di  condizioni  di   disuguaglianza
 economica  che  costituiscono  un  ostacolo per l'accesso all'ufficio
 pubblico di giudice popolare  da  parte  dei  lavoratori  non  aventi
 diritto   alla   retribuzione,   indubbiamente  spinti  a  rinunziare
 all'ufficio  per  la  mancanza  di  un  compenso   parametrato   alla
 retribuzione.
   In  riferimento  ai profili di cui ai nn. 1) e 2) si e' a suo tempo
 espressa la Corte di cassazione (sentenza n.  6231  del  9  settembre
 1987,  in  motivazione) in una vicenda in cui, a differenza di quella
 odierna, la questione non era rilevante.
   E' invece qui sicuro che a norma dell'art. 53 del  c.c.n.l.  per  i
 ferrovieri  vigente  nel  periodo in esame l'attore non aveva diritto
 alla retribuzione, ma solo alla aspettativa senza retribuzione e che,
 per effetto della mancata retribuzione da parte delle Ferrovie  dello
 Stato  e  della  corresponsione  da  parte  del Ministero di grazia e
 giustizia della indennita' nella  misura  di  L.  50.000  per  giorno
 effettivo  di  funzioni  si  e'  venuto  a trovare in una deteriorata
 condizione economica alla quale puo' porre rimedio solo la  richiesta
 dichiarazione   di   illegittimita'  costituzionale,  giacche'  anche
 l'attribuzione della diversa  indennita'  di  L.  100.000  al  giorno
 comporterebbe solo un aumento complessivo del compenso di L. 450.000,
 lasciando intatta la condizione economica dell'attore.