IL GIUDICE DI PACE
   A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 5 marzo 2008;
esaminati gli atti; sentite le parti;
                            O s s e r v a
   1. - In fatto.
   Per  ottenere  il  risarcimento dei danni sofferti a seguito di un
recente  sinistro  stradale,  Randello  Melo ha attivato la procedura
prevista  dall'art. 149 del Codice delle Assicurazioni, convenendo in
giudizio  la  propria  compagnia assicurativa (l'Aurora Assicurazioni
S.p.A.) ed il responsabile civile (il proprietario dell'altro veicolo
coinvolto nel sinistro, tale Randello Rosa Carmela).
   Costituendosi  in  giudizio, la convenuta Randello Rosa Carmela ha
eccepito   l'illegittimita'   costituzionale  dell'art.  149,  d.lgs.
n. 209/2005, per violazione degli artt. 3, 24 e 76 Cost.
   2. - In diritto. Non manifesta infondatezza della questione.
   La  questione  non  appare manifestamente infondata, sotto diversi
profili.
   Testualmente,  il  sesto  comma  dell'art.  149  del  Codice delle
Assicurazioni  prevede  che,  qualora non si raggiunga un accordo, il
danneggiato possa proporre «l'azione diretta di cui all'articolo 145,
comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione».
   A) Gli artt. 149 e 150 del Codice delle Assicurazioni offrono seri
spunti  di  incostituzionalita',  sotto  il  profilo  dell'eccesso di
delega e del contrasto con la normativa comunitaria.
   Si  deduce, in relazione al superamento dei limiti che legittimano
il  processo formativo della delega, la violazione dell'art. 76 della
Costituzione  (cfr.  Corte cost. 26 gennaio 1957 n. 3, Corte cost. 10
febbraio  1981  n. 12,  Corte cost. 1964 n. 57, in tema di T.U. sulla
circolazione  stradale, nonche' Corte cost. 8 febbraio 1001 n. 68, in
tema  di  necessaria puntualizzazione di principi e criteri direttivi
da parte della legge delega).
   Come  correttamente  evidenziato  dal  procuratore della convenuta
Randello  Rosa  Carmela,  il  combinato disposto degli artt. 20 legge
n. 59/1997  e  4, legge n. 229/2003 (la legge delega) avrebbe imposto
che venisse acquisito il parere preventivo del Consiglio di Stato. Di
fatto,  l'organo  di consulenza si e', invece, espresso unicamente in
data  14  febbraio  2005  su  di  uno  schema  di codice parzialmente
diverso, che conteneva soltanto la disciplina regolata dall'art. 144,
primo  e  secondo comma del T.U. (che prevede l'esercizio dell'azione
diretta nei confronti dell'assicuratore del responsabile), mentre non
figuravano  gli  articoli  149  e 150 sul risarcimento diretto, ne il
terzo  comma dell'art. 141 del C.d.A. sul «risarcimento trasportato»,
introdotti  dal Governo due mesi e mezzo dopo, in assenza di delega e
senza interpellare il Consiglio di Stato.
   In secondo luogo, il potere normativo delegato era stato conferito
all'unico  fine  di riordinare ed annonizzare le disposizioni vigenti
in tema di r.c.a., non per apportare delle innovazioni cosi' profonde
come  le  procedure  di  risarcimento  diretto  e la nuova disciplina
processuale, tali da stravolgere i piu' consolidati principi generali
del settore.
   Ancora,   le  norme  che  introducono  una  procedura  speciale  a
contraddittorio non integro violano due principi della delega, quelli
enunciati  nell'art.  4  lettere  a)  e  b) della legge n. 229 del 29
luglio 2003.
   Risulta in particolare violato il principio indicato nella lettera
a)  del  citato  art.  4,  in  quanto  le norme in deroga ai principi
dell'azione   diretta  a  litisconsorzio  integro  sono  in  evidente
contrasto  con il principio generale di adeguamento alle disposizioni
comunitarie,  con  espresso riferimento alle cinque vigenti direttive
europee  in  materia  di  RCA.  Si  tratta  della prima direttiva, la
n. 72/166   CE,   che   gia'   prevedeva   il  riavvicinamento  delle
legislazioni  degli  stati  membri con la previsione di assicurazione
obbligatoria della RCA e dell'azione diretta verso l'assicuratore del
responsabile  civile;  della  seconda direttiva, la n. 84/5 CE; della
terza   direttiva,  la  n. 90/232  CE;  della  quarta  direttiva,  la
n. 2000/26 CE; della quinta direttiva, la n. 2005/14 CE, che modifica
tutte  le  precedenti  ed e' in vigore dal 16 giugno 2005 con termine
per l'attuazione all'11 giugno 2007.
   Orbene,  l'art.  149  del  Codice  delle Assicurazioni prevede una
procedura  speciale  a litisconsorzio limitato, che intende escludere
una  delle  due imprese interessate e comunque il responsabile civile
ed  il conducente antagonista. Il principio generale desumibile dalle
direttive  citate,  di  cui  le  prime quattro vigenti al tempo della
codificazione  e dal ventunesimo considerando della quinta direttiva,
che   espressamente  richiama  la  quarta  (vigente  al  tempo  della
codificazione),  e'  che  l'azione  diretta contro l'assicuratore del
responsabile  civile  e'  a  litisconsorzio  integro,  nel  senso che
prendono   parte   al  giudizio  tutti  i  soggetti  interessati:  il
danneggiato,  il  conducente  responsabile  o  i conducenti coinvolti
nello  scontro,  nonche' le rispettive assicurazioni, in relazione al
fatto  illecito  della  circolazione  da  accertarsi  in comunanza di
causa.
   In diritto. Rilevanza della questione per il giudizio in corso.
   La  rilevanza  della  questione  consiste  nel fatto che l'insieme
delle direttive europee impongono che il contraddittorio sia integro;
sul  punto,  e' particolarmente esplicita la quinta direttiva. Questo
principio  non  e'  stato preso in considerazione neppure dal decreto
legislativo  n. 198 del 6 novembre 2007, emanato in «attuazione della
direttiva  2005/14/CE  che modifica le direttive 72/166/CE, 84 maggio
CE,  88/357/CE,  90/232/CE  e  2000/26/CE,  sull'assicurazione  della
responsabilita' civile risultante dalla circolazione di autoveicoli».
La   previsione   dell'art.   149   sesto   comma  del  Codice  delle
Assicurazioni  non  puo'  che  determinare, quindi, la violazione del
Trattato istitutivo della Comunita' economica europea, reso esecutivo
con  legge  14 ottobre 1957, n. 1203, e la conseguente condanna dello
Stato   italiano.  Il  contrasto  appare  evidente,  con  conseguente
violazione  dell'art. 76 Cost. (per eccesso di delega) e dell'art. 11
Cost.  (per  il  venir  meno  agli impegni internazionali). Le cinque
direttive comunitarie in materia r.c.a. sono, infatti, norme di fonte
sopranazionale.
   Da   ultimo,   non   appare   ultroneo   porre  in  evidenza  come
l'auspicabile  accoglimento  dell'eccezione avrebbe delle inevitabili
ricadute strutturali sul giudizio in corso, giacche' permetterebbe la
partecipazione  del  responsabile civile e/o della propria impresa di
assicurazione, garantendo un maggiore approfondimento della vicenda e
determinando,  verosimilmente, un esito diverso e piu' corretto della
controversia.
   Risulta,  altresi',  violato  il  principio di cui alla lettera b)
dell'art.  4, con riferimento alla tutela dei consumatori (e tale e',
per  il  legislatore delegante, l'assicurato quale persona fisica nei
confronti   dell'imprenditore   assicuratore)   ed  alla  tutela  dei
contraenti deboli (e tale e', sempre per il legislatore delegante, il
danneggiato  in generale), con particolare riferimento al processo di
liquidazione  dei  sinistri, ivi compresi gli aspetti strutturali del
servizio.
   La  violazione  del  principio si prospetta come un vero e proprio
indebolimento della tutela:
     a) del danneggiato, quale parte debole, che si trova escluso dal
beneficio   della   solidarieta'   tra   condebitori,   ed   ha   per
contraddittore   una  parte  forte,  anomala,  ovverosia  il  proprio
assicuratore, che potrebbe avere interesse a non risarcirlo;
     b)  dell'assicurato  responsabile  civile,  che vede escluso dal
contraddittorio  se  stesso  e  la  propria impresa di assicurazione,
mentre   ha   interesse  non  solo  a  divenire  parte  del  giudizio
risarcitorio, ma anche a coinvolgervi il proprio assicuratore.
   In diritto. Rilevanza della questione per il giudizio in corso.
   La  rilevanza  ai  fini  del  decidere  deriva  dal  fatto  che la
disciplina  del  Codice delle Assicurazioni conteneva gia' un rimedio
compatibile  con  i principi ed i criteri dettati dalla legge delega.
La decisione si sarebbe basata su un altro corso procedurale regolato
dall'art.  144,  primo e terzo comma, del Codice delle Assicurazioni,
oppure si sarebbe fondata sull'azione prevista dall'art. 2054 c.c.
   Anche    sotto    questo   profilo,   l'auspicabile   accoglimento
dell'eccezione  avrebbe  delle  inevitabili  ricadute strutturali sul
giudizio  in  corso,  giacche'  permetterebbe  la  partecipazione del
responsabile  civile  c/o  della  propria  impresa  di assicurazione,
garantendo  un maggiore approfondimento della vicenda e determinando,
verosimilmente, un esito diverso e piu' corretto della controversia.
   B) La procedura speciale in deroga, nella norma richiamata, e' una
procedura  semplificata  per  il  contraddittorio, con effetti lesivi
delle posizioni soggettive del danneggiato e del responsabile civile.
Il  secondo  profilo  di  illegittimita'  della  procedura, contenuta
nell'art.  149 sesto comma del Codice delle Assicurazioni, attiene al
contrasto  con  le regole del giusto processo civile, di cui al primo
ed  al  secondo  comma  dell'art.  111  della Costituzione: il giusto
processo  civile  si  svolge  nel  contraddittorio  tra  le  parti in
condizioni  di parita', davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Un
processo  a  contraddittorio  non  integro e' sicuramente un ingiusto
processo, ed indubbiamente non in condizioni di parita' tra le parti,
posto  che  la  parte  pretermessa  non  e' garantita, a fronte della
prevedibile  formazione  di  un  giudicato  con  riflessi esterni. Le
diverse  limitazioni  alle  quali  dovrebbe sottostare il danneggiato
violano  l'art. 111 Cost., che costituisce la norma quadro del giusto
processo,   sia   in   considerazione   della  palese  disparita'  di
trattamento  rispetto  alle  situazioni processuali analoghe, sia per
l'impossibilita'  di  qualificare  come «giusto» un processo dove una
delle  parti  e'  costretta  a  sopportare  forti  limitazioni  nella
possibilita' di provare le proprie ragioni.
   Consideriamo  la  posizione  della vittima costretta, dalla chiara
lettera  della  norma  (ma il problema e' identico per l'applicazione
dell'art  141,  terzo comma, del t.u.) ad azionare le proprie pretese
solo  convenendo  il  proprio  assicuratore:  la  procedura  speciale
sopprime  l'azionabilita'  di  un  diritto  di credito ex delicto, in
contrasto  con  l'art.  24 Cost. (che prevede un rimedio pieno per la
lesione di ogni diritto) e con l'art. 111 Cost., giacche' modifica le
regole   del  contraddittorio  in  relazione  alla  stessa  struttura
dell'illecito  della  circolazione (artt. 2043, 2054 c.c. e art. 144,
primo  e  terzo  comma  del  Codice  delle Assicurazioni, tra di loro
coordinati).  In  base  ad  un'interpretazione  letterale,  la  norma
sembrerebbe  escludere la possibilita' di convenire in giudizio anche
il  presunto  responsabile civile, incorrendo in una serie di censure
di incostituzionalita'.
   L'azione  di  risarcimento diretto e' un rimedio minore rispetto a
quello  ordinario,  che  limita gravemente i diritti della difesa del
danneggiato,  il  quale  non puo' avvalersi dell'efficacia probatoria
della  risposta  o  della mancata risposta all'interrogatorio formale
del conducente antagonista; il modulo a firma congiunta, sottoscritto
ai sensi dell'art. 143, secondo comma, del Codice delle Assicurazioni
assume   un   valore   confessorio   stragiudiziale   non  opponibile
all'assicuratore  in  lite;  non  puo'  essere deferito al conducente
responsabile  del  sinistro  giuramento  suppletorio;  se  chiamato a
deporre   sui   fatti,   quale  teste,  l'assicuratore  ne  eccepira'
l'inattendibilita'  o  l'inammissibilita' della escussione; la scelta
del  foro  competente risulta limitata, se e' il proprio assicuratore
l'unico  soggetto  che puo' essere convenuto. Ed ancora: le norme che
prevedono  la  procedura  speciale  precludono  l'azione promuovibile
dalla  vittima  ai sensi dell'art. 2054 c.c., nel senso che una volta
eletta  la  via  della  procedura  speciale se ne devono osservare le
regole   in  relazione  al  contraddittorio  ed  alla  legittimazione
passiva,  e  resta  anche precluso il potere del giudice di ammettere
iussu  iudicis  la  chiamata  in  lite dell'impresa assicuratrice del
responsabile  civile.  La  stessa  formazione della res iudicata puo'
condurre   ad   un   contrasto   di   giudicati   nel  caso  in  cui,
parallelamente,   il   conducente  vittima  o  il  terzo  trasportato
sull'auto  antagonista  si  avvalgano in via autonoma delle procedure
semplificate, arrivando ad ottenere una decisione di segno difforme.
   La  sequela  delle anomalie processuali e sostanziali in questione
pone  in  evidenza l'insufficienza del fine processuale, che dovrebbe
essere  quello  di  un  pronto  ristoro per la vittima, attraverso la
semplificazione   della   procedura,  proprio  perche'  la  posizione
dell'assicuratore del danneggiato non e' necessariamente di garanzia.
Per  altro verso, risultano palesemente ridotti i poteri di controllo
del  giudice, nel caso di un accordo sottostante tra le assicurazioni
(di  cui  una sola presente in lite), o nel caso di un accordo tra le
parti  contrario ai principi della responsabilita' ex delicto. Non e'
dunque  certo  che la vittima, costretta ad avvalersi della procedura
speciale  a  litisconsorzio  non  integro, riceva adeguata protezione
anche  sul  piano dell'esercizio dei mezzi di difesa e della presenza
in lite di piu' solidali. Appare dunque evidente come il danneggiato,
dovendosi  avvalere  di  una  procedura a litisconsorzio non integro,
possa rimanere pregiudicato dall'assenza dei coobligati in solido.
   La  soppressione  della solidarieta' tra i condebitori solidali e'
incostituzionale,  sia sotto il profilo del rispetto del principio di
uguaglianza, che non consente di giustificare la riduzione del numero
dei  soggetti  nei  confronti  dei  quali ha diritto di esercitare la
propria   pretesa   ex   art.   2055   c.c.,   sia   sotto  l'aspetto
dell'incompatibilita'  con  i  principi  ed i criteri contenuti nella
legge delega.
   Sussiste  dunque  l'evidente  compressione dei principi del giusto
processo  civile e dell'utile esercizio di tutti i mezzi di difesa, e
sussiste  un'evidente  irrazionalita'  nelle  scelte del legislatore,
denunciabile  ai  sensi  dell'art.  3 Cost.; il legislatore, infatti,
modifica  i  principi  europei  dell'azione  diretta  e, innovando in
deroga,  inventa una sorta di arbitrato giudiziale dove il giudice ha
funzioni  notarili  e  dove  il  contraddittorio  integro  e' solo un
elemento di disturbo.
   La   procedura   di   risarcimento   diretto   sembrerebbe  essere
facoltativa,  almeno secondo un'interpretazione testuale della norma.
In  caso  contrario,  le  forti  limitazioni al diritto di difesa del
danneggiato apparirebbero ancor piu' gravi ed inaccettabili, giacche'
egli  non  avrebbe  nemmeno  la  facolta'  di  agire ex art. 144 cod.
assic.,  ne'  ex  art.  2054 cod. civ. La sostanziale disuguaglianza,
rispetto  alle  ipotesi  in  cui  la  procedura  ex  art.  149 non e'
applicabile, assumerebbe contorni ancor piu' intollerabili.
   In diritto. Rilevanza della questione per il giudizio in corso.
   La  rilevanza  ai  fini  del  decidere  deriva  dal  fatto  che la
disciplina  del Codice delle Assicurazioni conteneva gia' un rimedio.
La  decisione  si  sarebbe  basata  su  un  altro  corso procedurale,
regolato  dall'art.  144,  primo  e  terzo  comma,  del  Codice delle
Assicurazioni o dall'art. 2054 c.c.
   Anche    sotto    questo   profilo,   l'auspicabile   accoglimento
dell'eccezione  avrebbe  delle  inevitabili  ricadute strutturali sul
giudizio  in  corso,  giacche'  permetterebbe  la  partecipazione del
responsabile  civile e/o  della  propria  impresa  di  assicurazione,
garantendo  un maggiore approfondimento della vicenda e determinando,
verosimilmente, un esito diverso e piu' corretto della controversia.
   C)  Parimenti, considerando la posizione del responsabile civile e
del   suo   assicuratore,   pretermessi   nelle  procedure  speciali,
sussistono gli stessi dubbi di incostituzionalita'.
   In  primo luogo, il responsabile civile non potrebbe esercitare il
proprio   diritto   di   difesa   nell'ambito  di  un  giudizio  che,
indirettamente, ne potrebbe intaccare la sfera patrimoniale.
   Si  tenga  infatti  presente  che,  secondo  la migliore dottrina,
l'impresa del danneggiato parteciperebbe al giudizio quale mandataria
ex lege dell'impresa del responsabile civile, senza rappresentanza.
   Successivamente,  avrebbe  facolta'  di chiedere il rimborso delle
somme versate al mandante, secondo il meccanismo della c.d. stanza di
compensazione.   L'assicuratore   del   responsabile  civile,  avendo
soddisfatto   il   danneggiato,   attiverebbe   inevitabilmente  quei
meccanismi  contrattuali  (come  la  clausola bonus-malus), idonei ad
incidere   sulla   determinazione  dei  premi  futuri.  E  dunque  il
responsabile  civile,  pur  non  avendo  partecipato  al giudizio, ne
risulterebbe gravemente pregiudicato sul piano patrimoniale.
   La  violazione  degli  artt.  3  e  24  della Costituzione sarebbe
eclatante.
   La  violazione  dell'art. 111 Cost. risulterebbe di ancor maggiore
evidenza, nell'ipotesi in cui il responsabile civile intendesse agire
a   sua  volta,  deducendo  la  colpa  esclusiva  o  concorrente  del
danneggiato.
   Il  responsabile civile, non essendo parte del giudizio instaurato
dal   danneggiato  contro  la  propria  compagnia  assicurativa,  non
potrebbe infatti spiegare alcuna domanda riconvenzionale, ma dovrebbe
agire  in  via  autonoma,  convenendo  il  proprio assicuratore in un
procedimento  separato.  Si  creerebbero cosi' due cause simmetriche,
che  comporterebbero  dei  costi  piu'  elevati  per  le  parti e per
l'intera   societa'  e  che,  soprattutto,  potrebbero  dar  luogo  a
giudicati  contrastanti.  La  situazione,  del  tutto  irragionevole,
risulterebbe  certamente del tutto lontana da quel modello di «giusto
processo» voluto dal legislatore costituzionale del 2001.
   Ne',  per  smorzare  le  censure  di  incostituzionalita',  sembra
possibile  ipotizzare  il  ricorso  allo strumento della riunione dei
processi,  sia  perche'  si  tratterebbe  di  un escamotage del tutto
eventuale,  sia  perche'  a  rigore  ciascun danneggiato non potrebbe
comunque  estendere  la  domanda contro l'altro, sia perche' le cause
potrebbero  essere  iscritte  a ruolo presso giudici territorialmente
molto distanti, proprio a causa della riduzione dei fori alternativi,
evidenziata in precedenza.
   C.1.)  Anche  qualora  fosse  possibile superare il dato testuale,
permettendo   al   danneggiato  di  convenire  in  giudizio  pure  il
responsabile  civile, in conformita' ai principi generali, il sistema
delineato  dall'art.  149 cod. assic. non risulterebbe affatto immune
da censure di incostituzionalita'.
   Non  e'  chiaro se, ricorrendone i presupposti, il danneggiato sia
obbligato ad attivare la procedura di risarcimento diretto, ovvero se
ne  abbia  solo  facolta',  come sembrerebbe suggerire il testo della
norma  («puo'  proporre», invece che «propone» o «deve proporre»). In
quest'ultima  ipotesi,  che  comunque  appare la piu' ragionevole, il
responsabile  civile  si troverebbe costretto a sottostare ad uno dei
diversi   possibili   sistemi  processuali,  a  scelta  esclusiva  ed
insindacabile   del  danneggiato.  La  violazione  del  principio  di
eguaglianza (art. 3 Cost.) sarebbe indiscutibile.
   Non  e'  chiaro se, attivata la procedura di risarcimento diretto,
il  responsabile  civile possa o meno chiamare in causa il conducente
ed  il  proprio  assicuratore.  Sulla  base del dato testuale e della
stessa  logica  del sistema delineato dall'art. 149, la soluzione non
puo'  che  essere  negativa.  Ne  conseguono una  serie di profili di
incostituzionalita', decisamente rilevanti.
   Qualora   il   danneggiato   convenisse  in  giudizio  il  proprio
assicuratore  ed  il  responsabile  civile  ed  ottenesse ragione, il
responsabile  si  ritroverebbe  ad essere condannato in solido con un
soggetto  a  lui  del  tutto  estraneo, con il quale non ha mai avuto
rapporti. Pur non avendo mai scelto quell'assicuratore, si troverebbe
esposto  (in  linea  teorica)  al  rischio  dell'insolvenza  di  quel
condebitore in solido, scelto non da lui ma dall'attore.
   In  mancanza  di  un  legame  contrattuale  con l'assicuratore del
danneggiato,  il responsabile civile non potrebbe nemmeno chiedere di
essere  garantito  dagli  oneri  dell'eventuale condanna; non potendo
sfuggire alla solidarieta', si troverebbe incondizionatamente esposto
alle richieste del danneggiato.
   Inoltre,  qualora  volesse  rimanere  contumace,  il  responsabile
civile si ritroverebbe ad essere difeso da una compagnia assicurativa
che non ha scelto, pur avendo, in ipotesi, pagato un premio piu' alto
per  il  maggior  impegno  profuso dal proprio assicuratore in queste
situazioni.  Qualora invece egli si volesse difendere avvalendosi del
patto  di gestione della lite inserito nel contratto stipulato con il
proprio  assicuratore,  ne  sarebbe  impossibilitato  e  si  vedrebbe
costretto  ad  anticipare  gli onorari in favore di un difensore (pur
avendo  pagato  un  premio  piu'  alto, proprio in forza del patto di
gestione della lite).
   In  tutte  queste  ipotesi,  la violazione degli artt. 3, 24 e 111
Cost. sarebbe indiscutibilmente eclatante.
   Ma vi e' di piu'.
   Se   il   responsabile   civile   decidesse  di  spiegare  domanda
riconvenzionale, la compagnia assicurativa dell'attore-danneggiato si
troverebbe a dover avallare contemporaneamente due prospettazioni del
tutto  divergenti, quella del convenuto (in qualita' di mandataria ex
lege senza rappresentanza dell'assicuratore di quest'ultimo) e quella
dell'attore-danneggiato   (ovverosia   del  proprio  assicurato,  che
dovrebbe  tenere  indenne  da  ogni  pregiudizio).  Ne deriverebbe un
insanabile  conflitto  di  interessi,  assolutamente  irragionevole e
ingiusto,  che  metterebbe  in  seria  difficolta' l'assicuratore del
danneggiato  e  non  garantirebbe  ne'  la posizione dell'attore, ne'
quella del convenuto. In presenza di un patto di gestione della lite,
la   situazione   assumerebbe   connotazioni   ancor  piu'  inique  e
inaccettabili.
   In  casi del genere, l'unica possibilita' di superare il conflitto
di   interessi   consisterebbe  nell'ammettere  che  il  responsabile
civile -  convenuto  possa chiamare in causa il proprio assicuratore.
Si  tratta,  pero',  di una soluzione che tenderebbe a stravolgere il
sistema  delineato dall'art. 149 del Codice delle Assicurazioni, fino
al  punto  di  appiattirlo  sui  tradizionali principi generali della
responsabilita'  civile  automobilistica.  Si  tratterebbe,  in altri
termini,  di  una  vera e propria interpretatio abrogans, decisamente
preclusa  all'interprete.  E'  per  questo  che ogni possibile sforzo
ermeneutico,  incentrato  su di un'interpretazione costituzionalmente
orientata  dell'art. 149 del Codice delle Assicurazioni, non puo' che
essere destinato a fallire.
   C.2.)  Anche  l'ipotesi  prevista  dal  sesto comma, parte seconda
dell'art.  149 del Codice delle Assicurazioni, ovverosia l'intervento
dell'assicuratore   del   responsabile  civile,  non  appare  affatto
risolutiva.
   Si tratta di una mera facolta', della quale e' difficile prevedere
un esercizio statisticamente rilevante.
   La  compagnia  del  responsabile  civile, di regola, non ha nessun
interesse a riconoscere la responsabilita' del proprio assicurato (il
che  avviene  decisamente  di  rado anche oggi), ne' a partecipare al
giudizio  ed  a  sopportare  le spese di lite in virtu' del principio
della  soccombenza.  Qualora,  nonostante  tutte  le  previsioni,  la
compagnia decidesse effettivamente di intervenire e di riconoscere la
responsabilita'  del proprio assicurato, aderendo alla prospettazione
dell'attore-danneggiato,  si  porrebbero una serie di problemi: se si
ammettesse  l'estensione  del contraddittorio al responsabile civile,
questi  potrebbe  rifiutare  la scelta processuale dell'assicuratore,
ricreando  una situazione di conflitto; se invece se ne escludesse la
partecipazione  al giudizio, il responsabile civile si ritroverebbe a
dover  sopportare  gli  oneri  di una condanna emessa a seguito di un
processo  al  quale  non  ha  partecipato,  in  palese violazione del
principio  di eguaglianza (art. 3 Cost.), del diritto di difesa (art.
24) e dei principi del giusto processo (art. 111 Cost.).
   D)   Si   e'  detto  che  la  procedura  di  risarcimento  diretto
sembrerebbe  essere  facoltativa,  almeno  secondo un'interpretazione
testuale della norma.
   In  caso  contrario, le forti limitazioni al diritto di difesa del
danneggiato  (v.  supra,  §  a) apparirebbero ancor piu' gravi e
inaccettabili, giacche' egli non avrebbe nemmeno la facolta' di agire
ex  art.  144  cod. assic., ne' ex art. 2054 cod. civ. La sostanziale
disuguaglianza, rispetto alle ipotesi in cui la procedura ex art. 149
non e' applicabile, assumerebbe contorni ancor piu' intollerabili.
   Costituendosi  in  giudizio,  l'assicuratore  del danneggiato puo'
assumere  diverse  posizioni.  In  linea  di  principio,  ogni scelta
processuale  e' legittima, nel caso in esame, pero', le ragioni delle
scelte  dell'assicuratore potrebbero nascere da accordi sottostanti e
poco  chiari  tra le compagnie assicurative (di cui una sola presente
nel  giudizio), destinati a sfuggire al controllo del giudice. Appare
dunque  evidente  come  il  danneggiato,  dovendosi  avvalere  di una
procedura  a  litisconsorzio non integro, possa rimanere pregiudicato
dall'assenza dei coobligati in solido.
   3.  -  In  diritto.  Rilevanza  della questione per il giudizio in
corso.
   Nel  caso  in  esame,  l'attore  ha agito ai sensi del sesto comma
dell'art.  149  de  Codice  delle  Assicurazioni,  citando  anche  il
responsabile  civile.  Il danneggiante, costituendosi in giudizio, ha
eccepito  che il contraddittorio non sarebbe integro, perche' in caso
di  condanna si troverebbe obbligato in solido con un soggetto con il
quale non ha nessun rapporto, ne' contrattuale ne' extracontrattuale,
invece  che  con  il  proprio  assicuratore  (nei confronti del quale
potrebbe far valere la garanzia assicurativa).
   Si  pone  pertanto  il  problema  di comprendere se il danneggiato
abbia  agito  correttamente, ovverosia se fosse tenuto a citare anche
l'assicuratore  del  responsabile  civile  o  se, al contrario, fosse
tenuto a citare unicamente la propria compagnia assicurativa. In ogni
caso,  si  pone  il problema di comprendere se il responsabile civile
possa  chiedere di chiamare in causa (anche iussu iudicis) il proprio
assicuratore, nell'ottica di un giudizio a contraddittorio integro.
   Appare  evidente come l'art. 149 cod. assic. preveda, a rigore, la
partecipazione   al   giudizio   unicamente   dell'assicuratore   del
danneggiato.   Ogni   diversa   interpretazione,   costituzionalmente
orientata, contrasta irrimediabilmente con il dettato normativo e con
il sistema del risarcimento diretto.
   Allo  stato,  pertanto,  il  responsabile  civile  dovrebbe essere
escluso  dal  giudizio;  nella  migliore  delle  ipotesi, vi potrebbe
partecipare senza poter chiamare in causa il proprio assicuratore. La
(auspicabile)  dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale della
normativa  inciderebbe  in  maniera profonda sull'esito del giudizio,
consentendo di ripristinare un contraddittorio integro.
   Le questioni di costituzionalita', riassuntivamente, attengono:
     a)   alla   violazione  dell'art.  76  della  Costituzione,  per
l'evidente  violazione  di  due principi delega (indicati nell'art. 4
lettere  a)  e  b) della legge 29 luglio 2003 n. 229), da parte degli
articoli  141  terzo  comma  e  149  sesto  comma  del  codice  delle
assicurazioni;
     b)  alla  violazione  degli  artt. 111, primo e secondo comma, e
art.  24  della  Costituzione, per l'evidente violazione dei principi
del contraddittorio integro e della parita' delle armi difensive, che
risultano  sostanzialmente  ridotte per chi si avvale delle procedure
speciali;  ma  anche  in  relazione  alla  perdita  o riduzione della
funzione  di  giudice  imparziale  del giudice adito, che non accerta
necessariamente l'illecito della circolazione, nel caso di amichevole
intesa tra le parti, in danno del terzo responsabile estromesso dalla
lite per volonta' di legge;
     c)  risulta  allora evidente, anche in relazione alla violazione
delle  direttive  europee  che  configurano  una procedura per azione
diretta ma a contraddittorio integro e con parita' delle armi, che la
deroga  italiana  contrasti con il principio di ragionevolezza di cui
al  comma  primo  dell'art.  3  della  Costituzione, poiche' le norme
esaminate,  senza  un  ragionevole  motivo,  prevedono un trattamento
diverso ai cittadini che si trovino in eguali situazioni di interesse
sostanziale  in ordine all'accertamento dell'illecito da circolazione
stradale, trattamento che invece le direttive europee RCA e lo stesso
codice  delle assicurazioni considerano come diretto all'accertamento
pieno  di  responsabilita'  civili ed all'ottenimento di risarcimenti
satisfattivi (cfr. Corte cost. 29 maggio 1965 n. 15, 30 novembre 1982
n. 204; nonche' sentenze 427 del 1999 e 289 del 2000, con riferimento
alla ratio legis generale).