IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla istanza di ricusazione
  proposta  addi'  11  giugno 1999 dal sig. Franco Caserta, convenuto
  nella  causa  civile  iscritta  al  numero  214  del ruolo generale
  contenzioso    dell'anno    1999,   nei   confronti   del   giudice
  dell'esecuzione dott. Alessandro Rizzieri, giudice di questo stesso
  tribunale di Vigevano.

                          Ritenuto in fatto

    Il sig. Franco Caserta, convenuto nella causa civile promossa dal
  curatore  del  fallimento della Nutrimax Societa' a responsabilita'
  limitata  dinanzi  a  questo  tribunale  di  Vigevano,  ha proposto
  istanza  di  ricusazione  nei  confronti del giudice istruttore, al
  quale  la  causa  medesima era stata assegnata, il dott. Alessandro
  Rizzieri:   istanza   da   esso  stesso  convenuto  sottoscritta  e
  depositata  in  cancelleria  il  giorno  11  giugno  1999,  dopo la
  designazione  del  dott.  Rizzieri  come  giudice  istruttore della
  causa.
    Con  provvedimento del 22 giugno 1999 il Presidente del tribunale
  di  Vigevano  ha  incaricato  questo  collegio di decidere su detta
  istanza di ricusazione.
    La  causa in cui il ricusante e' convenuto riguarda una azione di
  responsabilita'  ai  sensi  dell'art. 146 secondo comma della legge
  fallimentare,  promossa  dal curatore del fallimento della Nutrimax
  S.r.l.  assumendosi,  da parte dell'attore, che, sebbene dagli atti
  sociali  risulti  che l'amministratore unico della Societa' fallita
  e'  tale  Emanuele  Milanesi, in realta' il vero amministratore (di
  fatto) sarebbe proprio esso convenuto Franco Caserta.
    Fatta  questa  premessa,  il  convenuto Caserta ricusa il giudice
  Rizzieri sostanzialmente per i seguenti motivi:
        a)  nel  corso  di  un  dibattimento  penale, che vedeva come
  imputato  di  bancarotta l'amministratore (tale indicato negli atti
  sociali)  della  Societa'  fallita,  Emanuele  Milanesi,  dinanzi a
  questo  stesso  tribunale  di  Vigevano,  il giudice a latere dott.
  Rizzieri  avrebbe  rivolto  a  Franco  Caserta,  ivi  sentito  come
  testimone,  numerose  domande in nessun modo pertinenti all'oggetto
  del procedimento penale, bensi' tendenti unicamente a far conoscere
  quale attivita' avesse in concreto svolto lo stesso Caserta in seno
  alla  Societa'  poi  fallita;  e  cio'  con  l'ulteriore intento di
  raccogliere  elementi  di  prova  rilevanti per la futura azione di
  responsabilita'  contro  lo  stesso Caserta: azione che il medesimo
  dott.  Rizzieri,  come  giudice  delegato  del  fallimento  ha  poi
  autorizzato il curatore a promuovere;
        b)  il  dott.  Rizzieri, come giudice delegato del fallimento
  della  Nutrimax S.r.l., ha autorizzato il curatore sia a promuovere
  contro  Franco  Caserta  l'azione  di  responsabilita' di cui si e'
  detto, sia, in vista di essa e prima ancora che l'atto di citazione
  venisse notificato, a sequestrare tutti i beni dello stesso Caserta
  a  garanzia  del  pagamento  della somma che, in accoglimento della
  domanda da proporre con la preannunciata (e autorizzata) citazione,
  esso  stesso  Caserta sarebbe stato (cosi' si auspica) condannato a
  pagare;  nonostante  che il dott. Rizzieri abbia, con decreto del 2
  febbraio 1999, concesso entrambe queste autorizzazioni e abbia poi,
  con  ordinanza  del  2  marzo  1999, confermato l'autorizzazione al
  sequestro  (l'altra  autorizzazione, ossia quella per promuovere la
  lite, non abbisogna di alcuna conferma ora lo stesso dott. Rizzieri
  si  trova a istruire la causa in tal modo da lui stesso autorizzata
  nonche' a far parte del collegio che la decidera'.
    Questa  istanza  di  ricusazione  veniva  comunicata, ad opera di
  questo stesso collegio (chiamato a decidere su di essa), al giudice
  ricusato  dott. Alessandro Rizzieri il quale ha fatto pervenire una
  memoria scritta. In questa egli chiede che l'istanza di ricusazione
  sia  dichiarata  inammissibile, o sia comunque rigettata, in quanto
  che i fatti esposti nell'istanza medesima (qui sopra riportati) non
  realizzerebbero  alcuna ipotesi di astensione obbligatoria e quindi
  di ricusazione.
    Il  collegio  ha  preso visione dell'intero fascicolo della causa
  civile  di  cui  ora  e'  investito il giudice ricusato (n. 214 del
  ruolo  generale  contenzioso  del corrente anno 1999), iniziata con
  atto di citazione notificato a Franco Caserta il 16 marzo 1999 (per
  l'udienza  del  16  giugno 1999) e che vede convenuti sia lo stesso
  Caserta   sia   Emanuele   Milanesi;  dell'intero  fascicolo  della
  procedura  fallimentare  che,  come si e' ora visto, sta a monte di
  detta   causa   (Fallimento   n. 1282/1994);   nonche'  dell'intero
  fascicolo   della  procedura  di  reclamo  avverso  l'ordinanza  di
  sequestro  di  cui  si  e'  detto  del  2 marzo 1999 (n. 105/1999):
  procedura,  quest'ultima,  conclusasi  con  il  rigetto del reclamo
  proposto  da  Franco  Caserta  (ordinanza  collegiale del 12 aprile
  1999;  di  tale  collegio, ovviamente, il dott. Rizzieri non faceva
  parte).

                       Considerato in diritto

    Va  preliminarmente  osservato  che  l'istanza  di ricusazione e'
  stata tempestivamente proposta da una delle parti in causa, e cioe'
  piu'  di  due  giorni  della  prima udienza (art. 52 secondo comma,
  c.p.c.), e ha determinato la sospensione della causa medesima.
    L'istanza  del  curatore  del  fallimento, indirizzata al giudice
  delegato  dott.  Rizzieri  depositata  in cancelleria il 2 febbraio
  1999,  volta ad ottenere sia l'autorizzazione a promuovere l'azione
  di  responsabilita'  contro  Franco  Caserta, sia a sequestrargli i
  beni,  si  fonda  in gran parte sulle dichiarazioni rese poco tempo
  prima  dallo  stesso Caserta come testimone al dibattimento penale,
  dinanzi  a  questo  stesso  tribunale di Vigevano, nel procedimento
  contro  Emanuele  Milanesi,  imputato  di bancarotta; e il curatore
  allega  all'istanza  il  resoconto  stenografico  della deposizione
  testimoniale   ora   detta.   Da   questo  resoconto  risulta  che,
  effettivamente,  numerose  domande al teste Caserta, pur citato dal
  pubblico  ministero,  furono  poste  dal  giudice  a  latere  dott.
  Rizzieri;  e proprio dalle risposte date dal teste a queste domande
  (del  giudice) il curatore del fallimento trae argomento a sostegno
  della propria istanza.
    Purtuttavia,   anche   a   voler   ammettere,  come  si  sostiene
  nell'istanza  di  ricusazione,  che le domande rivolte al teste dal
  giudice  Rizzieri non fossero pertinenti al processo, ma servissero
  unicamente  a  precostituire  una prova della responsabilita' dello
  stesso  teste  come  amministratore  di  fatto  della, societa' poi
  fallita  (responsabilita' qui fatta valere con l'azione autorizzata
  dallo  stesso dott. Rizzieri come giudice delegato del fallimento),
  da  cio'  non  conseguirebbe  mai  alcun  obbligo di astensione del
  giudice  Rizzieri nella causa di responsabilita' di cui trattasi (e
  quindi  alcuna possibilita', per la parte, di ricusarlo), posto che
  la  situazione  ora descritta in ipotesi, ancorche' fosse vera, non
  e'  prevista  da  alcuna  disposizione  dell'art.  51 del codice di
  procedura civile come motivo di astensione obbligatoria; ne' questa
  mancata  previsione legislativa sembra confliggere con alcuna norma
  della Costituzione.
    Diverso  discorso  deve  farsi  invece,  per il secondo motivo di
  ricusazione proposto, e cioe' avere il giudice Rizzieri autorizzato
  l'instaurazione  di  una causa (e autorizzato altresi', in vista di
  essa,  un  sequestro)  ed  essere  lui  stesso il giudice di questa
  medesima causa.
    Non  vi  e' dubbio che la procedura fallimentare, da una parte, e
  una  qualunque causa civile, originata dal fallimento e autorizzata
  dal  giudice  delegato,  dall'altra,  sono  due  processi distinti,
  ancorche' in qualche modo collegati tra loro, e quindi non possono,
  assolutamente,  essere  considerati  come  due  gradi di uno stesso
  processo. Manifestamente inapplicabile alla fattispecie in esame e'
  dunque  la  norma  di  cui  all'art. 51  n. 4  c.p.c.,  nella parte
  relativa  al  "magistrato  che  ha  conosciuto della causa in altro
  grado del processo".
    Altrettanto  estranea  alla fattispecie in esame e' l'altra parte
  della norma citata, la quale fa riferimento al giudice che "ha dato
  consiglio   nella   causa".  Invero  autorizzare  il  curatore  del
  fallimento  a  promuovere  una  causa  non  e',  propriamente "dare
  consiglio"; e, in ogni caso, la norma si riferisce ai consigli dati
  dal  giudice  al  di  fuori  delle  ipotesi  in  cui,  per espressa
  disposizione  di  legge, egli debba e possa esprimere il suo parere
  sull'oggetto  della  controversia,  e  quindi,  in  definitiva,  ai
  consigli dati come privato.
    Ancor  meno  puo' pensarsi che il giudice delegato possa avere un
  interesse in una causa da lui stesso autorizzata (interesse che, se
  esistesse, sarebbe, come e' noto, motivo di astensione obbligatoria
  ai   sensi   dell'art. 51  n. 1  c.p.c.).  Invero,  anche  a  voler
  considerare  il  giudice  delegato  del  fallimento sostanzialmente
  l'attore  della  causa da lui stesso autorizzata cosi' riducendo il
  curatore   al  rango  di  longa  manus  del  giudice  delegato,  si
  configurerebbe  soltanto  un  interesse dell'ufficio, ma giammai un
  interesse proprio e personale del giudice (che e' l'interesse preso
  in considerazione dall'art. 51 n. 1 c.p.c.).
    Infine,  anche  a voler ritenere una preconcetta e ingiustificata
  convinzione  del  giudice  Rizzieri sulla responsabilita' di Franco
  Caserta  nel  dissesto  che ha portato al fallimento della Nutrimax
  S.r.l.,  sarebbe  comunque  del  tutto  arbitrario ascrivere questo
  prematuro  e, in ipotesi; temerario giudizio a personale inimicizia
  (e  grave  per  giunta)  del  giudice  Rizzieri  nei  confronti del
  predetto  Caserta, anche perche' nell'istanza di ricusazione non si
  fa  cenno  (almeno  in  maniera esplicita) a siffatta inimicizia, e
  nulla, del resto, risulta dagli atti su questo punto. Percio' anche
  la  norma  di  cui  all'art. 51  n. 3  c.p.c. e' inapplicabile alla
  fattispecie in esame.
    E' dunque giocoforza concludere che questa stessa fattispecie non
  rientra  in  alcuna  previsione  di  legge come possibile motivo di
  astensione obbligatoria (e quindi di ricusazione) del giudice.
    Il compito di questo collegio potrebbe cosi' considerarsi esaurto
  col rigetto della istanza di ricusazione di cui trattasi.
    Eppure  questo  collegio deve porsi responsabilmente la questione
  se  la  mancata  previsione,  nelle norme di legge sulla astensione
  obbligatoria  del  giudice,  della fattispecie che si e' verificata
  nel  caso  ora  in  esame  sia, o meno, conforme alla Costituzione:
  questione  tanto  piu'  impellente,  in quanto che, come a tutti e'
  noto,   in   questi   ultimi  anni  la  Corte  costituzionale,  con
  riferimento   al  processo  penale,  ha  emesso  numerose  sentenze
  (l'ultima  addirittura  pochi  giorni  orsono: la numero 241 del 17
  giugno  1999,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale del 23 giugno
  1999)   le   quali   hanno,   di   volta   in   volta,   dichiarato
  l'illegittimita'  costituzionale di una norma di legge (processuale
  penale)  in  quanto  essa  non  prevede  una  determinata  causa di
  incompatibilita' del giudice (e quindi di astensione obbligatoria).
    Ed  e'  appena  il  caso  di  aggiungere  che, in linea generale,
  sarebbe  del  tutto  irragionevole  ammettere che il giudice civile
  possa essere (o apparire) meno imparziale del giudice penale.
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale,  che  ora qui si
  prospetta,  non  e'  stata  mai  sottoposta  all'esame  della Corte
  costituzionale;  e non e' pregiudicata da alcuna delle tre sentenze
  di  rigetto  che  la  Corte  ha emesso su questioni in qualche modo
  analoghe, ma non identiche.
    Piu'  precisamente  la  sentenza  n. 148  del di 8 maggio 1996 ha
  ritenuto  infondata  la  questione  di  legittimita' costituzionale
  relativa alla norma (art. 146 terzo comma della legge fallimentare)
  che consente al giudice delegato di disporre d'ufficio il sequestro
  dei beni dell'amministratore della societa' fallita. In realta' qui
  ora  non  viene  in  considerazione  questa norma (prescindendo dal
  considerare  che,  comunque,  il  sequestro  di cui trattasi non e'
  stato  disposto  di  ufficio  dal  giudice  Rizzieri, bensi' da lui
  autorizzato in accoglimento di una specifica istanza del curatore).
  Viene  invece  in  considerazione  la norma che consente al giudice
  delegato  del  fallimento  di  far  parte  del  collegio  che  deve
  giudicare sulla azione di responsabilita' da lui stesso autorizzata
  (e  in  vista della quale egli stesso ha autorizzato il sequestro).
  Dunque  questa  sentenza della Corte costituzionale non riguarda il
  caso ora in esame.
    Con   la   sentenza   n. 326   del   7  novembre  1997  la  Corte
  costituzionale  ha  ritenuto infondata la questione di legittimita'
  costituzionale  relativa  alla norma (art. 700 c.p.c.) che consente
  al giudice che ha emesso un provvedimento cautelare ante causam (al
  di  fuori,  peraltro,  di  ogni  fallimento) di giudicare poi nella
  successiva  causa  di  merito.  In  realta'  qui  ora  non viene in
  considerazione  soltanto  la norma che consente al giudice delegato
  del  fallimento  di  giudicare in quella causa in vista della quale
  egli stesso abbia emesso un provvedimento cautelare (sequestro), ma
  anche  e  soprattutto  la norma che consente al giudice delegato di
  far parte del collegio che deve giudicare su una causa promossa dal
  curatore  con  la  sua  (di  esso  giudice)  autorizzazione. Dunque
  neanche questa sentenza della Corte costituzionale riguarda il caso
  ora in esame.
    Infine  con  la  sentenza  n. 351  del  21 novembre 1997 la Corte
  costituzionale  ha  ritenuto infondata la questione di legittimita'
  costituzionale della norma (art. 34 c.p.p.) che consente al giudice
  delegato  del  fallimento  che  abbia  autorizzato  il  curatore  a
  costituirsi  parte  civile in un procedimento penale, di essere poi
  giudice  di  questo  stesso  processo penale. In realta' il giudice
  Rizzieri  non  ha  autorizzato il curatore ad esercitare una azione
  civile in un processo penale, bensi' lo ha autorizzato a promuovere
  autonomamente una azione civile (dinanzi al giudice civile), azione
  oltre tutto, non dipendente da reato.
    D'altronde, la sentenza della Corte costituzionale, cui ora ci si
  riferisce,  di  infondatezza della questione sollevata, e' motivata
  con  specifico  riferimento  alla  peculiarita' del caso di specie,
  allora  sottoposto  all'esame della Corte, ossia, come si e' detto,
  della  azione  civile proposta in un processo penale iniziato, come
  e'   ovvio,   da   una  parte  pubblica  (il  pubblico  ministero):
  circostanza,  quest'ultima,  sottolineata  nella  motivazione della
  sentenza.  Pertanto  quest'ultima sentenza non riguarda il caso del
  quale ora ci si occupa.
    Fatte queste opportune precisazioni, il collegio ritiene di dover
  sollevare  di  ufficio,  siccome  non manifestamente infondata e di
  indiscutibile  rilevanza  in  questo  procedimento  incidentale  di
  ricusazione,  devoluto  alla  sua  competenza  funzionale  (di esso
  stesso  collegio  investito dell'esame della istanza di ricusazione
  di   cui  si  e'  piu'  volte  fatto  cenno),  la  questione  della
  legittimita'   costituzionale   dell'articolo   51  del  codice  di
  procedura  civile  nella  parte  in  cui non prevede che il giudice
  delegato  del  fallimento,  che  abbia  autorizzato  il  curatore a
  promuovere  contro gli amministratori della societa' fallita azione
  di  responsabilita'  ai sensi dell'articolo 146 secondo comma della
  legge  fallimentare  e abbia, nel contempo, autorizzato, o comunque
  disposto, in vista di detta causa, il sequestro dei beni dei futuri
  convenuti  ai  sensi  del  terzo  comma dell'articolo ora in ultimo
  citato,  debba  poi obbligatoriamente astenersi dal giudicare nella
  causa medesima, per il contrasto di questa norma con gli articoli 3
  e 24 della Costituzione.
    E  invero,  come  e'  ormai  da tutti pacificamente riconosciuto,
  nonche'  affermato  in plurime sentenze della Corte costituzionale,
  dalle  ora  citate  norme della Costituzione discende il cosiddetto
  principio  del  "giusto processo", ossia, piu' precisamente, dovere
  in  ogni  processo,  sia  civile  che  penale,  il giudice non solo
  essere,  ma  anche  apparire,  imparziale,  cosi' da escludere, nel
  singolo  processo, quel giudice (persona fisica) il cui giudizio si
  teme  possa  essere  condizionato  dalla  cosiddetta  "forza  della
  prevenzione",  cioe'  dalla  naturale tendenza a mantenere fermo un
  giudizio gia' espresso.
    Ora,   venendo  al  caso  di  specie,  il  giudice  delegato  del
  fallimento,  che  autorizza  il  curatore  a promuovere l'azione di
  responsabilita'  contro gli amministratori della societa' fallita e
  nel  contempo  autorizza, o comunque dispone, il sequestro dei beni
  degli  stessi,  esprime  necessariamente  un ponderato giudizio sul
  comportamento   di   detti   amministratori,   qualificandolo  come
  colposamente  illecito nonche' dannoso per la societa' alla stregua
  di quanto disposto dall'art. 2392 del codice civile.
    Altrimenti,  l'autorizzazione  a promuovere l'azione non verrebbe
  rilasciata  ne',  tanto  meno, verrebbe autorizzato (o disposto) il
  sequestro dei beni degli amministratori.
    Si  prescinde  qui  dalla  motivazione del decreto del 2 febbraio
  1999 del giudice Rizzieri (ricusato) e da quella dell'ordinanza del
  2  marzo 1999 dello stesso giudice (la quale ordinanza confermo' il
  decreto  nella parte relativa al sequestro): motivazioni, peraltro,
  entrambe,  ampie  ed  esaurienti  e  che manifestano, in termini di
  assoluta  certezza,  senza  lasciare spazio a margini di dubbio, il
  convincimento  del  dott. Rizzieri dell'essere stato il sig. Franco
  Caserta   l'effettivo   amministratore  della  societa'  fallita  e
  dell'avere  lui stesso, in tale qualita', "distratto danaro e merci
  della  societa'"  e  "arrecato  comunque  alla societa' gravi danni
  economici".
    Quel   che   conta   ai  fini  della  questione  di  legittimita'
  costituzionale  non  e'  la  motivazione  data  dal singolo giudice
  delegato,  nel singolo caso, al provvedimento autorizzativo, quanto
  piuttosto  il  tipo  di motivazione che, secondo legge, deve essere
  data  a  siffatto provvedimento (ancorche' dovesse accadere, ma non
  e'  certo  questo  il  caso  attuale,  che  l'autorizzazione di cui
  trattasi non fosse motivata affatto o fosse motivata in maniera del
  tutto superficiale).
    Ora   non   vi  e'  dubbio  che  la  gravita'  e  importanza  del
  provvedimento  da  adottare  (che  coinvolge interessi patrimoniali
  spesso  di  rilevante  valore  economico,  sia  dei creditori della
  societa'   fallita,   sia   degli   amministratori   della  stessa,
  soprattutto  se  debba  decidersi  se  sequestrare o meno i beni di
  questi  ultimi)  impone  al  giudice  delegato  del  fallimento, in
  osservanza, tra l'altro, delle prescrizioni degli articoli 24 e 111
  della Costituzione (il cui rispetto non puo' essere inteso in senso
  formalistico,   ma  tanto  piu'  attento  e  rigoroso  quanto  piu'
  importanti sono gli interessi di gioco), di esaminare l'istanza del
  curatore  e  gli  atti della procedura fallimentare con valutazione
  per  cosi'  dire  "contenutistica"  e di esprimere un giudizio, che
  puo'  essere  manifestato  nel provvedimento con motivazione piu' o
  meno  esplicita,  sui  danni  che  il pregresso comportamento degli
  amministratori  puo'  aver  arrecato  al  patrimonio della societa'
  fallita e, in definitiva, sulla loro responsabilita'.
    Vero  e'  che questo giudizio e', pur sempre, espresso allo stato
  degli  atti, e che le risultanze della causa, che il curatore viene
  autorizzato  a  promuovere,  potrebbero essere tali da ribaltarlo e
  cioe'   dal  far  respingere  la  domanda  dell'attore  (ossia  del
  fallimento).
    Ma  gioca,  in  ogni  caso,  come  si  e'  gia' notato, contro il
  principio   del   "giusto   processo"  la  cosidetta  "forza  della
  prevenzione",  in quanto il giudice si e' comunque gia' espresso in
  precedenza  sulla  fondatezza  della  domanda  dell'attore  con una
  valutazione "di contenuto".
    D'altra  parte  a  differenza  di  quanto  puo' accadere in molte
  fattispecie  analoghe,  ma  estranee  alla materia fallimentare, il
  provvedimento  del  giudice delegato, che autorizza il curatore del
  fallimento  a  promuovere  azione  di  responsabilita'  contro  gli
  amministratori   della   societa'   fallita   e,  nel  contempo,  a
  sequestrare  i  beni di questi ultimi, presenta aspetti particolari
  che  accentuano  ancor  piu'  quella  "forza della prevenzione" (da
  contrastare) di cui si e' piu' volte detto.
    Invero  la  vigente  legge  fallimentare  italiana  (oltre  tutto
  emanata  in  condizioni  storiche  e  politiche molto diverse dalle
  attuali,  prima  della  Costituzione,  e  poi  non piu' modificata)
  delinea  la  figura del giudice delegato come il vero dominus della
  procedura,   caratterizzata,   quest'ultima,   da   molti  elementi
  officiesi  (ossia  di  provvedimenti  che  devono  o possono essere
  emessi  di  ufficio), con conseguente abbassamento della figura del
  curatore. Ne consegue che il giudice delegato del fallimento, per i
  poteri  di cui dispone e per i modi con cui puo' esercitarli, e' (o
  appare)  un giudice per cosi' dire "meno terzo" rispetto al giudice
  di  altri  tipi  di processo civile (ad esempio rispetto al giudice
  dell'esecuzione).
    In   questo  contesto  il  provvedimento  del  giudice  delegato,
  relativo  alla  proposizione della azione di responsabilita' contro
  gli  amministratori  della societa' fallita e al sequestro dei loro
  beni, ancorche' adottato formalmente in accoglimento di una istanza
  del    curatore,    appare    essere,    sostanzialmente,    frutto
  dell'iniziativa  del  giudice medesimo, soprattutto se non vi siano
  state  sellecitazioni  da  parte  dei creditori, tenuto anche conto
  della importanza capitale che simile provvedimento puo' avere nella
  procedura concorsuale.
    Questo  provvedimento,  a  differenza  di quello che autorizza il
  curatore  a  costituirsi parte civile in un procedimento penale (in
  relazione  al  quale  provvedimento  come si e visto piu' sopra, la
  Corte   costituzionale   ha  ritenuto  infondata  la  questione  di
  legittimita'  costituzionale),  fa apparire il giudice delegato del
  fallimento    sostanzialmente    come   attore   nella   causa   di
  responsabilita'   di   cui   trattasi  e  come  parte  sequestrante
  (ovviamente  nell'interesse  dei creditori della societa' fallita).
  Ecco  perche',  per concludere, in questo caso la cosiddetta "forza
  della prevenzione" appare piu' pregnante che mai.
    Per  i  suesposti motivi la prospettata questione di legittimita'
  costituzionale appare manifestamente infondata e viene pertanto, di
  ufficio,   rimessa   all'esame   della  Corte  costituzionale,  con
  conseguente sospensione dell'attuale procedimento incidentale sulla
  istanza  di  ricusazione proposta dal convenuto sig. Franco Caserta
  nei confronti del giudice dott. Alessandro Rizzieri.
    Superfluo  aggiungere che la causa assegnata al giudice Rizzieri,
  nella quale il sig. Caserta e' convenuto, gia' sospesa ope legis in
  virtu'  della  presentazione  dell'istanza di ricusazione, rimarra'
  sospesa  fino  a tanto che questo collegio non avra' deciso su tale
  istanza: il che, attesa la sospensione (anche questa ope legis) del
  procedimento   incidentale   di   ricusazione,   determinata  dalla
  questione  di legittimita' costituzionale ora sollevata di ufficio,
  non  potra'  avvenire  prima  che sulla questione medesima la Corte
  costituzionale si sia pronunciata.