IL TRIBUNALE

    Su ricorso di: Bouaziz Nabhia Bent Ayech e De Iasu Valentino, con
gli  avvocati Arturo Salerni e Mariantonietta Viteritti con studio in
Roma,  viale Carso 23, iscritto al n. 1734 del 2000, e sul ricorso di
Cheikh  Walid, cittadino siriano, e Paola Perfetti, con gli avvocati,
Mario Angelelli e Mariantonietta Viteritti, con studio in Roma, viale
Carso  n. 23,  iscritto al numero 489 del 2001 e con l'intervento del
p.m. presso il tribunale di Roma;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    I  ricorrenti Bouziz Nabihia Bent Ayect, cittadina tunisina, e De
Iasu Valentino, hanno premesso:
        che   intendevano   contrarre   matrimonio   in  Italia,  che
l'ufficiale  dello  Stato civile del comune di Roma, si era rifiutato
di  procedere  alle  pubblicazioni relative alle nozze contraende dai
ricorrenti,  in  assenza  di "nulla osta" richiesto dall'art. 116 del
codice civile;
        che  la mancanza della dichiarazione delle autorita' tunisine
competenti, sulla inesistenza di ostacoli al matrimonio, in base alla
legislazione  di  quel paese, doveva attribuirsi alla circostanza che
la  cittadina  tunisina  puo'  contrarre  matrimonio con un cittadino
straniero a condizione che quest'ultimo sia di religione mussulmana;
        che  vane  erano  state le richieste di chiarimenti inoltrate
all'ambasciata di Tunisia, con lettera raccomandata;
        di  essere  comunque in possesso dei requisiti indispensabili
indicati  dal  codice  civile  dagli  articoli  84,  85, 86 e che non
sussistono  impedimenti  al  matrimonio  ex  articoli  87, 88, 89 del
codice civile;
    Al ricorso veniva allegato:
        la certificazione anagrafica relativa a De Iesu Valentino;
        lettera raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata al
Consolato di Tunisia;
        estratto  dei registri dello stato civile di Tunisi dell'atto
di  nascita della ricorrente Bouaziz, con traduzione del consolato di
Tunisia di Roma;
        un  "certificato  di  celibato" rilasciato dal Presidente del
Consiglio municipale di Tunisi, con traduzione giurata, riferito alla
persona della ricorrente Bouaziz;
        certificato penale della Bouaziz, del ministero degli interni
tunisino, con traduzione giurata del consolato di Tunisia in Roma;
        certificato  di  residenza,  copia  della  carta di identita'
della predetta del comune di Roma; copia del permesso di soggiorno;
    Tutto   cio'  premesso  chiedevano  che  il  tribunale  ai  sensi
dell'art.   9,   secondo   comma,  del  codice  civile,  autorizzasse
l'Ufficiale  dello  Stato  civile  ad  effettuare le pubblicazioni di
matrimonio;
    Il  procedimento  si  svolgeva con la convocazione dell'ufficiale
dello  Stato  civile  del  comune  di  Roma  in  esito  alla quale si
costituiva  il  comune,  eccependo  in  via preliminare la carenza di
legittimazione,  in  quanto  le  funzioni  dell'ufficiale dello Stato
civile dovevano intendersi riferite al Ministero dell'interno.
    Nel merito il comune sosteneva la piena legittimita' del rifiuto,
ai  sensi  dell'art.  116  del codice civile, non avendo i ricorrenti
prodotto la certificazione richiesta.
    Venivano  chieste  informazioni  al  Ministero  della giustizia e
direttamente all'ambasciata di Tunisia.
    Il  Ministero  trasmetteva  copia  di  alcune risposte inviate ad
altre  autorita'  in  merito  al  problema  dei matrimoni "misti" con
cittadine di stati mussulmani.
    L'ambasciata   di   Tunisia,  dopo  aver  affermato  che  nessuna
richiesta  di  "nulla  osta"  era  stata avanzata ufficialmente dalla
Bouaziz, chiariva che la legge mussulmana vietava il matrimonio della
stessa  con  un  cittadino  non mussulmano, se non previa conversione
alla  legge islamica, trasmetteva un estratto della legge tunisina in
relazione agli impedimenti al matrimonio.
    I ricorrenti Cheik Walid e Perfetti Paola esponevano:
        che intendevano contrarre matrimonio in Italia;
        che, sollecitati dall'ufficiale di Stato civile del comune di
Roma,  avevano  appreso  dall'ambasciata  di  Siria  in Roma, che non
poteva  essere  rilasciata la certificazione prescritta dall'art. 116
del codice civile, per il cittadino siriano Cheik, in quanto, secondo
la  legislazione  nazionale, non aveva svolto il servizio militare di
leva;
        che   era   stata  inoltrata  una  richiesta  di  chiarimenti
all'ambasciata   predetta   sui   motivi  del  rifiuto,  con  lettera
raccomandata   con   avviso  di  ricevimento,  senza  ricevere  alcun
riscontro;
        che  l'ufficiale  dello Stato civile del comune, sollecitato,
aveva  rifiutato  le  pubblicazioni  matrimoniali, attesa la mancanza
della certificazione prevista dall'art. 116 del codice civile;
        di  essere  comunque in possesso dei requisiti indispensabili
indicati  dal  codice  civile  dagli  articoli  84,  85, 86 e che non
sussistono  impedimenti  al  matrimonio  ex  articoli  87, 88, 89 del
codice civile;
    Tutto   cio'  premesso  chiedevano  che  il  tribunale  ai  sensi
dell'art.   98,   secondo   comma  del  codice  civile,  autorizzasse
l'ufficiale  dello  Stato  civile  ad  effettuare le pubblicazioni di
matrimonio;
    Al ricorso si allegavano:
        certificazione anagrafica attinente a Perfetti Paola;
        copia  del  certificato di nascita dell'ufficiale dello Stato
civile della Repubblica siriana copia di un attestato di celibato del
"capo Quartiere", legalizzati dall'ambasciata di Italia in Siria, con
traduzione di un interprete "giurato" italiano-arabo;
        copia  della  lettera  raccomandata con avviso di ricevimento
inviata all'ambasciata di Siria;
    La  norma  di  cui al primo comma dell'art. 116 del codice civile
prescrive  che  lo  straniero  che  vuole  contrarre matrimonio nello
Stato,   deve   presentare   all'ufficiale  dello  stato  civile  una
dichiarazione  dell'autorita'  competente  del  proprio  Paese, dalla
quale  risulti  che giusta le leggi a cui e' sottoposto nulla osta al
matrimonio.
    Tale  disposizione  si  pone  come corollario al principio di cui
all'art.  27  della  legge  n. 218  del  1995,  secondo  la  quale la
capacita'   matrimoniale   e   le   altre  condizioni  per  contrarre
matrimonio, sono regolate dalle legge nazionale di ciascun nubendo.
    E' evidente, infatti, che "le autorita' competenti" sono in grado
di  attestare  quanto  richiesto dalla legislazione straniera e sulla
effettiva  esistenza  delle condizioni che consentono la costituzione
del vincolo.
    Va  comunque  evidenziato  che  la  norma  codicistica  in esame,
attribuisce in via esclusiva a detta autorita' il potere dichiarativo
che  nulla  osta  al  matrimonio  dello straniero, secondo la propria
legge  nazionale  e  che  non  e'  prevista  alcuna  forma ne' alcuno
strumento   che   consenta   di   sopperire   alla   mancanza   della
dichiarazione, per cui deve ritenersi che l'autorita' giudiziaria non
possa esercitare una sorta di supplenza "autorizzando" il matrimonio,
anche  se  astrattamente  sarebbe  possibile per altro verso giungere
all'accertamento mancante.
    L'art. 116 del codice civile, nella sua formulazione, puo' essere
sospettato  di  incostituzionalita', per contrasto con l'art. 2 della
Carta.
    Invero l'attribuzione in via esclusiva alla autorita' dello Stato
del cittadino straniero la competenza al rilascio della dichiarazione
autorizzativa,  viene  a  creare  un  serio  e concreto ostacolo alla
realizzazione  di  uno  dei diritti fondamentali dell'uomo, quello di
contrarre matrimonio.
    La  capacita' matrimoniale, nello Stato italiano, viene ad essere
affidata,  per  il  cittadino  straniero,  ad una dichiarazione della
"autorita' competente", che l'art. 116 del codice civile prevede solo
come  autorizzazione  positiva  di  consenso, senza ipotizzare alcuna
forma di rifiuto eventualmente motivato.
    Ne  consegue  che  nell'ipotesi  in cui il cittadino straniero si
trovi  nell'impossibilita'  di  ottenere la dichiarazione, per motivi
politici (persona che ha chiesto lo status di rifugiato o che intende
contrarre  matrimonio  con  altro rifugiato) razziali o religiosi (la
legge  islamica  vieta  il  matrimonio  di  una  donna mussulmana con
persona  di  altra  religione),  la mancanza della dichiarazione, che
l'autorita'  straniera competente omette semplicemente di rilasciare,
impedisce alle autorita' dello Stato italiano qualsiasi controllo sui
motivi  di  tale  omissione, ed in particolare se il mancato rilascio
sia  dovuto ad impossibilita' determinata da motivi contingenti, o da
una  scelta  del  tutto  discrezionale  dell'autorita' competente per
motivi   politici,  ovvero  da  disposizioni  della  legge  nazionale
straniera  che  non  possono  essere applicate nel nostro ordinamento
perche'  produttive  di effetti contrari all'ordine pubblico interno,
ai sensi dell'art. 16 primo comma della legge n. 218 del 1995.
    Quel  che  rileva e' che nell'attuale sistema delineato dall'art.
116  del  codice civile, la mancanza della dichiarazione determina il
rifiuto   dell'ufficiale   dello   stato  civile  di  procedere  alle
pubblicazioni  ed  al matrimonio anche se il nubendo, in concreto, ha
la   capacita'  matrimoniale  secondo  la  propria  legge  nazionale,
prescindendo  dalle disposizioni che eventualmente sanciscano divieti
che determinano effetti contrari all'ordine pubblico.
    L'ufficiale dello stato civile non ha alcun potere di prendere in
considerazione  e valutare una eventuale documentazione che sia stata
prodotta direttamente dall'interessato.
    Ne'   tale   potere  compete  alla  autorita'  giudiziaria  adita
eventualmente  in  sede  di  reclamo contro il rifiuto dell'ufficiale
dello  stato  civile,  dal  momento  che  il  comportamento  negativo
censurato appare conforme alle disposizioni che regolano la materia.
    La  dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 116 del codice
civile,  consentirebbe  invece  alla  parte interessata di presentare
all'ufficiale  di  stato  civile, alternativamente, sia il nulla osta
dell'autorita'   competente,  sia  la  documentazione  attestante  la
mancanza  di  impedimenti  al  matrimonio,  sulla  base  della  legge
nazionale,  con  le  modalita'  e  forme prescritte dal secondo comma
dell'art. 2 del Reg.to d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394. In quest'ultimo
caso l'ufficiale dello Stato civile, sarebbe abilitato procedere alle
pubblicazioni  ed  al  matrimonio,  qualora  rilevi che gli eventuali
impedimenti esistenti, sono contrari all'ordine pubblico.
    In   subordine,   qualora  non  si  ritenga  incostituzionale  la
disposizione  in  esame, l'articolo stesso dovrebbe essere dichiarato
incostituzionale  nella  parte  in  cui  non prevede che lo straniero
possa  presentare  direttamente  all'ufficiale dello stato civile una
documentazione equipollente alla dichiarazione dell'autorita' estera,
sulla assenza di impedimenti.
    In entrambi i casi, il giudice ordinario, adito contro il rifiuto
dell'ufficiale  dello  stato civile, sarebbe competente a riesaminare
la  documentazione  prodotta, integrandola eventualmente con i poteri
previsti  dall'art.  14  della  legge  n. 218  del  1995,  procedendo
all'accertamento delle condizioni che consentono il matrimonio.
    Sul  punto  della  rilevanza  si osserva che, allo stato, tutti i
ricorsi  presentati  dovrebbero  essere  respinti, sia perche' non e'
previsto  un provvedimento "autorizzativo" al matrimonio, sia perche'
il  rifiuto dell'ufficiale di Stato civile appare del tutto legittimo
ed  incensurabile.  La  dichiarazione di incostituzionalita', invece,
sia pure nella forma subordinata, consentirebbe di esaminare tutte le
domande  sotto  il  profilo dell'accertamento, anche d'ufficio, della
esistenza delle condizioni che legittimano il matrimonio nel rispetto
degli articoli 16 e 27 della legge n. 218 del 1995.
    I  ricorsi vanno quindi riuniti, trattandosi della risoluzione di
identica questione.
    Nel giudizio davanti alla Corte deve essere chiamato il Ministero
dell'interno,  al  quale  compete la responsabilita' della tenuta dei
registri dello stato civile, come giustamente osservato dal comune di
Roma,  nonche'  i  Ministeri  della  giustizia  e degli esteri, quali
controinteressati alla questione.