IL GIUDICE DI PACE Ha emesso il seguente processo verbale di udienza (art. 130 c.p.c.) della causa portante il numero di ruolo r.g. n. 9/2002, promossa da Lionetti Ivan (in proprio) attore in opposizione; Contro Comune di Roma (convenuto opposto); Avente ad oggetto: ricorso in opposizione a verbale di contestazione n. 101008872 del 18 settembre 2001. In Santhia', addi' sabato 14 settembre 2002, avanti al giudice di pace nella persona dell'avv. Mauro Bolognesi di Novara, compare l'avv. Elena Lionetti quale delegata dell'opponente. Nessuno compare per il comune di Roma che si e' costituito in cancelleria in data 22 aprile 2002 col deposito di memoria difensiva. Il ricorrente discute la causa. Il Giudice di pace pronuncia la seguente ordinanza. Osservato in fatto Con ricorso ex art. 22 della legge n. 689/1981, ritualmente e tempestivamente depositato, il ricorrente presentava opposizione avverso la contestazione di violazioni alle norme del codice della strada commesse fuori dalla circoscrizione territoriale del giudice attualmente adito, nel cui ambito, invece, risiede l'opponente. A questo punto il giudice, rilevato che il ricorrente risulta residente nel "mandamento" del giudice adito, ma avrebbe commesso la violazione ascrittagli in localita' appartenente alla circoscrizione di altro giudice di pace, al quale la normativa attuale attribuisce la competenza territoriale a decidere dell'opposizione, prevede di dover eventualmente rilevare la propria incompetenza territoriale (sottoponendo l'opponente ai disagi di cui appresso si dira) a meno che la norma in esame venga dichiarata incostituzionale. Ritiene pertanto di sollevare la questione di costituzionalita' dell'art. 22 della legge 24 novembre 1981 n. 689 e ss.mm., nella parte in cui obbliga l'opponente ad adire il giudice del luogo in cui e' stata commessa la presunta violazione, anziche' di quello di residenza del ricorrente, per contrasto con gli artt. 3, 24, e 111 della Costituzione italiana. Conseguentemente sospende d'ufficio il giudizio per trasmettere gli atti alla Corte costituzionale e di cio' prendono atto le parti presenti. L'obbligo di adire il giudice del luogo in cui e' stata commessa la presunta violazione, anziche' di quello di residenza del ricorrente, contrasterebbe, secondo il giudice di pace remittente, con l'art. 3 della Costituzione, ledendo il principio di eguaglianza, con l'art. 24 della Costituzione nella parte in cui riconosce al cittadino la libera facolta' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, ed, infine, con il novellato art. 111 della Costituzione, ledendo il principio di parita' delle parti processuali, oltre che per le motivazioni in diritto svolte dal giudice di pace di Orbetello sul ricorso proposto da Di Tarsia di Belmonte Francesco Edoardo contro la Prefettura di Grosseto, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 1a serie speciale - n. 6 del 7 febbraio 2001, che qui si intendono interamente trascritte, e che vengono cosi' sunteggiate: Per effetto dell'art. 98 del d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507, con il quale e' stato introdotto l'art. 22-bis della legge n. 689/1981 e ss.mm., il legislatore ha riattribuito al giudice di pace la competenza in materia di opposizione alle ordinanze-ingiunzione di cui all'art. 22. Contro il provvedimento sanzionatorio irrogato dall'autorita' amministrativa, gli interessati possono proporre opposizione davanti al giudice del luogo in cui e' stata commessa la violazione entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, mediante deposito in cancelleria del ricorso con allegata l'ordinanza notificata. Nel ricorso l'opponente ove non abbia in loco un suo procuratore per il giudizio de quo, e' obbligato a dichiarare o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, ed a presentarsi alla prima udienza, per evitare la convalida del provvedimento opposto (art. 23, comma 5), a differenza dell'ordinario rito civilistico per quanto riguarda la cancellazione della causa dal ruolo (art. 181 c.p.c.). A parere di questo organo giudicante la descritta normativa non sembrerebbe garantire agli "interessati", ove non siano assistiti da un legale, la concreta possibilita' di difendersi, tenuto conto dei gravami procedurali che vengono ad essi imposti per opporsi ad addebiti peraltro di modesta offensivita', con particolare riguardo l'obbligo di adire il giudice del luogo in cui e' stata commessa la presunta violazione, anziche' di quello di residenza del ricorrente. Proprio nel caso all'esame di questo giudice, si e' rilevato come un signore abitante a Carisio per contestare un infrazione stradale elevatagli nel comune di Roma, debba presentare personalmente nella cancelleria del giudice di Pace del forum delicti il suo ricorso, e quindi, comparire successivamente in udienza, sopportando un notevole costo, sia in termini economici che di tempo, che gli sarebbe risparmiato, se la competenza in materia fosse del giudice del suo luogo di residenza. Tale procedura in effetti, privilegiando il foro dell'"amministrazione repressiva" rende particolarmente difficoltoso al ricorrente esercitare direttamente il suo fondamentale diritto di difesa, ai sensi non solo dell'art. 24 ("tutti possono agire in giudizio"), ma ora, anche, dell'art. 111 - secondo comma della Costituzione (legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), per effetto del quale "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti a giudice terzo e imparziale". Nella circostanza, l'attribuzione della competenza territoriale al giudice del locus delicti, in pratica coincidente con il luogo dell'accertamento dell'infrazione, potrebbe essere in contrasto con i principi del giusto processo e della buona ed imparziale amministrazione della giustizia, di cui anche alla convenzione di Roma per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, cio' in quanto di fatto al presunto incolpato non e' garantita una posizione processuale paritaria rispetto all'amministrazione e quindi mancano i presupposti perche' il suo ricorso abbia valenza effettiva e non solo teorica, tanto piu' considerando come le pretese dell'autorita' che ha irrogato la sanzione siano, tra l'altro, immediatamente esecutive. Siffatta procedura, di chiara origine penalistica, che aveva come destinatario l'allora pretore ed il suo particolare rito, potrebbe non essere piu' conforme alla vigente disciplina del "procedimento davanti al giudice di pace", che prevede, in particolare, all'art. 320 c.p.c., l'obbligatorio interrogatorio libero delle parti subito "nella prima udienza", cio' al fine di acquisire dagli "interessati" utili elementi per la trattazione della causa, e quindi incentiva un rapporto diretto dell'organo giudicante con i protagonisti processuali, tanto piu', se, come nel caso di specie, il ricorrente puo' stare in giudizio senza l'assistenza di un legale. Va, inoltre, sottolineato, che lo stesso rito della n. 689/1981, imponendo al giudice di valutare la "personalita'" e le eventuali "condizioni economiche disagiate" dell'autore dell'infrazione, in sede di applicazione delle sanzioni (art. 11) e concessione del pagamento rateale della pena irrogata (art. 26), postula comunque la necessaria presenza personale dell'incolpato in giudizio. Sotto questo aspetto e' significativo, altresi', l'art. 23, settimo comma, della legge n. 689/1981 che stabilisce la lettura in udienza del dispositivo da parte del giudice, proprio allo scopo di rappresentare oralmente al ricorrente l'autorita' della decisione. Tale fondamentale attivita' processuale, prevista proprio nell'interesse difensivo del trasgressore, e' da ritenersi di dubbia realizzazione nel caso in cui l'opponente si trovi a risiedere in una localita' molto lontana dal punto in cui sarebbe stata commessa l'addebitata violazione stradale e non abbia mezzi economici per rivolgersi ad in legale del posto, onde sostenere cola' in giudizio le proprie ragioni contro l'"amministrazione repressiva". Tra l'altro, poi, l'ammontare della sanzione irrogata, in genere non e' tale da giustificare la spesa dell'assistenza di un professionista, anche nell'ipotesi in cui fosse macroscopica la non colpevolezza del verbalizzato, considerata, inoltre, la diffusa tendenza dei giudici de quibus a compensare le spese o liquidarle in via equitativa in misura simbolica. E' indubbio che l'attribuita competenza territoriale al giudice del luogo in cui e' stata commessa l'infrazione sia unicamente a vantaggio dell'amministrazione nei cui confronti viene presentato ricorso, in quanto i suoi funzionari, verosimilmente agevolati dalla vicinanza con gli uffici giudiziari, risultano facilitati nel reperimento delle prove e, quindi, piu' in generale nell'attivita' processuale. In particolare, poi, l'autorita' verbalizzante, in sede del ricorso amministrativo, e' addirittura destinataria per legge degli scritti difensivi indirizzati all'organo giudicante. Ma questa opportunita' logistica, se puo' ammettersi per le controversie di maggiore offensivita' all'esame ora del tribunale, la cui istruttoria spesso comporta l'ammissione di consulenze tecniche e di complessi riscontri documentali nei luoghi dell'accertamento dell'infrazione, non sembra ragionevole nel caso di ricorsi affidati ai giudici di pace, in quanto proprio la relativa minore gravita' dell'illecito contestato non giustifica la competenza territoriale del giudice del locus delicti, ossia, in pratica, a favore dei verbalizzati ed e' sicuramente penalizzante per il ricorrente, ove la sua causa si svolga in una localita' fuori della provincia di residenza o di domicilio. Al riguardo non si puo' escludere che il legislatore, in sede di emanazione del menzionato d.lgs. n. 507/1999, abbia voluto riconoscere una competenza di carattere generale al giudice di pace per gli illeciti di minore allarme sociale, per i quali, se non e' richiesta l'assistenza (tecnica) di un legale, e' pero' indispensabile la presenza del presunto trasgressore nell'istruttoria, per cui relativamente a questo comparto la norma di cui all'art. 22-bis della legge n. 689/1981 potrebbe essere interpretata nel senso che il giudice adito e' piu' propriamente quello del luogo in cui si trova il ricorrente. Sono state, infatti, escluse dalla sua competenza, ed attribuite ai giudici togati, le opposizioni avverso le sanzioni pecuniarie superiori a 30 milioni, ed alcune tipologie di violazione (lavoro, urbanistica, ambiente, valutario, tributario e societario), di particolare complessita' giuridica, per la cui definizione assume specifico rilievo il momento tecnico dell'istruttoria, e quindi la necessita' per il ricorrente di doversi fare assistere da un legale. Per le ragioni suesposte si ha motivo di ritenere che, per effetto della vigente procedura di opposizione alle sanzioni amministrative, le parti in giudizio non siano in una posizione di parita', e sussiste, invece, uno squilibrio a danno del soggetto processualmente debole, ossia l'opponente, che normalmente rinuncia ad esercitare il suo diritto di difesa per i costi eccessivi cui deve sottoporsi, mentre invece l'amministrazione, grazie ai suoi uffici periferici, o in mancanza, di quelli di Prefettura, e istituzionalmente in grado di resistere con i suoi funzionari sull'intero territorio nazionale. Del resto, proprio considerando l'articolazione territoriale degli uffici di Prefettura, l'eventuale trasferimento della competenza al giudice del luogo di residenza del ricorrente non avrebbe conseguenze negative per l'amministrazione opposta, i cui uffici periferici potrebbero correttamente rappresentarla nelle cause di cui trattasi. Si sottolinea, altresi', come ancor prima dell'avvento del "giusto processo", l'evoluzione normativa fosse gia' nel senso di valorizzare il foro del ricorrente, rispetto a quello dell'opposto, proprio al fine di riequilibrare le posizioni dei soggetti considerati normativamente deboli rispetto alle parti processuali forti. Sono da ritenersi espressioni di tale esigenza non solo il tradizionale rito del lavoro o il procedimento di opposizione al decreto penale di condanna dal quale proprio la procedura della legge n. 689/1981 e' largamente ispirata, ma piu' recentemente la complessiva normativa a tutela del consumatore, con particolare riguardo all'art. 25 della legge 6 febbraio 1996 n. 56 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla comunita' europea - legge comunitaria 1991), il quale parrebbe avere introdotto il cosiddetto foro esclusivo del consumatore, ai sensi dell'art. 1469-bis, n. 13, del codice civile (clausole vessatorie) (cfr. giudice di pace di Prato, sentenza 28 gennaio 1999 in Foro It. I, 1695), o anche all'art. 12 d.l. n. 50/1992 sui contratti negoziati fuori dei locali commerciali e, infine, all'art. 10, d.l. n. 427/19987 in materia di multiproprieta'. Ne' tali deroghe all'ordinaria competenza territoriale possono essere qualificate, come ritiene un'autorevole dottrina, un "eccesso di zelo" nella protezione del consumatore. Esse, piuttosto, mirano ad assicurare al soggetto, ritenuto normativamente debole in una lite, la possibilita' (economica) di potersi difendere nel suo luogo di residenza, dove verosimilmente gli e' meno oneroso rappresentare le proprie ragioni, emancipandolo da dispendiosi spostamenti, sicuramente penalizzanti in termini di costi e di tempo.