LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di responsabilita' promosso dal procuratore regionale nei confronti di Silvano Masciari, Carlo D'Amato, Giulio Di Donato, Ugo Grippo, Berardino Impegno, Francesco De Lorenzo e Paolo Cirino Pomicino. Visto l'atto introduttivo del giudizio iscritto al n. 35686/EL del registro di segreteria. Visti gli altri atti e documenti di causa. Udito nella pubblica udienza del 6 marzo 2007, il consigliere relatore prof. Michael Sciascia. Uditi altresi' nella medesima udienza l'avv. prof. Giuseppe Palma e l'avv. prof. Renato De Lorenzo e l'avv. Mariapia Pucci, nell'interesse del convenuto on. Francesco De Lorenzo, l'avv. Raffaele Moreno su delega dell'avv. Giuseppe Abbamonte, nell'interesse del convenuto on. Ugo Grippo, l'avv. Raimondo Nocerino su delega dell'avv. Aniello Mele, nell'interesse del convenuto on. Carlo D'Amato, e, su separate deleghe dell'avv. Ferdinando Scotto, nell'interesse dei convenuti on. Giulio Di Donato ed on. Paolo Cirino Pomicino, nonche' il vice procuratore generale doti Tiziana Spedicato in rappresentanza dell'ufficio del procuratore regionale. Ritenuto in fatto Con atto di citazione in data 18 ottobre 2003, a firma del vice procuratore generale dott. Tiziana Spedicato, il procuratore regionale presso questa sezione giurisdizionale regionale ha chiamato in giudizio i sig. ri Silvano Masciari, Carlo D'Amato, Giulio Di Donato, Ugo Grippo, Berardino Impegno, Francesco De Lorenzo e Paolo Cirino Pomicino, chiedendo la condanna in solido di tutti in favore del comune di Napoli per la somma di euro 10.329.137,98 a titolo di danno patrimoniale, nonche' la condanna in solido di Silvano Masciari, Carlo D'Amato, Giulio Di Donato, Francesco De Lorenzo e Berardino Impegno sempre a favore del comune di Napoli per la somma di euro 4.647.080,08 a titolo di danno non patrimoniale all'immagine, e la condanna in solido di Carlo D'Amato, Giulio Di Donato, Francesco De Lorenzo e Paolo Cirino Pomicino ed Ugo Grippo a favore dello Stato per la somma di euro 2.633.930,18 a titolo di danno non patrimoniale all'immagine, oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonche' in solido per le spese di giustizia in favore dello Stato. I fatti posti a base della suddetta richiesta riguardano i lavori di costruzione della linea metropolitana della citta' di Napoli, che sono stati oggetto di interesse anche della giurisdizione penale. Il materiale probatorio raccolto nell'ambito del processo penale de quo appare al requirente contabile rilevante per l'asseverazione della vicenda anche sotto il profilo della responsabilita' gestoria di tipo amministrativo conosciuta da questa Corte, previa un'autonoma attivita' di acquisizione dei verbali e altri documenti. Nella puntuale ricostruzione di essa risulta un continuato e ampio sistema di corruttela svoltosi dal 1974 al 1992, destinato a procurare ingenti mezzi finanziari richiesti e riscossi da eminenti esponenti delle istituzioni locali e statali, a sostegno di interessi particolari. L'occasione e' stata rappresentata dalla realizzazione di un'importante e complessa opera pubblica, quale la metropolitana napoletana, da parte dell'impresa costruttrice M.N. S.p.a. risultata aggiudicatrice nel 1974 con contratto stipulato nel 1976. Quest'ultima risulterebbe cosi' aver versato in una pluralita' di occasioni, direttamente e indirettamente, ingenti somme di denaro ai convenuti in cambio dell'appoggio delle forze politiche da essi rappresentate con condizionamento dell'azione pubblica condotta dalle istituzioni. L'importo delle c.d. tangenti erogate con periodicita' a favore dei predetti convenuti e' stato quantificato in lire 20.000.000.000, pari ad euro 10.329.137,00. Di tale importo, lire 14.100.000.000, pari ad euro 7.282.042,27 rappresentano la somma delle dazioni illecite minime accertate al 14 gennaio 1995, considerando a Grippo dal 1980 al 1987 con cadenza bimestrale lire 150 milioni, nonche' dal 1988 al 1989 lire 1 miliardo; a Masciari lire 900.000.000; a Cirino Pomicino e De Lorenzo lire 4 miliardi; a Diretto lire 1 miliardo. Il danno patrimoniale che, il requirente ritiene subito dal comune di Napoli a seguito del citato unico disegno criminoso e' cosi' costituito dall'importo di tali tangenti aumentato della somma di euro 3.047.095,70, costituente l'ingiustificato aumento dei costi e la conseguenza degli intralci nell'attivita' esecutiva dei lavori di realizzazione della metropolitana con notevole disservizio generale. Ad esso vanno aggiunti i pregiudizi non patrimoniali riferibili alle rispettive immagini istituzionali, subiti dal comune di Napoli e dallo Stato. Tali pregiudizi sono quantificati in euro 4.647.080,08 relativamente al comune di Napoli con imputazione ai convenuti Silvano Masciari, Carlo D'Amato, Giulio Di Donato, Francesco De Lorenzo e Berardino Impegno, nonche' in euro 2.633.930 relativamente allo Stato con imputazione ai convenuti Carlo D'Amato, Giulio Di Donato, Francesco De Lorenzo, Paolo Cirino Pomicino ed Ugo Grippo. Al riguardo di ciascuno dei succitati tre gruppi di convenuti il requirente suppone un atteggiamento doloso con applicazione del vincolo di solidarieta'. Comunque il medesimo si pone il problema di un eventuale mancato riconoscimento del dolo, indicando una ripartizione degli addebiti sul presupposto della sussistenza quanto meno di un atteggiamento di colpa grave. ln tal senso il danno patrimoniale subito dal comune di Napoli dovrebbe attribuirsi al 30% ciascuno a D'Amato e Masciari, al 15% ciascuno a Di Donato e De Lorenzo, al 10% all'Impegno. Allo stesso modo andrebbe ripartito il danno all'immagine subito dallo stesso comune di Napoli. Quanto poi al preteso danno all'immagine dello Stato, il requirente propone nei casi di affermazione della sola colpa grave la seguente ripartizione: euro 1.549.370,69 a carico di Cirino Pomicino ed euro 271.139,87 a carico di ciascuno dei convenuti D'Amato, Di Donato, De Lorenzo e Grippo. Tutte le suddette somme devono essere aumentate da interessi e rivalutazione, con condanna degli stessi alle spese processuali. Si sono costituiti in giudizio: il convenuto Francesco De Lorenzo per ministero dell'avv. prof. Giuseppe Palma, dell'avv. prof. Renato De Lorenzo e dell'avv. Mariapia Pucci, depositando in data 18 marzo 2004 una comparsa defensionale, in cui si conclude per la declaratoria di prescrizione dell'azione, nonche' per l'assoluzione per infondatezza. In tale comparsa si sostiene che non e' stata raggiunta assolutamente la prova della ricezione da parte dello stesso della somma in discorso e tantomeno del collegamento dello stesso alla vicenda relativa all'approvazione del noto emendamento Pomicino alla finanziaria per l'esercizio 1986 e che l'unica somma di denaro indiscutibilmente accettata dal De Lorenzo non riguardava tali vicende anche per ragioni temporali, inquadrandosi in un finanziamento per quanto illecito al P.L.I. avvenuto molti anni dopo nel 1992. Inoltre la circostanza di aver concorso all'approvazione quale consigliere comunale di delibere a favore della M.N. non denota un grado particolarmente qualificato di colpa. Inoltre ritiene errata la determinazione della quota di responsabilita' ad esso addebitabile. Infine sostiene l'inammissibilita' della citazione per tardivita' con riferimento alla data del 17 ottobre 2002, data di notifica al De Lorenzo dell'invito a dedurre e successive proroghe, nonche' l'intervenuta prescrizione decorrente dal 14 maggio 1994, data di rinvio a giudizio; il convenuto Paolo Cirino Pomicino per ministero dell'avv. Ferdinando Scotto e dell'avv. Gian Luca Lemmo, depositando in data 20 marzo 2004 una comparsa defensionale. In essa si sostiene il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in ordine all'attivita' del convenuto quale presidente della commissione Bilancio della Camera dei deputati, l'avvenuta prescrizione dell'azione de qua, anche relativamente al danno all'immagine, riferendosi a fatti scoperti senz'altro con il rinvio a giudizio avvenuto in data 11 novembre 1994, l'inesistenza del danno all'immagine dello Stato riferita ad un reato quale la violazione della normativa sul finanziamento pubblico ai partiti, la irrilevanza degli esiti penali non ancora conclusi in merito, la mancanza di dolo o colpa grave, la mancata indicazione e prova dei comportamenti omissivi addebitabili al convenuto; il convenuto Ugo Grippo per ministero dell'avv. prof. Giuseppe Abbamonte, depositando in data 26 marzo 2004 una comparsa defensionale. In essa si sostiene il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in ordine al Grippo, che rivestiva solo il ruolo di segretario cittadino della D.C. napoletana privo quindi dello status di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, l'avvenuta prescrizione dell'azione de qua decorrente dall'erogazione o dalla conoscibilita' della stessa avvenuta certamente con il rinvio a giudizio, tanto piu' che per il preteso danno all'immagine il termine avrebbe iniziato il suo decorso dal clamor facti antecedente al rinvio a giudizio. Infine si lamenta la mancata evocazione in giudizio del successore del convenuto nella carica; il convenuto Carlo D'Amato per ministero dell'avv. Aniello Mele, depositando in data 29 marzo 2004 una comparsa defensionale. In essa, premessa una richiesta di sospensione del presente giudizio in attesa di formazione del giudicato penale, si sostiene il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in ordine all'attivita' del convenuto quale componente della Camera dei deputati, l'avvenuta prescrizione dell'azione de qua, anche relativamente al danno all'immagine, riferendosi a fatti scoperti senz'altro con il rinvio a giudizio avvenuto nel 1994, la mancanza di alcuna prova rilevante sulla responsabilita' del convenuto e sulla sua conoscenza della vicenda de qua, l'insussistenza del danno all'immagine del comune e dello Stato e della prova di essi, l'inesistenza dell'elemento soggettivo e del rapporto di causalita', la mancata individuazione dei presunti comportamenti omissivi contestati genericamente; il convenuto Giulio Di Donato per ministero dell'avv. Ferdinando Scotto, depositando in data 20 marzo 2004 una comparsa defensionale. In essa, premessa una richiesta di sospensione del presente giudizio in attesa di formazione del giudicato penale, si sostiene il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in ordine all'attivita' del convenuto quale componente della Camera dei deputati, l'avvenuta prescrizione dell'azione de qua, anche relativamente al danno all'immagine, riferendosi a fatti scoperti senz'altro con il rinvio a giudizio avvenuto nel 1994, la mancanza di alcuna prova rilevante sulla responsabilita' del convenuto e sulla sua conoscenza della vicenda de qua, l'insussistenza del danno all'immagine del comune e dello Stato e, della prova di essi, l'inesistenza dell'elemento soggettivo e del rapporto di causalita', la mancata individuazione dei presunti comportamenti omissivi contestati genericamente; il convenuto Berardino Impegno per ministero dell'avv. Armando Profili, depositando in data 7 aprile 2004 una comparsa defensionale. In essa, premessa una richiesta di sospensione del presente giudizio in attesa di formazione del giudicato penale, si eccepisce l'avvenuta prescrizione dell'azione de qua, anche relativamente al danno all'immagine, riferendosi a fatti scoperti senz'altro con il rinvio a giudizio avvenuto nel 1994, e si sostiene la mancanza di alcuna prova rilevante sulla responsabilita' del convenuto e sulla sua conoscenza della vicenda de qua, la mera violazione della normativa sul finanziamento pubblico ai partiti non sarebbe sufficiente ad integrare la fattispecie di danno, l'insussistenza del danno all'immagine del comune e della prova di esso, la mancata individuazione dei presunti comportamenti omissivi contestati genericamente. Veniva inoltre depositata in data 6 aprile 2004 una istanza da parte degli avv.ti Lemmo e Scotto nell'interesse del loro assistito Paolo Cirino Pomicino, in cui si chiedeva la trasmissione del fascicolo processuale alle sezioni unite della Corte suprema di cassazione per essere stato proposto un ricorso preventivo di giurisdizione. Con ordinanza in data 7 aprile 2004 questa sezione, in accoglimento di istanza dei convenuti, sospendeva il giudizio in attesa di giudicato penale. Con atto depositato in data 10 marzo 2006, il procuratore regionale, sul presupposto dell'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di condanna in sede penale e della conferma della giurisdizione di questa Corte da parte delle adite SS.UU. a seguito del ricorso preventivo di giurisdizione, riassumeva il giudizio sospeso e chiedeva la fissazione di udienza. Con ulteriore memoria depositata in data 30 dicembre 2006 il convenuto Ugo Grippo si e' richiamato alla sentenza della II sezione penale della Corte di appello di Napoli n. 4044/05 in data 18 aprile - 16 giugno 2005, passata in giudicato, che - in esecuzione della sentenza in data 4 dicembre - 16 giugno 2003 - lo ha assolto con formula piena «per non aver commesso il fatto». Si osserva al riguardo che la Cassazione, nella citata sentenza di annullamento che l'impugnata sentenza di condanna non aveva adeguatamente focalizzato quali erano il soggetto e i soggetti intranei che rivestivano la qualifica di pubblico ufficiale e su quali il Grippo avrebbe influito attraverso un'opera di rafforzamento e di agevolazione e quali sarebbero stati gli atti amministrativi degli stessi posti in essere per la materializzazione della condotta. Concludeva per l'assoluzione, sollevando subordinatamente eccezione di prescrizione. Con separate memorie, di identico contenuto, depositate in data 26 febbraio 2007 gli avv. Ferdinando Scotto, Gianluca Lemmo ed Aniello Mele, nell'interesse rispettivo dei loro assistiti on. Giulio Di Donato, on. Paolo Cirino Pomicino, on. Carlo D'Amato, hanno eccepito l'inammissibilita' della citazione per insindacabilita' delle condotte censurate ai sensi dell'art. 68 della Costituzione, nonche' l'operativita' nel presente giudizio della procedura stabilita dall'art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140, invitando questa Corte ad adottare i consequenziali provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 del citato articolo 3. Nella pubblica udienza del 6 marzo 2007, avendo il presidente circoscritta la discussione all'eccezione di inammissibilita' del giudizio, l'avv. prof. Giuseppe Palma e l'avv. dell'avv. Mariapia Pucci, nell'interesse del convenuto on. Francesco De Lorenzo, l'avv. Raffaele Moreno su delega dell'avv. Giuseppe Abbamonte, nell'interesse del convenuto on. Ugo Grippo, l'avv. Raimondo Nocerino su delega dell'avv. Aniello Mele, nell'interesse del convenuto on. Carlo D'Amato, e su separate deleghe dell'avv. Ferdinando Scotto, nell'interesse dei convenuti on. Giulio Di Donato ed on. Paolo Cirino Pomicino, hanno proposto o confermato con articolate argomentazioni le eccezioni di inammissibilita' ex art. 68 con applicabilita' delle disposizioni di cui alla legge n. 140/2003. Nella stessa udienza il vice procuratore generale dott. Tiziana Spedicato, nel ribadire la richiesta di condanna, ha sostenuto che la citata legge n. 140/2003 non troverebbe applicazione al giudizio innanzi alla Corte dei conti ed alla vicenda de qua, sollevando in subordine eccezione di legittimita' costituzionale per essere stato in tal modo reintrodotto e anzi esteso il meccanismo dell'autorizzazione a procedere espunto dall'art. 68 della Costituzione con apposita legge costituzionale. Considerato in diritto 1. - La legge 20 giugno 2003, n. 140, contenente «Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato», all'art. 3, comma 3, introduce una disciplina articolata in ordine all'inviolabilita' dei parlamentari, prevedendo che in tutti i casi in cui «si ritenga applicabile l'art. 68, primo comma, della Costituzione il giudice provvede con sentenza in ogni stato e grado del processo penale, a norma dell'art. 129 del codice di procedura penale; nel corso delle indagini preliminari pronuncia decreto di archiviazione ai sensi dell'art. 409 del codice di procedura penale. Nel processo civile, il giudice pronuncia sentenza con i provvedimenti necessari alla sua definizione; le parti sono invitate a precisare immediatamente le conclusioni ed i termini, previsti dall'art. 190 del codice di procedura civile per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, sono ridotti, rispettivamente, a quindici e cinque giorni. Analogamente il giudice provvede in ogni altro procedimento giurisdizionale, anche d'ufficio, in ogni stato e grado». Detto comma, nelle ultime due proposizioni, estende le immunita' parlamentari ai procedimenti diversi da quello penale: espressamente nel penultimo periodo si riferisce infatti al processo civile e infine nell'ultimo periodo genericamente ad «ogni altro procedimento giurisdizionale». Pertanto anche la Corte dei conti, e segnatamente questa sezione giurisdizionale, tanto piu' a fronte di apposite eccezioni sollevate dai convenuti ex parlamentari, e' tenuta, ai sensi di tale disposizione, a sospendere immediatamente il presente giudizio per acquisire l'eventuale autorizzazione a procedere dalla Camera dei deputati, cui appartenevano i convenuti on. Francesco De Lorenzo, on. Ugo Grippo, on. Carlo D'Amato, on. Giulio Di Donato ed on. Paolo Cirino Pomicino. Ma, come anche eccepito pur genericamente dal procuratore regionale in sede dibattimentale, l'estensione di cui all'ultimo periodo del comma 3, del citato art. 3 della legge 20 giugno 2003, n. 140, appare priva di copertura costituzionale, in quanto la disposizione, nell'evidenza, eccede l'ambito fissato dall'art. 68, comma secondo e terzo della Costituzione, che si riferisce al processo penale e ad ogni connessa limitazione alla liberta' personale o alla riservatezza. L'art. 68 della Costituzione, nel testo modificato dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, disciplina alcune prerogative dei membri delle Camere. Al primo comma, relativamente all'insindacabilita', dispone che «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni». Poi ai commi secondo e terzo, quanto all'inviolabilita', dispone che «2. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento puo' essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, ne' puo' essere arrestato o altrimenti privato della liberta' personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale e' previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. 3. Analoga autorizzazione e' richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza». Dunque e' richiesta per i parlamentari in carica l'autorizzazione a procedere al riguardo delle limitazioni alla liberta' ed alle intromissioni nella loro sfera personale correlate a procedimenti penali. Con argomentazione a contrario, costituente una antica e consolidata metodica ermeneutica, puo' fondatamente sostenersi che la circostanza di non averla prevista non puo' non significare che la disposizione abbia inteso escludere la prerogativa nelle altre situazioni del genere giurisdizionale e comunque in ogni caso per gli ex parlamentari, considerando tanto piu' che ubi lex non dixit noluit. Trattandosi di una prerogativa a carattere eccezionale, essa peraltro non puo' che fondarsi su di una espressa disposizione costituzionale, che ammetta una siffatta deviazione dai principi generali del nostro diritto e ancor piu' dell'ordinamento costituzionale fissati nel titolo I, ed in particolare fondati sull'art. 3 della Costituzione. L'estensione di prerogative eccezionali a favore di alcuni soggetti, ancorche' investiti di funzioni di vertice nel sistema costituzionale, si, presenta come violazione del principio di eguaglianza, determinando una diffusa disparita' di trattamento tra soggetti sottoposti a procedimenti giurisdizionali, in dispregio a quanto previsto dall'art. 3 della Costituzione. Certamente l'art. 3 della Costituzione impone al legislatore di garantire - come condizione essenziale di un ordinato svolgimento della vita sociale nei suoi vari aspetti - la par condicio tra tutti i soggetti dell'ordinamento giuridico, talche' nessuno di essi possa venirsi a trovare - senza una valida giustificazione fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino l'adozione (Corte costituzionale sentenza 16 febbraio 1963, n. 7) - in posizione deteriore o privilegiata rispetto agli altri. Se sulla posizione svantaggiata e' evidente la ratio della norma costituzionale, lo e' allo stesso modo in ordine ai privilegi ingiustificati; talche' al beneficio degli uni corrisponde generalmente il pregiudizio, diretto o comunque diffuso, di altri, sussistendo sempre una correlazione tra posizioni giuridiche, a volte collegate in veri e propri rapporti giuridici. Nella specie, se fosse fondata la prospettazione proposta in via principale dal procuratore regionale nell'atto di citazione, si determinerebbe, per via del dolo, un vincolo solidale tra i convenuti nel presente giudizio, ex parlamentari e non, tanto da far gravare l'intero peso economico dei danni subiti dalla finanza pubblica sui convenuti non estromessi dal medesimo giudizio. Nello stesso momento, la disposizione censurata ha infatti attribuito, per i motivi sopraillustrati, da un lato ai convenuti ex parlamentari un'ingiustificata posizione di privilegio nei confronti degli altri convenuti non parlamentari, dall'altro agli enti presuntivamente danneggiati un'ingiustificata posizione di svantaggio nei confronti dei soggetti autori dei danni subiti. 2. - Inoltre il comune di Napoli e lo Stato sono posti nella deteriore condizione di poter essere privati, con un eventuale diniego di autorizzazione a procedere, della possibilita' di tutelarsi giudizialmente, anche in violazione degli artt. 24, primo comma e 113, primo e secondo comma della Costituzione. L'art. 24, primo comma citato afferma infatti che tutti possono agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi, mentre il successivo art. 113 al primo e secondo comma non consente alcuna limitazione alla tutela giurisdizionale di diritti ed interessi legittimi in materia di funzione amministrativa. A tale proposito e' indubbio che anche le varie articolazioni del settore pubblico - e segnatamente lo Stato e gli enti locali - sono titolari di diritti ed interessi legittimi da far valere innanzi ai competenti organi di giurisdizione. Nella specie gli enti pubblici tutelano innanzi al giudice contabile le loro finanze nei confronti di soggetti legati ad essi da rapporto di servizio, per il tramite del loro sostituto processuale «ex lege», cioe' il competente procuratore regionale e/o generale della Corte dei conti, per ottenere dalla suprema giurisdizione contabile il risarcimento del danno perpetrato alle loro finanze. 3. - Va inoltre osservato che la norma fondamentale, di cui al quarto comma dell'art. 81 della Costituzione, poi, impone al legislatore di prevedere, allorche' dispone una spesa - cui e' da equiparare una minore entrata, quale il mancato risarcimento dei pregiudizi alle finanze locali i mezzi per far fronte ad essa. E cio' anche se viene imposta una spesa o una minore entrata a carico dei bilanci degli enti locali, i quali sono privi, nel vigente sistema pubblico - salvo marginali eccezioni -, di potesta' tributaria, dipendendo la finanza locale, per la quasi totalita', dai trasferimenti disposti dallo Stato sulla base di leggi generali, per cui il peso economico effettivo viene a gravare in tutto o in parte sul bilancio statale. Occorre quindi anche in questi casi l'individuazione di mezzi finanziari aggiuntivi rispetto a quelli gia' previsti, facendoli derivare da nuove o maggiori entrate ovvero da minori spese nell'ambito del bilancio statale di trasferimento. Altrimenti sarebbe consentito al legislatore statale, disponendo spese o minori entrate tramite il sistema del trasferimento di risorse - peraltro finanziariamente inesistenti in termini di cassa - ad enti pubblici e segnatamente a quelli locali, di sfuggire al dovere costituzionale di cui al citato art. 81, comma quarto, con la conseguenza di gravare ulteriormente la finanza statale - in relazione alla quale la spesa consiste nel «trasferimento» di fondi - e la c.d. «finanza pubblica allargata» di oneri aggiuntivi tra l'altro imposti autoritativamente agli enti medesimi. Al contrario va quantificata l'incidenza di ogni disposizione di legge a carico della finanza statale - sia pure sotto la forma di ulteriori trasferimenti di fondi a favore degli enti pubblici - e vanno previsti adeguati strumenti di copertura dei flussi finanziari. Orbene il piu' volte citato comma 3, ultimo periodo, laddove potenzialmente impedisce l'azione risarcitoria nei confronti di parlamentari autori di danni, non trova nel corpo del provvedimento legislativo complessivamente approvato una previsione di copertura finanziaria della minor entrata imposta agli enti locali a causa del mancato recupero dei danni provocati alle loro finanze di natura derivata. 4. - Per completezza vanno affrontate altre due censure fondatamente formulabili alla disposizione di cui al criticato comma terzo ultimo comma, ossia il contrasto palese con l'art. 103, secondo comma e con l'art. 25, primo comma della Costituzione, che attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione nelle materie di contabilita' pubblica. Infatti, come gia' precedentemente si e' osservato, la possibile sottrazione di soggetti alla responsabilita' gestoria, attraverso il meccanismo dell'autorizzazione a procedere, ridonda a esclusione della giurisdizione di questa Corte, peraltro in via generale attribuita alla Corte dei conti. L'intervento del legislatore in attuazione dell'art. l03, secondo comma, della Costituzione (la c.d. interpositio legislatoris) non puo' spingersi fino ad escludere apoditticamente la potenziale assoggettabilita' di soggetti operanti nel settore pubblico da responsabilita', peraltro meramente patrimoniali, rientranti tradizionalmente e genericamente nella materia della contabilita' pubblica. Altrimenti la suddetta disposizione costituzionale non avrebbe alcuna funzione, rimettendosi ogni aspetto alla discrezionalita' del legislatore, che nella circostanza, peraltro, urta contro il principio della ragionevolezza, di cui all'art. 3 della stessa Costituzione, realizzando un'inammissibile area di impunita' in un delicato settore della contabilita' pubblica. L'assunto viene rafforzato con riferimento all'art. 25, primo comma della stessa Costituzione, secondo cui «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge». Questa norma impedisce qualunque sottrazione di sfera giurisdizionale successivamente al verificarsi del fatto generatore, sia nel senso di attribuzione ad altro organo giudiziario che di esclusione di ogni forma di giurisdizione. Orbene i fatti contestati sono ben precedenti all'entrata in vigore della innovativa disposizione di cui al comma terzo ultimo periodo della legge n. 140/2003. 5. - La questione sollevata con la presente ordinanza appare rilevante ai fini della procedibilita' e quindi della definizione della causa in esame, nonche' non manifestamente infondata per i motivi in precedenza illustrati.