IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nei ricorsi:
    1)  n. 934/2007  proposto  da:  Calvo  Biagio  e  La  Terra Rita,
rappresentati  e  difesi  da  Cariola avv. Agatino e Giurdanella avv.
Carmelo  con  domicilio  eletto  in  Catania via E. A. Pantano n. 118
presso   lo   studio   del   primo;   contro   l'Ufficio   elettorale
circoscrizionale  di Ragusa, in persona del rappresentante legale pro
tempore,  rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura distrettuale dello
Stato,  con  domicilio eletto in, Catania, via Vecchia Ognina n. 149,
presso  la sua sede, e nei confronti di Pasquale Ferrara, Giuseppe Di
Natale, Giuseppe Caldarera, Giovanni Francesco Antoci, Giuseppe detto
Uccio Barone, Mario Coco, Agosta Giuseppe, Bellassai Rosa, Di Martino
Marco,  Battaglia Biagio, La Perna Rosario, Roccuzzo Paolo, Guerrieri
Pietro,  Maria  L.  Tavolino,  Di  Prima Ezechiele, Bellone Giovanni,
DiStefano   Giuseppe,   Bocchieri  Salvatore,  Di  Giacomo  Giovanni,
Baldanza  Antonino,  Battaglia  Salvatore,  Camillieri  Andrea, Amato
Angela,  Bocchieri Sebastiano, Storaci Barbara, Schembari Alberto, La
Mesa   Sebastiano,   Corallo  Franco,  Dipasquale  Giuseppe,  Licitra
Giorgio,   Blandino  Salvatore,  Burgio  Rosario,  Cugnata  Giovanni,
Occhipinti  Giovanni,  tutti non costituiti ad eccezione di: Giuseppe
Barone,  Paolo  Roccuzzo  ed  Angela  Amato,  rappresentati  e difesi
dall'Avv.  Andrea  Scuderi  e dall'avv. Giovanni Mania, con domicilio
eletto  presso  il  loro  studio  in  Catania, via Vincenzo Giuffrida
n. 37;  la  Provincia  regionale di Ragusa, in persona del Presidente
pro  tempore,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Michele Ali', con
domicilio  eletto  in  segreteria e con l'intervento ad opponendum di
Cutello  Mario,  Genovese  Giuseppe e Bertucci Lucia, rappresentati e
difesi  da  Paterniti La Via avv. Pietro, con domicilio eletto presso
il   suo   studio,   in   Catania   viale  XX  Settembre  n. 19,  per
l'annullamento  del  verbale dell'Ufficio circoscrizionale Elettorale
presso  il  Tribunale  di  Ragusa  del  21 aprile 2007 e del relativo
provvedimento  di  eliminazione  della lista PRI Partito Repubblicano
Italiano  dalla consultazione elettorale per il rinnovo del Consiglio
della  Provincia  regionale  di  Ragusa,  indetta  per i giorni 13-14
maggio 2007 e di ogni altro atto connesso, ivi compresa, ove occorra,
la nota del medesimo ufficio del 20 aprile 2007;
    2)  n. 935/2007  proposto  da:  Calvo Biagio e Roccuzzo Giovanni,
rappresentati  e  difesi  da  Cariola avv. Agatino e Giurdanella avv.
Carmelo  con  domicilio  eletto  in Catania via E. A. Pantano n. 118,
presso   lo   studio   del   primo,   contro   l'Ufficio   elettorale
circoscrizionale  di Modica, in persona del legale rappresentante pro
tempore,  rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura distrettuale dello
Stato, con domicilio eletto in Catania, via Vecchia Ognuna n. 149; la
Provincia regionale di Ragusa, in persona del Presidente pro tempore,
rappresentata  e  difesa dall'avv. Michele Ali', con domicilio eletto
in  segreteria  e  nei  confronti  di:  Ferrara  Pasquale,  Di Natale
Giuseppe,  Caldarera  Giuseppe,  Antoci  Giovanni  Francesco,  Barone
Giuseppe,  Coco  Mario,  Ruta  Carmelo, Mirabella Ignazio, Di Martino
Angelo,  Massenzio  Natale, Di Giacomo Giorgio, Occhipinti Angelo, Di
Martino  Salvatore,  Marchisello  Rosa  Maria, Borrometi Paolo, Livia
Ketty,  Abate  Ignazio,  Di  Rosa Giovanni, Iemmolo Rosario, La Terra
Salvatore,  Cavallo  Vincenzo,  Pitino  Vincenzo,  Crescenti Gaetano,
Migliore   Antonio,  Minardo  Riccardo,  Baglieri  Graziana,  Assenza
Giovanna,   Baglieri  Maria,  Failla  Sebastiano,  Battaglia  Pietro,
Pellegrino  Salvatore,  Mavilla  Giovanni,  Agosta  Giovanni,  Eredia
Giuseppe, non costituiti, per l'annullamento del verbale dell'Ufficio
circoscrizionale  elettorale  presso  il  Tribunale  di Modica del 21
aprile  2007 e del relativo provvedimento di eliminazione della lista
PRI  Partito Repubblicano Italiano dalla consultazione elettorale per
il rinnovo del Consiglio della Provincia regionale di Ragusa, indetta
per  i  giorni  13-14  maggio 2007 e di ogni altro atto connesso, ivi
compresa,  ove  occorra,  la  nota del medesimo ufficio del 20 aprile
2007;
    3)  n. 1325/2007  proposto  da:  Calvo  Biagio,  in  proprio come
elettore  e  nella qualita' di candidato del PRI alle elezioni per il
Consiglio  provinciale  di  Ragusa, rappresentato e difeso da Cariola
avv.  Agatino  e  Giurdanella  avv.  Carmelo  con domicilio eletto in
Catania  via E. A. Pantano n. 118, presso lo studio del primo; contro
l'Ufficio elettorale circoscrizionale di Ragusa, l'Ufficio elettorale
circoscrizionale  di  Modica, l'Ufficio elettorale provinciale presso
il  Tribunale  di  Ragusa,  ciascuno  in  persona  del proprio legale
rappresentante  pro  tempore,  rappresentati e difesi dall'Avvocatura
distrettuale  dello  Stato,  con  domicilio  eletto  in  Catania, via
Vecchia  Ognuna  n. 149,  presso  la  sua  sede  e  nei confronti di:
Provincia  regionale  di Ragusa, in persona del legale rappresentante
pro  tempore  rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Mezzasalma e
dall'avv.  Michele  Ali',  con  domicilio  eletto presso lo studio di
quest'ultimo  in  Catania,  via  Crociferi  n. 60; Giovanni Francesco
Antoci;  Giovanni  Occhipinti;  Salvatore  Mandara'; Giovanni Mallia;
Riccardo   Minardo;   Salvatore   Moltisanti;  Giovanni  Di  Giacomo;
Salvatore  Crescione;  Raffaele  Schembari;  Bartolo Ficili; Vincenzo
Pitino;  Enzo  Pelligra;  Salvatore  Minardi;  Marco Nani; Sebastiano
Failla;  Rosario  Burgio; Silvio Galizia; Ignazio Nicosia; Alessandro
Tumino;  Franco  Poidomani;  Ignazio  Abbate; Fabio Nicosia; Venerina
Padua;  Giuseppe  Mustile;  Giovanni  Iacono; Angela Barone; Giuseppe
Alfano;  Giovanni  Venticinque,  non  costituiti,  per l'annullamento
delle  operazioni  elettorali svoltesi nei giorni 13 e 14 giugno 2007
per  l'elezione  del  Consiglio  provinciale  e  del Presidente della
Provincia regionale di Ragusa, e dei risultati consacrati nei verbali
dell'Ufficio  elettorale  provinciale, rispettivamente, del 17 maggio
2007  di  proclamazione  dell'ing.  Franco Antoci a Presidente eletto
della   Provincia  regionale  di  Ragusa  e  del  4  giugno  2007  di
proclamazione  dei  consiglieri  eletti  nel Consiglio provinciale di
Ragusa  per il quinquennio 2007-2012 e di ogni altro atto presupposto
e  connesso,  ivi  compresi - ove occorresse - i verbali dell'Ufficio
elettorale  circoscrizionale  presso  il  Tribunale di Ragusa dell'11
maggio  2007  di ammissione della lista Partito Repubblicano Italiano
alle  elezioni  per  il  Consiglio provinciale di Ragusa, Collegio di
Ragusa;   e   dell'Ufficio   elettorale  circoscrizionale  presso  il
Tribunale  di  Modica  dell'11  maggio  2007,  verbali nn. 15 e 16 di
ammissione  della  lista  Partito Repubblicano Italiano alle elezioni
per il Consiglio provinciale di Ragusa, Collegio di Modica;
   Visti i ricorsi introduttivi del giudizio;
   Visti gli atti e i documenti depositati con ciascun ricorso;
   Visto  l'atto  di costituzione in ciascun giudizio dell'Avvocatura
di   Stato;   della  Provincia  regionale  di  Ragusa;  nel  giudizio
n. 934/2007,  dei  signori Giuseppe Barone, Paolo Roccuzzo, ed Angela
Amato;
   Visto  l'atto di intervento ad opponendum nel giudizio n. 934/2007
dei  signori  Mario  Cutello,  Giuseppe  Genovese  e  Lucia Bertucci;
Designato  relatore,  alla  udienza  pubblica del 10 gennaio 2008, il
referendario Salvatore Gatto Costantino;
   Uditi gli avvocati come da verbale;
   Vista la documentazione tutta in atti;
   Ritenuto, in fatto ed in diritto, quanto segue;
                           I n  f a t t o
   Con  il ricorso introduttivo n. 934/2007, i signori Biagio Calvo e
Rita  La  Terra,  il  primo  nella  qualita' di candidato nella lista
P.R.I.  per  l'elezione  del  Consiglio  provinciale  della Provincia
regionale  di  Ragusa,  la  seconda  nella  qualita' di delegata alla
presentazione  della  medesima lista per il Collegio di Ragusa, hanno
proposto  gravame  contro  l'esclusione  della  lista  medesima dalle
consultazioni elettorali predette, contenuta nel verbale dell'Ufficio
circoscrizionale  elettorale  presso  il  Tribunale  di Ragusa del 21
aprile 2007, deducendo articolate censure.
   Medesimo  gravame  e'  stato  proposto dal sig. Biagio Calvo e dal
sig.  Giovanni  Roccuzzo  (il primo nella qualita' di candidato ed il
secondo  nella  qualita'  di  presentatore  di  lista) con il ricorso
n. 935/2007  avverso  l'esclusione  della  lista del suddetto Partito
dalle competizioni elettorali per il Consiglio provinciale di Ragusa,
nel Collegio di Modica.
   Nel  ricorso n. 934/2007, con d.p. n. 548/2007, del 3 maggio 2007,
e'  stata concessa la misura cautelare prevista dall'art. 21 comma IX
della  legge  n. 1034/1971; medesima pronuncia cautelare monocratica,
in  pari  data,  e'  stata  emanata  nel ricorso n. 935/2007 con d.p.
n. 549/2007.
   Alla  camera  di  consiglio  del  10  maggio  2007, il Collegio ha
accolto  la  domanda  cautelare  in  entrambi i ricorsi, con distinte
ordinanze   (rispettivamente,   nn.   571/2007  e  572/2007  entrambe
depositate il 10 maggio 2007).
   Celebratesi  le  elezioni,  in  data  13 e 14 maggio 2007, il sig.
Biagio Carlo (in proprio quale elettore e nella qualita' di candidato
del  PRI),  con il ricorso n. 1325/2007 ne ha impugnato il risultato,
chiedendone  l'annullamento  e l'integrale ripetizione per articolate
motivazioni in fatto ed in diritto.
   All'accoglimento  dei  primi  tre  ricorsi resiste l'Avvocatura di
Stato che ne sostiene l'inammissibilita' per intempestivita'.
   Si  sono costituiti la Provincia regionale di Siracusa nei ricorsi
nn. 934/2007 e 935/2007; nel giudizio n. 934/2007, i signori Giuseppe
Barone,  Paolo Roccuzzo, ed Angela Amato; hanno inoltre proposto atto
di  intervento ad opponendum nel giudizio n. 934/2007 i signori Mario
Cutello,   Giuseppe  Genovese  e  Lucia  Bertucci,  i  quali,  tutti,
resistono   all'accoglimento   dei  rispettivi  ricorsi,  deducendone
l'inammissibilita' e l'infondatezza.
   Alla  udienza  pubblica  del  10  gennaio 2008 le cause sono state
trattenute in decisione.
                         I n  d i r i t t o
   Con  i  primi due ricorsi trattenuti in decisione, i signori Calvo
(candidato della lista P.R.I.), La Torre e Roccozzo, (presentatori di
lista),   si   dolgono  dell'esclusione  della  propria  lista  dalle
competizioni  elettorali  per  il rinnovo degli organi elettivi della
Provincia  regionale  di  Ragusa,  assumendone  l'illegittimita'  per
articolate ragioni in fatto ed in diritto.
   I  suddetti  ricorsi  sono  stati  presentati  immediatamente dopo
l'adozione dei provvedimenti di esclusione della lista e dunque prima
della tenuta della consultazione elettorale.
   La  lista  dei  ricorrenti  non e' stata ammessa alle competizioni
elettorali    per    irregolarita'    nella    presentazione    delle
sottoscrizioni,   in   quanto   registrate   in   «moduli  privi  del
contrassegno  della  lista  e dell'elenco dei candidati in violazione
dell'art. 11 lett. "e" l.r. 9 maggio 1969, n. 14».
   Previa  concessione  delle misure cautelari monocratiche, avvenuta
con  decreti  presidenziali d.p. n. 548/2007 e 549/2007, del 3 maggio
2007,  in  accoglimento  delle  domande  cautelari,  con le ordinanze
richiamate  in  parte  narrativa, il Collegio ha ritenuto che la CEC,
escludendo la lista, ha errato nel non consentire la regolarizzazione
ai  sensi  del comma 2 dell'art. 18 del d.p. Reg. Sicilia, n. 3/1960,
in  quanto  non  ha  fatto  uso  del  proprio  potere di «invito alla
regolarizzazione  previsto dal comma 2 dell'art. 18 d.p. Reg. Sicilia
n. 3/1960,  nella  ipotesi di irregolarita' formali ed addirittura di
mancanza  di  documenti  e  dichiarazioni come prescritti» (Tribunale
amministrativo  regionaleCatania,  IL, 7 novembre 2003 nr. 1854; cfr.
anche  Tribunale amministrativo regionaleCatania, II, 25 luglio 2003,
n. 1203).
   Ottenuta  l'ammissione  provvisoria  della lista per effetto delle
pronunce  cautelari di questa Sezione, il sig. Calvo ha poi impugnato
il   risultato   elettorale,  lamentando  l'insufficienze  spazio  di
propaganda  elettorale  che l'Autorita' gli avrebbe riconosciuto, non
avendo  correttamente  e  tempestivamente  ottemperato  alle pronunce
cautelari  (specialmente  quelle  contenute  nei  decreti monocratici
emessi  sin  dal  3 maggio 2007) e vanificando cosi', in concreto, il
proprio diritto di elettorato. Afferma che, anche a voler considerare
i  termini  delle  sole ordinanze cautelari, la tutela del diritto di
partecipare  alle  elezioni  avrebbe  potuto  essere  ottenuta  anche
mediante il differimento della data di celebrazione delle stesse.
   Con  il ricorso n. 1325/2007 ne ha chiesto dunque l'annullamento e
l'integrale ripetizione.
   All'ammissione  alle  elezioni  della  lista  del  P.R.I.  si sono
opposti  l'Avvocatura  di Stato ed alcuni tra i controinteressati, le
cui    difese    sono    affidate    essenzialmente   alla   ritenuta
inammissibilita'  per  intempestivita'  del  gravame introdotto con i
ricorsi   n. 934/2007   e   n. 935/2007   (presentati   prima   della
proclamazione degli eletti).
   Piu'  precisamente,  richiamando  la  recentissima giurisprudenza,
formatasi   sulla   scorta   della  sentenza  dell'Adunanza  plenaria
n. 10/2005,  i controinteressati sostanziali sostengono che i gravami
avverso  le  operazioni  elettorali  possono essere proposti, a norma
dell'art.  83/11  del  T.U.  n. 570  del 1960 (introdotto dall'art. 2
della  legge  23  dicembre  1966,  n. 1147, le cui norme di carattere
procedurale  sono  tuttora  vigenti in quanto richiamate dall'art. 19
dalla   legge   6   dicembre   1971,   n. 1034),  solamente  dopo  la
proclamazione degli eletti, ossia ad operazioni elettorali concluse.
   Sul  punto,  tale  orientamento  ha ricevuto recentissima conferma
dalla  sentenza  del  C.G.A.  n. 907/2007,  con  la  quale  e'  stata
riformata la sentenza di questa Sezione n. 2380 del 28 novembre 2006.
   Gli  orientamenti  appena indicati del giudice di appello inducono
pertanto  il Collegio a dover esaminare gli odierni gravami alla luce
di  quella che, per il giudice di primo grado, e' da ritenersi oramai
una regola di diritto vivente, ossia la regola della inammissibilita'
per  intempestivita'  del  gravame  avverso  le operazioni elettorali
proposto prima della proclamazione degli eletti.
   Tuttavia,  il  Collegio  dovendo  applicare,  tale  regola  tratta
dall'art.  83/11  del  .T.U. di cui al d.P.R. n. 570/1960, introdotto
dall'art.  2  della  legge 23 dicembre 1966, n. 1147, le cui norme di
carattere  procedurale  sono  tuttora  vigenti  in  quanto richiamate
dall'art.  19 dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella lettura che
sostanzialmente  il  giudice di appello ha fatto propria e che quindi
si  impone  al  giudizio  di  primo grado, deve rilevare che essa non
sfugge  a  gravi dubbi di incostituzionalita' e pertanto va sollevata
la   questione   di   legittimita'   costituzionale   della  predetta
disposizione,  oppure  dell'art.  83/11  del  T.U.  di  cui al d.P.R.
n. 570/1960  (introdotto  dall'art.  2  della legge 23 dicembre 1966,
n. 1147,  le  cui norme di carattere procedurale sono tuttora vigenti
in  quanto  richiamate  dall'art.  19  dalla  legge  6 dicembre 1971,
n. 1034)  laddove  possa  essere  interpretato  nel senso di impedire
l'immediata  esperibilita'  di  tutela  giurisdizionale  contro  atti
elettorali endoprocedimentali lesivi.
   La questione costituzionale che si pone in relazione alla norma in
esame,  a  giudizio  del  Collegio, e' rilevante e non manifestamente
infondata per le seguenti ragioni.
Sulla rilevanza della questione.
   Essendo  in  decisione  tre  ricorsi  tra loro connessi rivolti ad
avversare    il    risultato    delle   elezioni   per   il   rinnovo
dell'Amministrazione  provinciale di Ragusa, sia in relazione ad atti
endoprocedimentali  compiuti nel relativo procedimento (esclusione di
liste)  e sia in relazione al risultato delle elezioni, si rileva che
la  risoluzione  dei suddetti giudizi dipende pregiudizialmente dalla
ammissibilita'  o  meno  dei  primi  due  gravami  in  relazione alla
applicazione dell'art. 83/11 piu' volte citato.
   Infatti,  applicando  tale disposizione, nella lettura di essa che
ne  ha  formulato  la  giurisprudenza che sostiene il principio della
«concentrazione dei mezzi di tutela», tutti e tre gli odierni ricorsi
andrebbero   respinti,  in  quanto  i  primi  due  inammissibili  per
intempestivita'  ed  il  terzo improcedibile per carenza di interesse
sopravvenuta:  mentre,  infatti,  i  primi due (n. 934 e n. 935/2007)
sono rivolti ad avversare l'esclusione della lista dalla competizione
elettorale,  il  terzo  ricorso  (n.  1325/2007) censura il risultato
elettorale  (impugnando  la relativa proclamazione degli eletti) solo
per  le  ragioni  e  nella  parte  in  cui - presupponendo l'avvenuta
ammissione -   si  lamenta  che  non  e'  stato  dato  ai  ricorrenti
sufficiente spazio per la propaganda elettorale.
   L'impostazione  ermeneutica  dalla  quale  scaturisce  la  lettura
dell'art.  83/11 del d.P.R. n. 570/1960 (introdotto dall'art. 2 della
legge   23   dicembre  1966,  n. 1147,  le  cui  norme  di  carattere
procedurale  sono  tuttora  vigenti in quanto richiamate dall'art. 19
dalla  legge  6  dicembre  1971,  n. 1034)  nel senso di escludere la
possibilita'  immediata di impugnazione degli atti di ammissione o di
esclusione di liste o candidati, discende, come indicato in premessa,
dalla  piu'  recente  giurisprudenza  del  Consiglio  di Stato ed, in
particolare,  dalla pronuncia dell'Adunanza plenaria n. 10/2005 (alla
quale,  peraltro,  anche  questa  Sezione  con  diverso  Collegio, ha
mostrato  adesione - cfr. sent. n. 1357/2006) cui ha fatto seguito la
sent.  n. 907/07  del  C.G.A.  che ha riformato la sentenza di questa
Sezione n. 2380/2006.
   Con quest'ultima pronuncia, la Sezione aveva accolto piu' ricorsi,
tra  loro  connessi, presentati contro l'ammissione alle competizioni
elettorali, per il rinnovo delle cariche elettive del Municipio della
Citta'  di Messina, di una lista presentata per il «Nuovo P.S.I.», da
parte  di  chi,  secondo i ricorrenti, non aveva titolo a presentarla
(in  quanto  carente  della  necessaria  legittimazione assembleare e
della  carica  di  Segretario  nazionale  del partito). Nel primo dei
ricorsi  riuniti,  proposto  anteriormente  alla  proclamazione degli
eletti,  era  stata  concessa  la  pronuncia  cautelare  interdittiva
dell'ammissione  della  lista (con decreto monocratico) e le elezioni
si  erano  dunque  svolte  senza  che  la suddetta lista vi prendesse
parte.  Successivamente  alla proclamazione degli eletti, la medesima
parte  ricorrente  aveva  riproposto  il gravame con autonomo ricorso
rivolto  ad  impugnare la proclamazione degli eletti, cosi' come, dal
canto loro, facevano con diversi gravami altri elettori e/o candidati
risultati    eletti    (tutti   ricorsi   rivolti   a   fare   valere
l'illegittimita' della ammissione della lista del Nuovo PSI).
   La  circostanza  che,  a seguito della proclamazione degli eletti,
fosse  stato  proposto  l'identico  gravame  gia'  sollevato all'atto
dell'ammissione della lista, aveva indotto il Collegio a ritenere non
piu'    rilevante    ai    fini    del   giudizio   la   problematica
dell'ammissibilita'     o     meno,     nell'attuale     Ordinamento,
dell'impugnabilita'   degli  atti  endoprocedimentali  immediatamente
lesivi  nella  fase  anteriore alla proclamazione degli eletti, posto
che,  in  ogni  caso,  sotto  un profilo processuale, anche a volerla
ritenere  non  ammissibile, come sostenuto da A.P. 10/2005, i ricorsi
successivi erano da ritenersi tempestivi anche secondo l'orientamento
dell'A.P. 10/2005.
   Il  C.G.A.,  nella  pronuncia n. 907/2007 ha invece disatteso tale
impostazione,   ribaltandola  ed  affermando  che  a  nulla  vale  la
presentazione  dei ricorsi dopo la proclamazione degli eletti quando,
in  esito  ad un inammissibile ricorso anteriore a tale provvedimento
(inammissibile  ai  sensi  dell'art.  83/11  del  T.U.  n. 570/1960),
l'effetto di una misura cautelare abbia influito sull'andamento delle
elezioni alterandone (in maniera quindi irrimediabile) il corso.
   Sulla  base  di cio', il giudice di appello ha accolto il gravame,
ritenendo  inammissibili  le questioni introdotte dagli altri ricorsi
riuniti.
   Tale   essendo   il   disegno   ricostruttivo   che   il   giudice
amministrativo   offre  del  tema  della  impugnabilita'  degli  atti
endoprocedimentali  del  procedimento elettorale, osserva il Collegio
che,  se  e'  vero,  ovviamente, che il giudice di primo grado non e'
tenuto  al  rispetto  del  precedente  costituito dalle decisioni del
giudice  di  appello,  che nei suoi confronti non esplicano efficacia
vincolante  (a  differenza di quanto e' statuito dall'art. 384, primo
comma,  c.p.c.,  per  il  giudice  di  rinvio che deve uniformarsi al
principio  di  diritto  enunciato dalla Corte di cassazione allorche'
accoglie  il  ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di
diritto), e' altresi' vero che la interpretazione del CGA al riguardo
e -  per  il suo contesto motivazionale - di tale portata da assumere
indubbio   rilievo  in  relazione  alla  insopprimibile  esigenza  di
assicurare,  comunque  nei  limiti  della  liberta'  di coscienza del
giudice, la certezza del diritto.
   Invero,  e'  appena  il  caso  di  richiamare  i consueti principi
ordinamentali,  secondo  cui  la  certezza  del  diritto, o sicurezza
giuridica,  e'  un vero e proprio corollario dell'astrattezza e della
generalita'   della   norma  giuridica,  posto  che  la  efficacia  e
l'effettivita'  del precetto dipendono dal grado di affidabilita' che
tutti  i  soggetti  devono avere in ordine al trattamento che ad essi
sara'  riservato  non appena divengano destinatari concreti di quelle
situazioni   giuridiche   soggettive,  attive  o  passive,  che  sono
astrattamente  contemplate  dalla norma di riferimento, in dipendenza
del  verificarsi  dei fatti giuridici o delle condizioni pure in essa
norma  previsti (cfr. Tribunale amministrativo regionaleCatania, III,
ord.  n. 35 del 1° febbraio 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del 21 agosto 1996, 1ª serie speciale, n. 34).
   Per come sara' meglio evidenziato nel prosieguo, nell'ambito della
trattazione   delle  ragioni  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione   sollevata,   il  tema  della  possibilita'  di  ricorrere
immediatamente  contro l'esclusione o l'ammissione ad un procedimento
elettorale,  costituisce  uno  dei  temi forse piu' controversi nella
giurisprudenza   amministrativa   italiana,   fonte   di   una   tale
oscillazione  di  pronunce,  sia  di primo che di secondo grado (cfr.
infra,  sub  IV),  che  neppure l'autorevole intervento dell'Adunanza
plenaria,  con  la  citata decisione n. 10/2005, e' stato in grado di
sopire, non essendo essa riuscita a dirimere, come si vedra', i gravi
dubbi interpretativi e di tutela sostanziale che pone la norma di cui
all'art.  83/11  del d.P.R. n. 570/1960 (introdotto dall'art. 2 della
legge   23   dicembre  1966,  n. 1147,  le  cui  norme  di  carattere
procedurale  sono  tuttora  vigenti in quanto richiamate dall'art. 19
dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034), norma che puo' essere definita
come  un  vero  e  proprio  relitto giuridico proveniente da un'epoca
segnata  da  un  sistema  assai  diverso  di  tutela  e sopravvissuta
nell'attuale ordinamento, senza esservi piu' ben coordinata.
   Cio'   posto,   deve   osservare  il  Collegio  che  un  contrasto
giurisprudenziale  cosi'  accentuato e prolungato nel tempo si rivela
quanto  mai  dannoso  sia  in  relazione  all'azione  della  Pubblica
Amministrazione  a  tutela degli interessi pubblici, che in relazione
all'assetto  degli  interessi  legittimi in contestazione, tanto piu'
ove   essi   (come   nel   caso   di  specie)  accedono  alla  tutela
dell'esercizio dei diritti politici di elettorato attivo e passivo.
   Pertanto,  il  tribunale,  prendendo  atto  dell'orientamento  del
proprio  esclusivo  giudice  di  appello,  che  assume  come «diritto
vivente»,  osserva  che  la  questione  di  costituzionalita'  di cui
trattasi riveste necessariamente carattere di rilevanza al fine della
decisione definitiva sulle domande introdotte con i gravami in esame:
come  accennato  prima,  applicando  la  regola della «concentrazione
processuale»  fatta  propria dalla giurisprudenza del C.G.A., i primi
due  ricorsi  dovrebbero  essere  respinti per «intempestivita» ed il
terzo per carenza di interesse.
   Come  reiteratamente  affermato  dalla  Corte costituzionale, deve
ritenersi   rilevante   e   quindi   ammissibile   la   questione  di
costituzionalita'   di  una  norma  di  legge  allorche'  il  giudice
remittente,   pur  mostrando  di  non  condividere  l'interpretazione
consolidatasi nella giurisprudenza, non ne pretende una revisione sul
piano  ermeneutico,  bensi', assumendo proprio quella interpretazione
come  «diritto  vivente»,  ne  chiede  una  verifica  sul piano della
costituzionalita'  (che  pacificamente  rientra  nel  sindacato della
Corte:  cfr.  sent.  n. 188 del 23 maggio 1995, n. 58 del 24 febbraio
1995,  n. 110  del  6  aprile  1995,  n. 345 del 21 luglio 1995; cfr.
inoltre  la  gia'  richiamata  ordinanza  di rimessione del Tribunale
amministrativo regionaleSicilia, III, n. 35/1996).
   La stessa Corte ha, del resto, significativamente precisato che la
questione  di  legittimita' costituzionale e' validamente posta anche
quando  il  giudice  a  quo,  affermando  motivatamente  di  dubitare
dell'orientamento  giurisprudenziale  prevalente o dominante, Ritiene
di  dovere  applicare  la  disposizione  contestata  in un diverso od
opposto  significato  normativo, sempreche' l'interpretazione offerta
non  risulti  del  tutto  implausibile ovvero arbitraria (Corte cost.
sent.  n. 58/1995,  punto  2  della motivazione che richiama numerosi
precedenti  giurisprudenziali  della  medesima  Corte; ord. Tribunale
amministrativo regionaleSicilia, III, 35/1996).
   Muovendo, pertanto, dalla constatazione del suesposto orientamento
ermeneutico  inerente la norma in esame, fatto proprio dal giudice di
appello,  e  rilevandone  l'evidente  contrasto  con  le  norme  ed i
principi costituzionali a tutela del diritto di difesa e di azione in
giudizio,  nonche'  del  diritto di elettorato attivo e passivo e del
relativo  diritto  di partecipare alla formazione della vita politica
di  governo  degli  enti  locali, il tribunale non puo' che trarne le
logiche   ed  inevitabili  conclusioni  affermative  in  ordine  alla
sussistenza  del primo requisito prescritto dalla legge (la rilevanza
della questione) affinche' il giudice a quo possa sollevare questioni
di costituzionalita'.
Sulla non manifesta infondatezza.
   Quanto   al  requisito  della  non  manifesta  infondatezza  della
questione   di  costituzionalita'  di  cui  si  discute,  ritiene  il
tribunale  che,  alla  stregua  della interpretazione restrittiva del
C.G.A.   e   del  Consiglio  di  Stato  dell'art.  83/11  del  d.P.R.
n. 570/1960,  introdotto  dall'art.  2  della legge 23 dicembre 1966,
n. 1147  (da assumere quale diritto vivente), tale disposizione (o la
predetta  disposizione  intesa  come  limitativa della proponibilita'
immediata del giudizio contro l'atto di esclusione o di ammissione di
una  lista  o  di  un  candidato  alle  elezioni)  appare  gravemente
illegittima  per  violazione  degli  artt.  3,  24, 48, 49, 51, 97 e,
particolarmente, 113 della Costituzione.
   I  diversi profili di illegittimita' costituzionale della norma in
esame possono essere esposti come segue.
I) Violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione.
   La  norma  tratta  dall'art.  n. 83/11  citata e' in contrasto con
l'art.  24  della  Costituzione,  che recita: «Tutti possono agire in
giudizio  per  la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La
difesa   e'   diritto   inviolabile   in   ogni  stato  e  grado  del
procedimento..»  e  con  l'art.  113  della Costituzione, che recita:
«contro  gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la
tutela  giurisdizionale  dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi
dinanzi  agli  organi  di giurisdizione ordinaria o amministrativa...
tale  tutela  giurisdizionale  non  puo'  essere esclusa o limitata a
particolari mezzi di impugnazione o a particolari categorie di atti».
   Come  sara'  meglio argomentato oltre, l'impedimento a proporre il
ricorso   ex   art.   83/11  cit.,  unico  caso  nell'Ordinamento  di
preclusione  processuale  all'esercizio  dell'azione  in  presenza di
fatto o evento o atto lesivo, costituisce una limitazione del diritto
di  difesa a particolari mezzi di impugnazione (e cioe' soltanto alla
tutela  di  merito,  con  esclusione  della  tutela  cautelare)  ed a
particolari categorie di atti (e cioe' soltanto quelli conclusivi del
procedimento,    con    esclusione   di   quelli   endoprocedimentali
immediatamente  lesivi,  posti  in  essere  prima della proclamazione
degli eletti nell'ambito del procedimento elettorale).
   Tale  limitazione  e'  apertamente  giustificata e sostenuta dalla
giurisprudenza  che  aderisce  all'impostazione  di  A.P.  n. 10/2005
facendo  proprio  il  principio della «concentrazione processuale dei
mezzi  di  tutela»,  cosi'  come da essa e' riconosciuto il carattere
immediatamente  lesivo degli atti infraprocedimentali di ammissione o
esclusione  della  lista  o del candidato, pervenendo, ciononostante,
alla  conclusione  secondo  cui e' legittima la suddetta riduzione di
tutela.
   Tuttavia,  viene  esclusa  la  illegittimita' costituzionale della
suddetta   limitazione,   in   quanto   avente   carattere   di  mera
temporaneita':  invece,  ad  avviso del Collegio (come gia' affermato
dalla  Sezione, sia pure incidentalmente, nella sentenza n. 2380/2006
sopra   richiamata   e   ritenuto,  anche  se  con  diverso  contesto
motivazionale,  nella  sentenza  n. 1357/2006)  tale  limitazione  e'
illegittima anche se temporanea e, comunque, diviene impedimento vero
e   proprio   della  difesa  giudiziale  (non  solo  temporaneo),  se
l'interprete   si   colloca   sul  piano  sostanziale  dell'interesse
elettorale  (in  merito a quest'ultimo aspetto, si veda il successivo
par. II).
   Invero, a giudizio del Collegio, la norma nella interpretazione in
esame determina l'inammissibile elisione della tutela cautelare e con
essa  di  interessi  sostanziali, perche', per quanto provvisoria, la
tutela   interinale   risponde   comunque   a   precisi  requisiti  e
presupposti,   riassunti   nella   formula   del   «danno   grave  ed
irreparabile»:  in  questi casi, invero, o la tutela e' interinale o,
per definizione, non e' tutela.
   In altre parole, e' contraddittorio ritenere che essa possa essere
posticipata  nel  tempo  a fronte di un evento che per definizione e'
attualmente  lesivo ed irreparabile: assumere che la tutela cautelare
possa  essere  neutraliter  posticipata  equivale  ad  un  non senso,
poiche'  il  suo presupposto giuridico (parte del diritto alla difesa
costituzionalmente  garantito,  Corte cost. 27 dicembre 1974, n. 284;
Corte  cost.  n. 403/2007  dep.  il  30  novembre 2007) e' costituito
proprio   della   indifferibilita'   della   tutela   a   pena  della
irreparabilita' del danno.
   La norma in esame determina, pertanto, a giudizio del Collegio (ed
anche  secondo  la  maggioranza dei piu' attenti commentatori che, in
dottrina,  hanno trattato l'argomento), una soppressione della tutela
cautelare   rispetto   agli  atti  endoprocedimentali  immediatamente
lesivi,  per tutta la serie dei casi in cui, una volta partecipato (o
non partecipato a seconda dei casi) alle consultazioni elettorali, in
relazione al concreto interesse fatto valere, l'eventuale ripetizione
delle  elezioni determinera' una differenza di contesto rilevante per
le  parti,  cosa  che  potrebbe portare le parti medesime a non avere
piu'  interesse alle consultazioni successive (cio' che puo' avvenire
per   mutati   contesti  politici  che,  al  momento  delle  elezioni
contestate, erano invece favorevoli all'interessato).
   Questi   argomenti   necessitano   essere   meglio  sviluppati  ed
approfonditi.
   Ia)   In   primo   luogo,  va  ritenuto  che,  con  la  disciplina
dell'istituto  di cui al citato art. 83/11, il legislatore ha espunto
la    tutela    cautelare    dal   giudizio   elettorale,   impedendo
l'esperibilita' di uno strumento di tutela, componente essenziale del
diritto di difesa, senza che sussistano motivate ed effettive ragioni
di  tutela  di  interessi pubblici prevalenti su quest'ultimo diritto
costituzionalmente   garantito   (cfr.  in  merito  alla  assenza  di
effettive  ragioni  giustificative  della  disparita' di trattamento,
quanto sara' esposto sub IV).
   Tale  limitazione  deriva,  da  un primo angolo visuale, in via di
fatto:  pure  ammettendo  formalmente che dopo la proclamazione degli
eletti   il   ricorrente  elettorale  puo'  chiedere  la  sospensione
cautelare  dell'atto conclusivo del procedimento elettorale, per vizi
attinenti  alla  fase  dell'ammissione  delle  liste,  e'  facilmente
intuibile  come,  una volta celebratesi le elezioni e venuti cosi' ad
esistenza i rinnovati organi amministrativi elettivi, l'efficacia dei
provvedimenti  lesivi  relativi  alla ammissione o alla esclusione di
candidati  o  liste  e'  definitivamente consumata e quindi qualsiasi
esigenza di tutela di posizioni dei singoli candidati o delle singole
formazioni  politiche  sara' logicamente recessiva, nel bilanciamento
degli  interessi,  di  fronte  all'esigenza  di pubblico interesse di
consentire  il  funzionamento  degli  organi  elettivi  proclamati in
carica  a  fronte della richiesta di sospendere atti i cui effetti si
sono oramai completamente prodotti.
   Ib)  Inoltre,  sotto  un profilo di rigorosa interpretazione della
disciplina  dell'istituto  del  processo elettorale come disciplinato
dall'art.  83/11  cit.,  la tutela cautelare di cui all'art. 21 della
legge  n. 1034/1971  non solo diviene praticamente impossibile, ma e'
anche  formalmente  inapplicabile:  se il termine per ricorrere viene
fatto  decorrere  dalla  proclamazione degli eletti (e si considerano
quindi  come  non  oppugnabili  in  se'  gli atti infraprocedimentali
lesivi,  ossia  come  se non fossero produttivi di un «arresto») tale
deroga  al sistema ordinario di tutela processuale amministrativa non
puo'  che  condurre  l'interprete  a  ritenere  che la disciplina del
processo elettorale e' esaustivamente contenuta nella disposizione in
esame  che  non  contempla  alcuna  previsione  di  misure cautelari.
Considerazione  quest'ultima  facilmente sostenibile, se solo si pone
attenzione al fatto che la genesi dell'istituto risale ad un contesto
storico  e  normativo  completamente  differente  dall'attuale,  che,
invece,  conosce  uno  sviluppo  della  misura  cautelare  giudiziale
amministrativa particolarmente articolato e complesso.
   Se  si  considerasse,  invece,  come  aveva ritenuto la precedente
giurisprudenza,  che  l'art.  83/11 disciplina solo il termine finale
per  la  proposizione del gravame, derogando quindi l'istituto di cui
all'art.  21,  legge  n. 1034/1971  solamente in relazione al computo
finale del suddetto termine, allora potrebbero trovare applicazione i
principi   generali   in   tema   di   decorrenza   del   termine  e,
conseguentemente,  sarebbe  possibile l'integrazione della disciplina
delle  due  disposizioni  in  esame  (artt.  21, legge n. 1034/1971 e
n. 83/11  d.P.R.  n. 570/1969)  anche  con  riferimento  alla  tutela
cautelare;   sul   piano   sostanziale,   peraltro,  cio'  troverebbe
corrispondenza    nel   fatto   che,   in   presenza   di   un   atto
infraprocedimentale che non ha ancora esaurito gli effetti, e' ancora
materialmente  possibile  intervenire  per  correggere l'azione della
p.a.  e  consentire  il regolare andamento del procedimento, funzione
cui appunto assolve la misura cautelare.
   A  giudizio  del  Collegio,  la  non  manifesta infondatezza della
questione,   nei   termini   esposti,   e'   dimostrata  anche  dalla
recentissima  pronuncia  della  Corte  costituzionale,  n. 403 del 30
novembre  2007,  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale del 5 dicembre
2007,  emessa in relazione all'art. 1, comma 11 della legge 31 luglio
1997, n. 249, nella parte in cui inibisce la proposizione del ricorso
giurisdizionale  prima del tentativo obbligatorio di conciliazione e,
con   essa,   anche  la  tutela  cautelare:  in  questa  fattispecie,
strutturalmente   non  dissimile  da  quella  all'odierno  esame  del
tribunale, la Corte, richiamando la propria giurisprudenza in materia
di  tutela  cautelare, ha respinto la questione sollevata, affermando
(nonostante  la  dizione  espressa  della norma) che essa e' comunque
possibile  anche  prima  del  tentativo di conciliazione obbligatoria
(ricorrendone   i   presupposti).   Tale  principio,  applicato  alla
questione   della  impugnabilita'  immediata  degli  atti  elettorali
endoprocedimentali,     dovrebbe    condurre    a    confermare    la
incostituzionalita'  dell'orientamento  del  giudice  di  appello che
questo  remittente  considera  quale  diritto  vivente,  posto che, a
differenza  della  norma  di  cui  all'art.  1,  comma 11 della legge
n. 249/1997,  l'art.  83/11  non  e'  neppure  certo che possa essere
letto,   sintatticamente,   come  vorrebbe  la  giurisprudenza  della
«concentrazione processuale» (cfr. oltre, quanto esposto sub IV e V).
II)  Violazione  degli artt. 24 e 113 sotto altro profilo; violazione
degli artt. 48, 49 e 51 della Costituzione (violazione del diritto di
elettorato passivo ed attivo). Violazione art. 3 della Costituzione e
del  principio  di  eguaglianza  sostanziale. Violazione dell'art. 97
della Costituzione.
   Consegue  a  quanto  esposto  che il legislatore, in caso di esito
vittorioso  della  lite,  limita  il  risarcimento in forma specifica
(costituito  dalla  partecipazione  al  procedimento  elettorale  del
ricorrente  oppure  dalla esclusione del controinteressato ammesso al
procedimento  elettorale)  di  colui o coloro i quali sono stati lesi
dal  provvedimento  illegittimo  dell'Autorita' solo al rinnovo delle
operazioni  elettorali,  che  avverra'  per  ovvi  motivi in un tempo
successivo a quelle comunque gia' celebratesi.
   Ma  in  questo  modo  viene  gravemente  compromesso, oltre che il
diritto  di  difesa, anche il diritto di elettorato attivo e passivo,
ed  il  diritto,  connesso,  di  partecipare  alla  formazione  della
volonta'   politica  dei  Corpi  amministrativi  locali,  secondo  la
disciplina tutelata agli artt. 48, 49 e 51 della Costituzione.
   Conseguentemente,  viene  altresi'  leso  anche  l'art.  97  della
Costituzione, in quanto il deficit di tutela cautelare impedisce alle
parti  di  ottenere  l'azione correttiva del giudice quando ancora e'
possibile  intervenire  per  ripristinare la legittimita' dell'azione
amministrativa,  a  maggiore  garanzia della stabilita' del risultato
elettorale e degli organi eletti in carica.
   IIa)  Per  i  competitori  politici, ottenere la ripetizione in un
tempo  successivo della competizione elettorale, in caso ragione, non
e' realmente satisfattivo.
   Il  vizio  di  fondo  di  tale  impostazione,  sta nel fatto che -
acriticamente   e   formalisticamente -  si  tratta  la  competizione
elettorale   come  se  fosse  equivalente  ad  procedimento  di  gara
d'appalto  o un concorso per pubblici impieghi. Questi ultimi, pero',
sono procedimenti interamente ed esclusivamente soggetti all'evidenza
pubblica  disciplinata  dalle  regole meccanicistiche contenute nella
lex  specialis  e  nelle norme di riferimento, presupposti normativi,
quindi, che non mutano nella eventualita' di una loro ripetizione nel
tempo.  Invece,  la  competizione  elettorale  avviene in un contesto
specifico,  nel tempo mutevole, che costituisce specifico e peculiare
oggetto  di  interesse  per  chi vi partecipa, nella sua attualita' e
concretezza storica.
   IIb)  Il competitore elettorale sa bene, intanto, che preparare la
candidatura  implica  una  disposizione  di  risorse  ed energie, sia
organizzative   che   finanziarie   ed   economiche,  non  facilmente
ripetibili (specie per le formazioni politiche minori, come i piccoli
partiti  nazionali  o le liste civiche locali); in ogni caso, la loro
reiterazione e' sicuramente un impegno ed un onere rilevante che gia'
di  per  se'  incide,  limitandolo  senza  ragione,  sul  diritto  di
elettorato passivo.
   Ma,  piu' radicalmente, si consideri che l'elettorato e' esposto a
comunemente   noti  fattori  di  influenza  che  alterano  il  quadro
politico: si pensi, specie nelle elezioni comunali, a quanto varie si
rivelano  le  disparate  questioni locali; ma anche a quale incidenza
esercitano  sugli  elettori  quelle  nazionali, o la percezione della
situazione  economica  o  del  contesto  sociale,  gli avvenimenti di
particolare  clamore, e finanche gli scenari internazionali, a tacere
poi degli schieramenti e delle alleanze politiche.
   Infine,  cio'  che  al  Collegio  pare  dimostrare  l'assoluta non
omogeneita' tra due procedimenti elettorali reiterati nel tempo - con
conseguente  violazione del principio di eguaglianza sostanziale, del
principio  di  pari opportunita' nell'accesso alle cariche elettive e
nell'esercizio del diritto di elettorato passivo - e' che, nelle more
del  giudizio,  chi  ha  ottenuto la vittoria nelle elezioni invalide
continua  a  conversare  l'amministrazione  locale per un determinato
periodo  di  tempo (il tempo necessario a concludere il processo), il
che  non  e' ovviamente senza effetto sul consolidamento di posizioni
di  vantaggio  politico ottenute a danno di chi da quelle elezioni e'
stato  illegittimamente  escluso  o,  di  chi,  in esse, si e' dovuto
confrontare  -  subendoli  -  con  candidati  o  formazioni  che  non
avrebbero dovuto esservi ammessi (cfr. quanto esposto oltre, sub IV).
   Il decorrere del tempo, nella materia elettorale, non e' dunque un
fattore  neutrale:  ed  anche  il  legislatore  mostra apertamente di
considerarlo discriminante, quando vieta il rinnovo della candidatura
al  sindaco  dopo il secondo mandato. Anche in tal senso, infatti, si
riconosce  nell'esercizio del mandato elettorale della massima carica
politico-amministrativa  locale  un fattore di influenza del contesto
politico    atto   a   consolidarsi   in   posizioni   di   vantaggio
sostanzialmente  idonee  a  creare  rigidita'  tra le opportunita' di
altri  candidati  e,  come  tale,  viene appunto limitato in un tempo
massimo   posto   che,  intuibilmente,  la  ricaduta  politica  della
leadership  di  un primo cittadino influenza, avvantaggiandola, anche
la posizione dei componenti della sua coalizione.
   IIc) Anche le ricadute negative sull'elettorato della reiterazione
delle  votazioni  per  motivi  di  illegittimita'  nell'ammissione  o
esclusione  di  liste, sono virtualmente irreparabili e cio' comporta
la  violazione delle norme costituzionali in epigrafe sotto l'aspetto
della  lesione  del  diritto  di  elettorato  attivo,  connesso  alla
esigenza    di    tendenziale    certezza    nella    stabilita'    e
nell'affidabilita' degli schieramenti che si sottopongono al giudizio
dell'elettorato  (aspetto e ragione di tutela, questa, che la sezione
aveva    particolarmente    considerato    nella   citata   pronuncia
n. 2380/2006).
   Si  pensi,  a  tacer  d'altro,  all'impatto negativo in termini di
sfiducia da parte degli elettori nei confronti del sistema elettorale
(e delle regole democratiche che lo connotano), che si determinerebbe
in chiunque fosse chiamato a ritornare nuovamente alle urne dopo poco
tempo  dalla  precedente consultazione e, magari, dopo un lungo lasso
di tempo con il comune retto da organismi commissariali (come appunto
e'  accaduto  nel  caso  della  citta'  di Messina, nella fattispecie
esaminata  da Tribunale amministrativo regionaleCatania n. 2380/2006,
e C.G.A. n. 907/2007).
   Non  a  caso,  peraltro,  sono  legittimati a ricorrere in materia
elettorale   i  cittadini  elettori,  perche'  ciascuno  di  loro  ha
interesse  giuridicamente  tutelato  a  poter  contare  su  un quadro
politico  certo,  nell'ambito  del quale formare la propria scelta ed
esprimere  il  voto, la cui centralita' nel sistema democratico e' di
tale evidenza che non necessita commento o esposizione alcuna.
   Quindi,  sottrarre  l'interesse  al ricorso del cittadino elettore
alla  possibilita'  di  una  tutela  immediata, significa costringere
colui   che,  nella  espressione  del  voto,  sente  di  essere  leso
dall'ammissione   o   dalla   esclusione  che  reputa  illegittima  a
sopportare  la  celebrazione  di una competizione elettorale che egli
chiedera'  di  annullare  e,  in  definitiva,  concorre a scoraggiare
l'affluenza alle urne e la partecipazione al voto.
   IId)  Per le suesposte ragioni appare evidente anche il profilo di
illegittimita'   che  induce  a  ritenere  violato  l'art.  97  della
Costituzione:     il     differire    l'impugnazione    degli    atti
endoprocedimentali  all'esito  della  competizione elettorale finisce
con   il  fare  gravare  con  assoluta  sicurezza  il  rischio  della
invalidita'    dell'intero    procedimento    e   della   invalidita'
dell'insediamento dei nuovi organi rappresentativi, con necessita' di
ricorrere  a  gestioni  commissariali  che  interrompono  il naturale
andamento  del  governo dell'ente locale (il commissario e' un organo
di  governo per definizione straordinario, perche' non legittimato da
una   votazione  popolare  e  dunque  derogante  al  principio  della
democraticita' del governo dell'ente).
   Vero  e'  che  tale rischio non e' eliminato dall'ammissione della
immediata  impugnazione  degli  atti  endoprocedimentali lesivi (cfr.
oltre  sub  IV):  ma,  in  ogni  caso,  tale considerazione induce il
Tribunale a ritenere (come, appunto, sara' meglio esposto sub IV e V)
che  e' proprio la disciplina dell'art. 83/11 ad essere carente sotto
questo   aspetto,   qualsiasi   possa   essere   la   sua  differente
intepretazione.  E  comunque,  tra  l'ammettere  la  tutela immediata
contro  gli  atti  endoprocedimentali  ed  il  differirla  al momento
successivo  alla  proclamazione degli eletti, non pare dubitabile che
la  efficacia  e  la  efficienza  del  procedimento elettorale, sotto
l'aspetto  della stabilita' del risultato elettorale, sono certamente
aiutate  dall'intervento  tempestivo  del  giudice,  quantomeno nella
misura  in  cui  una  revisione  dei  motivi  di censura che le parti
possono far valere (e che avranno gia' proposto all'Autorita) induce,
gia'  per  semplice  evidenza  logica  e probabilistica, a ridurre il
rischio  dell'errore,  anche  se l'intervento del giudice e' limitato
(ratione temporis) alla sola fase cautelare.
III)    Contrasto    implicito   con   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale (sent. n. 154/1995).
   Quanto  esposto  in  precedenza  trova  esplicita  conferma  nelle
considerazioni  che gia' altro giudice remittente aveva fatto proprie
nel  denunciare  alla  Corte  costituzionale la illegittimita' di una
norma  regionale che, disponendo in materia elettorale, espressamente
impediva la impugnabilita' degli atti endoprocedimentali.
   Piu'   precisamente,   si   fa   riferimento   alla  questione  di
legittimita'  costituzionale  sollevata  dal Tribunale amministrativo
regionalePalermo  con  ordinanze  nn.  766,  767,  768, 769, 770, 771
dell'11  ottobre  1994,  pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale 1ª s.s.
n. 3  del  18 gennaio 1995, in relazione alla norma: regionale di cui
alla  legge  regionale  Sicilia n. 11 del 5 aprile 1952 art. 22. Tale
norma  (a  differenza di quello della norma nazionale) era chiara nel
recare  la  «previsione  della  impugnabilita'  delle decisioni della
commissione  elettorale mandamentale con ricorso, anche di merito, al
Consiglio  di  giustizia  amministrativa, dopo la proclamazione degli
eletti   e   non  oltre  un  mese  dalla  stessa».  La  questione  di
legittimita'  costituzionale  e'  stata  sollevata  per  la  ritenuta
violazione   del   principio  affermatosi  nella  giurisprudenza  del
Consiglio  di Stato della immediata impugnabilita', ancor prima della
proclamazione  degli eletti, del decreto di indizione delle elezioni,
dell'ammissione   od   esclusione  di  lista  o  di  candidati  dalla
competizione  elettorale  con  eccesso  dai  limiti  della competenza
legislativa  della  Regione  e  quindi  per la ritenuta incidenza sul
diritto   di   difesa   in   giudizio,  sul  principio  della  tutela
giurisdizionale,   nonche'  sui  principi  di  imparzialita'  e  buon
andamento della p.a. (in relazione agli artt. 3, 24, e 97 Cost).
   Piu'   precisamente,  il  giudice  a  quo  dopo  aver  ricostruito
l'evoluzione  (a quella data) della giurisprudenza amministrativa sul
tema,   che  era  pervenuta  a  ritenere  ammissibile  l'impugnazione
immediata   dell'atto   endoprocedimentale   immediatamente   lesivo,
censurava  la  norma  regionale  siciliana  indicata poiche' essa era
applicata dal C.G.A. per negare l'ammissibilita' di tale impugnativa.
Per  tale  ragione, ritenuta la disparita' di trattamento processuale
dei cittadini siciliani rispetto a quelli del resto della Nazione (ai
quali  era  riconosciuta  la possibilita' di ricorrere immediatamente
avverso   gli  atti  endoprocedimentali  immediatamente  lesivi),  ed
essendo  stata  emanata  detta  norma  in  una materia (la disciplina
processuale)  interdetta al legislatore regionale, se ne sollevava la
questione di legittimita' costituzionale.
   La  Corte  costituzionale, con sentenza n. 154/1995, ha dichiarato
incostituzionale  l'art.  22 della l.r. Sicilia 5 aprile 1952, n. 11,
«poiche'  detta  disposizione,  nella  parte riprodotta dall'art. 18,
ultimo  comma,  del  decreto  del Presidente della regione Ssiciliana
n. 3   del  1960,  ...  .,  fuoriesce  dai  limiti  della  competenza
legislativa  di tipo esclusivo che l'art. 14, lettera o), e l'art. 15
dello Statuto speciale attribuiscono alla medesima regione in materia
di regime degli enti locali e delle relative circoscrizioni».
   Tuttavia,  va  rilevato che, anche se la norma regionale siciliana
citata  e'  stata  annullata  dalla  Corte per superamento dei limiti
della  competenza  legislativa,  nella relativa sentenza non puo' non
riconoscersi   (per  effetto  indiretto  della  prospettazione  della
questione  da  parte  del  giudice  a quo) una implicita conferma del
contrasto  di  tale norma con il principio processuale dell'immediata
ricorribilita'  contro  gli  atti lesivi anteriori alla proclamazione
degli eletti.
   Nella  pronuncia  in esame, infatti, e' stato ritenuto che «non si
e'  in  presenza  di  un ''rinvio improprio'', cioe' di un'ipotesi di
legge   regionale   che  richiama  una  legge  statale,  di  per  se'
applicabile  al  solo fine di facilitare l'individuazione delle norme
regolanti i rapporti indicati (v. sentenza n. 304 del 1986), ma si ha
a  che  fare  con  disposizioni  di  legge regionale, sostanzialmente
riproduttive di norme statali, che disciplinano un aspetto del regime
delle  impugnazioni,  vale  a  dire  un profilo inerente alla materia
giurisdizionale e processuale».
   Per  tale  ragione,  prosegue  la Corte, «poiche' la disciplina di
tale  materia, in base all'art. 108, primo comma, della Costituzione,
spetta  esclusivamente  alla  legislazione statale e rispetto ad essa
gli  organi  legislativi  regionali,  nel  disciplinare  gli  oggetti
rientranti  nelle  loro  competenze, anche di tipo esclusivo, debbono
astenersi da qualsivoglia interferenza, si deve pervenire, secondo la
costante  giurisprudenza  di  questa  Corte (v., ad esempio, sentenze
n. 76 del 1995, n. 303 del 1994, n. 210 e n. 113 del 1993, n. 505 del
1991,  n. 203  del  1987,  n. 72  del  1977),  alla  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata»).
   La  differenza lessicale tra le due disposizioni, quella regionale
e  quella  nazionale,  palesemente rappresentata dal giudice a quo e'
dunque il presupposto logico della questione sollevata ed e' altresi'
il  presupposto logico-giuridico dell'avvenuto superamento del limite
della  potesta'  legislativa  regionale:  se  le  norme fossero state
identiche,  allora non sarebbe sorta alcuna differenza interpretativa
tra  la  giurisprudenza  di  appello  regionale  e  quella  del resto
d'Italia e si sarebbe dovuta riconoscere alla norma regionale il solo
mero  valore  ricognitivo,  o  di  richiamo  della  norma  nazionale,
finalizzata ad agevolare l'interprete (cfr. Corte cost. n. 304/1986),
che  non  avrebbe  giustificato  la  decisione  di accoglimento della
questione proposta dai giudici a quo, cosi' come invece emessa.
   Nel  pensiero  della Corte, come espresso nella sentenza in esame,
la  locuzione  «sostanzialmente  riproduttiva  di  quella  nazionale»
appare   soprattutto   la  indicazione  della  coincidenza  materiale
dell'ambito di disciplina sotteso alla norma regionale (ossia materia
processuale),  non  certo come espressiva di un giudizio di identita'
dei contenuti.
   Da   cio'   deriva,  invero,  che  la  norma  regionale  e'  stata
considerata   dalla   Corte  come  non  solo  adottata  al  di  fuori
dall'ambito   legislativo  regionale,  ma  soprattutto  come  recante
differente contenuto da quella nazionale.
   Non puo' non osservarsi, quindi, che la intepretazione di «diritto
vivente»  della  norma di cui all'art. 83/11, imposta dalla rinnovata
giurisprudenza  del Consiglio di Stato e del C.G.A., fornisce pratica
applicazione alla norma «materiale» gia' dichiarata incostituzionale,
con   la  ulteriore  (abnorme)  conseguenza  che  la  suddetta  norma
«materiale»,  espunta  nel 1995 dall'Ordinamento regionale, e' venuta
adesso a trovare applicazione in tutto il territorio nazionale.
IV)  Violazione dell'art. 3 della Costituzione - irrazionalita' della
norma -   disparita'  di  trattamento  processuale  -  disparita'  di
trattamento  sostanziale  tra  i  candidati  alle  elezioni  locali e
violazione  degli  artt.  3, 51 primo comma, primo inciso, e 97 della
Costituzione.
   La norma in esame, come visto, e' causa di limitazioni del diritto
di difesa, nonche' dei diritti politici attivi e passivi; essa causa,
inoltre,  grave  disparita'  di  trattamento  e  si rivela affetta da
illogicita'  oltre che contraddittorieta' con la materia del processo
amministrativo   e   la   piu'  generale  connotazione  dei  principi
processuali generali sotto vari aspetti.
   In   ipotesi  che,  rispetto  alla  materia  elettorale,  sono  di
altrettanta  gravita'  ed importanza per l'interesse pubblico ad esse
connesso  (cfr.  le  materie  di  cui  all'art.  23-bis  della  legge
n. 1034/1971)  rispetto  agli  atti endoprocedimentali immediatamente
lesivi  e'  oggi  possibile una intensa e celere tutela sia cautelare
che   di  merito,  ed  addirittura  la  tutela  ante  causam  con  la
possibilita' del ricorso al decreto monocratico di cui all'art. 21 l.
t.a.r.
   Si  pensi,  ad  esempio,  al caso paradigmatico della impugnazione
dell'aggiudicazione  provvisoria  o  di  altro  atto  intermedio  del
procedimento  di  gara  (o  di  pubblico  concorso),  la  quale viene
considerata     dalla     giurisprudenza     «mera    facolta'    del
controinteressato»   che   puo'   anche  attendere  l'emanazione  del
successivo  provvedimento  di  aggiudicazione  definitiva  al fine di
gravare quest'ultimo con tutti i provvedimenti presupposti precedenti
(ex  multis,  da ultimo, Tribunale amministrativo regionaleLombardia,
Milano,  I,  22  novembre  2007,  n. 6410;  Tribunale  amministrativo
regionaleAbruzzo,  Pescara,  I, 20 ottobre 2007, n. 833; Consiglio di
Stato,   V,   9   ottobre  2007,  n. 5253;  Tribunale  amministrativo
regionaleCampania, Salerno, I, 27 settembre 2007, n. 1991). In questi
casi, si e' addirittura affermato che l'impugnazione della esclusione
dalla    gara    puo'   ed   anzi,   deve   essere   proposta   prima
dell'aggiudicazione, la quale, poi, deve essere a sua volta impugnata
con  motivi  aggiunti,  in  quanto  solo  cosi'  si  tutelano «quelle
esigenze di speditezza, di concentrazione processuale e di prevalenza
della  tutela  in  forma  specifica  che  permeano  e giustificano il
peculiare regime normativo della tutela giurisdizionale in materia di
appalti  pubblici»  (cfr.  Consiglio  di  Stato,  V,  1° agosto 2007,
n. 4268).
   Il contrasto processuale appare stridente, dunque, se si pone caso
al  fatto  che,  secondo  la  giurisprudenza  che  aderisce  all'A.P.
10/2005, le limitazioni e la (riconosciuta) disparita' di trattamento
sarebbero   giustificate   in   quanto  nel  procedimento  elettorale
opererebbe una esigenza di concentrazione particolare, finalizzata ad
evitare  ritardi  e  possibili manipolazioni del risultato elettorale
(cfr.  in  particolare C.G.A. n. 907/2007): medesime esigenze, queste
(ossia  la  concentrazione processuale, la speditezza e la prevalenza
della  tutela  in  forma specifica) che si riconoscono nel sistema di
tutela apprestata agli appalti di opere pubbliche (laddove, peraltro,
la   ripetizione   della   gara  rispetto  a  quella  originaria  non
avverrebbe,  come  invece  per  le  elezioni,  neppure in un contesto
mutevole,    essendo    soggetta   a   precise   regole   procedurali
meccanicistiche  e  determinate nella lex specialis) ove, come visto,
l'impugnativa immediata degli atti infraprocedimentali immediatamente
lesivi  e'  non  solo  possibile, ma da alcune pronuncie, considerata
necessaria.
   Ad  avviso  del  Collegio,  dunque,  l'esigenza  di  tutela che il
giudice  di  appello ha individuato nella norma non giustifica, sotto
l'aspetto  costituzionale in esame, ne' la restrizione dei diritti di
difesa, ne' la disparita' di trattamento processuale, per piu' ordini
di ragioni che possono essere esaminate come segue.
   IVa)  Ferma restando l'esigenza di tutelare la maggiore stabilita'
possibile  del  risultato  elettorale,  Osserva  il  Collegio  che la
vulnerazione  di  tale  interesse  pubblico,  ossia  cio'  che  (puo)
falsa(re)   l'andamento   corretto   e   tempestivo  della  scansione
procedimentale  elettorale  non  e'  l'intervento  del giudice, ma il
provvedimento   (di   esclusione   o   di   ammissione)   illegittimo
dell'Autorita'.
   Questa  semplice  considerazione  e'  del  tutto  pretermessa  dal
legislatore  quando  impedisce la immediata tutela giurisdizionale di
chi  viene  leso  dall'esclusione o dalla ammissione illegittima, nel
timore  di  azioni  strumentali  alla  alterazione  del  procedimento
elettorale.
   Invero, la prospettiva da cui muove l'A.P. n. 10/2005, puo' essere
simmetricamente     capovolta    (cfr.    Tribunale    amministrativo
regionaleCatania,  I,  sent.  n. 1357/2006 e quanto esposto oltre sub
IVb  e  V):  e,  comunque, si puo' osservare che le ragioni di tutela
desunte  dalla  ratio  della norma che l'Adunanza plenaria, nella sua
decisione  n. 10/2005,  ha  mostrato di condividere quale ragione per
negare  l'an  processuale  della esperibilita' del rimedio cautelare,
potrebbero  essere,  caso  per  caso,  altrettante motivazioni per un
rigetto  nel merito della domanda di tutela. Peraltro, riconoscere al
giudice  il  potere  di  ricevere  la domanda giudiziale e valutare i
presupposti  di una tutela cautelare (comprese le ragioni di gravita'
della  censura, della particolarita' del contesto, dell'apprezzamento
della  misura  da  adottarsi) appare al Collegio la migliore garanzia
contro  azioni  strumentali  (e  quindi a tutela dei principi sanciti
nell'art. 97 della Costituzione, come esposto prima sub II).
   IVb)  Il legislatore ha considerato che, stante la serrata cadenza
procedimentale  che  scandisce la tempistica elettorale, l'intervento
del   giudice   non  trova  materiali  spazi  di  intervento  (C.G.A.
n. 907/2007);  che,  anzi,  non  essendo  possibile  nei  termini del
procedimento elettorale una pronuncia definitiva e stante la naturale
precarieta'  della  tutela  cautelare,  tale  intervento introduce un
elemento  di  instabilita' nell'andamento della procedura elettorale,
utilizzabile secundum eventum litis (A.P. n. 10/2005).
   La  lettura  della ratio legis accolta nella giurisprudenza di cui
all'A.P.  n. 10/2005,  a  prescindere dai dubbi sulla razionalita' di
essa,   appare   esaurire   l'ambito  dell'indagine  sul  solo  piano
processuale, obliterando cosi' il sostrato sostanziale dell'interesse
elettorale e dei vizi del procedimento che lo ledono.
   Incidentalmente,   deve   osservare   il   Collegio   che  non  e'
condivisibile  l'opinione  secondo  cui la tutela cautelare non possa
essere assicurata compiutamente in breve termine o comunque con tempi
tali  da inserirsi nella scansione procedimentale, orientandola e non
alterandola:  invero,  nel  caso  esaminato dalla sentenza del C.G.A.
n. 907/2007  (ed oggetto della pronuncia del Tribunale amministrativo
regionaleCatania,  I  sezione,  n. 2380  del  28 novembre 2006) si e'
verificato  che la fase cautelare ha conosciuto un tempo notevolmente
lungo,  tanto  da  essere decisa unitamente al merito della causa, ma
cio'  e'  accaduto  per  fatti  eccezionali e niente affatto ordinari
(ovvero  l'impossibilita'  di  stabilire  il  contraddittorio perche'
alcuni  tra  i  controinteressati  non  risultavano  reperibili  agli
indirizzi  che  essi  stessi  avevano fornito in sede di accettazione
delle candidature), e quindi non e' esemplificativo del principio che
vorrebbe  trarne  la giurisprudenza che aderisce all'A.P. n. 10/2005,
rivelandosi  piu'  che  altro  una  eccezione alla regola dei tempi -
ordinariamente -  ristretti  della  fase  cautelare  (cfr.  Tribunale
amministrativo   regionaleCatania,   n. 2380/2006   e   le   connesse
ordinanze,  riportate  per  esteso  nel testo della motivazione della
sentenza).
   Ma, piu' approfonditamente, pare evidente al Collegio che la ratio
della  norma  sacrifica  i  diritti  effettivi di difesa non gia' per
assicurare  la  corretta  consultazione  elettorale  e la correlativa
formazione  della  volonta' del Corpo elettorale (esigenze queste che
secondo  la  giurisprudenza del giudice di appello giustificherebbero
la  diversita'  di  trattamento),  ma per assicurare, invece, solo la
cadenza  dei  tempi procedurali e quindi, in definitiva, per tutelare
il  lavoro  e  l'attivita'  degli  organi  preposti  al  governo  del
procedimento elettorale medesimo.
   Sul  piano sostanziale, infatti, ammettere o meno la esperibilita'
dei  rimedi  giurisdizionali  immediatamente  o dopo la proclamazione
degli  eletti  non  aumenta,  ne'  diminuisce, la possibilita' che le
elezioni  siano  travolte  dall'accoglimento  dei  gravami o dal loro
rigetto (a seconda dei casi).
   Cio'  che puo' incidere sulla stabilita' del risultato elettorale,
invero,  e'  solo il concreto andamento delle procedure elettorali ed
il  loro  riflesso  diretto  sulle  consultazioni  e  sulla  campagna
elettorale, in particolare circa i tempi della pubblicita' elettorale
ed   il  correlativo  grado  di  affidabilita'  che  l'elettore  puo'
raggiungere  circa  la  legittima  partecipazione  alle  competizioni
elettorali delle liste e dei candidati.
   Ad  esempio,  si  ipotizzi  innanzitutto  la fattispecie in cui si
ricorre  contro  un  provvedimento  di  esclusione  (di  lista  o  di
candidato).
   In  tale ipotesi, l'eventuale ammissione cautelare dell'esclusa/o,
non  confermata  da  una  pronuncia  nel merito favorevole alla parte
ricorrente  che  l'ha  ottenuta  e se ne e' avvantaggiata, segnerebbe
ovviamente  la  necessita'  di  ripetizione  delle elezioni (salvo il
caso,  peraltro  controverso in giurisprudenza, della incidenza della
prova  di  resistenza  sul  permanere  dell'interesse  a  ricorrere).
Tuttavia, ad analoga conclusione si dovrebbe egualmente pervenire se,
rinviata  l'esperibilita'  del  rimedio  giurisdizionale  a  dopo  la
proclamazione degli eletti, si ottenesse ex post l'annullamento della
esclusione.
   Speculare  appare  quindi  il  caso del gravame proposto contro la
illegittima ammissione di lista o candidato concorrente.
   In  questo  caso,  il  quadro  appare  simmetrico e capovolto: una
esclusione  giudiziale  in  sede  cautelare  di una lista o candidato
ammessi dall'Autorita' comportera', in caso di successivo rigetto del
gravame nel merito o di estinzione del giudizio per altre ragioni, la
necessita'  di  rinnovare  le procedure elettorali. Ma, analogamente,
l'ammissione   disposta   dall'Autorita'   e  gravata  solo  dopo  la
proclamazione  degli  eletti,  una  volta  che  il  relativo  ricorso
risultera'   accolto  nel  merito,  comportera'  anche  in  tal  caso
l'annullamento  delle  elezioni (salva, come l'ipotesi precedente, la
sola  prova  di  resistenza,  nei  limiti  in  cui se ne riconosca la
rilevanza).
   Pertanto,  ad  avviso  del Collegio, non si puo' escludere che, in
entrambi   gli   scenari   (sia  nella  prospettiva  della  immediata
ricorribilita'  che  in  quella  della concentrazione processuale dei
mezzi di tutela), si precostituisca un futuro titolo di invalidazione
delle  elezioni,  da  utilizzarsi  a  seconda  del loro esito: questa
considerazione,   peraltro,   ha  indotto  la  Sezione,  con  diversa
composizione  del  collegio,  ad invocare in materia l'intervento del
legislatore,  con  motivazioni che e' opportuno riportare per esteso,
nella    parte    di   interesse   (cfr.   Tribunale   amministrativo
regionaleCatania, I, n. 1357/06 del 10 agosto 2006).
   Dopo  aver  ricordato le motivazioni della pronuncia dell'Adunanza
plenaria  n. 10/2005,  la  sezione afferma che «non puo' dirsi... che
sotto il profilo degli effetti l'esclusione di una lista possa essere
equiparata alla illegittima ammissione. Invero, posto che nel secondo
caso  dopo l'espletamento dello scrutinio e della proclamazione degli
eletti  sara'  possibile  verificare  la  refluenza della illegittima
ammissione  di  una  o  piu'  liste  (con la prova di resistenza)...,
questo  stesso  risultato  sara'  comunque pregiudicato nella diversa
ipotesi  di  illegittima esclusione di una lista, la quale, in quanto
esclusa,   non   potra'   mai   manifestare   l'influenza  della  sua
partecipazione in seno alla competizione elettorale... Probabilmente,
un  giusto  punto di equilibrio sarebbe possibile mediante la riforma
della  disciplina  elettorale,  con  la  previsione  di una immediata
necessita'  di  impugnazione  nei  casi  di provvedimenti riguardanti
l'ammissione   delle  liste,  accompagnata  con  l'anticipazione  dei
termini  per  la  presentazione  delle  stesse e con la riduzione dei
termini processuali.
   In  sintesi,  sarebbe  auspicabile  una  procedura simile a quella
prevista  per  le  elezioni nazionali, che appare compiuta rispetto a
detta  fase  (cfr.  Tribunale  amministrativo regionaleCatania, I, 22
aprile  2006,  n. 629;  10  luglio  2006, n. 1143). ...... . In altri
termini,  il  regolare  svolgimento  delle  elezioni  e la pedissequa
possibilita'  di impugnativa delle fasi antecedenti e compiute, quali
quelle relative all'ammissione delle liste elettorali, proprio per la
sicura  incidenza  sul  risultato  elettorale finale (determinato, si
sottolinea,  dalla libera scelta dei cittadini elettori), non possono
essere  lasciate  alle  scelte, anche ''strategiche'', dei cittadini,
oveppiu',  come  nel  caso di specie, siano essi, per altro, in parte
candidati non eletti. ... Il Collegio, in tal senso, ritiene di dover
sottolineare  come,  nel  caso  di  specie,  l'intervento del giudice
amministrativo  non venga invocato al fine di correggere il risultato
elettorale  rispetto  ad espressioni di voto malamente valutate dagli
organi  elettorali  a cio' preposti, ne' di evidenziare irregolarita'
intervenute nelle singole sezioni durante le operazioni di scrutinio,
ma  si  rivolga  ad  una  fase anteriore ed autonoma del procedimento
elettorale.
   Pertanto, il giudizio, pur essendo volto a sindacare l'illegittima
partecipazione  o  esclusione di liste - rilevabile, diversamente dai
suddetti  casi  di  valutazione  sulle operazioni di scrutinio, prima
della  consultazione  elettorale - puo' comportare i medesimi effetti
di  annullamento  del risultato democraticamente conseguito. In altri
termini,  qui  il vizio attiene ad una fase antecedente e, come tale,
non  suscettibile di correzione senza il necessario pregiudizio delle
libere  scelte  operate dal corpo elettorale, mentre nelle operazioni
di scrutinio e' possibile quasi sempre (tranne nelle ipotesi di gravi
vizi   attinenti   alle   sezioni   in  quanto  tali)  riordinare  le
irregolarita' attinenti all'espressione del voto. Anzi, a ben vedere,
la  correzione  delle  schede  ristabilisce  l'esatta espressione del
voto,  a  garanzia  della  democrazia.....  Come gia' cennato, ove si
abbia  riguardo  a censure afferenti alle modalita' di espressioni di
voto,  il g.a. non fara' altro che correggere il risultato elettorale
riconducendolo  alla  reale volonta' degli elettori. Ove, inoltre, le
censure riguardino anomalie formali nelle sezioni, si potra' ripetere
l'elezione  in  maniera  parziale  (salvando  l'espressione  di  voto
generale)  e  solo ove cio' sia necessario per effetto della prova di
resistenza.  Quest'ultima,  pero',  nel caso delle suddette anomalie,
appare  non  solo  esattamente  quantificabile (in quanto riferita al
numero  degli  elettori  nella  sezione  ed all'esatto numero di voti
dagli  stessi  espressi),  ma consente di rispettare l'espressione di
voto altrove acquisito.
   Nel  caso  in esame, relativo alla ammissione delle liste, invece,
un'espressione  di  voto  ''priva  di alcun vizio'' e particolarmente
consapevole dell'intero corpo elettorale puo' venire meno per effetto
di  un  errore  (altrui)  a monte della procedura, in fatto, non piu'
emendabile.  Siffatto risultato, quindi, ad avviso del Collegio, mina
le stesse fondamenta dell'espressione della sovranita' popolare e del
corretto  procedimento  amministrativo  (artt. 1, secondo comma, e 97
Cost.),  introducendo,  per  altro,  la  possibilita'  di  consentire
pericolosi  ed  antidemocratici  espedienti,  finalizzati a porre nel
nulla  competizioni  elettorali  altrimenti  determinate  in  maniera
democratica.  In  altri  termini, la mancata previsione di un termine
decadenziale   breve   rispetto   all'impugnativa   di  provvedimenti
conclusivi  di  una  fase antecedente all'effettivo svolgimento della
competizione  elettorale,  consente  di  restare ''alla finestra'' in
attesa  del  risultato  favorevole  o  meno  e  di  utilizzare l'arma
dell'annullamento dell'intera competizione, in quanto, per l'appunto,
perduta».
   In  tutti  i casi appena esposti, peraltro, la prova di resistenza
non  avra'  rilevanza alcuna (e quindi non sara' idonea ad introdurre
un  correttivo al pericolo del rifacimento delle elezioni) laddove si
aderisca alle opinioni espresse nella sentenza del C.G.A. n. 907/2007
(che  il Collegio, sul punto, condivide) secondo cui non e' possibile
in ogni caso (specie in presenza di voto disgiunto) ricostruire quale
sarebbe  stata la volonta' dell'elettorato senza la partecipazione di
quella   determinata   lista  o  candidato  che  non  avrebbe  dovuto
partecipare  alle  elezioni  e  che,  quindi,  avendo partecipato, ha
alterato in maniera irreversibile la genuinita' della consultazione.
   In  entrambi  gli  scenari  interpretativi che si sono illustrati,
infatti,  non  si  puo'  escludere  che,  in forza di una illegittima
ammissione di lista o di candidato o di una ammissione provvisoria in
base  a  provvedimento  cautelare  non  confermato,  l'alterazione  o
inquinamento del procedimento elettorale si verifichi: anche nel caso
in  cui  gli  ammessi non conseguano risultati elettorali utili, essi
avranno   comunque   drenato   preferenze   che   sono  state  quindi
potenzialmente sottratte ad altri candidati, anche solo in termini di
chances (dovendosi pur sempre considerare l'incidenza degli astenuti)
ed  in  ogni  caso  non  si  puo' ricostruire la reale volonta' degli
elettori in presenza del meccanismo del c.d. voto disgiunto.
   Quest'ultima  considerazione  porta  dunque  il  Collegio  a dover
disattendere   le   conclusioni  cui  pure  e'  pervenuta  una  parte
minoritaria  della giurisprudenza, secondo la quale e' immediatamente
impugnabile  solo  l'esclusione  di  una  lista o di un candidato, in
quanto  la  lesivita'  di  tale  provvedimento  sarebbe  immediata, a
differenza  del caso in cui ci si dolga di una ammissione illegittima
di  un concorrente, la cui lesivita' si potrebbe verificare solo dopo
la   proclamazione   del   risultato   elettorale   (in  termini,  la
recentissima      pronuncia      del     Tribunale     amministrativo
regionaleLombardia,  Brescia, n. 1135 del 6 novembre 2007; cfr. anche
Consiglio di Stato, V, n. 2368 del 16 maggio 2006).
   Invero,   dunque,   la  stabilita'  del  risultato  elettorale  e'
certamente  un  interesse  meritevole di tutela e assurge ad elemento
centrale  dell'interesse elettorale, individuale e collettivo: ma non
e'  l'intervento  giudiziale  ne',  nella  specie, quello cautelare a
metterlo  in  forse,  in  quanto  esso dipende sempre e comunque solo
dalla correttezza del procedimento elettorale.
   IVc)  Si  aggiunga che, secondo la esposta lettura dell'art. 83/11
cit.,   ulteriore   evidente   contraddittorieta'   della   soluzione
perseguita,   rispetto  alla  tutela  della  esigenza  del  risultato
elettorale,  sta  nel fatto che la tutela della campagna elettorale e
dei relativi tempi sarebbe tale da far preferire la ripetizione delle
elezioni, in caso di esito vittorioso della lite di un candidato o di
una  lista  esclusa,  anziche -  in  ipotesi  -  disporre  un breve o
brevissimo  rinvio  delle elezioni in itinere per il tempo necessario
ad assicurare - ove necessario - una proroga dei tempi procedimentali
previsti.
   Eppure  tale  ultima  soluzione,  ove  necessaria, non inciderebbe
sulla  par condicio dei candidati, se non nei ristretti limiti in cui
alcuni  tra  essi  potrebbero  avvantaggiarsi  di  un  supplemento di
pubblicita'   elettorale:   invece,  la  ripetizione  delle  elezioni
assicurerebbe,  come  visto  sopra, alla coalizione uscita vittoriosa
nelle   elezioni   illegittimamente   tenutesi,  la  possibilita'  di
consolidare la propria posizione di indubbio vantaggio con un periodo
di   amministrazione   di   governo   (elemento   rilevantissimo  per
assicurarsi  un  rafforzamento  delle  proprie posizioni politiche, a
scapito  dei  concorrenti)  e non assicurerebbe comunque a nessuno di
coloro che erano gia' stati ammessi alle precedenti elezioni invalide
di  essere  nuovamente ammessi alle successive (dovendosi ripetere il
procedimento integralmente: cfr. C.G.A. sent. n. 907/2007).
   Sotto  questo  aspetto,  dunque, la disciplina contenuta nell'art.
83/11  e'  causa  di gravissima disparita' di trattamento sostanziale
tra  i  candidati risultati eletti in forza di elezioni invalide ed i
candidati  che, ottenuta ragione dal giudice amministrativo, dovranno
confrontarsi  con  i  primi  in  una  posizione di svantaggio. In tal
senso,   la   norma   viola   il   diritto   alla  pari  opportunita'
nell'esercizio  dei  diritti  politici  che  e' espressamente sancito
nell'art.  51,  primo  comma,  primo  inciso  della  Costituzione. Ed
infine,  la  norma  in  esame  collide  con  l'esigenza di tutela del
pubblico  interesse  alla correttezza, imparzialita' e buon andamento
della   p.a.,   sancita  dall'art.  97  della  Costituzione,  perche'
consente, per definizione, ad un organo elettivo proclamato in carica
all'esito di un procedimento elettorale invalido, di governare per un
periodo   di   tempo   consistente,   senza  legittimazione  popolare
effettiva.
   Per  tutte  le suesposte considerazioni, pertanto, appare evidente
al  tribunale,  che  la  norma,  cosi'  com'e'  e'  irrazionale e non
consente  di  offrire  adeguata tutela a chi subisce il provvedimento
illegittimo dell'Autorita' nel procedimento elettorale.
V) Irrazionalita' della norma sotto altro profilo - impossibilita' di
interpretazione.
   Quest'ultimo aspetto conduce a rilevare ulteriormente che la norma
e'  irrazionale in quanto irrimediabilmente ambigua e come tale viola
il  principio della certezza del diritto, date le diverse letture che
essa, nella sua formulazione letterale, e' atta a supportare.
   E'  bene  premettere,  a tale proposito, che l'art. 83/11 del T.U.
n. 570 del 1960 (introdotto dall'art. 2 della legge 23 dicembre 1966,
n. 1147,  le  cui norme di carattere procedurale sono tuttora vigenti
in  quanto  richiamate  dall'art.  19  dalla  legge  6 dicembre 1971,
n. 1034)   stabilisce   quanto   segue:  «Contro  le  operazioni  per
l'elezione  dei  consiglieri  comunali successive alla emanazione del
decreto  di convocazione dei comizi, qualsiasi cittadino elettore del
comune,  o  chiunque  altro vi abbia diretto interesse, puo' proporre
impugnativa  davanti alla sezione per il contenzioso elettorale (ora:
al  tribunale amministrativo regionale - n.d.r.) con ricorso che deve
essere  depositato nella segreteria entro il termine di giorni trenta
dalla proclamazione degli eletti».
   Il  dato  letterale  («entro  il  termine  di  giorni trenta dalla
proclamazione   degli   eletti»)   che   disciplina  il  tempo  della
proponibilita'   del   ricorso,   puo'   prestarsi   a   due  diverse
interpretazioni.  Secondo  la  prima,  la  «decorrenza»  e'  solo  un
criterio  di  computo  e  quindi  la  perentorieta'  del  termine  e'
riferibile al solo dies ad quem. Secondo la diversa prospettiva della
concentrazione  dei  rimedi  processuali,  la  «decorrenza» ha invece
valore  giuridico e quindi la perentorieta' del termine e' riferibile
anche al dies a quo.
   Quest'ultima  e' l'impostazione di cui alla sentenza dell'Adunanza
plenaria   n. 10/9005:  l'orientamento  fatto  proprio  dalla  citata
decisione   dell'a.p.   era   stato   sostanzialmente  seguito  dalla
prevalente giurisprudenza fino alla fine degli anni '80 (Consiglio di
Stato,  V,  27  agosto  1971,  n. 745;  14 dicembre 1971, n. 1460; 14
febbraio 1984, n. 122; 7 marzo 1986, n. 158).
   A  partire  dalla decisione del Consiglio di Stato, sez. V, n. 322
del  3  aprile  1990,  si  era invece affermato un diverso indirizzo,
secondo  il quale si riteneva che oggetto del giudizio elettorale ben
puo'  essere  la  singola fase del procedimento e che, pertanto, sono
immediatamente  ed  autonomamente  impugnabili,  ancora  prima  della
proclamazione   degli   eletti,   il   decreto   di  indizione  delle
consultazioni  elettorali  e  l'esclusione  di  un candidato o di una
lista  (cfr. ex plurimis oltre alla decisione citata, anche Consiglio
di  Stato,  V,  31  dicembre  1993 n. 1408; 30 marzo 1994, n. 217; 15
febbraio  1994,  n. 92; Ad. plen. 24 luglio 1997, n. 15; Consiglio di
Stato,  sez. V, 18 giugno 2001, n. 3212; cfr. anche Cons. Stato, sez.
V, 28 gennaio 2005, n. 187; 3 febbraio 1999, n. 116, le cui decisioni
sottolineano  il carattere facoltativo della impugnazione avverso gli
atti  endoprocedimentali  attualmente  lesivi,  determinandosi poi la
necessita'   della   impugnazione  anche  della  proclamazione  degli
eletti).
   Anche  dopo  la sentenza dell'Adunanza plenaria n. 10/2005 si sono
avute  pronuncie  di  segno  opposto:  il  Consiglio di Stato, V, con
pronuncia   n. 2368   del  16  maggio  2006  ha  ritenuto  che  fosse
immediatamente impugnabile la esclusione di lista, essendo il profilo
della  lesivita' in questo caso diretto ed immediato; analogamente ha
ritenuto Tribunale amministrativo regionaleLombardia, Brescia, con la
sentenza  n. 1135 del 6 novembre 2007; questa sezione, dal canto suo,
ha aderito alla Adunanza plenaria con la sentenza n. 1357/2006, ed in
altra   fattispecie,  con  diverso  Collegio,  ha  dapprima  ritenuto
ammissibile  il  gravame  precedente alla proclamazione degli eletti,
considerando   poi   irrilevante   la  questione  per  la  successiva
proposizione  di  tempestivi  gravami  contro  la proclamazione degli
eletti (sentenza n. 2380/2006).
   A  giudizio  di questo remittente, la altalenante (ed esasperante,
si  potrebbe  dire)  oscillazione interpretativa giurisprudenziale e'
prova del fatto che la norma e' oggettivamente ambigua e formulata in
un  contesto  che  non  consente  alcuna  sicura interpretazione, con
evidente  lesione  dei  principi  di  certezza  del  diritto,  specie
perche',  come  esposto  al  paragrafo  precedente,  non e' possibile
risolvere detta ambiguita' alla luce della ratio legis.
   L'impossibilita'  di  interpretazione emerge anche piu' nettamente
se  si  considera che le interpretazioni di essa sono addirittura tre
(immediata    impugnabilita'   dell'ammissione   o   dell'esclusione;
inammissibilita'  di  tale  impugnazione;  ammissibilita'  della sola
impugnazione  immediata  dei  provvedimenti di esclusione) come visto
nel paragrafo che precede.
   A quanto esposto, consegue dunque che l'insufficienza della norma,
derivante   dalla   sua  oramai  evidente  impossibilita'  di  essere
univocamente  interpretata,  senza  offrire inoltre piena tutela agli
interessi   legittimi   ed   ai   diritti  politici  dei  competitori
elettorali,  ne  impone  la  declaratoria  di incostituzionalita' per
contrasto  con  le  norme  ed  i  principi costituzionali che si sono
indicati    o,    quantomeno,    impone   che   ne   sia   dichiarata
l'incostituzionalita'  nella  parte  in  cui puo' essere interpretata
come  ostativa  alla  immediata  ricorribilita'  di fronte al giudice
naturale  a  tutela  dai provvedimenti illegittimi di esclusione o di
ammissione di liste o candidati.
   Per  le  suesposte  considerazioni,  a norma dell'art. 23, secondo
comma,  della  legge  11  marzo  1953, n. 87, va disposta l'immediata
trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione
della  questione  incidentale  di  costituzionalita' di cui trattasi,
disponendosi  conseguentemente  le sospensione del giudizio cautelare
instaurato col ricorso in epigrafe.