ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 4, comma 2,
della  legge  della Regione Umbria 3 agosto 1999, n. 24 (Disposizioni
in  materia  di  commercio  in  attuazione  del  decreto  legislativo
31 marzo  1998,  n. 114), come sostituito dall'art. 2, comma 1, della
legge  della  Regione Umbria 7 dicembre 2005, n. 26 (Modificazioni ed
integrazioni   della   legge   regionale   3 agosto   1999,  n. 24  -
Disposizioni  in  materia  di  commercio  in  attuazione  del decreto
legislativo    31 marzo   1998,   n. 114),   dell'art. 14,   comma 4,
lettera l), e comma 4-bis, della legge regionale n. 24 del 1999, come
modificato dall'art. 10, commi 3 e 4, della legge regionale n. 26 del
2005,  e dell'art. 15, comma 5, della legge regionale n. 24 del 1999,
come  modificato  dall'art. 11,  comma 1, della legge regionale n. 26
del  2005,  promosso  con  ricorso  del  Presidente del Consiglio dei
ministri notificato il 10 febbraio 2006, depositato in cancelleria il
18 febbraio 2006 ed iscritto al n. 23 del registro ricorsi 2006.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Umbria;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  23 gennaio  2007  il  giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
    Uditi  l'avvocato  dello Stato Enrico Arena per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Giovanni Tarantini per la Regione
Umbria.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale dello Stato, con ricorso notificato
in  data  10 febbraio 2006 e depositato il successivo 18 febbraio, ha
promosso  questione  di legittimita' costituzionale della legge della
Regione  Umbria 7 dicembre 2005, n. 26 (Modificazioni ed integrazioni
della  legge regionale 3 agosto 1999, n. 24 - Disposizioni in materia
di  commercio  in  attuazione  del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 114),  nonche'  degli  artt. 2,  comma 1,  10,  commi 3 e 4, e 11,
comma 1  (recte:  degli  artt. 4, comma 2, 14, comma 4, lettera l), e
comma 4-bis, e 15, comma 5, della legge della Regione Umbria 3 agosto
1999,   n. 24  recante  «Disposizioni  in  materia  di  commercio  in
attuazione  del  decreto  legislativo  31 marzo  1998,  n. 114», come
modificati  dalla legge regionale n. 26 del 2005), della stessa legge
regionale  n. 26  del 2005, in riferimento agli artt. 3, 117, secondo
comma,  lettera e),  e  120 della Costituzione, nonche' per contrasto
«con  gli  artt. 39  e  43  del  Trattato  istitutivo della comunita'
europea, come attuato con il regolamento n. 1612/1968, art. 3».
    2. - Il ricorrente premette che la legge regionale n. 26 del 2005
contiene una serie di modifiche ed integrazioni della legge regionale
n. 24  del  1999  e,  a  suo  avviso,  le  disposizioni novellate che
stabiliscono  titoli  preferenziali  nel  rilascio  di autorizzazioni
all'esercizio  e  all'ampliamento dell'attivita' commerciale a favore
dei  soggetti  gia' esercenti all'interno della Regione non sarebbero
conformi   ai  principi  costituzionali.  In  particolare,  l'istante
censura  le  seguenti  norme:  l'art. 2, comma 1, (che sostituisce il
comma 2  dell'art. 4  della  legge  regionale  n. 24 del 1999), nella
parte  in  cui  stabilisce che, nell'ambito delle grandi strutture di
vendita realizzate nella forma del centro commerciale, «la superficie
occupata  dagli  esercizi  di  vicinato  e  dalle  medie strutture di
vendita  deve  risultare  pari  ad  almeno  il trenta per cento della
superficie  totale  di vendita» e che «Tale percentuale di superficie
in  capo ad  esercizi  di  vicinato  e  medie  strutture e' riservata
prioritariamente  per  almeno  il  cinquanta  per  cento  a operatori
presenti  sul  territorio  regionale  da  almeno  cinque anni, che ne
facciano richiesta entro sei mesi dal rilascio dell'autorizzazione di
cui  all'articolo 12»; l'art. 10, comma 3 (che sostituisce il comma 4
dell'art. 14  della legge regionale n. 24 del 1999 e, in particolare,
la  lettera l),  e  comma 4  (che aggiunge il comma 4-bis all'art. 14
della  stessa  legge  regionale),  la'  dove  dispone che tra domande
concorrenti  con  titolo  di  priorita'  ai sensi del comma 2 e' data
priorita', tra l'altro, alla titolarita' di altre grandi strutture di
vendita  nella  Regione, e tra domande concorrenti prive di titolo di
priorita',  come definito al comma 2, e' data priorita', nell'ordine,
in  funzione  dei  criteri  individuati  al  comma 4,  in specie alla
lettera l);  l'art. 11,  comma 1,  (che  sostituisce  l'art. 15 della
legge  regionale  n. 24  del  1999), nella parte in cui prescrive che
«L'ampliamento  di superficie di una grande struttura di vendita o di
un  centro  commerciale  destinato  esclusivamente  alla  vendita  di
prodotti tipici umbri e' sempre concesso nel limite massimo del dieci
per  cento  della  superficie gia' autorizzata», e che «La superficie
aggiuntiva  concessa  non  puo'  essere  utilizzata per la vendita di
prodotti   diversi   da   quelli   tipici   umbri,   pena  la  revoca
dell'autorizzazione e l'applicazione della sanzione amministrativa di
cui  all'art. 47  della  legge  regionale  n. 24  del 1999» (art. 15,
comma 5).
    Le  predette disposizioni, introducendo criteri preferenziali per
le aziende presenti nel territorio umbro, invaderebbero la competenza
esclusiva  statale  in  tema  sia  di tutela della concorrenza che di
libera  iniziativa  economica, determinerebbero una grave lesione dei
principi  costituzionali della libera concorrenza e produrrebbero una
disparita'  di  trattamento tra le aziende gia' attive sul territorio
regionale  ed  i  soggetti  provenienti  da  altre regioni italiane o
straniere.  Inoltre,  dette norme, attribuendo titoli di priorita' ai
soggetti   gia'  esercenti  l'attivita'  commerciale  nel  territorio
regionale    o    subordinando    il   rilascio   di   autorizzazioni
all'ampliamento  dell'attivita'  commerciale  al  medesimo requisito,
lederebbero  il  principio  di  eguaglianza  e  limiterebbero in modo
incisivo  il diritto dei cittadini di esercitare la propria attivita'
sul territorio della Regione Umbria, costituendo altresi' ostacolo al
diritto  di  stabilimento  «contenuto  negli  articoli 39  e  43  del
Trattato istitutivo della CEE come attuato dal Regolamento n. 1612/68
del 15 ottobre 1968 (art. 3)».
    3.  -  Nel giudizio si e' costituita la Regione Umbria, chiedendo
che  la  Corte  dichiari  le  questioni  inammissibili per difetto di
motivazione e comunque infondate.
    Le  norme impugnate, secondo la Regione, sarebbero caratterizzate
dalla  medesima  ratio  di  valorizzazione  della  realta' produttiva
regionale:  esse  non  potrebbero, quindi, ricondursi alla competenza
statale  in  materia  di  tutela della concorrenza - riferita ai soli
interventi    di   livello   macroeconomico,   idonei   ad   incidere
sull'equilibrio economico generale - in quanto individuano azioni che
«presentano   una   obiettiva   limitata   incidenza  territoriale  e
soggettiva, tale comunque da escludere ogni presunta portata generale
e dinamica in vista dello sviluppo dell'intero Paese».
    Secondo   la   resistente,  non  sarebbe  conferente  la  censura
concernente  la  dedotta  violazione  della  competenza statale nella
presunta  materia della liberta' di iniziativa economica, non essendo
quest'ultima  configurabile  quale  materia  di spettanza regionale o
statale,   ma   essendo  piuttosto  una  liberta'  costituzionalmente
garantita  dall'art. 41  della  Costituzione  che,  in  quanto  tale,
costituisce  limite  all'esercizio  della  funzione legislativa tanto
statale che regionale.
    Quanto   alla   pretesa   violazione   del   principio   di   non
discriminazione,  la  Regione  osserva,  in primo luogo, che le norme
impugnate  non  sono  dirette a precostituire un titolo di privilegio
per gli operatori regionali umbri, in quanto si applicano a tutti gli
operatori  che,  indipendentemente  dalla  provenienza,  operano  sul
territorio  regionale.  Inoltre, la resistente sostiene che la scelta
di  riservare  almeno  la  meta'  della quota della superficie di una
grande  struttura  destinata  alle medie strutture di vendita ed agli
esercizi  di  vicinato  (30  per  cento)  «a  operatori  presenti nel
territorio regionale da almeno cinque anni» e' sorretta da ragioni di
riequilibrio  e  di  perequazione.  Essa,  infatti, costituirebbe uno
strumento  di  perequazione  che  tende  a  riequilibrare gli effetti
distorsivi  della  libera concorrenza, connessi alla realizzazione di
una   grande  struttura  di  vendita  nel  territorio  regionale:  in
particolare, detta riserva perseguirebbe l'effetto di non sacrificare
la  liberta'  di  iniziativa  economica di quei soggetti (titolari di
medie  strutture  e  di  esercizi di vicinato) piu' esposti a subire,
ingiustificatamente   ed  in  modo  discriminatorio,  le  conseguenze
negative dell'impatto delle grandi strutture sul territorio.
    La  citata  riserva,  inoltre,  non  limiterebbe neppure «in modo
incisivo  il diritto dei cittadini di esercitare la propria attivita'
sul territorio della Regione» di cui all'art. 120 della Costituzione:
infatti,  tale riserva avrebbe l'effetto di «non pregiudicare proprio
il  diritto  per  gli  operatori  che piu' sono esposti al rischio di
uscire dal mercato, ferma restando una ampia liberta' di stabilimento
da  parte  di  altri  operatori, provenienti da qualsivoglia regione,
anche   estera,   che   intendano  accedere  al  sistema  commerciale
regionale».
    Nessuna  violazione  degli  artt. 3,  41 e 120 della Costituzione
determinerebbero,  poi,  le disposizioni regionali che, fra i criteri
di   priorita'  per  la  scelta  tra  piu'  domande  concorrenti  per
l'apertura  di  nuove  grandi  strutture  di  vendita, indicano anche
quello  relativo  «alla  titolarita'  di  altre  grandi  strutture di
vendita  nella Regione»: detto criterio sarebbe, infatti, residuale e
limitato,  essendo  applicabile  solo dopo che siano stati utilizzati
gli  altri  criteri  relativi  alla  formazione  della  graduatoria e
precedendo   esclusivamente   quello  relativo  all'applicazione  dei
contratti collettivi nazionali di lavoro.
    Anche  le  censure  prospettate  nei confronti dell'art. 11 della
legge  regionale n. 26 del 2005 sarebbero - ad avviso della Regione -
infondate.  Infatti,  la norma censurata - avendo un ridotto campo di
applicazione soggettivo, dal momento che concerne il solo ampliamento
nella  misura  del  10  per  cento della superficie gia' autorizzata,
purche' destinato alla vendita di prodotti tipici umbri - non avrebbe
l'effetto  di  limitare  l'insediamento  di  commercianti non umbri e
sarebbe,  invece,  volta  alla  promozione  della  produzione  tipica
locale,  ai  fini dello sviluppo economico regionale, in linea con le
finalita' perseguite dal legislatore nazionale.
    4.   -   All'udienza   pubblica  le  parti  hanno  insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle memorie scritte.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha promosso
questione  di  legittimita'  costituzionale, in via principale, della
legge  della  Regione Umbria 7 dicembre 2005, n. 26 (Modificazioni ed
integrazioni  dell'intera  legge  regionale  3 agosto  1999,  n. 24 -
Disposizioni  in  materia  di  commercio  in  attuazione  del decreto
legislativo   31 marzo   1998,   n. 114)   nonche',  in  particolare:
dell'art. 2,  comma 1,  nella  parte  in cui - sostituendo il comma 2
dell'art. 4  della  legge  della  Regione Umbria 3 agosto 1999, n. 24
(Disposizioni  in  materia  di  commercio  in  attuazione del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114) - prescrive che, nell'ambito delle
grandi  strutture  di  vendita,  realizzate  nella  forma  del centro
commerciale,  «la  superficie  occupata  dagli esercizi di vicinato e
dalle  medie  strutture  di  vendita deve risultare pari ad almeno il
trenta  per  cento  della  superficie  totale  di  vendita» e riserva
prioritariamente almeno il cinquanta per cento di tale percentuale di
superficie  ad  operatori presenti sul territorio regionale da almeno
cinque  anni;  dell'art. 10,  commi 3  e  4,  nella  parte  in  cui -
modificando  i  commi 4  e  4-bis  dell'art. 14 della legge regionale
n. 24 del 1999 - dispone che, in ordine al rilascio di autorizzazioni
all'esercizio  e  all'ampliamento  dell'attivita'  commerciale,  «tra
domande  concorrenti  con titolo di priorita' ai sensi del comma 2» e
«tra  domande  concorrenti  prive  di  titolo  di  priorita»  e' data
precedenza,  tra  l'altro, alla titolarita' di altre grandi strutture
di  vendita  nella Regione; infine, dell'art. 11, comma 1, la' dove -
sostituendo   l'art. 15  della  legge  regionale  n. 24  del  1999  -
stabilisce  il  limite  massimo  del dieci per cento della superficie
gia'  autorizzata  per  «L'ampliamento  di  superficie  di una grande
struttura   di   vendita   o   di  un  centro  commerciale  destinato
esclusivamente alla vendita di prodotti tipici umbri» e prescrive che
«La  superficie aggiuntiva concessa non puo' essere utilizzata per la
vendita di prodotti diversi da quelli tipici umbri».
    Ad  avviso  della  difesa  erariale,  le  disposizioni censurate,
introducendo  criteri  preferenziali  per  le  aziende  presenti  nel
territorio   umbro,   determinerebbero   una   lesione  dei  principi
costituzionali  in  tema  di  liberta'  di  concorrenza, invadendo la
competenza   esclusiva  statale  nelle  materie  della  tutela  della
concorrenza  e  della  libera  iniziativa  economica (artt. 41 e 117,
secondo  comma,  lettera e), della Costituzione), e produrrebbero una
disparita'  di  trattamento tra le aziende gia' attive sul territorio
regionale  ed  i  soggetti  provenienti  da  altre regioni italiane o
straniere.  Inoltre, attribuendo titoli di priorita' ai soggetti gia'
esercenti   attivita'   commerciale   nel   territorio   regionale  o
subordinando  il  rilascio  di  autorizzazioni  all'ampliamento della
predetta  attivita'  al  medesimo  requisito del previo esercizio nel
territorio  della Regione, violerebbero il principio di eguaglianza e
limiterebbero   in   modo  sensibile  il  diritto  dei  cittadini  di
esercitare l'attivita' sul territorio della Regione Umbria (artt. 3 e
120  della Costituzione), costituendo altresi' ostacolo al diritto di
stabilimento  contenuto  negli  artt. 39 e 43 del Trattato istitutivo
della CEE.
    2.  -  Preliminarmente, deve essere dichiarata l'inammissibilita'
della  questione  proposta  nei confronti dell'intera legge regionale
n. 26 del 2005.
    Questa   Corte   ha  piu'  volte  affermato,  infatti,  che  sono
inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale riferite ad
un  intero  testo  di legge, quando le censure adeguatamente motivate
riguardino  solo  singole  disposizioni,  mentre  quella  indirizzata
all'intero  testo  normativo  sia  del  tutto generica (fra le molte,
sentenze  n. 253 del 2006, n. 59 del 2006, n. 300 del 2005). Nel caso
di  specie, in coerenza con il contenuto della delibera del Consiglio
dei  ministri,  sono  state  invece  formulate  censure specifiche in
riferimento esclusivamente agli articoli 2, comma 1, 10, commi 3 e 4,
ed 11, comma 1, della medesima legge regionale n. 26 del 2005.
    2.1.  -  Del  pari  inammissibile e' la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 11, comma 1, della legge regionale n. 26 del
2005,  che  ha  sostituito  l'art. 15 della legge regionale n. 24 del
1999.
    In  riferimento  al comma 5 di questa norma, il ricorrente non ha
infatti  formulato  nessuna  specifica  censura  e  ad  esso non sono
neppure   riferibili  le  argomentazioni  concernenti  le  altre  due
disposizioni  impugnate,  in  quanto il contenuto di queste ultime e'
disomogeneo rispetto a quello del citato art. 11, comma 1.
    2.2.  -  Inammissibili  sono  infine  le  censure  concernenti la
dedotta  violazione  del  diritto  di  stabilimento  «contenuto negli
articoli 39  e  43 del Trattato istitutivo della CEE come attuato dal
Regolamento   n. 1612/68»;   la  pretesa  invasione  della  sfera  di
competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza e
di  iniziativa  economica  privata; la ritenuta lesione dell'art. 120
della   Costituzione.   In   relazione   a   queste  censure,  l'atto
introduttivo e', invero, carente dei requisiti argomentativi minimi a
sostegno  della richiesta declaratoria di incostituzionalita' (fra le
molte,  sentenze  n. 139  del 2006, n. 51 del 2006, n. 462 del 2005),
dato  che  il  rimettente  ha  affermato  in  maniera  apodittica  la
violazione  delle  norme  comunitarie  sul  diritto  di  stabilimento
(sentenza  n. 176  del  2004),  la lesione della competenza esclusiva
dello  Stato  in  materia  di  tutela  della  concorrenza, nonche' la
lesione  del diritto dei cittadini di esercitare la propria attivita'
sul territorio della Regione Umbria.
    Le  restanti  censure  sono  invece  sorrette  da  pur sintetiche
argomentazioni, che ne consentono la valutazione nel merito.
    3.  -  La  questione avente ad oggetto il citato art. 2, comma 1,
della  legge  regionale  n. 26  del 2005, che ha sostituito l'art. 4,
comma 2,   della   legge   regionale  n. 24  del  1999,  promossa  in
riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, non e' fondata.
    La  disposizione  concerne  una materia, quella del commercio, di
competenza   regionale   residuale   nel   novellato  art. 117  della
Costituzione  (sentenza n. 1 del 2004 ed ordinanza n. 99 del 2006) ed
ha  sostituito il comma 2 dell'art. 4 della legge regionale n. 24 del
1999,  adottata  in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a
norma  dell'articolo 4,  comma 4,  della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Con  tale  decreto  fu  realizzata  la  riforma  della  distribuzione
commerciale, in riferimento all'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo
1997,  n. 59  (Delega  al  Governo  per il conferimento di funzioni e
compiti  alle  regioni  ed enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione  e  per  la  semplificazione  amministrativa), con lo
scopo  di  favorire  l'apertura  del  mercato  alla  concorrenza e di
realizzare l'ampio conferimento di funzioni e compiti in favore delle
Regioni  e  degli  enti  locali gia' delineato da quest'ultima legge,
quando,  nel  vigore del «vecchio» Titolo V della parte seconda della
Costituzione,  la  competenza  in  materia  di  commercio spettava al
legislatore statale.
    Tra  gli  obiettivi  in funzione dei quali il medesimo decreto ha
stabilito  che  «le  Regioni  definiscono  gli indirizzi generali per
l'insediamento  delle attivita' commerciali» (indicati all'art. 6) vi
e'  quello  di  «favorire  gli  insediamenti commerciali destinati al
recupero  delle  piccole e medie imprese gia' operanti sul territorio
interessato»  (cosi' la lettera f), «anche al fine di salvaguardare i
livelli  occupazionali  reali e con facolta' di prevedere a tale fine
forme di incentivazione».
    In  vista del perseguimento di tale scopo, la Regione Umbria, con
la  norma  impugnata,  ha  stabilito che, per la realizzazione di una
grande  struttura  di  vendita nella forma del centro commerciale, la
superficie  occupata  da  piccole  («esercizi  di  vicinato») e medie
strutture  deve  risultare  pari  ad almeno il trenta per cento della
superficie totale di vendita e che «tale percentuale di superficie in
capo ad   esercizi   di  vicinato  e  medie  strutture  e'  riservata
prioritariamente  per  almeno  il  cinquanta  per  cento  a operatori
presenti sul territorio regionale da almeno cinque anni».
    La  riserva  del  trenta per cento della superficie di una grande
struttura  di  vendita  in  favore delle piccole e medie strutture, e
quella  del  quindici  per cento (pari alla meta' del suddetto trenta
per cento) per chi gia' fosse operante sul territorio regionale da un
congruo   periodo,   non   determina  una  lesione  ingiustificata  e
irragionevole   del   principio   della  libera  concorrenza  e/o  di
eguaglianza,  in  quanto, pur derogando, peraltro in misura limitata,
al   criterio   della   parita'  che  deve  caratterizzare  l'assetto
competitivo di un mercato, ha lo scopo di ridurre i possibili effetti
negativi  a  breve, sotto il profilo socio-economico, dell'intervento
regolatorio.
    La  norma  tutela  l'esigenza  di  interesse  generale - peraltro
espressamente  richiamata dal citato art. 6, comma 1, lettera f), del
d.lgs. n. 114 del 1998 - di riconoscimento e valorizzazione del ruolo
delle piccole e medie imprese gia' operanti sul territorio regionale:
essa e', infatti, volta a consentire a queste ultime - che hanno dato
un   significativo  apporto  alla  vitalita'  del  sistema  economico
regionale per un congruo lasso di tempo (cinque anni) e che sono piu'
esposte a subire le conseguenze dell'impatto delle grandi strutture -
di  adattarsi  all'evoluzione del settore, conservando adeguati spazi
di competitivita'.
    La  disposizione  impugnata,  nella  parte  in  cui stabilisce la
richiamata  riserva  in  favore  delle  piccole  e medie strutture di
vendita   ed  in  specie  in  favore  di  quelle  gia'  operanti  sul
territorio,  non  e' dunque priva di ragionevole giustificazione, con
conseguente  infondatezza  delle  censure  riferite agli artt. 3 e 41
della  Costituzione.  Questa  Corte ha, infatti, piu' volte affermato
che  solo  le  discriminazioni fra imprese - operate sulla base di un
elemento  territoriale - che non siano ragionevolmente giustificabili
contrastano «con il principio di eguaglianza nonche' con il principio
in  base  al  quale  la  Regione  non puo' adottare provvedimenti che
ostacolino  in  qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e
cose  fra  le regioni e non puo' limitare il diritto dei cittadini di
esercitare  in  qualunque  parte  del territorio la loro professione,
impiego  o lavoro» (sentenze n. 440 del 2006, n. 207 del 2001, n. 362
del 1998).
    4.  -  La  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10,
commi 3  e  4,  della medesima legge regionale n. 26 del 2005, che ha
sostituito l'art. 14, comma 4, lettera l), e comma 4-bis, della legge
regionale  n. 24 del 1999, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41
della Costituzione, e' fondata.
    La disposizione - censurata nella parte in cui stabilisce che, in
ordine  al rilascio di autorizzazioni all'esercizio e all'ampliamento
dell'attivita'  commerciale,  «tra  domande concorrenti con titolo di
priorita'  ai  sensi del comma 2» e «tra domande concorrenti prive di
titolo di priorita» e' data precedenza, tra l'altro, alla titolarita'
di altre grandi strutture di vendita nella stessa Regione - introduce
un   criterio   preferenziale   per   il   rilascio   delle  predette
autorizzazioni,  il quale opera una discriminazione fra imprese sulla
base di un criterio anche di localizzazione territoriale privo di una
ragionevole  giustificazione.  Contrariamente  a quanto stabilito dal
citato  art. 2,  comma 1,  la norma qui in esame, nell'individuare il
criterio  della  previa  titolarita'  di un'altra grande struttura di
vendita  nel  medesimo  territorio regionale, e' infatti lesiva della
liberta'   di  concorrenza,  in  quanto  favorisce  il  cumulo  della
titolarita' di autorizzazioni inerenti a piu' di una grande struttura
di  vendita in capo ad un unico soggetto gia' operante sul territorio
regionale,  contraddicendo l'esigenza di interesse generale di tutela
delle  piccole e medie imprese presenti sul medesimo, individuata dal
decreto  legislativo  n. 114  del  1998  fra  gli  obiettivi  che  il
legislatore  regionale,  in  deroga  ai  principi  che  sovrintendono
all'assetto   competitivo   del   mercato,   deve   perseguire  nella
programmazione  della rete distributiva (art. 6, comma 1, lettera f).
Ne'   sono   ravvisabili   -   anche   alla  luce  delle  indicazioni
complessivamente  desumibili  dal predetto decreto legislativo n. 114
del  1998  -  altre  esigenze  di  interesse  generale  che valgano a
legittimare  il  trattamento  di favore dei soggetti gia' titolari di
grandi  strutture  di vendita operanti nel territorio regionale, come
e' dimostrato, ad esempio, dall'evidente contrasto della citata norma
con  le  esigenze  di  «equilibrato  sviluppo delle diverse tipologie
distributive»   che  pure  deve  essere  assicurato  dai  legislatori
regionali  «nell'indicare  gli  obiettivi  di  presenza e di sviluppo
delle grandi strutture di vendita» (art. 6, comma 1, lettera b).
    L'art. 10,  commi 3  e  4,  della legge regionale n. 26 del 2005,
nella  parte  in  cui  individua,  fra i criteri preferenziali per il
rilascio    dell'autorizzazione   all'esercizio   e   all'ampliamento
dell'attivita'   commerciale,  quello  della  previa  titolarita'  di
un'altra  grande  struttura  di  vendita  nel  territorio  regionale,
stabilisce, pertanto, una barriera «di carattere protezionistico alla
prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere
imprenditoriale  da  parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del
territorio nazionale» (sentenza n. 440 del 2006 e sentenza n. 207 del
2001),  in  difetto  di una giustificazione ragionevole. Pertanto, la
norma  realizza  una ingiustificata discriminazione fra imprese sulla
base  di  un  elemento territoriale che contrasta con il principio di
eguaglianza e con l'art. 41 della Costituzione.