Sentenza
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli articoli 6 e 12
comma  1,  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223 (Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate e di contrasto all'evasione fiscale) e degli articoli 6 e
12  comma  1,  del  decreto-legge  n. 223  del  2006, convertito, con
modificazioni, dall'art.1, comma 1, della legge 4 agosto 2006 n. 248,
promossi  con  n. 2  ricorsi  della  Regione  Veneto notificati il 31
agosto  e il 5 ottobre 2006, depositati in cancelleria l'11 settembre
e  l'11 ottobre 2006 ed iscritti ai nn. 96 e 103 del registro ricorsi
2006.
   Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  6  novembre  2007  il  Giudice
relatore Ugo De Siervo;
   Uditi  gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione
Veneto  e  l'avvocato  dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1. -  Con  ricorso  notificato  il  31 agosto 2006 e depositato il
successivo 11 settembre (reg. ric. n. 96 del 2006), la Regione Veneto
ha  promosso  questioni  di  legittimita'  costituzionale di numerose
disposizioni  del  decreto-legge  4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni
urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), e, tra queste, degli
artt. 6 e 12, comma 1, in riferimento agli artt. 117, quarto comma, e
118 della Costituzione.
   L'art.  6,  recante  la  rubrica  «Deroga  al divieto di cumulo di
licenze  per il servizio di taxi», aggiunge dopo il comma 2 dell'art.
8  della  legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto
di  persone  mediante  autoservizi  pubblici  non di linea), il comma
2-bis,  disciplinando  le condizioni in presenza delle quali i Comuni
acquisiscono  la  facolta'  di  «bandire  pubblici  concorsi, nonche'
concorsi  riservati  ai  titolari  di  licenza  taxi,  in deroga alle
disposizioni  di  cui  ai  commi  1  e 2, per l'assegnazione a titolo
oneroso  di licenze eccedenti la vigente programmazione numerica». Il
comma  censurato  prevede  inoltre  che  i Comuni possano «rilasciare
titoli  autorizzatori  temporanei,  non  cedibili,  per  fronteggiare
eventi straordinari».
   L'art. 12, comma 1, recante la rubrica «Disposizioni in materia di
circolazione  dei  veicoli  e  di trasporto comunale e intercomunale»
consente  ai  Comuni  di  far  svolgere  il  trasporto  di  linea  di
passeggeri   accessibile   al   pubblico,   in   ambito   comunale  e
intercomunale,   «anche   dai  soggetti  in  possesso  dei  necessari
requisiti  tecnico-professionali»,  con  divieto  di  erogare  a tali
soggetti «finanziamenti in qualsiasi forma».
   La  Regione  Veneto  ritiene  che  entrambe  le disposizioni siano
riconducibili alla materia del trasporto pubblico locale, attribuita,
come  affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 222 del 2005)
alla  potesta' legislativa residuale della Regione stessa, osservando
che   gia'   il   decreto   legislativo   19  novembre  1997,  n. 422
(Conferimento  alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti
in  materia  di  trasporto  pubblico locale, a norma dell'articolo 4,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) aveva valorizzato il ruolo
regionale in tale materia.
   Pertanto,  conclude  la  ricorrente,  «non  varrebbe  il  semplice
richiamo  alla  necessita' di adottare una disciplina di tutela della
concorrenza  per  giustificare l'intervento del legislatore statale»,
specie se si considera che le norme impugnate, omettendo di «lasciare
spazio»  al  legislatore  regionale, non rispetterebbero «i parametri
della adeguatezza e della proporzionalita».
   2. -  Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo il rigetto del ricorso, fermo il richiamo al potere
della  Corte  costituzionale di valutare la sussistenza di ipotesi di
inammissibilita'  o  di  cessazione  della  materia del contendere in
ordine alle censure mosse, in ragione della conversione in legge, con
modificazioni,  nel  frattempo  intervenuta, del decreto-legge n. 223
del 2006.
   L'Avvocatura   generale   osserva   che  le  norme  impugnate  non
disciplinerebbero  «le  modalita' di organizzazione e svolgimento del
trasporto   pubblico   locale»,   ma   perseguirebbero  «il  fine  di
incentivare  la  concorrenza  nel settore, di liberalizzare i servizi
nella materia, nonche' di assicurare su tutto il territorio nazionale
livelli  essenziali  minimi  di tutela degli utenti»: si tratterebbe,
pertanto,  di  disposizioni  riconducibili  alla potesta' legislativa
esclusiva  dello Stato in materia di «tutela della concorrenza» (art.
117, secondo comma, lettera e)
   3. -  A seguito della conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge  n. 223  del 2006, ad opera dell'art. 1, comma 1, della
legge 4 agosto 2006, n. 248 (Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti
per  il  rilancio  economico  e  sociale,  per  il  contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di contrasto all'evasione fiscale), la stessa Regione
Veneto,  con  ricorso  notificato  il  5 ottobre 2006 e depositato il
successivo  11  ottobre  (reg.  ric.  n. 103 del 2006), ha impugnato,
unitamente  ad  altre  disposizioni,  gli  artt. 6 e 12, comma 1, nel
testo  risultante  dalla  legge  di  conversione, in riferimento agli
artt. 117, quarto comma, e 118 della Costituzione.
   L'art. 6, nel testo sostituito dalla legge di conversione, reca la
rubrica  «Interventi  per il potenziamento del servizio di taxi», «ai
sensi  degli  articoli  43,  49,  81, 82 e 86 del Trattato istitutivo
della  Comunita'  europea  e  degli articoli 3, 11, 16, 32, 41 e 117,
secondo  comma, lettere e) e m) della Costituzione», ed integra sotto
differenziati profili la legge 15 gennaio 1992, n. 21.
   Il  comma  1  del  censurato art. 6 prevede, in particolare, che i
Comuni   possano,  a  determinate  condizioni,  disporre  «turnazioni
integrative  in  aggiunta  a  quelle ordinarie» (lettera a); «bandire
concorsi  straordinari»  per  il  rilascio di nuove licenze, anche in
deroga alla vigente programmazione numerica (lettera b); prevedere il
rilascio  di  «titoli autorizzatori temporanei o stagionali» (lettera
c);  prevedere in via sperimentale l'attribuzione della «possibilita'
di  utilizzare  veicoli  sostitutivi  e  aggiuntivi»  per  specifiche
categorie di utenti (lettera d); prevedere in via sperimentale «forme
innovative di servizio all'utenza, con obblighi di servizio e tariffe
differenziati»  (lettera  e);  introdurre  tariffe predeterminate per
percorsi  prestabiliti (lettera f); istituire «un comitato permanente
di monitoraggio del servizio di taxi» (lettera g).
   L'art. 12, comma 1, viene invece convertito senza modificazioni.
   Malgrado  le significative modificazioni con cui l'art. 6 e' stato
convertito in legge, la Regione ricorrente riproduce letteralmente le
medesime   censure   e   i  medesimi  rilievi  sollevati  avverso  il
decreto-legge.
   4. -  Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  svolgendo  le medesime argomentazioni e assumendo le medesime
conclusioni  di  inammissibilita'  ed infondatezza gia' rassegnate in
relazione al ricorso di cui al reg. ric. n. 96 del 2006.
   5. - In prossimita' dell'udienza pubblica, la Regione ricorrente e
l'Avvocatura  dello  Stato hanno depositato memorie, insistendo sulle
conclusioni gia' formulate.
   La  ricorrente osserva, in particolare, che i titoli di competenza
legislativa   trasversale  dello  Stato  debbono  soggiacere  ad  una
«interpretazione  prudente».  In tale prospettiva, le norme impugnate
non  rispetterebbero  i criteri di adeguatezza e proporzionalita' cui
deve  rispondere  l'intervento statale, posto che si tradurrebbero in
una «disciplina compiuta e circostanziata».
   L'Avvocatura  generale  ribadisce che l'intervento statale sarebbe
espressivo  delle  competenze  trasversali in materia di tutela della
concorrenza   e   di  determinazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni, oltre che dei «principi comunitari di libera concorrenza
su  cui  lo  Stato  ha  potesta'  legislativa  esclusiva».  Le  norme
impugnate,    quindi,    non   concernerebbero   le   «modalita'   di
organizzazione   e   di  svolgimento  del  servizio»,  di  competenza
regionale,  ma  risponderebbero  esclusivamente  ad  un  obiettivo di
«potenziamento della concorrenza».
                       Considerato in diritto
   1. -  La  Regione  Veneto,  con  due distinti ricorsi, ha promosso
questione di legittimita' costituzionale di numerose disposizioni del
decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223  (Disposizioni urgenti per il
rilancio   economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione fiscale) e della relativa
legge  di  conversione  4  agosto  2006, n. 248. Oggetto del presente
giudizio  sono  le  sole questioni di costituzionalita' che investono
gli  artt.  6  e  12,  comma  1, entrambi recanti modificazioni della
legislazione relativa al settore dei servizi di trasporto locale.
   Per la ricorrente le disposizioni censurate violano gli artt. 117,
quarto  comma,  e  118  della  Costituzione,  poiche' interverrebbero
nell'ambito  del  trasporto  pubblico  locale,  materia di competenza
«esclusiva» delle Regioni, mediante una «disciplina compiuta» che non
rispetterebbe    «i    parametri    della    adeguatezza    e   della
proporzionalita».  Ne' sarebbe sufficiente riferirsi alla titolarita'
della competenza legislativa in tema «di tutela della concorrenza per
giustificare l'intervento del legislatore statale».
   2. -  In  considerazione dell'identita' della materia, nonche' dei
profili di illegittimita' costituzionale fatti valere, i ricorsi, per
la  parte  relativa  agli  artt.  6  e  12,  comma  1,  sia nel testo
originario,  sia  in  quello  risultante  dalla legge di conversione,
meritano di essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia.
   3. -  Va  rilevato, in via preliminare, che mentre l'art 12, comma
1, del decreto-legge n. 223 del 2006 e' stato convertito senza alcuna
modificazione  dalla  legge n. 248 del 2006, sicche' ben si comprende
che  il  ricorrente,  nell'impugnarlo,  anche  dopo la conversione in
legge,  non abbia ritenuto di integrare le censure gia' svolte con il
primo  ricorso, l'art. 6 ha viceversa subito modifiche sostanziali in
sede di conversione.
   Esse  hanno  profondamente  inciso  sul  portato  normativo  della
disposizione,   arricchendola   di   ulteriori   e  distinte  ipotesi
facoltizzanti per il Comune, e ne hanno mutato la stessa rubrica.
   A  fronte  di  tale  evidenza,  il  ricorso n. 103 del 2006 omette
qualsivoglia  motivazione,  rispetto a quanto gia' dedotto tramite il
ricorso  n. 96  del 2006, che si faccia carico di dimostrare, o anche
solo  di  ipotizzare,  per  quali  ragioni  il  vizio di legittimita'
costituzionale  denunciato  con riguardo all'art. 6, comma 1, lettere
b)  e  c)  (ovvero  le  norme corrispondenti all'originario contenuto
normativo  della  disposizione)  sussista  anche  in  relazione  alle
lettere a), d), e), f) e g), aggiunte in sede di conversione.
   Per  tale  parte, detto ricorso si appalesa pertanto inammissibile
per  genericita'  (da  ultimo,  sentenze  n. 401  e n. 367 del 2007),
dovendosi  pertanto  scrutinare  nel  merito, unitamente all'art. 12,
comma 1, le sole lettere b) e c) dell'art. 6, con argomentazioni che,
stante la sostanziale identita' delle norme, riguardano in entrambi i
casi  tali disposizioni sia nel testo recato dal decreto-legge n. 223
del  2006, sia in quello risultante dalla legge di conversione n. 248
del 2006.
   4. -  Le  questioni  di costituzionalita' cosi' riassunte non sono
fondate.
   Non  e'  negabile  che le disposizioni impugnate abbiano attinenza
con  la  materia del trasporto pubblico locale, che questa Corte gia'
ha  riconosciuto  rientrare  «nell'ambito  delle competenze residuali
della   Regione   di   cui   al  quarto  comma  dell'art.  117  della
Costituzione»  (sentenze n. 80 e n. 29 del 2006, n. 222 del 2005), ma
e'  altrettanto pacifico che le materie di competenza esclusiva e nel
contempo «trasversali» dello Stato, come quella concernente la tutela
della  concorrenza  di  cui  all'art. 117, secondo comma, lettera e),
della   Costituzione,  possono  intersecare  qualsivoglia  titolo  di
competenza  legislativa  regionale,  seppur  nei  limiti strettamente
necessari  per  assicurare gli interessi cui esse sono preposte, fino
ad  incidere sulla «totalita' degli ambiti materiali entro i quali si
applicano» (sentenza n. 80 del 2006), anche con riguardo alle materie
legislative regionali di tipo residuale.
   Va  aggiunto,  con  riguardo  al caso di specie, che correttamente
l'Avvocatura  dello  Stato,  anche sulla base di quanto espressamente
enunciato  dagli  artt.  1 e 6, comma 1, del decreto-legge n. 223 del
2006,   quali  risultanti  dal  testo  della  legge  di  conversione,
individua  il  titolo  di  intervento  del  legislatore statale nella
«tutela  della  concorrenza»,  mentre  appare  del tutto improprio il
riferimento  operato  alla lettera m) del secondo comma dell'art. 117
della Costituzione, per il preliminare ed assorbente rilievo, tra gli
altri  possibili,  secondo  cui  le disposizioni oggetto del presente
giudizio   contengono  prescrizioni  meramente  facoltizzanti  per  i
Comuni,  come  tali  del  tutto  inidonee  a  garantire  il  "livello
essenziale" di una prestazione.
   Le  disposizioni  impugnate si propongono e conseguono l'obiettivo
di    accrescere    l'offerta    del   trasporto   pubblico   locale,
rispettivamente  di  linea  e  non  di linea, implementando la platea
degli  operatori  attivi  sul mercato, tramite il rilascio di licenze
(art. 6, lettera b) o di titoli autorizzatori temporanei o stagionali
(art.  6, lettera c), anche in favore di chi sia iscritto al ruolo di
cui  all'art.  6 della legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per
il  trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea),
ovvero riconoscendo ai Comuni la facolta' di autorizzare al trasporto
di  linea  di  passeggeri chi sia in possesso dei necessari requisiti
tecnico-professionali (art. 12, comma 1).
   Per  tali  vie,  l'ente  locale viene dotato di mezzi adeguati per
incidere   sugli   assetti  concorrenziali  dell'intero  mercato  del
trasporto  di  competenza  dell'ente  locale,  ma  con  una  evidente
ricaduta   sulla   libera   circolazione  delle  persone  nell'intero
territorio nazionale.
   Tali  strumenti  appaiono «disposti in una relazione ragionevole e
proporzionata  rispetto  agli  obiettivi  attesi»  (sentenze n. 274 e
n. 14  del  2004),  cosi'  da  non  travalicare,  secondo  criteri di
adeguatezza   e   proporzionalita',   i  limiti  di  esercizio  della
competenza  trasversale dello Stato, che questa Corte ha recentemente
ribadito  essere  comprensiva  della  disciplina  degli «strumenti di
liberalizzazione dei mercati» (sentenza n. 401 del 2007).
   In particolare, l'impugnato art. 6 concerne la facolta' attribuita
ai  Comuni  di  «bandire  concorsi  straordinari  in conformita' alla
vigente  programmazione  numerica», di assegnare a titolo gratuito od
oneroso   «nuove  licenze»  agli  iscritti  nell'apposito  ruolo  dei
conducenti  dei veicoli di cui all'art. 6 della legge n. 21 del 1992,
nonche'  di rilasciare «titoli autorizzatori temporanei o stagionali»
in  caso  di «eventi straordinari o periodi di prevedibile incremento
della domanda».
   Si  tratta  di  innovazioni  apportate  alla  legislazione vigente
finalizzate  all'aumento  dell'offerta  del  servizio di taxi, mentre
ridotte,  se  non  strettamente  necessitate, appaiono le ricadute di
queste disposizioni sui profili piu' propriamente organizzativi.
   L'impugnato  art.  12,  comma  1,  e'  a  sua  volta  disposizione
riconducibile   alla   surrichiamata   accezione   di   tutela  della
concorrenza,  dal  momento che permette che nel trasporto di linea di
passeggeri  operante  in  ambito  comunale  ed intercomunale i Comuni
possano  autorizzare  «soggetti  in  possesso dei necessari requisiti
tecnico-professionali»,  ad  integrazione  di  quanto  previsto negli
artt.  18  e 19 del d.lgs.19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle
regioni  ed  agli  enti  locali  di  funzioni e compiti in materia di
trasporto  pubblico  locale,  a norma dell'articolo 4, comma 4, della
legge  15  marzo 1997, n. 59), e che questi soggetti possano svolgere
la  loro  attivita'  anche  presso  gli scali ferroviari, portuali ed
aeroportuali esistenti nel territorio comunale.
   Ne'  si  puo' obiettare - quanto a tali disposizioni riconducibili
alla   materia   «tutela   della   concorrenza»  mediante  discipline
proporzionate  all'obiettivo  di  liberalizzare  almeno  in  parte  i
settori  interessati  -  come  fa  la  ricorrente, che il legislatore
statale non avrebbe comunque potuto adottare «una disciplina compiuta
che non lascia spazio ad una legislazione regionale ulteriore».
   Al  contrario,  questa  Corte  ha  gia'  piu'  volte affermato (da
ultimo,   si  veda  la  sentenza  n. 401  del  2007,  punto  6.7  del
Considerato in diritto
)  che,  una  volta  ricondotto  l'intervento  statale  al  legittimo
esercizio   di   una  potesta'  legislativa  esclusiva  di  carattere
trasversale  e  quindi  valutato  in  termini  di proporzionalita' ed
adeguatezza,   tale   intervento   «puo'  avere  anche  un  contenuto
analitico».
   Per  tale  verso,  non  risultano  violati  ne' l'art. 117, quarto
comma,   ne'   l'art.   118  della  Costituzione,  atteso,  quanto  a
quest'ultimo  parametro,  che  la  affermata  competenza  legislativa
statale  ad  adottare  le  disposizioni censurate comporta che spetti
parimenti  alla legge dello Stato la allocazione delle corrispondenti
funzioni  amministrative,  peraltro riconosciute, nel caso di specie,
proprio all'ente locale di base.
   Per tali ragioni, entrambi i ricorsi debbono essere rigettati.