IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sul ricorso n. 3854/2000
proposto da Valletta Giancarlo, Francesco Salvatore, Raffaele Jovino,
Rosalba  Tufano,  Eduardo  Bucci,  Enrico De Divitiis, Adriano Magli,
Sergio  Matarasso,  Antonio Loffredo, Gabriele Tedeschi, Francesco di
Lauro,  Giovanni Maria Greco, Massimino D'Armiento, Giovanni Persico,
Bruno   Trimarco,   Massimo   Chiariello,  Carmine  Nappi,  Salvatore
Auricchio,  Marco  Salvatore,  Marcello  Piazza,  Francesco  Bariffi,
Giuseppe  De  Placido,  Domenico  Bonaduce,  Gianfranco  Fenzi, Guido
Molea,  Claudio  Buccelli,  Lucio  Zarrilli, Pietro Santoianni, Luisa
Perrone,  Fabio Ayala, Mario Mancini, Guido Mosella, Vincenzo Mirone,
Franco  Contaldo,  Bruno  Giuliani,  Franco  Rengo, Pasquale Oriente,
Lucio  Palombini,  Gaetano  De  Rosa,  Pasquale  Martinelli,  Alfredo
Paladini,    Giovanni   Muscettola,   Giancarlo   Bracale,   Giuseppe
Monfrecola,  Achille  Tolino, Giovanni Lupoli, Sandro Rengo, Giovanni
Lavorgna,  Marina De Luca, rappresentati e difesi dagli avv. Giuseppe
ed  Orazio  Abbamonte  ed  elettivamente domiciliati presso lo studio
degli stessi in Roma, via G. Porro n. 8;
    Contro:  Azienda  universitaria  policlinico  - II Universita' di
Napoli;  Universita'  degli  studi di Napoli "Federico Il": Ministero
della sanita', rappresentati e difesi come in atti;
    Per l'annullamento:
        del provvedimento avente ad oggetto l'opzione per l'esercizio
della   attivita'   assistenziale   intramuraria   o   dell'attivita'
libero-professionale  extramuraria  ai  sensi  dell'art. 5, d.lgs. 21
dicembre 1999, n. 517;
        di ogni altro atto indicato nell'epigrafe del ricorso;
    Visti gli atti e documenti depositati col ricorso;
    Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio delle Amministrazioni
come da verbale;
    Nominato   relatore   il   consigliere   Bruno  Mollica  e  uditi
all'udienza del 5 luglio 2000 gli avvocati come da verbale;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

                           Fatto e diritto

    1.  - Il ricorso, proposto da docenti universitari afferenti alla
facolta'  di  medicina  e chirurgia ed in servizio presso policlinici
universitari,  investe  vari  profili  della legislazione delegata di
riforma  del  settore  sanitario:  va  allora definito e circoscritto
l'oggetto  del  giudizio,  restando estranee allo stesso alcune delle
argomentazioni  esposte,  in  quanto  l'esame  di questo giudice deve
incentrarsi  esclusivamente  sull'oggetto  diretto  e immediato della
contestazione  giudiziale, e cioe' l'esercizio dell'opzione, da parte
dei sanitari universitari, per l'attivita' assistenziale intramuraria
(definita  anche  come  "attivita'  assistenziale  esclusiva")  o per
l'attivita'  libero-professionale  extramuraria ai sensi dell'art. 5,
commi 7 e 8, d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, e le conseguenze che ne
derivano alla loro posizione di status nell'una e nell'altra ipotesi.
    2. - In  punto  di  rilevanza,  va  ricordato  che  la contestata
opzione  e'  imposta dall'art. 5, commi 7 e 8, del d.lgs. 21 dicembre
1999,   n. 517   cit.:   si'   che,  dovendosi  fare  necessariamente
applicazione  delle  dette  disposizioni, il giudizio non puo' essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costi tuzionale.
    D'altro   canto,   il  provvedimento  in  questa  sede  impugnato
costituisce puntuale applicazione delle disposizioni medesime, con la
conseguenza  che  l'eventuale eliminazione delle stesse dalla realta'
giuridica  determinerebbe  il  soddisfacimento  pieno  dell'interesse
sostanziale azionato.
    3. - Quanto  alla  completezza  del contraddittorio, in relazione
all'eccepita   omessa   notifica  del  gravame  alla  regione,  basti
considerare  che il ricorso risulta notificato all'Autorita' emanante
il  provvedimento  impugnato  nonche'  ai  Ministeri  della sanita' e
dell'universita':  il  che  deve ritenersi sufficiente, ai fini della
rituale  instaurazione  del  contraddittorio,  facendosi nella specie
questione,    sostanzialmente,    di   riconoscimento   del   diritto
all'esercizio  di  funzioni  caratterizzanti  (in tesi) lo status del
personale  sanitario  docente  universitario,  anche alla stregua dei
principi di autonomia ex art. 33 della Costituzione: profili, questi,
alla  cui normazione - ed al relativo giudizio di costituzionalita' -
la regione resta in definitiva estranea.
    4. - La questione, oltre che rilevante, appare non manifestamente
infondata;   ed   invero,   la   sezione  dubita  della  legittimita'
costituzionale  delle  norme  poste a base della censurata opzione, e
delle disposizioni alle stesse sottese (o comunque connesse): ritiene
pertanto  di  dover  sollevare,  anche  d'ufficio  per  i profili non
trattati   dalla   parte   ricorrente,   la   relativa  questione  di
costituzionalita' per contrasto con gli artt. 3, 97, 33 e 76 Cost.
    5. - Viene in primo luogo in considerazione la norma dell'art. 5,
comma  8,  del  d.lgs.  n. 517/1999, che impone un termine perentorio
(che  sia  di  tale natura non sembra revocabile in dubbio, attese le
conseguenze  derivanti dall'omesso esercizio dell'opzione nel termine
fissato, previste dall'ultima parte del comma stesso) per l'esercizio
dell'opzione  ai  sensi  e  per  gli  effetti di cui al comma 7: tale
ultimo   comma   stabilisce   che   i  professori  ed  i  ricercatori
universitari  afferenti  alla facolta' di medicina e chirurgia optano
rispettivamente    per   l'esercizio   di   attivita'   assistenziale
intramuraria  ai sensi dell'art. 15-quinquies del decreto legislativo
30  dicembre  1992,  n. 502  e successive modificazioni e "secondo le
tipologie  di  cui  alle  lettere  a),  b), c) e d) del comma 2 dello
stesso    articolo"    ovvero    per    l'esercizio    di   attivita'
libero-professionale  extramuraria;  tali  "tipologie" fanno espresso
riferimento  alle  "strutture  aziendali  individuate  dal  direttore
generale d'intesa con il collegio di direzione", con cio' ponendo una
stretta  correlazione  tra l'individuazione delle strutture destinate
all'attivita'   libero-professionale   e  l'esercizio  dell'attivita'
medesima.
    Tale  stretta correlazione e', del resto, logico corollario della
"compenetrazione  tra  attivita'  sanitaria  assistenziale  e  quella
didattico-scientifica  dei  docenti  universitari  della  facolta' di
medicina, che operano nelle cliniche e negli istituti universitari di
ricovero  e  cura",  che costituisce "il dato caratterizzante le loro
funzioni  ed  il  conseguente  stato  giuridico"  (cfr.  Corte  cost.
16 maggio 1997 n. 134).
    E nel senso della "inscindibilita'" delle attivita' assistenziali
del  personale  universitario  da quelle di didattica e di ricerca si
pone anche l'art. 5 del decreto ministeriale 31 luglio 1997, che reca
le   linee   guida   per   la   stipula   dei   protocolli   d'intesa
universita-regioni.
    Nel sistema normativo scaturente dall'art. 5, comma 7, del d.lgs.
n. 517/1999    e    dall'art. 15-quinquies,   comma 2,   del   d.lgs.
n. 502/1992,  e' quindi configurabile un obbligo dell'amministrazione
di  individuare  le  strutture  aziendali  entro  cui  va  esercitata
l'attivita'  assistenziale  intramuraria (o le soluzioni alternative,
di  cui all'art. 72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448),
si'  da  rendere  concretamente  disponibili le strutture stesse ed i
servizi  (in  tal  senso,  cfr.,  anche,  Cons.  Stato,  VI  Sezione,
ordinanza,    24    marzo    2000    n. 1431).    E    tale   obbligo
dell'amministrazione   e'  correlato  al  "diritto  all'esercizio  di
attivita'  libero-professionale  individuale  ...  nell'ambito  delle
strutture  aziendali"  (art. 15-quinquies,  punto  2,  lettera a, del
d.lgs.  30  dicembre  1992, n. 502, ne1 testo introdotto dall'art. 13
del   d.lgs.   19   giugno   1999,  n. 229)  da  parte  dei  sanitari
universitari,  diritto il cui esercizio sembra di dubbia attuabilita'
in   assenza  della  detta  individuazione  e  predisposizione  delle
strutture,  non apparendo rilevante, sul piano della effettivita' del
diritto  stesso, la mera possibilita' di tutela nelle competenti sedi
nei  confronti  dei  funzionari  inadempienti  (ex art. 72, comma 11,
della legge n. 448 del 1998).
    Se    cio'   e'   vero,   sembra   ravvisabile   una   intrinseca
contraddittorieta', pur nel medesimo contesto normativo, tra il comma
8,  dell'art. 5,  d.lgs.  n. 517/1999  cit.  -  nella  parte  in  cui
introduce  il censurato termine "perentorio" per l'opzione, omettendo
di  subordinare o comunque correlare l'opzione medesima alla concreta
disponibilita'  delle  strutture  - ed il comma 7, nella parte in cui
(rinviando  alle  tipologie  di cui alle lettere a, b, c, d, comma 2,
art. 15-quinquies  del d.lgs. n. 502/1992 e successive modificazioni)
fa  riferimento  all'individuazione  delle  strutture  medesime,  con
conseguente  configurabilita'  per  tale  profilo,  di  un'ipotesi di
contrasto  tra  la  censurata  disposizione dell'art. 5, comma 8, del
d.lgs.  n. 517/1999,  sub  specie  di  manifesta  irragionevolezza ed
intrinseca contraddittorieta' col sistema normativo in cui si colloca
e  l'art. 3  Cost.  -  inteso  come  generale  canone  di  coerenza e
ragionevolezza  dell'ordinamento  (Corte cost. n. 204/1982) - nonche'
col  principio  di  buon andamento ex art. 97 Cost.: quest'ultimo, in
particolare,  sotto il profilo della mancanza di proporzionalita' dei
mezzi  prescelti  dal  legislatore  delegato  rispetto  alle esigenze
obiettive da soddisfare o alle finalita' da perseguire, nonche' sotto
il profilo della razionale organizzazione dei servizi.
    Appare  quindi  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
costituzionabilita'  dell'art.  5,  comma  8, del d.lgs. n. 517/1999,
nella parte in cui, imponendo di compiere una scelta entro un termine
perentorio  e  attribuendo  alla  mancata opzione dell'interessato un
significato  legale  tipico  (equivalenza alla scelta per l'attivita'
assistenziale   esclusiva),  non  condiziona  o  correla  l'esercizio
dell'opzione   alla  concreta  disponibilita'  delle  strutture,  per
contrasto  con  gli  artt. 3  e 97 della Costituzione sotto i profili
indicati.
    6. - Il   collegio  dubita  nel  contempo  della  conformita'  ai
parametri  costituzionali  ex art. 33 Cost. dell'art. 5, comma 7, del
d.lgs.  n. 517/1999,  nella  parte  in  cui  impone  la detta opzione
relativamente  al  personale  sanitario  universitario, in uno con le
disposizioni  allo stesso sottese (o comunque connesse, art. 5, commi
da  1  a 6 e da 8 a 11, e art. 3 in parte qua) in quanto sembra porsi
ex  se  -  indipendentemente,  cioe', dal profilo della necessita' di
prescrizione  della  previa individuazione delle strutture - altresi'
in  contrasto  con  il  principio  dell'autonomia  universitaria  nel
perseguimento dei fini istituzionali didattici e scientifici.
    Stabilisce  il  comma  7  cit.  che  "l'opzione  per  l'attivita'
assistenziale esclusiva e' requisito necessario per l'attribuzione ai
professori  e  ricercatori  universitari di incarichi di direzione di
struttura nonche' dei programmi di cui al comma 4".
    A  tacere della incidenza sullo stato giuridico degli interessati
di   una   prescrizione  siffatta,  giusta  altresi'  le  conseguenze
derivanti alla posizione degli stessi (cfr., in particolare, commi 4,
5  e 6 dello stesso art. 5), certo e' che i programmi di cui al comma
4,  infra  o  interdipartimentali,  sono  dichiaratamente finalizzati
"alla  integrazione  delle  attivita'  assistenziali, didattiche e di
ricerca,  con  particolare  riguardo alle innovazioni tecnologiche ed
assistenziali,  nonche' al coordinamento delle attivita' sistematiche
di revisione e valutazione della pratica clinica ed assistenziale".
    La  preclusione  della attribuzione della responsabilita' e della
gestione  dei detti programmi per i sanitari universitari non optanti
per  l'attivita'  assistenziale  esclusiva  appare con tutta evidenza
lesiva  di  quel principio di compenetrazione tra attivita' sanitaria
assistenziale  e  attivita'  didattica  e di ricerca scientifica, che
costituisce    dato    caratterizzante   l'attivita'   dei   sanitari
universitari  e  che  trova  tutela (anche) nei principi di autonomia
didattico-scientifica postulati dall'art. 33 Cost.
    Ma  la  stessa  opzione per l'attivita' assistenziale esclusiva -
tra  l'altro  irretrattabile,  a norma del comma 10 dell'art. 5 cit.,
fatta eccezione per limitate specifiche ipotesi - non sembra in linea
con i principi di autonomia didattico-scientifica ex art. 33 Cost.
    L'opzione comporta l'assoggettamento dell'attivita' assistenziale
del   sanitario   universitario   alle  determinazioni  organizzative
assistenziali  del  direttore  generale dell'Azienda ospedaliera (sia
pure d'intesa col rettore o su proposta del responsabile di struttura
complessa;  cfr., in particolare, commi 1, 2, 5, 6 dell'art. 5 cit.):
dell'adempimento   delle   attivita'  assistenziali  -  che  pur  "si
integrano"  con quelle di didattica e di ricerca a norma del comma 2,
dell'art. 5 - il personale universitario risponde al (solo) direttore
generale,  ai  sensi  dello  stesso comma; l'attribuzione e la revoca
degli  incarichi  di  struttura  semplice e degli incarichi di natura
professionale  e'  disposta  dal  direttore  generale su proposta del
responsabile  della struttura complessa di appartenenza del sanitario
(comma 6);   l'incarico   di  direzione  di  struttura  complessa  e'
attribuito  (e  revocato) dal direttore generale sulla base di (mera)
intesa  con  il  rettore, ai sensi del comma 5 (analogamente a quanto
disposto  per  il  direttore  del dipartimento ad attivita' integrata
dall'art. 3, comma 4).
    Ne discende la possibile incidenza delle dette determinazioni del
direttore  generale  sulle  attribuzioni  in  materia  didattica e di
ricerca  riservate  all'istituzione universitaria (anche per cio' che
concerne  l'attivita'  di  programmazione di tali aspetti); la stessa
collocazione  funzionale  assistenziale  per effetto della esercitata
opzione  -  rimessa,  in definitiva, al direttore generale - ben puo'
incidere,  in  concreto,  sulla liberta' d'insegnamento (si pensi, in
particolare,  all'attribuzione  di  un incarico assistenziale che non
consenta   un'adeguata   e  proficua  utilizzazione  di  strutture  e
personale  per  esigenze  di  didattica  e  ricerca  nel quadro della
programmazione del dipartimento).
    L'attivita'  di insegnamento appare, in sostanza, suscettibile di
condizionamenti   in   relazione   alle   determinazioni  in  materia
assistenziale   di  un  direttore  generale  che  ha  come  obiettivo
gestionale  essenziale  la realizzazione di un progetto di assistenza
sanitaria  ospedaliera,  e  non  certo  di un programma universitario
scientifico-didattico.
    Cio'  in  presenza  di  una  posizione  "marginale" assegnata dal
sistema normativo in esame agli organi istituzionali dell'universita'
in   materia   di  coordinamento  degli  interessi  che  sono  propri
dell'autonomia  dell'istituzione  (id  est, di insegnamento e ricerca
scientifica),   posizione   non   bilanciata   dalla   previsione  di
partecipazione  (recte, intesa) del rettore alla nomina del direttore
del  dipartimento  ad  attivita'  integrata ex art. 3, comma 4, quale
centro di collegamento tra assistenza, didattica e ricerca.
    Se  e' vero, infatti, che tale organismo e' concepito in funzione
del  detto  necessario  coordinamento,  e' pur vero che gli interessi
istituzionali    dell'universita'    restano    comunque   ampiamente
condizionati  dalle scelte gestionali del direttore del dipartimento:
e  cio'  in  termini  di  programmazione,  organizzazione  e gestione
dell'attivita'   di   insegnamento   e  di  aggiornamento  e  ricerca
scientifica,  che la Costituzione assegna primariamente all'autonomia
dell'universita' stessa.
    Ed  invero, a tacer d'altro, il direttore del dipartimento assume
la responsabilita' gestionale nei confronti del direttore generale in
ordine  alla  razionale  e  corretta  programmazione e gestione delle
risorse  assegnate  per  la realizzazione degli obiettivi attribuiti,
tenendo  "anche"  conto  della  necessita' di soddisfare le peculiari
esigenze  connesse alle attivita' didattiche e scientifiche, con cio'
conferendo,   nelle   scelte   decisionali,   priorita'   ai  profili
dell'assistenza rispetto a quelli della ricerca e della didattica, in
violazione,  altresi',  del  disposto  dell'art. 6, lettera b), della
legge  delega  (vedasi al riguardo il successivo punto 7), laddove si
intende  "assicurare"  lo  svolgimento  delle attivita' assistenziali
"funzionali  alle  esigenze  della  didattica  e  della ricerca", con
inversione,  quindi,  del  processo  logico postulato dal legislatore
delegante.
    Quanto   sopra   fa  dubitare,  anche,  in  via  derivata,  della
conformita'   al  dettato  costituzionale  delle  norme  in  tema  di
organizzazione  interna  delle  aziende, di cui all'art. 3 del d.lgs.
cit.,  per  i  riflessi  sulla  posizione  dei  sanitari  optanti per
l'attivita' assistenziale esclusiva, nella parte in cui non prevedono
una   partecipazione  diretta  di  organi  universitari  alle  scelte
decisionali  in  tema  di  collegamento  tra  assistenza, didattica e
ricerca.
    Sembra  quindi  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
costituzionalita'  dell'art. 5,  comma  7,  del  d.lgs. n. 517/1999 e
delle  norme  ad  esso  sottese,  o  comunque  connesse, in parte qua
(art. 5,  commi  da  1  a  6 e da 8 ad 11 e art. 3) per contrasto con
l'art. 33 Cost.
    7. - La  normativa  delegata  in  materia di opzione dei sanitari
universitari  non  sembra  inoltre  avere  compiutamente realizzato -
attese  le  evidenziate  incongruenze  del  sistema  - il disegno del
legislatore  delegante  in  ordine  alla  "coerenza  fra  l'attivita'
assistenziale  e  le  esigenze  della  formazione  e  della  ricerca"
(art. 6,  lettere b, c, della legge 30 novembre 1998 n. 419, anche in
relazione a quanto sopra esposto).
    E'  ben  vero che la normativa medesima si occupa di tale profilo
laddove   si  prevede  -  come  gia'  ricordato  al  punto  6  -  una
organizzazione  dipartimentale  al  fine  di  assicurare  l'esercizio
integrato  delle  attivita'  assistenziali,  didattiche  e di ricerca
(art. 3)  anche  sotto  l'aspetto della utilizzazione delle strutture
assistenziali;  ma  sembra  al  collegio  che  debba  ragionevolmente
dubitarsi  della effettivita' della richiesta "coerenza" tra le dette
esigenze  e  l'attivita'  assistenziale  (oltre che per i motivi gia'
illustrati)  in  presenza  di un espresso disposto della legislazione
delegata  che non consente al sanitario universitario non optante per
l'attivita'  assistenziale  esclusiva  la preposizione, non solo alla
direzione   di   strutture,   con   conseguente   impossibilita'   di
impostazione   dei  programmi,  delle  modalita'  e  degli  specifici
contenuti  della  ricerca  scientifica,  ma  addirittura ai programmi
espressamente   finalizzati   alla   "integrazione   delle  attivita'
assistenziali, didattiche e di ricerca, con particolare riguardo alle
innovazioni tecnologiche ed assistenziali".
    E  tale  limite  di legge non puo' essere posto nel nulla neppure
dal sistematico rinvio a futuri (ed incerti nei contenuti) protocolli
d'intesa.
    D'altro canto, non puo' esservi "coerenza" tra i detti profili se
il  sistema  e'  "sbilanciato" verso la primaria considerazione delle
esigenze  assistenziali;  ne'  il  legislatore  delegato  si e' mosso
nell'ottica  di  un  rafforzamento dei processi di collaborazione tra
universita'  e  Servizio  sanitario  nazionale ex art. 6, lettera a),
della  legge  delega,  se e' vero che l'autonomia dell'universita' ne
risulta ampiamente "sacrificata", giusta le pregresse considerazioni.
    Non  sembra  altresi'  che  la delega ex art. 6, lettera c), cit.
abbia  ad  oggetto  anche  la modificazione dello stato giuridico del
personale  sanitario  universitario:  nel  momento  in  cui  si va ad
alterare,  quantomeno  per il personale universitario non optante per
l'attivita'   assistenziale   esclusiva,  il  quadro  di  ragionevole
compenetrazione   fra  attivita'  didattico-scientifica  e  attivita'
assistenziale,  siccome  consolidato  anche dal complessivo andamento
della  pluriennale  legislazione in materia, si va invero ad incidere
in  modo  sostanziale  sulla particolare connotazione della posizione
dei  sanitari  universitari, che costituisce il "dato caratterizzante
le  loro  funzioni  ed  il  conseguente stato giuridico" (Corte cost.
n. 134/1997 cit.).
    L'art. 6  della  legge  delega, alla lettera c), si e' limitato a
demandare   al   legislatore   delegato   l'emanazione   di   "idonee
disposizioni  in  materia  di  personale" nel quadro dell'esigenza di
assicurare  la  "coerenza"  fra l'attivita' assistenziale e quella di
formazione  e  ricerca,  e  non ha inteso assolutamente consentire lo
stravolgimento  dello  stato  giuridico dei sanitari universitari: ed
invero,   l'oggetto  della  delega  e'  espressamente  e  chiaramente
definito  nella  prima parte del comma 1, laddove la delega stessa e'
intesa  all'emanazione di decreti legislativi specificatamente "volti
a   ridefinire   i   rapporti  tra  Servizio  sanitario  nazionale  e
universita'"; ed in tali limiti deve mantenersi l'attivita' normativa
del legislatore delegato.
    Ne'  e' riferibile ai professori e ricercatori universitari - sia
per  la  collocazione  sistematica  della  norma  che per il richiamo
inequivoco  al "solo personale della dirigenza sanitaria" in servizio
al  31 dicembre  1998  -  il  criterio  direttivo  di cui all'art. 2,
lettera  q),  della legge n. 419/1998 cit., in ordine alla previsione
di  modalita'  per  pervenire all'esclusivita' del rapporto di lavoro
quale scelta individuale.
    Sembra  pertanto ipotizzabile il contrasto della norma di opzione
(e  delle  norme sottese o connesse, gia' sopra indicate) anche con i
canoni costituzionali ex art. 76 Cost.
    8. - Per  le  considerazioni  che  precedono, va conseguentemente
sollevata  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 5,
comma  8,  del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, per contrasto con gli
artt. 3  e 97 Cost.; dell'art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 517/1999 per
contrasto  con gli artt. 33 e 76 Cost.; nonche' dell'art. 5, commi da
1  a  6  e  da  8 a 11, e dell'art. 3 del d.lgs. n. 517/1999 cit., in
parte qua, per contrasto con gli artt. 33 e 76 Cost.
    Va  disposta,  pertanto,  la  trasmissione  degli atti alla Corte
costituzionale,  con  conseguente  sospensione  del giudizio ai sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla
legittimita' costituzionale delle suindicate norme.