LA CORTE D'APPELLO

    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al R.G.
n. 681/2003  avente  ad  oggetto: insinuazione tardiva del credito ex
art. 101  l.f.,  promossa  da  Mirabella  Filippo,  con l'avv. Nicola
Salvini,  contro fallimento Industrie Fontauto S.p.A., con gli avv.ti
Claudio Demaria e Fulvia Conti Maiorca.
    1.  -  Premesso  che con ricorso ex art. 101, l. fall., Mirabella
Filippo esponeva:
        che  aveva  lavorato  alle  dipendenze  di Industrie Fontauto
S.p.A., con qualifica di operaio di 5° livello;
        che aveva subito in data 20 febbraio 1997 un grave infortunio
sul  lavoro,  in  esito  al  quale l'INAIL gli aveva riconosciuto con
provvedimento  del 18 gennaio 2000 un'invalidita' permanente valutata
nella   misura   dell'80%   in  relazione  alla  riscontrata  perdita
funzionale dell'arto superiore destro;
        che  aveva convenuto in giudizio la Industrie Fontauto S.p.A.
per  sentire  dichiarare  l'esclusiva responsabilita' di questa nella
causazione dell'evento;
        che nel corso del giudizio era stato dichiarato, con sentenza
del  Tribunale  di  Cuneo 4 febbraio 2000, il fallimento di Industrie
Fontauto,  ed  il processo era proseguito nei confronti del curatore,
che si era costituito in giudizio;
        che   la   c.t.u.  disposta  nel  corso  del  giudizio  aveva
riconosciuto un'invalidita' del 65%;
        che  con  sentenza  n. 158/2001,  emessa  in data 9-16 luglio
2001,  il  Giudice del lavoro del Tribunale di Cuneo, in accoglimento
della  domanda  del  Mirabella,  aveva  dichiarato che l'infortunio a
questi  occorso si era verificato per responsabilita' esclusiva delle
Industrie Fontauto S.p.A.;
        che  il  sig.  Mirabella  Filippo chiedeva pertanto di essere
ammesso  in  via  tardiva  al  passivo del fallimento Fontauto per il
danno  patrimoniale,  biologico  e  morale  subito, oltre al rimborso
delle  consulenze  di  parte,  degli  interessi legali fino alla data
della   sentenza  dichiarativa  di  fallimento,  delle  spese  legali
liquidate   in   sentenza  e  delle  spese  successive,  detratta  la
provvisionale  gia' versata in corso di causa (pari a L. 30.807.840),
per la somma complessiva di L. 1.034.328.840, in prededuzione ovvero,
in  subordine,  con  il privilegio ex art. 2751-bis, n. 1 e 2776 cod.
civ.;
        che,  poiche'  la  Industrie Fontauto S.p.A. al momento della
dichiarazione  di  fallimento aveva in corso una polizza assicurativa
"RCO"  con  la  RAS S.p.A. (polizza n. 3193795 - agenzia di Cuneo) il
Mirabella  asseriva  che  aveva diritto di essere pagato direttamente
dalla  compagnia  assicuratrice  in  forza  di tale polizza senza che
quindi  la  somma  dovuta  a titolo d'indennizzo entrasse a far parte
dell'attivo fallimentare;
        che  il  fallimento  contestava  il  credito nel quantum e ne
negava  comunque  la  prededucibilita',  opponendosi alla pretesa del
Mirabella  di  ricevere l'indennizzo dovuto a seguito dell'infortunio
occorsogli  direttamente dalla RAS Compagnia assicuratrice del datore
di  lavoro fallito, evidenziando come, alla luce del diritto vivente,
Cass.  civ.  28 agosto  2000,  n. 1128;  Cass.  civ.  4 luglio  1969,
n. 2465)  a  seguito del fallimento, su tutti i beni dell'assicurato,
ivi  compreso il suo credito nei confronti dell'assicuratore, si apra
il  concorso  dei  creditori con il rispetto delle legittime cause di
prelazione,   cio'   che   non   e'   compatibile   con  la  facolta'
dell'assicuratore di pagare direttamente il danneggiato;
        che  nell'impugnata  sentenza  il  credito  del ricorrente e'
stato   ammesso   al  passivo  con  il  privilegio,  ai  sensi  degli
artt. 2751-bis,  n. 1)  nel  testo  vigente a seguito dalla pronuncia
della Corte costituzionale del 17 novembre 1983, n. 3226 e 2776 c.c.,
trattandosi  di  credito per il risarcimento dei danni conseguenti ad
infortunio  sul lavoro, in relazione al quale la sentenza del Giudice
del lavoro del Tribunale di Cuneo n. 18/2001 - passata in giudicato -
ha riconosciuto la responsabilita' esclusiva delle Industrie Fontauto
S.p.A.;
        che  con  la  sentenza  appellata,  il  Tribunale di Cuneo ha
quantificato   il   residuo   credito  del  sig.  Mirabella  in  Euro
463.699,19;
        che  il  Tribunale  di  Cuneo,  invece,  ha respinto le altre
domande  formulate in via principale dal ricorrente, oggi appellante,
con le quali, il Mirabella chiedeva al giudice adito di ordinare alla
RAS  Assicurazioni  S.p.A. in relazione alla polizza di cui sopra, il
pagamento  diretto  al  Mirabella,  in  ragione  dell'accertamento di
responsabilita'  a  carico  del  soggetto poi dichiarato fallito, con
prededuzione  del  credito dalla massa attiva fallimentare, che lo ha
incassato;
        che  con atto di appello notificato in data 19 marzo 2003, il
Mirabella ha impugnato tale ultimo capo della sentenza di primo grado
per  violazione e falsa applicazione di norme di diritto e per omessa
o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, per
non  avere  il  giudice  di prime cure ritenuto di dare prevalenza al
principio  della  tutela  del  bene  salute (seppure attuata ex post,
mediante  il  riconoscimento  del  diritto  al risarcimento del danno
subito),  in  quanto  principio  assistito  da  esplicita  e  cogente
garanzia  costituzionale,  in  confronto  al principio (viceversa non
costituzionalizzato) della par condicio creditorum;
        che  il  fallimento  si  e'  costituito chiedendo respingersi
l'impugnazione, perche' infondata, alla luce del diritto vivente;
        che  l'appello  e' quindi limitato al capo della sentenza che
ha  escluso  il  diritto  del  Mirabella  di azionare direttamente la
pretesa nei confronti della compagnia assicuratrice RAS Assicurazioni
S.p.A.  con  riferimento  alla  polizza n. 31938795, vertendo la lite
devoluta   all'esame   della   Corte  territoriale  sulla  contestata
prededucibilita'  del credito azionato ovvero sulla avocabilita' alla
massa  attiva  del fallimento dell'indennizzo in esame, gia' riscosso
dalla procedura fallimentare;
        che  il  contratto  di  assicurazione,  in atti, dispone: «la
societa'  si  obbliga  a tenere indenne l'assicurato di quanto questi
sia  tenuto a pagare» (capitale, interessi e spese) quale «civilmente
responsabile  ai  sensi  degli  artt. 10 e 11, d.P.R. 30 giugno 1965,
n. 1124,  verso  "i  prestatori  di  lavoro da lui dipendenti per gli
intortuni (escluse le malattie professionali) da loro sofferti"».
    «La  societa',  quindi,  si obbliga a tenere indenne l'assicuraro
delle  somme  eccedenti  "l'indennita' liquidata a norma di legge che
egli  sia  stato condannato a pagare all'infortunato o ai suoi aventi
diritto"  (art. 19  delle  condizioni  generali di polizza "norme che
regolano   l'assicurazione   della   responsabilita'  civile  imprese
industriali ed edili oggetto dell'assicurazione")»;
    Atteso  che  non  ricorre  nella  specie  l'ipotesi  legittimante
l'assicuratore   ex   art. 1917  c.c.  a  liquidare  direttamente  al
dannegaiato  le  somme  dovute  a  titolo risarcitorio, difettando la
prova,  sia  pure  indiziaria, della richiesta dell'assicurato in tal
senso  ed  avendo  anzi, in pendenza di lite, la R.A.S. Assicurazioni
provveduto  a versare al fallimento l'importo pari all'indennizzo ora
preteso in prededuzione.
    2.  -  Rilevato  che, nel presente giudizio, si controverte della
prededucibilita'    tale   sostenuta   dal   lavoratore   che   subi'
l'infortunio,   ovvero   della   concursualita',   ancorche'  in  via
privilegiata,  del  credito  dedotto  in  causa,  tale  sostenuta dal
fallimento,  e  costituito dalla somma che la compagnia assicuratrice
ha versato fallimento stesso;
        che   nella   specie  si  tratta  di  una  assicurazione  per
responsabilita'  civile  intesa  come  responsabilita' contrattuale a
carico  del  datore di lavoro derivante da lesioni subite dal proprio
dipendente  nel  corso  della prestazione del lavoro subordinato come
pattuita dalla polizza n. 3193795 in atti all'art. 13, lettera b);
        che  il datore di lavoro e' fallito con la conseguenza che il
curatore  fallimentare,  succeduto  nel  contratto  di assicurazione,
pretende  l'apprensione  della somma dovuta e versata dalla compagnia
assicuratrice  all'assicurato  all'attivo  del  fallimento,  salvo il
privilegio,  di undicesimo grado ex artt. 2778, n. 11 - 2767 c.c. del
lavoratore  infortunato,  per  credito  risarcitorio  di  equivalente
importo;
        che  quindi  si  pone il problema della azionabilita' diretta
del credito del danneggiato verso l'assicuratrice che sia tenuta alla
garanzia,  omisso  medio  costituito  dal  versamento  della garanzia
dall'assicuratrice all'assicurato e da questi al danneggiato;
        che   cio',   in   ipotesi   di   fallimento,   comporta  che
l'acquisizione   diretta   della   somma   garantita   da  parte  del
danneggiato,  esclude  che  altri creditori possano soddisfarsi su di
essa, onde debba essere assegnata in prededuzione.
    3.  - Considerato che a tale ultima soluzione ostano varie norme:
l'art. 1917,  comma  1 c.c., il quale prevede sia il datore di lavoro
assicurato  a  dover  essere  tenuto  indenne delle conseguenze della
responsabilita',  sicche'  ad  esso  la compagnia assicuratrice debba
versare la somma garantita; gli artt. 42 e 46, comma 1 legge fall., i
quali  includono  nella  massa  fallimentare  tutti  i crediti, anche
sopravvenuti,   con  la  sola  esclusione  di  quelli  tassativamente
elencati,  cosi'  includendo  anche  il  credito  verso  la compagnia
assicuratrice,   di   cui  si  discute;  l'art. 111,  legge  fall.  e
l'art. 2751-bis,  comma  1  c.c.,  i  quali,  in  combinato disposto,
pospongono  il  credito  del lavoratore danneggiato da infortunio sul
lavoro  alla  soddisfazione  di altri crediti di natura meno protetta
(spese e debiti contratti per l'amministrazione del fallimento); che,
secondo  il  diritto vivente, tale posizione deteriore del lavoratore
danneggiato, corrisponde a quella prevista dall'ordinamento giuridico
(cfr.  Cass.  civ. 14 luglio 1969, n. 2465; sez. III, 20 luglio 1971,
n. 2332;  sez.  I. 19 giugno 1987, n. 5376; sez. III, 3 ottobre 1996,
n. 8650;  sez.  III,  18 luglio  2002,  n. 10418; sez. III, 25 giugno
2003,  n. 10133),  sul  presupposto  dell'autonomia dell'obbligazione
indennitaria      dell'assicuratore     rispetto     all'obbligazione
dell'assicurato verso il danneggiato;
    4.  - Osservato che la ritenuta autonomia fra le due obbligazioni
e'  esclusa  dall'ordinamento  in  una  pluralita'  di casi, cosi' da
conferire  al  danneggiato  o anche solo al creditore, azione diretta
verso  il  terzo  debitore: che, in materia di responsabilita' civile
extracontrattuale di risarcimento del danno da circolazione stradale,
l'art. 18, legge 24 dicembre 1969, n. 990, attribuisce al danneggiato
azione diretta verso la compagnia assicuratrice del danneggiante;
        che,  in  caso  di  responsabilita'  civile  contrattuale  da
inadempimento,     l'art. 1676    c.c.    conferisce    all'ausiliare
dell'appaltatore  azione diretta nei confronti dell'appaltante per il
soddisfacimento del proprio credito sino alla concorrenza del credito
dell'appaltatore;  che,  in  altro  caso  di  responsabilita'  civile
contrattuale da inadempimento, gli artt. 3 e 4 della legge 23 ottobre
1960, n. 1369, oggi abrogata, conferivano ai dipendenti del datore di
lavoro  appaltatore  di  opere o servizi azione diretta nei confronti
dell'appaltante;
        che, sempre in materia di responsabilita' civile contrattuale
da  inadempimento,  l'art. 23,  comma  3,  d.lgs.  10 settembre 2003,
n. 276,  configurando  una  solidarieta' passiva del somministrante e
del  somministrato  in  ipotesi  di  contratto di somministrazione di
lavoro    dipendente,    faculta   il   lavoratore   dipendente   del
somministrante ad agire direttamente nei confronti del somministrato,
mentre  l'art. 29, comma 2 dello stesso d.lgs. reitera la norma degli
abrogati artt. 3 - 4 dianzi citati;
        che,  coerentemente  alla  presenza  di tale molteplicita' di
casi   specifici  di  deroga  alla  ritenuta  autonomia  fra  le  due
obbligazioni  di  garanzia e di risarcimento, autorevole dottrina ha,
da   oltre  sei  lustri,  ritenuto  esistere  un  principio  generale
favorevole al danneggiato, di azione diretta verso l'assicuratrice in
base  all'art. 1917,  comma  2 c.c., massime dopo l'entrata in vigore
della  legge  sull'assicurazione  obbligatoria per la responsabilita'
civile  extracontrattuale da circolazione automobilistica, sicche' il
danneggiato  abbia  facolta'  di  agire  direttamente  nei  confronti
dell'assicuratrice;
        che   a   tal   soluzione  si  oppone  tuttavia  la  costante
giurisprudenza di legittimita';
        che  con  l'azionabilita'  diretta del credito del lavoratore
infortunato  sarebbero  ugualmente  perseguibili  lo scopo voluto dal
legislatore  e  la  funzione  economico  sociale  del contratto, cio'
comportando  ugualmente la liberazione della compagnia assicuratrice,
la  protezione  del patrimonio del datore di lavoro da aggressioni da
parte  del  lavoratore  infortunato  e  la estinzione, nei limiti del
massimale,  dell'obbligazione  de  qua,  onde  paiono  sussistere gli
estremi  per  una  decisione  di tipo additivo, consentita «quando la
soluzione  adeguatrice  non  debba  essere  frutto di una valutazione
discrezionale    ma   consegna   necessariamente   al   giudizio   di
legittimita',  si'  che  la  Corte in realta' proceda a un'estensione
logicamenre   necessitata  e  spesso  implicita  nella  potenzialita'
interpretativa   del   contesto  normativo  in  cui  e'  inserita  la
disposizione  impugnata»  (cosi'  Corte  cost.,  sent. n. 84/1992; in
termini, Corte cost., sentt. n. 287, 202, 44, 25/91, 29/90).
    5.  -  Ritenuto  che, nell'attuale quadro normativo, alla stregua
del  diritto  vivente,  l'indennizzo  dovuto  dall'assicuratore,  nei
limiti  del  massimale, per la responsabilita' civile contrattuale ed
extracontrattuale  da  infortunio sul lavoro occorso al dipendente di
datore   di   lavoro   assicurato,   presuppone   l'esistenza   della
responsabilita'  stessa  da  parte  dell'assicurato danneggiante e la
fondatezza  delle pretese del lavoratore danneggiato (cfr. Cass. civ.
sez. lav. 4 giugno 2001, n. 7557);
        che    detto   indennizzo   e'   destinato   tenere   indenne
l'assicurato,  ossia  a  rimborsarlo  o  a  metterlo in condizione di
pagare,  in  base  al rapporto contrattuale assunto, quanto dovuto in
relazione  al  credito  risarcitorio  per  violazione  del  dovere di
sicurezza, che sorge e rimane in capo al danneggiato fino a quando lo
stesso non sia integralmente risarcito;
        che  inoltre,  esso  e'  del  tutto  estraneo all'utile ed al
patrimonio  dell'impresa,  posto  che  l'assicurazione  e' per legge,
mirata  alla  conservazione  (attraverso  la  traslazione del rischio
dalla   sfera  dell'assicurato  a  quella  dell'assicuratore)  e  non
all'arricchimento del patrimonio dell'assicurato;
        che,  all'opposto,  in  caso  di fallimento, detto indennizzo
entra  nella  massa  attiva  del fallimento alla stessa stregua di un
qualsiasi cespite attivo dell'impresa fallita mentre si tratta di una
somma  destinata  a  risarcire  un  danno  anche  da  reato  (lesioni
colpose), non soddisfacendo il credito del lavoratore danneggiato;
        che,  in  tal  caso,  la  legge  finisce per configurare come
cespite   attivo   un   debito  da  responsabilita'  contrattuale  ed
extracontrattuale   da   illecito,   il   quale   non   puo'   essere
ontologicamente  qualificato  come  ricchezza  prodotta dall'impresa,
trattandosi  di  un  risarcimento  dovuto dalla, e non alla, impresa,
ancorche'   fallita,   con   l'effetto   irragionevole   per  cui  un
risarcimento, che per sua natura non arricchisce neppure il creditore
infortunato, avendo natura meramente ripristinatoria (Cass. civ. sez.
III,  17 gennaio  2003,  n. 616;  sez. II, 13 ottobre 1999, n. 11525,
sez.   I,   26 maggio  1980,  n. 3436),  finisce  per  costituire  un
incremento  patrimoniale  attivo  sul  quale  altri,  non danneggiati
dall'infortunio,  (ivi compresi i lavoratori subordinati, per crediti
retributivi,  contributivi  o  risarcitori ad altro titolo, muniti di
pari  privilegio generale ex art. 2751-bis, n. 1, c.c.) finiscono per
soddisfarsi, almeno in parte; che in tal caso vengono in comparazione
due diversi interessi di rango diseguale;
        che  il primo e' costituito dalla par condicio creditorum, e,
pur   essendo   privilegiato   dall'ordinamento,   non  e'  di  rango
costituzionale,  atteso  che  ex art. 2 e 42, secondo comma Cost., la
tutela  del  credito  e'  comunque  subalterna ai diritti inviolabili
dell'uomo ed al principio di solidarieta';
        che il secondo e' rappresentato dalla tutela della integrita'
psicofisica  del  cittadino  e  dalla tutela del lavoratore, ed e' di
rango costituzionale ex artt. 32 e 36, primo comma Cost.;
        che sono invero diritti strettamente personali non soltanto i
diritti  originari,  ma  anche  il diritto all'equivalente pecuniario
necessario  a riparare, con la reintegrazione del bene primario leso,
il danno patito;
        che  appare  pertanto riconducibile nell'alveo protetto dagli
artt. 32 e 26 Cost. non solo la capacita' di guadagno del lavoratore,
ma  anche il risarcimento del danno - nella specie per violazione del
dovere  di  sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. - derivante dalla sua
perdita  (Corte cost. sent. 6 aprile 2004, n. 113, in tema di crediti
risarcitori  del lavoratore subordinato per danni da demansionamento;
Cass. civ., sez. I, 13 giugno 2000, n. 8022);
        che  l'evidenziata  disparita' di trattamento, insita sia nel
favore,  accordato  dalla procedura fallimentare, ad un interesse non
costituzionalmente  garantito (la par candicio creditorum), sia nella
garanzia   assicurata   a  crediti  pecuniari  (secondo  l'ordine  di
distribuzione  delle  somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo e
la  graduazione  dei  privilegi)  a  detrimento  della  tutela  della
integrita'  psicofisica  dell'uomo  e  della  tutela del lavoro, pare
confliggere  con  il principio di ragionevolezza e di uguaglianza che
sottende l'applicazione delle norme costituzionali ridette;
        che   appare   parimenti  connotata  da  irragionevolezza  la
soluzione adottata dal diritto vivente, potendone derivare, sul piano
economico,  un indebito arricchimento del patrimonio sociale - avendo
il  datore di lavoro fallito sopportato solo l'esborso costituito dal
costo  del  premio assicurativo e conseguentemente della massa attiva
fallimentare  nonche'  dei  suoi  creditori muniti di pari privilegio
generale   -   per  crediti  di  lavoro  retributivi  contributivi  o
risarcitori di danni non conseguenti ad infortunio sul lavoro;
        che   la   rimessione   della   questione   di   legittimita'
dell'art. 1917  c.c. e' limitata (ex art. 112 c.p.c.) agli incrementi
del  patrimonio  dell'impresa  e conseguentemente, nel caso in esame,
dell'attivo   fallimentare,   per   il  contestato  incameramento  di
indennizzo  dovuto  dalla  compagnia  assicuratrice a copertura della
responsabilita'  civile  del  datore  di  lavoro  per  il ristoro, ex
art. 2087  c.c.,  di  danni  alla persona del dipendente derivanti da
infortunio sul lavoro;
        che  l'indennizzo  dovuto al lavoratore e' componente, dovuta
nella  misura c.d. differenziale, del credito spettante, per la parte
non  coperta  da  assicurazione  obbligatoria  a norma dell'art. 110,
d.P.R.  30 giugno  1965,  n. 1124, (cfr. Corte cost. sent. n. 326 del
17 novembre  1983), al titolare della azionata (ex artt. 2087, 2967 e
2907  c.c.,  99,  163  c.p.c.) pretesa risarcitoria occasionata dallo
stesso infortunio sul lavoro;
        che   l'ordinamento  attribuisce  al  lavoratore  infortunato
azione diretta nei confronti dell'INAIL per il risarcimento del danno
di  cui  l'odierna  domanda  costituisce  credito  residuale, onde e'
ravvisabile   apparente   discrasia   nella   esclusione,   da  parte
dell'art. 1917   c.c.,  di  analoga  azione  diretta  per  la  tutela
giurisdizionale   del  diritto  alla  componente  c.d.  differenziale
dell'unico   credito   risarcitorio  da  infortunio  sul  lavoro  nei
confronti della compagnia assicuratrice;
        che  mentre i crediti personali del datore di lavoro anche da
infortunio non sono compresi nel fallimento, ex art. 46, primo comma,
l.f.  (cfr.  Cass.  civ.  sez. I, 7 maggio 1963, n. 1123; Cass. civ.,
sez.  III,  20 giugno  1997,  n. 5539;  Cass. civ., sez. I, 13 giugno
2000, n. 8022;), vi sono invece compresi - per il carattere tassativo
della  suindicata  previsione  normativa  -  i  crediti del datore di
lavoro   assicurato,  benche'  siano  destinati  a  far  fronte  alla
responsabilita' patrimoniale del datore di lavoro per il risarcunento
del  danno  da  infortunio  sul lavoro subito dal dipendente, credito
risarcitorio di pari natura personale, cosicche' appare irragionevole
la mancata inclusione, all'interno di una specifica norma attributiva
di  un trattamento, l'esclusione di fattispecie omogenea a quella cui
la  causa  di  esclusione  dalla  esecuzione  concorsuale e' riferita
(Corte cost., sent. n. 84/1992, 40/1996; 220/2002);
        che    il    quadro   normativo   sopra   richiamato   appare
irragionevolmente  lesivo  del  diritto  alla  difesa  del lavoratore
vittima  di  infortunio sul lavoro subito in violazione del dovere di
sicurezza  di cui all'art. 2087 c.c. ed in apparente contrasto con il
principio  costituzionale  della  integrale  e  non limitabile tutela
risarcitoria  del  diritto  alla  salute  (cfr.  Corte  cost.,  sent.
n. 356/1991 e n. 485/1991);
        che,  di  conseguenza, appare non manifestamente infondata la
questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 1917, comma 1 e
2  c.c.  -  42,  46,  comma  1, 111, legge 16 marzo 1942, n. 267, per
conflitto con gli artt. 2, 3, 32, 24, 36, comma 1, 42, comma 2 Cost.,
laddove  non  consentono  al  danneggiato da un infortunio sul lavoro
azione  diretta  contro  la  compagnia  assicuratrice  del  datore di
lavoro,   e   quindi  la  prededuzione  del  credito  in  ipotesi  di
fallimento;
        che  in  subordine,  appare  non  manifestamente infondata la
questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 2751-bis, n. 1,
2767,   2778,   n. 11   c.c.,   in   rapporto   alle  medesime  norme
costituzionali,  laddove non pongono in primo grado il privilegio del
credito da risarcimento del danno del lavoratore, quando abbia subito
un  infortunio sul lavoro imputabile al datore di lavoro - nei limiti
in  cui il lavoratore non goda di copertura assicurativa obbligatoria
-  e non lo sottraggono alla falcidia delle prededuzioni fallimentari
ed   al  concorso  con  altri  crediti  retributivi,  contributivi  e
risarcitori non da infortunio muniti di pari privilegio generale.
    6. - Constatato che la rilevanza della questione appare, a questo
punto, evidente, dovendo questa Corte decidere della prededucibilita'
o  meno  del  credito  risarcitorio del lavoratore infortunato, (tema
controverso   essendo   se   l'indennizzo   spetti  al  fallito,  con
conseguente  sua  apprensione  da parte del curatore, o al lavoratore
infortunato,  il  quale,  rispondendosi nel primo senso, avrebbe solo
diritto  ad  insinuarsi  nel  fallimento),  onde il giudizio non puo'
essere  definito  indipendentemente dalla risoluzione della questione
di legittimita' costituzionale sollevata d'ufficio.