LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al R.G. n. 681/2003 avente ad oggetto: insinuazione tardiva del credito ex art. 101 l.f., promossa da Mirabella Filippo, con l'avv. Nicola Salvini, contro fallimento Industrie Fontauto S.p.A., con gli avv.ti Claudio Demaria e Fulvia Conti Maiorca. 1. - Premesso che con ricorso ex art. 101, l. fall., Mirabella Filippo esponeva: che aveva lavorato alle dipendenze di Industrie Fontauto S.p.A., con qualifica di operaio di 5° livello; che aveva subito in data 20 febbraio 1997 un grave infortunio sul lavoro, in esito al quale l'INAIL gli aveva riconosciuto con provvedimento del 18 gennaio 2000 un'invalidita' permanente valutata nella misura dell'80% in relazione alla riscontrata perdita funzionale dell'arto superiore destro; che aveva convenuto in giudizio la Industrie Fontauto S.p.A. per sentire dichiarare l'esclusiva responsabilita' di questa nella causazione dell'evento; che nel corso del giudizio era stato dichiarato, con sentenza del Tribunale di Cuneo 4 febbraio 2000, il fallimento di Industrie Fontauto, ed il processo era proseguito nei confronti del curatore, che si era costituito in giudizio; che la c.t.u. disposta nel corso del giudizio aveva riconosciuto un'invalidita' del 65%; che con sentenza n. 158/2001, emessa in data 9-16 luglio 2001, il Giudice del lavoro del Tribunale di Cuneo, in accoglimento della domanda del Mirabella, aveva dichiarato che l'infortunio a questi occorso si era verificato per responsabilita' esclusiva delle Industrie Fontauto S.p.A.; che il sig. Mirabella Filippo chiedeva pertanto di essere ammesso in via tardiva al passivo del fallimento Fontauto per il danno patrimoniale, biologico e morale subito, oltre al rimborso delle consulenze di parte, degli interessi legali fino alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, delle spese legali liquidate in sentenza e delle spese successive, detratta la provvisionale gia' versata in corso di causa (pari a L. 30.807.840), per la somma complessiva di L. 1.034.328.840, in prededuzione ovvero, in subordine, con il privilegio ex art. 2751-bis, n. 1 e 2776 cod. civ.; che, poiche' la Industrie Fontauto S.p.A. al momento della dichiarazione di fallimento aveva in corso una polizza assicurativa "RCO" con la RAS S.p.A. (polizza n. 3193795 - agenzia di Cuneo) il Mirabella asseriva che aveva diritto di essere pagato direttamente dalla compagnia assicuratrice in forza di tale polizza senza che quindi la somma dovuta a titolo d'indennizzo entrasse a far parte dell'attivo fallimentare; che il fallimento contestava il credito nel quantum e ne negava comunque la prededucibilita', opponendosi alla pretesa del Mirabella di ricevere l'indennizzo dovuto a seguito dell'infortunio occorsogli direttamente dalla RAS Compagnia assicuratrice del datore di lavoro fallito, evidenziando come, alla luce del diritto vivente, Cass. civ. 28 agosto 2000, n. 1128; Cass. civ. 4 luglio 1969, n. 2465) a seguito del fallimento, su tutti i beni dell'assicurato, ivi compreso il suo credito nei confronti dell'assicuratore, si apra il concorso dei creditori con il rispetto delle legittime cause di prelazione, cio' che non e' compatibile con la facolta' dell'assicuratore di pagare direttamente il danneggiato; che nell'impugnata sentenza il credito del ricorrente e' stato ammesso al passivo con il privilegio, ai sensi degli artt. 2751-bis, n. 1) nel testo vigente a seguito dalla pronuncia della Corte costituzionale del 17 novembre 1983, n. 3226 e 2776 c.c., trattandosi di credito per il risarcimento dei danni conseguenti ad infortunio sul lavoro, in relazione al quale la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Cuneo n. 18/2001 - passata in giudicato - ha riconosciuto la responsabilita' esclusiva delle Industrie Fontauto S.p.A.; che con la sentenza appellata, il Tribunale di Cuneo ha quantificato il residuo credito del sig. Mirabella in Euro 463.699,19; che il Tribunale di Cuneo, invece, ha respinto le altre domande formulate in via principale dal ricorrente, oggi appellante, con le quali, il Mirabella chiedeva al giudice adito di ordinare alla RAS Assicurazioni S.p.A. in relazione alla polizza di cui sopra, il pagamento diretto al Mirabella, in ragione dell'accertamento di responsabilita' a carico del soggetto poi dichiarato fallito, con prededuzione del credito dalla massa attiva fallimentare, che lo ha incassato; che con atto di appello notificato in data 19 marzo 2003, il Mirabella ha impugnato tale ultimo capo della sentenza di primo grado per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e per omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, per non avere il giudice di prime cure ritenuto di dare prevalenza al principio della tutela del bene salute (seppure attuata ex post, mediante il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno subito), in quanto principio assistito da esplicita e cogente garanzia costituzionale, in confronto al principio (viceversa non costituzionalizzato) della par condicio creditorum; che il fallimento si e' costituito chiedendo respingersi l'impugnazione, perche' infondata, alla luce del diritto vivente; che l'appello e' quindi limitato al capo della sentenza che ha escluso il diritto del Mirabella di azionare direttamente la pretesa nei confronti della compagnia assicuratrice RAS Assicurazioni S.p.A. con riferimento alla polizza n. 31938795, vertendo la lite devoluta all'esame della Corte territoriale sulla contestata prededucibilita' del credito azionato ovvero sulla avocabilita' alla massa attiva del fallimento dell'indennizzo in esame, gia' riscosso dalla procedura fallimentare; che il contratto di assicurazione, in atti, dispone: «la societa' si obbliga a tenere indenne l'assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare» (capitale, interessi e spese) quale «civilmente responsabile ai sensi degli artt. 10 e 11, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, verso "i prestatori di lavoro da lui dipendenti per gli intortuni (escluse le malattie professionali) da loro sofferti"». «La societa', quindi, si obbliga a tenere indenne l'assicuraro delle somme eccedenti "l'indennita' liquidata a norma di legge che egli sia stato condannato a pagare all'infortunato o ai suoi aventi diritto" (art. 19 delle condizioni generali di polizza "norme che regolano l'assicurazione della responsabilita' civile imprese industriali ed edili oggetto dell'assicurazione")»; Atteso che non ricorre nella specie l'ipotesi legittimante l'assicuratore ex art. 1917 c.c. a liquidare direttamente al dannegaiato le somme dovute a titolo risarcitorio, difettando la prova, sia pure indiziaria, della richiesta dell'assicurato in tal senso ed avendo anzi, in pendenza di lite, la R.A.S. Assicurazioni provveduto a versare al fallimento l'importo pari all'indennizzo ora preteso in prededuzione. 2. - Rilevato che, nel presente giudizio, si controverte della prededucibilita' tale sostenuta dal lavoratore che subi' l'infortunio, ovvero della concursualita', ancorche' in via privilegiata, del credito dedotto in causa, tale sostenuta dal fallimento, e costituito dalla somma che la compagnia assicuratrice ha versato fallimento stesso; che nella specie si tratta di una assicurazione per responsabilita' civile intesa come responsabilita' contrattuale a carico del datore di lavoro derivante da lesioni subite dal proprio dipendente nel corso della prestazione del lavoro subordinato come pattuita dalla polizza n. 3193795 in atti all'art. 13, lettera b); che il datore di lavoro e' fallito con la conseguenza che il curatore fallimentare, succeduto nel contratto di assicurazione, pretende l'apprensione della somma dovuta e versata dalla compagnia assicuratrice all'assicurato all'attivo del fallimento, salvo il privilegio, di undicesimo grado ex artt. 2778, n. 11 - 2767 c.c. del lavoratore infortunato, per credito risarcitorio di equivalente importo; che quindi si pone il problema della azionabilita' diretta del credito del danneggiato verso l'assicuratrice che sia tenuta alla garanzia, omisso medio costituito dal versamento della garanzia dall'assicuratrice all'assicurato e da questi al danneggiato; che cio', in ipotesi di fallimento, comporta che l'acquisizione diretta della somma garantita da parte del danneggiato, esclude che altri creditori possano soddisfarsi su di essa, onde debba essere assegnata in prededuzione. 3. - Considerato che a tale ultima soluzione ostano varie norme: l'art. 1917, comma 1 c.c., il quale prevede sia il datore di lavoro assicurato a dover essere tenuto indenne delle conseguenze della responsabilita', sicche' ad esso la compagnia assicuratrice debba versare la somma garantita; gli artt. 42 e 46, comma 1 legge fall., i quali includono nella massa fallimentare tutti i crediti, anche sopravvenuti, con la sola esclusione di quelli tassativamente elencati, cosi' includendo anche il credito verso la compagnia assicuratrice, di cui si discute; l'art. 111, legge fall. e l'art. 2751-bis, comma 1 c.c., i quali, in combinato disposto, pospongono il credito del lavoratore danneggiato da infortunio sul lavoro alla soddisfazione di altri crediti di natura meno protetta (spese e debiti contratti per l'amministrazione del fallimento); che, secondo il diritto vivente, tale posizione deteriore del lavoratore danneggiato, corrisponde a quella prevista dall'ordinamento giuridico (cfr. Cass. civ. 14 luglio 1969, n. 2465; sez. III, 20 luglio 1971, n. 2332; sez. I. 19 giugno 1987, n. 5376; sez. III, 3 ottobre 1996, n. 8650; sez. III, 18 luglio 2002, n. 10418; sez. III, 25 giugno 2003, n. 10133), sul presupposto dell'autonomia dell'obbligazione indennitaria dell'assicuratore rispetto all'obbligazione dell'assicurato verso il danneggiato; 4. - Osservato che la ritenuta autonomia fra le due obbligazioni e' esclusa dall'ordinamento in una pluralita' di casi, cosi' da conferire al danneggiato o anche solo al creditore, azione diretta verso il terzo debitore: che, in materia di responsabilita' civile extracontrattuale di risarcimento del danno da circolazione stradale, l'art. 18, legge 24 dicembre 1969, n. 990, attribuisce al danneggiato azione diretta verso la compagnia assicuratrice del danneggiante; che, in caso di responsabilita' civile contrattuale da inadempimento, l'art. 1676 c.c. conferisce all'ausiliare dell'appaltatore azione diretta nei confronti dell'appaltante per il soddisfacimento del proprio credito sino alla concorrenza del credito dell'appaltatore; che, in altro caso di responsabilita' civile contrattuale da inadempimento, gli artt. 3 e 4 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, oggi abrogata, conferivano ai dipendenti del datore di lavoro appaltatore di opere o servizi azione diretta nei confronti dell'appaltante; che, sempre in materia di responsabilita' civile contrattuale da inadempimento, l'art. 23, comma 3, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, configurando una solidarieta' passiva del somministrante e del somministrato in ipotesi di contratto di somministrazione di lavoro dipendente, faculta il lavoratore dipendente del somministrante ad agire direttamente nei confronti del somministrato, mentre l'art. 29, comma 2 dello stesso d.lgs. reitera la norma degli abrogati artt. 3 - 4 dianzi citati; che, coerentemente alla presenza di tale molteplicita' di casi specifici di deroga alla ritenuta autonomia fra le due obbligazioni di garanzia e di risarcimento, autorevole dottrina ha, da oltre sei lustri, ritenuto esistere un principio generale favorevole al danneggiato, di azione diretta verso l'assicuratrice in base all'art. 1917, comma 2 c.c., massime dopo l'entrata in vigore della legge sull'assicurazione obbligatoria per la responsabilita' civile extracontrattuale da circolazione automobilistica, sicche' il danneggiato abbia facolta' di agire direttamente nei confronti dell'assicuratrice; che a tal soluzione si oppone tuttavia la costante giurisprudenza di legittimita'; che con l'azionabilita' diretta del credito del lavoratore infortunato sarebbero ugualmente perseguibili lo scopo voluto dal legislatore e la funzione economico sociale del contratto, cio' comportando ugualmente la liberazione della compagnia assicuratrice, la protezione del patrimonio del datore di lavoro da aggressioni da parte del lavoratore infortunato e la estinzione, nei limiti del massimale, dell'obbligazione de qua, onde paiono sussistere gli estremi per una decisione di tipo additivo, consentita «quando la soluzione adeguatrice non debba essere frutto di una valutazione discrezionale ma consegna necessariamente al giudizio di legittimita', si' che la Corte in realta' proceda a un'estensione logicamenre necessitata e spesso implicita nella potenzialita' interpretativa del contesto normativo in cui e' inserita la disposizione impugnata» (cosi' Corte cost., sent. n. 84/1992; in termini, Corte cost., sentt. n. 287, 202, 44, 25/91, 29/90). 5. - Ritenuto che, nell'attuale quadro normativo, alla stregua del diritto vivente, l'indennizzo dovuto dall'assicuratore, nei limiti del massimale, per la responsabilita' civile contrattuale ed extracontrattuale da infortunio sul lavoro occorso al dipendente di datore di lavoro assicurato, presuppone l'esistenza della responsabilita' stessa da parte dell'assicurato danneggiante e la fondatezza delle pretese del lavoratore danneggiato (cfr. Cass. civ. sez. lav. 4 giugno 2001, n. 7557); che detto indennizzo e' destinato tenere indenne l'assicurato, ossia a rimborsarlo o a metterlo in condizione di pagare, in base al rapporto contrattuale assunto, quanto dovuto in relazione al credito risarcitorio per violazione del dovere di sicurezza, che sorge e rimane in capo al danneggiato fino a quando lo stesso non sia integralmente risarcito; che inoltre, esso e' del tutto estraneo all'utile ed al patrimonio dell'impresa, posto che l'assicurazione e' per legge, mirata alla conservazione (attraverso la traslazione del rischio dalla sfera dell'assicurato a quella dell'assicuratore) e non all'arricchimento del patrimonio dell'assicurato; che, all'opposto, in caso di fallimento, detto indennizzo entra nella massa attiva del fallimento alla stessa stregua di un qualsiasi cespite attivo dell'impresa fallita mentre si tratta di una somma destinata a risarcire un danno anche da reato (lesioni colpose), non soddisfacendo il credito del lavoratore danneggiato; che, in tal caso, la legge finisce per configurare come cespite attivo un debito da responsabilita' contrattuale ed extracontrattuale da illecito, il quale non puo' essere ontologicamente qualificato come ricchezza prodotta dall'impresa, trattandosi di un risarcimento dovuto dalla, e non alla, impresa, ancorche' fallita, con l'effetto irragionevole per cui un risarcimento, che per sua natura non arricchisce neppure il creditore infortunato, avendo natura meramente ripristinatoria (Cass. civ. sez. III, 17 gennaio 2003, n. 616; sez. II, 13 ottobre 1999, n. 11525, sez. I, 26 maggio 1980, n. 3436), finisce per costituire un incremento patrimoniale attivo sul quale altri, non danneggiati dall'infortunio, (ivi compresi i lavoratori subordinati, per crediti retributivi, contributivi o risarcitori ad altro titolo, muniti di pari privilegio generale ex art. 2751-bis, n. 1, c.c.) finiscono per soddisfarsi, almeno in parte; che in tal caso vengono in comparazione due diversi interessi di rango diseguale; che il primo e' costituito dalla par condicio creditorum, e, pur essendo privilegiato dall'ordinamento, non e' di rango costituzionale, atteso che ex art. 2 e 42, secondo comma Cost., la tutela del credito e' comunque subalterna ai diritti inviolabili dell'uomo ed al principio di solidarieta'; che il secondo e' rappresentato dalla tutela della integrita' psicofisica del cittadino e dalla tutela del lavoratore, ed e' di rango costituzionale ex artt. 32 e 36, primo comma Cost.; che sono invero diritti strettamente personali non soltanto i diritti originari, ma anche il diritto all'equivalente pecuniario necessario a riparare, con la reintegrazione del bene primario leso, il danno patito; che appare pertanto riconducibile nell'alveo protetto dagli artt. 32 e 26 Cost. non solo la capacita' di guadagno del lavoratore, ma anche il risarcimento del danno - nella specie per violazione del dovere di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. - derivante dalla sua perdita (Corte cost. sent. 6 aprile 2004, n. 113, in tema di crediti risarcitori del lavoratore subordinato per danni da demansionamento; Cass. civ., sez. I, 13 giugno 2000, n. 8022); che l'evidenziata disparita' di trattamento, insita sia nel favore, accordato dalla procedura fallimentare, ad un interesse non costituzionalmente garantito (la par candicio creditorum), sia nella garanzia assicurata a crediti pecuniari (secondo l'ordine di distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo e la graduazione dei privilegi) a detrimento della tutela della integrita' psicofisica dell'uomo e della tutela del lavoro, pare confliggere con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza che sottende l'applicazione delle norme costituzionali ridette; che appare parimenti connotata da irragionevolezza la soluzione adottata dal diritto vivente, potendone derivare, sul piano economico, un indebito arricchimento del patrimonio sociale - avendo il datore di lavoro fallito sopportato solo l'esborso costituito dal costo del premio assicurativo e conseguentemente della massa attiva fallimentare nonche' dei suoi creditori muniti di pari privilegio generale - per crediti di lavoro retributivi contributivi o risarcitori di danni non conseguenti ad infortunio sul lavoro; che la rimessione della questione di legittimita' dell'art. 1917 c.c. e' limitata (ex art. 112 c.p.c.) agli incrementi del patrimonio dell'impresa e conseguentemente, nel caso in esame, dell'attivo fallimentare, per il contestato incameramento di indennizzo dovuto dalla compagnia assicuratrice a copertura della responsabilita' civile del datore di lavoro per il ristoro, ex art. 2087 c.c., di danni alla persona del dipendente derivanti da infortunio sul lavoro; che l'indennizzo dovuto al lavoratore e' componente, dovuta nella misura c.d. differenziale, del credito spettante, per la parte non coperta da assicurazione obbligatoria a norma dell'art. 110, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, (cfr. Corte cost. sent. n. 326 del 17 novembre 1983), al titolare della azionata (ex artt. 2087, 2967 e 2907 c.c., 99, 163 c.p.c.) pretesa risarcitoria occasionata dallo stesso infortunio sul lavoro; che l'ordinamento attribuisce al lavoratore infortunato azione diretta nei confronti dell'INAIL per il risarcimento del danno di cui l'odierna domanda costituisce credito residuale, onde e' ravvisabile apparente discrasia nella esclusione, da parte dell'art. 1917 c.c., di analoga azione diretta per la tutela giurisdizionale del diritto alla componente c.d. differenziale dell'unico credito risarcitorio da infortunio sul lavoro nei confronti della compagnia assicuratrice; che mentre i crediti personali del datore di lavoro anche da infortunio non sono compresi nel fallimento, ex art. 46, primo comma, l.f. (cfr. Cass. civ. sez. I, 7 maggio 1963, n. 1123; Cass. civ., sez. III, 20 giugno 1997, n. 5539; Cass. civ., sez. I, 13 giugno 2000, n. 8022;), vi sono invece compresi - per il carattere tassativo della suindicata previsione normativa - i crediti del datore di lavoro assicurato, benche' siano destinati a far fronte alla responsabilita' patrimoniale del datore di lavoro per il risarcunento del danno da infortunio sul lavoro subito dal dipendente, credito risarcitorio di pari natura personale, cosicche' appare irragionevole la mancata inclusione, all'interno di una specifica norma attributiva di un trattamento, l'esclusione di fattispecie omogenea a quella cui la causa di esclusione dalla esecuzione concorsuale e' riferita (Corte cost., sent. n. 84/1992, 40/1996; 220/2002); che il quadro normativo sopra richiamato appare irragionevolmente lesivo del diritto alla difesa del lavoratore vittima di infortunio sul lavoro subito in violazione del dovere di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. ed in apparente contrasto con il principio costituzionale della integrale e non limitabile tutela risarcitoria del diritto alla salute (cfr. Corte cost., sent. n. 356/1991 e n. 485/1991); che, di conseguenza, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1917, comma 1 e 2 c.c. - 42, 46, comma 1, 111, legge 16 marzo 1942, n. 267, per conflitto con gli artt. 2, 3, 32, 24, 36, comma 1, 42, comma 2 Cost., laddove non consentono al danneggiato da un infortunio sul lavoro azione diretta contro la compagnia assicuratrice del datore di lavoro, e quindi la prededuzione del credito in ipotesi di fallimento; che in subordine, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2751-bis, n. 1, 2767, 2778, n. 11 c.c., in rapporto alle medesime norme costituzionali, laddove non pongono in primo grado il privilegio del credito da risarcimento del danno del lavoratore, quando abbia subito un infortunio sul lavoro imputabile al datore di lavoro - nei limiti in cui il lavoratore non goda di copertura assicurativa obbligatoria - e non lo sottraggono alla falcidia delle prededuzioni fallimentari ed al concorso con altri crediti retributivi, contributivi e risarcitori non da infortunio muniti di pari privilegio generale. 6. - Constatato che la rilevanza della questione appare, a questo punto, evidente, dovendo questa Corte decidere della prededucibilita' o meno del credito risarcitorio del lavoratore infortunato, (tema controverso essendo se l'indennizzo spetti al fallito, con conseguente sua apprensione da parte del curatore, o al lavoratore infortunato, il quale, rispondendosi nel primo senso, avrebbe solo diritto ad insinuarsi nel fallimento), onde il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio.