LA CORTE DEI CONTI

    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio  di
responsabilita'  promosso  dal procuratore regionale nei confronti di
Silvano  Masciari,  Carlo  D'Amato,  Giulio  Di  Donato,  Ugo Grippo,
Berardino Impegno, Francesco De Lorenzo e Paolo Cirino Pomicino.
    Visto  l'atto  introduttivo  del giudizio iscritto al n. 35686/EL
del registro di segreteria.
    Visti gli altri atti e documenti di causa.
    Udito  nella  pubblica  udienza  del 6 marzo 2007, il consigliere
relatore prof. Michael Sciascia.
    Uditi altresi' nella medesima udienza l'avv. prof. Giuseppe Palma
e   l'avv.   prof.   Renato  De  Lorenzo  e  l'avv.  Mariapia  Pucci,
nell'interesse   del  convenuto  on.  Francesco  De  Lorenzo,  l'avv.
Raffaele    Moreno    su   delega   dell'avv.   Giuseppe   Abbamonte,
nell'interesse del convenuto on. Ugo Grippo, l'avv. Raimondo Nocerino
su  delega  dell'avv.  Aniello Mele, nell'interesse del convenuto on.
Carlo  D'Amato,  e,  su separate deleghe dell'avv. Ferdinando Scotto,
nell'interesse dei convenuti on. Giulio Di Donato ed on. Paolo Cirino
Pomicino, nonche' il vice procuratore generale doti Tiziana Spedicato
in rappresentanza dell'ufficio del procuratore regionale.

                          Ritenuto in fatto

    Con  atto  di citazione in data 18 ottobre 2003, a firma del vice
procuratore   generale   dott.   Tiziana  Spedicato,  il  procuratore
regionale presso questa sezione giurisdizionale regionale ha chiamato
in  giudizio  i  sig.  ri  Silvano Masciari, Carlo D'Amato, Giulio Di
Donato,  Ugo  Grippo, Berardino Impegno, Francesco De Lorenzo e Paolo
Cirino  Pomicino,  chiedendo la condanna in solido di tutti in favore
del  comune  di Napoli per la somma di euro 10.329.137,98 a titolo di
danno   patrimoniale,  nonche'  la  condanna  in  solido  di  Silvano
Masciari,  Carlo  D'Amato,  Giulio  Di Donato, Francesco De Lorenzo e
Berardino  Impegno  sempre a favore del comune di Napoli per la somma
di euro 4.647.080,08 a titolo di danno non patrimoniale all'immagine,
e la condanna in solido di Carlo D'Amato, Giulio Di Donato, Francesco
De Lorenzo e Paolo Cirino Pomicino ed Ugo Grippo a favore dello Stato
per  la somma di euro 2.633.930,18 a titolo di danno non patrimoniale
all'immagine, oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi legali,
nonche' in solido per le spese di giustizia in favore dello Stato.
    I fatti posti a base della suddetta richiesta riguardano i lavori
di  costruzione della linea metropolitana della citta' di Napoli, che
sono  stati oggetto di interesse anche della giurisdizione penale. Il
materiale  probatorio raccolto nell'ambito del processo penale de quo
appare  al  requirente  contabile rilevante per l'asseverazione della
vicenda anche sotto il profilo della responsabilita' gestoria di tipo
amministrativo   conosciuta   da  questa  Corte,  previa  un'autonoma
attivita' di acquisizione dei verbali e altri documenti.
    Nella  puntuale  ricostruzione  di  essa  risulta un continuato e
ampio  sistema  di  corruttela svoltosi dal 1974 al 1992, destinato a
procurare  ingenti  mezzi finanziari richiesti e riscossi da eminenti
esponenti delle istituzioni locali e statali, a sostegno di interessi
particolari.
    L'occasione   e'   stata  rappresentata  dalla  realizzazione  di
un'importante  e  complessa  opera  pubblica,  quale la metropolitana
napoletana,  da parte dell'impresa costruttrice M.N. S.p.a. risultata
aggiudicatrice nel 1974 con contratto stipulato nel 1976.
    Quest'ultima risulterebbe cosi' aver versato in una pluralita' di
occasioni,  direttamente e indirettamente, ingenti somme di denaro ai
convenuti  in  cambio  dell'appoggio  delle  forze  politiche da essi
rappresentate con condizionamento dell'azione pubblica condotta dalle
istituzioni.
    L'importo  delle  c.d. tangenti erogate con periodicita' a favore
dei  predetti convenuti e' stato quantificato in lire 20.000.000.000,
pari ad euro 10.329.137,00.
    Di  tale  importo, lire 14.100.000.000, pari ad euro 7.282.042,27
rappresentano  la somma delle dazioni illecite minime accertate al 14
gennaio  1995,  considerando  a  Grippo  dal 1980 al 1987 con cadenza
bimestrale  lire  150  milioni,  nonche'  dal  1988  al  1989  lire 1
miliardo; a Masciari lire 900.000.000; a Cirino Pomicino e De Lorenzo
lire 4 miliardi; a Diretto lire 1 miliardo.
    Il  danno  patrimoniale  che,  il  requirente  ritiene subito dal
comune  di  Napoli  a  seguito  del citato unico disegno criminoso e'
cosi'  costituito dall'importo di tali tangenti aumentato della somma
di  euro 3.047.095,70, costituente l'ingiustificato aumento dei costi
e  la  conseguenza degli intralci nell'attivita' esecutiva dei lavori
di   realizzazione   della  metropolitana  con  notevole  disservizio
generale.
    Ad  esso  vanno aggiunti i pregiudizi non patrimoniali riferibili
alle rispettive immagini istituzionali, subiti dal comune di Napoli e
dallo  Stato.  Tali pregiudizi sono quantificati in euro 4.647.080,08
relativamente  al  comune  di  Napoli  con  imputazione  ai convenuti
Silvano  Masciari,  Carlo  D'Amato,  Giulio  Di  Donato, Francesco De
Lorenzo  e Berardino Impegno, nonche' in euro 2.633.930 relativamente
allo  Stato  con  imputazione  ai  convenuti Carlo D'Amato, Giulio Di
Donato, Francesco De Lorenzo, Paolo Cirino Pomicino ed Ugo Grippo.
    Al  riguardo di ciascuno dei succitati tre gruppi di convenuti il
requirente  suppone  un  atteggiamento  doloso  con  applicazione del
vincolo di solidarieta'.
    Comunque  il medesimo si pone il problema di un eventuale mancato
riconoscimento  del  dolo,  indicando una ripartizione degli addebiti
sul  presupposto della sussistenza quanto meno di un atteggiamento di
colpa grave.
    ln  tal  senso  il danno patrimoniale subito dal comune di Napoli
dovrebbe  attribuirsi  al  30%  ciascuno a D'Amato e Masciari, al 15%
ciascuno a Di Donato e De Lorenzo, al 10% all'Impegno.
    Allo  stesso modo andrebbe ripartito il danno all'immagine subito
dallo stesso comune di Napoli.
    Quanto   poi  al  preteso  danno  all'immagine  dello  Stato,  il
requirente propone nei casi di affermazione della sola colpa grave la
seguente  ripartizione: euro 1.549.370,69 a carico di Cirino Pomicino
ed  euro  271.139,87  a  carico di ciascuno dei convenuti D'Amato, Di
Donato, De Lorenzo e Grippo.
    Tutte  le  suddette  somme devono essere aumentate da interessi e
rivalutazione, con condanna degli stessi alle spese processuali.
    Si sono costituiti in giudizio:
        il  convenuto  Francesco  De  Lorenzo per ministero dell'avv.
prof.  Giuseppe  Palma, dell'avv. prof. Renato De Lorenzo e dell'avv.
Mariapia  Pucci,  depositando  in  data  18  marzo  2004 una comparsa
defensionale,  in cui si conclude per la declaratoria di prescrizione
dell'azione,  nonche'  per  l'assoluzione  per  infondatezza. In tale
comparsa  si  sostiene  che  non  e' stata raggiunta assolutamente la
prova della ricezione da parte dello stesso della somma in discorso e
tantomeno   del  collegamento  dello  stesso  alla  vicenda  relativa
all'approvazione  del  noto emendamento Pomicino alla finanziaria per
l'esercizio  1986  e  che  l'unica  somma di denaro indiscutibilmente
accettata  dal  De  Lorenzo  non  riguardava  tali  vicende anche per
ragioni  temporali,  inquadrandosi  in  un  finanziamento  per quanto
illecito  al  P.L.I.  avvenuto  molti  anni dopo nel 1992. Inoltre la
circostanza  di  aver  concorso  all'approvazione  quale  consigliere
comunale  di  delibere  a  favore  della  M.N.  non  denota  un grado
particolarmente  qualificato  di  colpa.  Inoltre  ritiene  errata la
determinazione  della  quota di responsabilita' ad esso addebitabile.
Infine sostiene l'inammissibilita' della citazione per tardivita' con
riferimento  alla  data  del  17 ottobre 2002, data di notifica al De
Lorenzo   dell'invito   a  dedurre  e  successive  proroghe,  nonche'
l'intervenuta  prescrizione  decorrente  dal  14 maggio 1994, data di
rinvio a giudizio;
        il  convenuto  Paolo  Cirino Pomicino per ministero dell'avv.
Ferdinando Scotto e dell'avv. Gian Luca Lemmo, depositando in data 20
marzo  2004 una comparsa defensionale. In essa si sostiene il difetto
di  giurisdizione  della  Corte dei conti in ordine all'attivita' del
convenuto  quale  presidente  della commissione Bilancio della Camera
dei  deputati,  l'avvenuta  prescrizione  dell'azione  de  qua, anche
relativamente  al  danno  all'immagine,  riferendosi a fatti scoperti
senz'altro  con  il  rinvio  a  giudizio avvenuto in data 11 novembre
1994, l'inesistenza del danno all'immagine dello Stato riferita ad un
reato  quale la violazione della normativa sul finanziamento pubblico
ai  partiti, la irrilevanza degli esiti penali non ancora conclusi in
merito,  la  mancanza di dolo o colpa grave, la mancata indicazione e
prova dei comportamenti omissivi addebitabili al convenuto;
        il   convenuto  Ugo  Grippo  per  ministero  dell'avv.  prof.
Giuseppe  Abbamonte,  depositando  in data 26 marzo 2004 una comparsa
defensionale.  In  essa si sostiene il difetto di giurisdizione della
Corte  dei  conti in ordine al Grippo, che rivestiva solo il ruolo di
segretario  cittadino della D.C. napoletana privo quindi dello status
di   pubblico   ufficiale  o  di  incaricato  di  pubblico  servizio,
l'avvenuta prescrizione dell'azione de qua decorrente dall'erogazione
o dalla conoscibilita' della stessa avvenuta certamente con il rinvio
a  giudizio,  tanto  piu'  che  per  il preteso danno all'immagine il
termine  avrebbe iniziato il suo decorso dal clamor facti antecedente
al  rinvio  a  giudizio.  Infine  si lamenta la mancata evocazione in
giudizio del successore del convenuto nella carica;
        il  convenuto  Carlo  D'Amato per ministero dell'avv. Aniello
Mele, depositando in data 29 marzo 2004 una comparsa defensionale. In
essa,  premessa una richiesta di sospensione del presente giudizio in
attesa  di formazione del giudicato penale, si sostiene il difetto di
giurisdizione  della  Corte  dei  conti  in  ordine all'attivita' del
convenuto  quale  componente  della  Camera  dei deputati, l'avvenuta
prescrizione   dell'azione  de  qua,  anche  relativamente  al  danno
all'immagine, riferendosi a fatti scoperti senz'altro con il rinvio a
giudizio  avvenuto  nel  1994,  la mancanza di alcuna prova rilevante
sulla  responsabilita'  del  convenuto  e  sulla sua conoscenza della
vicenda  de  qua, l'insussistenza del danno all'immagine del comune e
dello  Stato  e  della  prova  di  essi,  l'inesistenza dell'elemento
soggettivo  e  del  rapporto di causalita', la mancata individuazione
dei presunti comportamenti omissivi contestati genericamente;
        il   convenuto  Giulio  Di  Donato  per  ministero  dell'avv.
Ferdinando  Scotto,  depositando  in  data 20 marzo 2004 una comparsa
defensionale.  In  essa,  premessa  una  richiesta di sospensione del
presente  giudizio  in  attesa di formazione del giudicato penale, si
sostiene  il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in ordine
all'attivita'   del  convenuto  quale  componente  della  Camera  dei
deputati,   l'avvenuta   prescrizione   dell'azione   de  qua,  anche
relativamente  al  danno  all'immagine,  riferendosi a fatti scoperti
senz'altro con il rinvio a giudizio avvenuto nel 1994, la mancanza di
alcuna  prova  rilevante  sulla responsabilita' del convenuto e sulla
sua  conoscenza  della  vicenda  de  qua,  l'insussistenza  del danno
all'immagine  del  comune  e  dello  Stato  e,  della  prova di essi,
l'inesistenza  dell'elemento soggettivo e del rapporto di causalita',
la   mancata   individuazione  dei  presunti  comportamenti  omissivi
contestati genericamente;
        il   convenuto  Berardino  Impegno  per  ministero  dell'avv.
Armando  Profili,  depositando  in  data  7  aprile 2004 una comparsa
defensionale.  In  essa,  premessa  una  richiesta di sospensione del
presente  giudizio  in  attesa di formazione del giudicato penale, si
eccepisce   l'avvenuta   prescrizione   dell'azione   de  qua,  anche
relativamente  al  danno  all'immagine,  riferendosi a fatti scoperti
senz'altro  con il rinvio a giudizio avvenuto nel 1994, e si sostiene
la  mancanza  di  alcuna  prova  rilevante  sulla responsabilita' del
convenuto  e  sulla  sua  conoscenza  della  vicenda  de qua, la mera
violazione  della normativa sul finanziamento pubblico ai partiti non
sarebbe   sufficiente   ad   integrare   la   fattispecie  di  danno,
l'insussistenza  del  danno  all'immagine del comune e della prova di
esso,  la  mancata individuazione dei presunti comportamenti omissivi
contestati genericamente.
    Veniva  inoltre  depositata  in data 6 aprile 2004 una istanza da
parte  degli  avv.ti Lemmo e Scotto nell'interesse del loro assistito
Paolo  Cirino  Pomicino,  in  cui  si  chiedeva  la  trasmissione del
fascicolo  processuale  alle  sezioni  unite  della  Corte suprema di
cassazione  per  essere  stato  proposto  un  ricorso  preventivo  di
giurisdizione.
    Con   ordinanza   in  data  7  aprile  2004  questa  sezione,  in
accoglimento  di  istanza  dei  convenuti,  sospendeva il giudizio in
attesa di giudicato penale.
    Con  atto  depositato  in  data  10  marzo  2006,  il procuratore
regionale, sul presupposto dell'avvenuto passaggio in giudicato della
sentenza   di   condanna  in  sede  penale  e  della  conferma  della
giurisdizione  di  questa Corte da parte delle adite SS.UU. a seguito
del  ricorso  preventivo  di  giurisdizione,  riassumeva  il giudizio
sospeso e chiedeva la fissazione di udienza.
    Con  ulteriore  memoria  depositata  in  data 30 dicembre 2006 il
convenuto  Ugo Grippo si e' richiamato alla sentenza della II sezione
penale  della Corte di appello di Napoli n. 4044/05 in data 18 aprile
-  16  giugno  2005,  passata in giudicato, che - in esecuzione della
sentenza  in  data  4  dicembre  - 16 giugno 2003 - lo ha assolto con
formula  piena  «per  non  aver  commesso  il  fatto».  Si osserva al
riguardo che la Cassazione, nella citata sentenza di annullamento che
l'impugnata  sentenza di condanna non aveva adeguatamente focalizzato
quali  erano  il  soggetto  e  i soggetti intranei che rivestivano la
qualifica di pubblico ufficiale e su quali il Grippo avrebbe influito
attraverso  un'opera  di  rafforzamento  e  di  agevolazione  e quali
sarebbero  stati gli atti amministrativi degli stessi posti in essere
per    la    materializzazione   della   condotta.   Concludeva   per
l'assoluzione, sollevando subordinatamente eccezione di prescrizione.
    Con  separate  memorie, di identico contenuto, depositate in data
26  febbraio  2007  gli  avv.  Ferdinando  Scotto,  Gianluca Lemmo ed
Aniello Mele, nell'interesse rispettivo dei loro assistiti on. Giulio
Di  Donato,  on. Paolo  Cirino  Pomicino,  on. Carlo  D'Amato,  hanno
eccepito  l'inammissibilita'  della  citazione  per  insindacabilita'
delle  condotte  censurate  ai sensi dell'art. 68 della Costituzione,
nonche'   l'operativita'   nel   presente  giudizio  della  procedura
stabilita  dall'art. 3  della legge 20 giugno 2003, n. 140, invitando
questa  Corte  ad  adottare  i consequenziali provvedimenti di cui ai
commi 3, 4 e 5 del citato articolo 3.
    Nella  pubblica  udienza  del  6 marzo 2007, avendo il presidente
circoscritta  la  discussione  all'eccezione  di inammissibilita' del
giudizio,  l'avv.  prof.  Giuseppe  Palma e l'avv. dell'avv. Mariapia
Pucci,  nell'interesse del convenuto on. Francesco De Lorenzo, l'avv.
Raffaele    Moreno    su   delega   dell'avv.   Giuseppe   Abbamonte,
nell'interesse del convenuto on. Ugo Grippo, l'avv. Raimondo Nocerino
su  delega  dell'avv.  Aniello Mele, nell'interesse del convenuto on.
Carlo  D'Amato,  e  su  separate deleghe dell'avv. Ferdinando Scotto,
nell'interesse dei convenuti on. Giulio Di Donato ed on. Paolo Cirino
Pomicino,  hanno  proposto o confermato con articolate argomentazioni
le  eccezioni di inammissibilita' ex art. 68 con applicabilita' delle
disposizioni di cui alla legge n. 140/2003.
    Nella  stessa  udienza il vice procuratore generale dott. Tiziana
Spedicato, nel ribadire la richiesta di condanna, ha sostenuto che la
citata  legge  n. 140/2003  non  troverebbe  applicazione al giudizio
innanzi  alla  Corte  dei conti ed alla vicenda de qua, sollevando in
subordine  eccezione  di legittimita' costituzionale per essere stato
in    tal   modo   reintrodotto   e   anzi   esteso   il   meccanismo
dell'autorizzazione   a   procedere   espunto   dall'art.   68  della
Costituzione con apposita legge costituzionale.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  legge 20 giugno 2003, n. 140, contenente «Disposizioni
per  l'attuazione  dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia
di  processi  penali  nei  confronti delle alte cariche dello Stato»,
all'art. 3,  comma  3,  introduce una disciplina articolata in ordine
all'inviolabilita'  dei  parlamentari, prevedendo che in tutti i casi
in  cui  «si  ritenga  applicabile  l'art.  68,  primo  comma,  della
Costituzione  il  giudice provvede con sentenza in ogni stato e grado
del  processo  penale,  a norma dell'art. 129 del codice di procedura
penale;  nel  corso  delle  indagini preliminari pronuncia decreto di
archiviazione  ai sensi dell'art. 409 del codice di procedura penale.
Nel   processo   civile,   il   giudice   pronuncia  sentenza  con  i
provvedimenti  necessari alla sua definizione; le parti sono invitate
a  precisare  immediatamente  le  conclusioni  ed i termini, previsti
dall'art.  190  del  codice di procedura civile per il deposito delle
comparse  conclusionali  e  delle  memorie  di replica, sono ridotti,
rispettivamente,  a quindici e cinque giorni. Analogamente il giudice
provvede in ogni altro procedimento giurisdizionale, anche d'ufficio,
in ogni stato e grado».
    Detto  comma, nelle ultime due proposizioni, estende le immunita'
parlamentari  ai procedimenti diversi da quello penale: espressamente
nel  penultimo  periodo  si  riferisce  infatti  al processo civile e
infine  nell'ultimo periodo genericamente ad «ogni altro procedimento
giurisdizionale».
    Pertanto  anche la Corte dei conti, e segnatamente questa sezione
giurisdizionale,  tanto piu' a fronte di apposite eccezioni sollevate
dai   convenuti   ex  parlamentari,  e'  tenuta,  ai  sensi  di  tale
disposizione,  a  sospendere  immediatamente il presente giudizio per
acquisire  l'eventuale  autorizzazione  a  procedere dalla Camera dei
deputati,  cui  appartenevano  i  convenuti on. Francesco De Lorenzo,
on. Ugo  Grippo, on. Carlo D'Amato, on. Giulio Di Donato ed on. Paolo
Cirino Pomicino.
    Ma,   come  anche  eccepito  pur  genericamente  dal  procuratore
regionale  in  sede  dibattimentale,  l'estensione  di cui all'ultimo
periodo  del  comma  3, del citato art. 3 della legge 20 giugno 2003,
n. 140,  appare  priva  di  copertura  costituzionale,  in  quanto la
disposizione,  nell'evidenza,  eccede  l'ambito fissato dall'art. 68,
comma  secondo  e  terzo  della  Costituzione,  che  si  riferisce al
processo   penale  e  ad  ogni  connessa  limitazione  alla  liberta'
personale o alla riservatezza.
    L'art. 68  della  Costituzione,  nel testo modificato dalla legge
costituzionale  29  ottobre 1993, n. 3, disciplina alcune prerogative
dei membri delle Camere.
    Al  primo  comma, relativamente all'insindacabilita', dispone che
«I  membri  del  Parlamento  non possono essere chiamati a rispondere
delle  opinioni  espresse  e  dei voti dati nell'esercizio delle loro
funzioni».
    Poi  ai commi secondo e terzo, quanto all'inviolabilita', dispone
che  «2.  Senza  autorizzazione  della  Camera alla quale appartiene,
nessun  membro  del Parlamento puo' essere sottoposto a perquisizione
personale  o  domiciliare,  ne'  puo'  essere  arrestato o altrimenti
privato  della  liberta'  personale, o mantenuto in detenzione, salvo
che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se
sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale e' previsto
l'arresto  obbligatorio  in  flagranza.  3. Analoga autorizzazione e'
richiesta  per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni,
in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di
corrispondenza».
    Dunque e' richiesta per i parlamentari in carica l'autorizzazione
a  procedere  al  riguardo  delle  limitazioni  alla liberta' ed alle
intromissioni  nella  loro  sfera  personale correlate a procedimenti
penali.
    Con   argomentazione   a  contrario,  costituente  una  antica  e
consolidata metodica ermeneutica, puo' fondatamente sostenersi che la
circostanza  di  non  averla prevista non puo' non significare che la
disposizione  abbia  inteso  escludere  la  prerogativa  nelle  altre
situazioni del genere giurisdizionale e comunque in ogni caso per gli
ex  parlamentari,  considerando  tanto  piu'  che  ubi  lex non dixit
noluit.
    Trattandosi  di  una  prerogativa  a  carattere eccezionale, essa
peraltro  non  puo'  che  fondarsi  su  di  una espressa disposizione
costituzionale,  che  ammetta  una  siffatta  deviazione dai principi
generali   del   nostro   diritto   e   ancor  piu'  dell'ordinamento
costituzionale  fissati  nel  titolo  I,  ed  in  particolare fondati
sull'art. 3 della Costituzione.
    L'estensione  di  prerogative  eccezionali  a  favore  di  alcuni
soggetti,  ancorche'  investiti  di  funzioni  di vertice nel sistema
costituzionale,   si,  presenta  come  violazione  del  principio  di
eguaglianza,  determinando  una diffusa disparita' di trattamento tra
soggetti  sottoposti  a  procedimenti giurisdizionali, in dispregio a
quanto previsto dall'art. 3 della Costituzione.
    Certamente  l'art. 3  della Costituzione impone al legislatore di
garantire  -  come  condizione  essenziale di un ordinato svolgimento
della  vita sociale nei suoi vari aspetti - la par condicio tra tutti
i  soggetti dell'ordinamento giuridico, talche' nessuno di essi possa
venirsi  a  trovare  -  senza  una  valida giustificazione fondata su
presupposti  logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino
l'adozione  (Corte  costituzionale sentenza 16 febbraio 1963, n. 7) -
in posizione deteriore o privilegiata rispetto agli altri.
    Se  sulla posizione svantaggiata e' evidente la ratio della norma
costituzionale,  lo  e'  allo  stesso  modo  in  ordine  ai privilegi
ingiustificati;   talche'   al   beneficio   degli   uni  corrisponde
generalmente  il  pregiudizio,  diretto o comunque diffuso, di altri,
sussistendo sempre una correlazione tra posizioni giuridiche, a volte
collegate in veri e propri rapporti giuridici.
    Nella  specie, se fosse fondata la prospettazione proposta in via
principale  dal  procuratore  regionale  nell'atto  di  citazione, si
determinerebbe, per via del dolo, un vincolo solidale tra i convenuti
nel  presente  giudizio,  ex parlamentari e non, tanto da far gravare
l'intero  peso  economico dei danni subiti dalla finanza pubblica sui
convenuti non estromessi dal medesimo giudizio.
    Nello  stesso  momento,  la  disposizione  censurata  ha  infatti
attribuito,  per i motivi sopraillustrati, da un lato ai convenuti ex
parlamentari  un'ingiustificata posizione di privilegio nei confronti
degli   altri   convenuti  non  parlamentari,  dall'altro  agli  enti
presuntivamente danneggiati un'ingiustificata posizione di svantaggio
nei confronti dei soggetti autori dei danni subiti.
    2.  -  Inoltre  il  comune  di Napoli e lo Stato sono posti nella
deteriore  condizione  di  poter  essere  privati,  con  un eventuale
diniego   di   autorizzazione  a  procedere,  della  possibilita'  di
tutelarsi  giudizialmente,  anche in violazione degli artt. 24, primo
comma e 113, primo e secondo comma della Costituzione.
    L'art.  24,  primo comma citato afferma infatti che tutti possono
agire  in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi,
mentre  il  successivo art. 113 al primo e secondo comma non consente
alcuna   limitazione   alla  tutela  giurisdizionale  di  diritti  ed
interessi  legittimi  in  materia  di funzione amministrativa. A tale
proposito  e'  indubbio  che anche le varie articolazioni del settore
pubblico  - e segnatamente lo Stato e gli enti locali - sono titolari
di diritti ed interessi legittimi da far valere innanzi ai competenti
organi di giurisdizione.
    Nella  specie  gli  enti  pubblici  tutelano  innanzi  al giudice
contabile le loro finanze nei confronti di soggetti legati ad essi da
rapporto  di  servizio, per il tramite del loro sostituto processuale
«ex  lege»,  cioe'  il  competente procuratore regionale e/o generale
della  Corte  dei  conti,  per  ottenere  dalla suprema giurisdizione
contabile il risarcimento del danno perpetrato alle loro finanze.
    3.  -  Va  inoltre osservato che la norma fondamentale, di cui al
quarto   comma   dell'art. 81  della  Costituzione,  poi,  impone  al
legislatore  di  prevedere,  allorche'  dispone una spesa - cui e' da
equiparare  una  minore  entrata,  quale  il mancato risarcimento dei
pregiudizi alle finanze locali i mezzi per far fronte ad essa.
    E  cio'  anche  se viene imposta una spesa o una minore entrata a
carico dei bilanci degli enti locali, i quali sono privi, nel vigente
sistema   pubblico   -  salvo  marginali  eccezioni  -,  di  potesta'
tributaria, dipendendo la finanza locale, per la quasi totalita', dai
trasferimenti  disposti dallo Stato sulla base di leggi generali, per
cui  il  peso economico effettivo viene a gravare in tutto o in parte
sul bilancio statale.
    Occorre  quindi  anche  in  questi casi l'individuazione di mezzi
finanziari  aggiuntivi  rispetto  a  quelli  gia' previsti, facendoli
derivare   da  nuove  o  maggiori  entrate  ovvero  da  minori  spese
nell'ambito del bilancio statale di trasferimento.
    Altrimenti  sarebbe consentito al legislatore statale, disponendo
spese  o  minori  entrate  tramite  il  sistema  del trasferimento di
risorse - peraltro finanziariamente inesistenti in termini di cassa -
ad  enti  pubblici  e  segnatamente  a  quelli locali, di sfuggire al
dovere  costituzionale di cui al citato art. 81, comma quarto, con la
conseguenza   di  gravare  ulteriormente  la  finanza  statale  -  in
relazione alla quale la spesa consiste nel «trasferimento» di fondi -
e  la  c.d.  «finanza  pubblica  allargata»  di  oneri aggiuntivi tra
l'altro imposti autoritativamente agli enti medesimi.
    Al  contrario va quantificata l'incidenza di ogni disposizione di
legge  a  carico  della  finanza statale - sia pure sotto la forma di
ulteriori  trasferimenti  di  fondi  a favore degli enti pubblici - e
vanno previsti adeguati strumenti di copertura dei flussi finanziari.
    Orbene  il  piu'  volte  citato  comma 3, ultimo periodo, laddove
potenzialmente  impedisce  l'azione  risarcitoria  nei  confronti  di
parlamentari  autori  di danni, non trova nel corpo del provvedimento
legislativo  complessivamente  approvato  una previsione di copertura
finanziaria  della minor entrata imposta agli enti locali a causa del
mancato  recupero  dei  danni  provocati  alle loro finanze di natura
derivata.
    4.   -   Per  completezza  vanno  affrontate  altre  due  censure
fondatamente  formulabili alla disposizione di cui al criticato comma
terzo ultimo comma, ossia il contrasto palese con l'art. 103, secondo
comma   e   con   l'art. 25,  primo  comma  della  Costituzione,  che
attribuisce  alla  Corte  dei conti la giurisdizione nelle materie di
contabilita' pubblica.
    Infatti,  come gia' precedentemente si e' osservato, la possibile
sottrazione  di soggetti alla responsabilita' gestoria, attraverso il
meccanismo  dell'autorizzazione  a  procedere,  ridonda  a esclusione
della  giurisdizione  di  questa  Corte,  peraltro  in  via  generale
attribuita alla Corte dei conti.
    L'intervento del legislatore in attuazione dell'art. l03, secondo
comma,  della  Costituzione  (la  c.d. interpositio legislatoris) non
puo'  spingersi  fino  ad  escludere  apoditticamente  la  potenziale
assoggettabilita'  di  soggetti  operanti  nel  settore  pubblico  da
responsabilita',    peraltro   meramente   patrimoniali,   rientranti
tradizionalmente  e  genericamente  nella  materia della contabilita'
pubblica.
    Altrimenti  la  suddetta  disposizione costituzionale non avrebbe
alcuna  funzione, rimettendosi ogni aspetto alla discrezionalita' del
legislatore,   che   nella  circostanza,  peraltro,  urta  contro  il
principio  della  ragionevolezza,  di  cui  all'art.  3  della stessa
Costituzione,  realizzando  un'inammissibile  area di impunita' in un
delicato settore della contabilita' pubblica.
    L'assunto  viene  rafforzato  con  riferimento all'art. 25, primo
comma  della  stessa  Costituzione,  secondo cui «nessuno puo' essere
distolto  dal giudice naturale precostituito per legge». Questa norma
impedisce    qualunque    sottrazione    di   sfera   giurisdizionale
successivamente al verificarsi del fatto generatore, sia nel senso di
attribuzione  ad  altro  organo giudiziario che di esclusione di ogni
forma di giurisdizione.
    Orbene  i  fatti  contestati  sono  ben precedenti all'entrata in
vigore  della  innovativa  disposizione  di cui al comma terzo ultimo
periodo della legge n. 140/2003.
    5.  -  La  questione  sollevata  con la presente ordinanza appare
rilevante  ai  fini  della  procedibilita' e quindi della definizione
della  causa  in  esame,  nonche'  non manifestamente infondata per i
motivi in precedenza illustrati.