IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza a scioglimento della riserva formulata all'udienza camerale del 27 maggio 2004, nella quale si trattava il procedimento n. 497/04 R.G.A.C.N.C. avviato su istanza di: Curatela del fallimento «So.Ge.Im. S.p.A.» (n. 1985 Registro Fallimenti di Tribunale di Agrigento), con sede legale in Agrigento, via Leonardo Sciascia n. 218 (CF 01690100845), in persona del curatore pro tempore rag. Alfonso Albano, con il procuratore avv. Francesco Paolo Di Trapani del Foro di Palermo, domiciliato in Agrigento in via Picone n. 8 presso lo studio dell'avv. Vincenzo Caponnetto, per procura speciale spillata al ricorso introduttivo depositato in cancelleria il 20 aprile 2004, ricorrente; Nei confronti di «Sicilcantieri S.r.l.», con sede legale in Roma, via Cesare Giulio Viola n. 48 e sede effettiva in Agrigento, via Dante n. 176 (CF 01490390844), in persona del legale rappresentante pro tempore, amministratore unico sig.ra Greco Carmela, con il procuratore avv. Diego Galluzzo del Foro di Agrigento, per procura speciale in calce alla comparsa di costituzione depositata in cancelleria il 25 maggio 2004; resistente; con l'intervento del pubblico ministero in sede, interveniente volontario; avente per oggetto l'accertamento giudiziale del verificarsi di una causa di scioglimento della societa' resistente ai sensi dell'art. 2485, secondo comma, c.c., come modificato dall'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 6 del 2003. O s s e r v a La societa' ricorrente, sottoposta a liquidazione fallimentare con sentenza depositata il 29 aprile 2002, ricorre a questo giudice esponendo: a) di essere titolare dell'intero capitale sociale della «Sicilcantieri S.r.l.», gia' dichiarata fallita ma tornata in bonis dal 5 dicembre 2002 a seguito della sopravvenuta chiusura del suo procedimento fallimentare; b) di aver constatato che gli organi amministrativi di detta societa' partecipata, dopo la chiusura del suo fallimento, non hanno mai assunto alcuna iniziativa; c) che al contrario incombeva ad essi quantomeno di convocare l'assemblea dei soci per le deliberazioni consequenziali (revoca della liquidazione per il superamento della causa di scioglimento ovvero nomina dei liquidatori per le successive attivita); d) che, quale socio unico, ha il diritto di superare l'inerzia dell'organo amministrativo mediante il ricorso al tribunale ai sensi degli artt. 2485, secondo comma, e 2487, secondo comma, c.c., come modificati dall'art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 6/20 03 in vigore dal 1° gennaio 2004. Il presidente del collegio, constatato trattarsi di procedimento da svolgersi secondo le nuove norme di procedura emanate con il d.lgs. n. 5/2004, esso pure in vigore dal 1° gennaio 2004, (art. 1, comma 1, lettera a), in Camera di consiglio ed in confronto di piu' parti (artt. 25, 30 e 33), ha disposto per l'audizione delle parti e l'instaurazione del contraddittorio. All'udienza collegiale e' intervenuto volontariamente il p.m. in sede, chiedendo l'accoglimento del ricorso; si e' costituita altresi' la societa' evocata, eccependo preliminarmente l'incompetenza territoriale del giudice adito, perche' essa ha sede legale in Roma, sicche', a' termini dell'art. 25, comma 1, del d.lgs. n. 5/2003 (disposizione sulla competenza territoriale che risulta inderogabile secondo l'art. 28 c.p.c., trattandosi si rito camerale), il procedimento non poteva che essere conosciuto dal Tribunale di Roma. Nel merito esponeva che l'avvenuta chiusura del fallimento ancora non risulta resa nota ai terzi da parte del registro delle imprese, sicche' alcuna negligenza poteva imputarsi all'organo amministrativo. Il collegio, nell'accingersi alla definizione del procedimento, ritiene necessario sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 1, del d.lgs. n. 5/2003. In primo luogo va rilevato che il presente incidente sorge effettivamente nel corso di un giudizio vero e proprio e non di un procedimento di altra natura. La norma, della cui legittimita' costituzionale si dubita, viene infatti in applicazione proprio nell'esplicarsi della giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria, che procede bensi' nelle forme del rito in Camera di consiglio, ma che decide comunque in ordine a diritti soggettivi delle parti istanti. Sulla sussistenza, nella fattispecie, di un vero giudizio pendente davanti ad una autorita' giudiziaria non sono quindi consentiti dubbi. Inoltre, questo collegio ritiene che il dubbio circa la legittimita' costituzionale della norma citata non sia manifestamente infondato. Cio', innanzitutto, per violazione dell'art. 76 della Costituzione, parendo che il Governo abbia esercitato la funzione legislativa delegata in netto contrasto con i principi direttivi assegnatigli con la specifica legge di delegazione. La norma impugnata e' stata emanata nel corpo del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 17 del 22 gennaio 2003 ed in vigore dal primo gennaio 2004. Cio', stando al preambolo di tale decreto, in forza della legge 3 ottobre 2001, n. 366 che ha conferito al Governo la delega per emanare uno o piu' decreti legislativi di riforma organica della disciplina delle societa' di capitali ed in particolare in virtu' dell'art. 12 di tale legge, che abilitava il Governo a porre nuove norme sulla procedura da seguire per la definizione delle controversie in materia societaria. Ora, la norma impugnata impone a tutti coloro che intendono presentare un'istanza al tribunale in materia di rapporti societari e sulla quale dovra' intervenire una pronuncia resa a seguito di procedimento camerale, di rivolgersi unicamente al giudice del luogo in cui la societa' di riferimento «ha la sede legale». Tale disposizione da' alla fattispecie applicazione secca ed unica della norma generale di cui all'art. 19 c.p.c., senza la salvezza delle diverse disposizioni di legge pur richiamate da quest'ultimo articolo. Come noto, nella generalita' dei casi la competenza territoriale spetta al giudice del luogo dove la persona giuridica convenuta nel giudizio, anche di natura societaria, ha sede legale; tuttavia se questa (da intendersi quale «statutaria» ovvero quale risultante dall'atto o provvedimento costitutivo) risultasse diversa dalla sede effettiva, si potra' adire direttamente il giudice del luogo in cui e' sita quest'ultima. Cio' perche' lo stesso art. 19 c.p.c. fa salve diverse disposizioni di legge in tema di competenza, tra cui l'art. 46, secondo comma, c.c., che non conosce eccezioni nella specifica disciplina delle societa' di capitali e dunque e' anche ad esse applicabile. Tale disposizione esplicita un reale favor per i terzi i quali, senza necessita' di defatiganti ricerche, possono in generale considerare la sede effettiva della persona giudicia, anche societaria e con cui piu' di frequente essi hanno occasione di venire in contatto, come perfettamente equivalente a quella statutaria ad ogni fine, anche processuale (cfr. ex multis Cass. n. 3322/60; n. 2183/92; n. 959/98). Lo stesso criterio preferenziale di collegamento si ritrova confermato anche nella legge fallimentare (artt. 9, 161, 187, 195, 202), ed in altre leggi speciali sull'insolvenza (art. 3, comma 1, d.lgs. n. 270/1999); regola contraria si rileva incece nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (artt. 82, 87, 89 d.lgs. n. 385/1993), peraltro in un ambito affatto peculiare che non incide sul panorama complessivo. Cio' che conta e' infatti sottolineare che, alla data di entrata in vigore della norma denunciata, le norme di legge generale in tema di competenza territoriale del giudice adito stabilivano la normale equivalenza tra foro del luogo in cui si trova la sede legale di una persona giuridica e foro del luogo in cui si trova la sua sede effettiva, qualora esse non coincidessero. Anche in materia camerale generale ex artt. 737 e s. c.p.c., benche' la dottrina abbia sempre lamentato l'assenza di criteri sistematici, si e' di regola dato rilievo al forum domicilii con riferimento al soggetto la cui posizione e' incisa dal provvedimento richiesto (cfr. Cass. n. 2796/89), con evidente richiamo alle regole generali sulla competenza territoriale poste dal Libro I del codice di rito. Ben consapevole di tali premesse, la norma che conferiva delega al Governo di emanare disposizioni con valore di legge ordinaria sul punto (art. 12, comma 1, lettera f) della legge n. 366/2001) vietava precisamente alle norme delegate di procedura di apportare qualsiasi modifica alle vigenti disposizioni sulla competenza per territorio e per materia di giudici nazionali. Cio' anche con riguardo ai procedimenti camerali di nuova concezione, benche' il loro campo d'applicazione dovesse essere esteso. Ad opinione del collegio, la disposizione delegata in esame contrasta in modo palese con questo specifico ed esplicito principio direttivo posto dal legislatore delegante, e dunque non rispetta l'art. 76 della Costituzione. Per effetto della modifica introdotta dalla nuova norma, infatti, chi viene in contatto con una persona giuridica societaria non ha piu' la facolta' di evocarla in un giudizio camerale davanti al giudice del luogo in cui e' posta la sua sede effettiva (che e' quella in cui risiede il centro amministrativo, direttivo e rappresentativo dell'ente, nonche' dove e' situato il centro dei suoi affari), ove divergente da quella legale e come e' sempre avvenuto in precedenza per un assetto normativo che la legge-delega imponeva di preservare, ma deve per forza investire del proprio ricorso il giudice che siede nel luogo della sua sede legale, anche quando questa differisca completamente dalla prima e risulti individuata in modo esclusivamente formale. Si e' quindi introdotta, per via delegata, una vera modifica della competenza giudiziaria per territorio laddove cio' era radicalmente vietato dalla legge-delega. Ne' pare al collegio che per via interpretativa si possa ovviare al predetto vizio, riconducendo la disposizione scrutinata al rispetto del principio di immutabilita' della competenza posto in sede di delega: il testo normativo introdotto nel 2003 e' cosi' stringente nel far riferimento unico e preciso al giudice del luogo ove e' posta «la sede legale», che ogni tentativo di diversa soluzione applicativa non si rivelerebbe essere altro che una palese violazione di legge, vietata evidentemente al giudice. Da cio' la necessita' che il dubbio prospettato venga sciolto nelle forme costituzionali dal giudice delle leggi. La disposizione in esame, poi, pare al collegio in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell'irragionevole diversita' di trattamento di fattispecie processuali che al contrario appaiono omogenee. Infatti, sempre in virtu' della medesima legge di delegazione n. 366/2001, e segnatamente dell'art. 12, il Governo ha emanato un gran numero di disposizioni di riforma della procedura da seguire nella definizione dei procedimenti in materia societaria. In particolare e sulla questione che qui esplicitamente interessa, va segnalata l'entrata in vigore dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 5/2003 - secondo cui il processo di cognizione di primo grado («ordinario» pur nella speciale materia) si avvia con domanda da proporsi «al tribunale» senza altra indicazione - e dell'art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 5/2003 - secondo cui per i casi non disciplinati dalle norme delegate si fa riferimento al codice di procedura civile nel limite dell'applicabilita'. Ora, la prima norma pone esclusivamente un nuovo criterio di competenza per materia, sicche' mai una controversia di quelle in esame potra' essere portata al giudice di pace. E' da notare che in tal caso la deroga al divieto di mutamento delle regole di competenza di cui all'art. 12, comma 1, della legge delega e' contenuta nel successivo comma 2, lettera b) dello stesso articolo. Comunque, dal punto di vista della competenza territoriale fra piu' tribunali astrattamente competenti nulla viene innovato dal decreto delegato. Sul punto non si potra' allora che giovarsi del rinvio alle disposizioni generali del codice di rito (art. 1, comma 4, d.lgs. n. 5/2003), e dunque all'assetto posto dall'art. 19 c.p.c. ove sia convenuto un ente societario, con conseguente generico richiamo alla sede come intesa dall'art. 46 c.c. Del resto anche il nuovo testo dell'art. 2378, comma primo, c.c. (introdotto con l'art. 1 d.lgs. n. 6/2003) prevede l'impugnabilita' delle deliberazioni delle assemblee delle S.p.A. dinanzi al tribunale del luogo in cui la societa' «ha sede», senza ulteriori specificazioni, il che autorizza tutti gli interessati a rivolgersi all'uopo alternativamente al tribunale sito ove la societa' ha sede legale ed a quello in cui si trovi la sede effettiva, se differente e se piu' confacente alla loro difesa. In sostanza, il combinato disposto delle norme citate fa si' che le controversie in materia societaria, da definirsi nel contraddittorio tipico della cognizione piena, possono essere definite dal giudice individuato come territorialmente competente non solo in relazione alla sede legale, ma anche con riferimento alla diversa sede effettiva della societa' convenuta; al contrario, e secondo questo giudice irragionevolmente, le controversie nella medesima materia e fra le medesime parti, che per scelta del legislatore delegato sono sottoposte al rito camerale, dovranno obbligatoriamente essere portate alla cognizione del giudice territorialmente competente secondo l'esclusivo criterio della sede legale della societa' convenuta. La situazione in comparazione e' del tutto omogenea, considerato che in materia societaria la scelta del rito camerale che di quello ordinario risponde a scelte discrezionali del legislatore (sulla possibilita' di passaggio dall'uno all'altro vedi l'art. 32, d.lgs. n. 5/2003) e non a diversita' strutturali dell'assetto sostanziale dei rapporti fra i consociati. Il trattamento, pero', e' del tutto differente, perche' mentre per l'avvio del giudizio di merito «ordinario» ci si puo' indifferentemente rivolgere al tribunale della sede legale o della sede effettiva della societa' che si intende convenire (se non coincidenti), al contrario per instaurare un giudizio camerale nei confronti del medesimo soggetto collettivo non si potra' fare affidamento che sul tribunale della sua sede legale. Anche ammesso allora che la norma denunciata non contrasti con l'art. 76 della Costituzione, essa introduce una differenza di disciplina fra situazioni simili che non pare giustificata da alcuna necessita', e dunque confligge con l'interpretazione data all'art. 3 della Costituzione dalla Consulta. Anzi, va segnalato che per tale via e' stata addirittura introdotta una disciplina che contrasta con la tendenza di fondo dell'ordinamento (anche «vivente») nella materia dei conflitti con enti societari: oltre a quanto detto per le persone giuridiche ex art. 46 c.c., per le societa' non personificate gia' vige il principio della competenza del giudice in cui esse svolgono attivita' in modo continuativo (art. 19, secondo comma, c.p.c.), a prescindere dalla sede statutaria; nelle leggi speciali sull'insolvenza delle imprese collettive e' predominante il riferimento alla sede principale per radicare la competenza per territorio, il quale resta valido anche in caso di trasferimento fittizio della sede legale altrove in corso di procedimento di istruzione preliminare; in sede comunitaria e' ormai diritto vigente il rilievo dato ai medesimi fini al luogo in cui e' situato il centro degli interessi principali della societa', che solo si presume (e' salva infatti la prova contraria) coincidente con la sede statutaria (ar t. 3, comma 1, Regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1346/2000). Da quanto sopra deriva la non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalita' officiosamente rappresentato. Infine, va affrontata la questione riguardante la rilevanza del predetto dubbio. Effettivamente la norma denunciata dovrebbe trovare applicazione al presente giudizio, perche': a) il ricorso introduttivo e' stato incardinato davanti al Tribunale di Agrigento; b) la societa' resistente ha sede legale in Roma; c) il ricorrente invece ipotizza la competenza territoriale di questo giudice sul fatto che la societa' resistente aveva ed ha la sua sede effettiva in questa circoscrizione, ed e' stata proprio per questo dichiarata fallita da questo tribunale; d) la resistente eccepisce tempestivamente l'incompetenza territoriale inderogabile del giudice adito (artt. 28 e 38 c.p.c.); e) il tenore della norma denunciata imporrebbe una declaratoria in rito di incompetenza, a fronte di una situazione sostanziale di divergenza fra luogo della sede legale e di quello della sede effettiva della societa' resistente, che legittimerebbe invece anche la presecuzione del giudizio nel merito. Pertanto risulta inscindibile il nesso fra la decisione della causa a quo e la risoluzione del dubbio di legittimita' costituzionale sopra evidenziato.