IL TRIBUNALE 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al n. 441/2001 promossa da Galota Orazia, nata a Modica, il 12 aprile
1945; Gianni' Angelo, nato a Modica il 12 aprile 1968; Gianni Renato,
nato a Modica il 18 luglio 1973; Gianni' Raffaele, nato a  Modica  il
29 novembre 1980,  tutti  rappresentati  e  difesi  dall'avv.  Pietro
Roccasalva ed elettivamente domiciliati in Lentini, presso lo  studio
dell'avv. Antonino Tribulato, al Cortile Tribulato n.  14,  attori  e
convenuti in via riconvenzionale; 
    Contro Caponetto Agata, nata a Francofonte  il  18  luglio  1949;
Caponetto Angela Maria, nata a Lentini il 26 dicembre 1968; Caponetto
Antonino, nato a Francofonte, il, 20 aprile 1952, tutti rappresentati
e difesi dall'avv. Carmelo Giunta, presso il cui Studio  in  Lentini,
alla via Rosso di San Secondo n. 18 sono  elettivamente  domiciliati,
convenuti  ed  attori  in  via  riconvenzionale  e   contro   Levante
Norditalia  Assicurazioni  S.p.A.,  in   persona   del   suo   legale
rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv.  Gaetano  De  Mauro,
presso il cui studio in  Catania,  alla  via  G.  Clementi  n.  5  e'
elettivamente domiciliata, convenuto, avente ad oggetto: risarcimento
dei danni da sinistro stradale. 
    Visto l'atto di citazione con i relativi allegati; 
    Viste le comparse di costituzione; 
    Viste le memorie prodotte dalle parti; 
    Visti gli atti tutti di causa; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. 
                              F a t t o 
    Con atto di citazione  notificato  in  data  12  ottobre  2001  e
depositato in Cancelleria in data 25 ottobre 2001, gli  attori  hanno
citato, per l'udienza del 7 gennaio 2001, Caponetto Agata,  Caponetto
Angela Maria,  Caponetto  Antonino,  quali  eredi  del  defunto  sig.
Caponetto  Giovanni,  nonche'  la  Levante  Norditalia  Assicurazioni
S.p.A. per sentire dichiarare che l'incidente per  cui  e'  causa  e'
dovuto a colpa esclusiva del sig. Caponetto Giovanni, quantificare in
L. 250.000.000 i danni patrimoniali e non patrimoniali  patiti  dalla
sig.ra Galota Orazia (moglie  del  de  cuius  Gianni'  Salvatore)  in
conseguenza del  sinistro  e  L.  220.000.000  cadauno  per  i  danni
patrimoniali e non patrimoniali patiti  da  Gianni'  Angelo,  Gianni'
Renato e Gianni Raffaele (figli del de  cuius  Gianni'  Salvatore)  e
condannare in solido convenuti al pagamento delle suddette somme o di
quelle  altre  maggiori  o  minori   ritenute   di   giustizia,   con
rivalutazione ed interessi fino al soddisfo, con vittoria di spese  e
compensi. 
    Con  comparsa  di  costituzione   e   risposta,   depositata   in
Cancelleria il 10 dicembre 2001, si sono costituiti Caponetto  Agata,
Caponetto Angela Maria e Caponetto Antonino, i quali hanno contestato
la ricostruzione dei fatti contenuta nell'atto di citazione, chiesto,
in via riconvenzionale, di ritenere e dichiarare  la  responsabilita'
esclusiva, o, comunque,  subordinatamente,  concorrente  in  via  del
tutto  maggioritaria  del  pedone,  sig.  Gianni'  Salvatore,   nella
causazione del sinistro, nonche' di condannare gli attori,  convenuti
in  via  riconvenzionale,  quali  eredi  di  Gianni'  Salvatore,   al
risarcimento dei danni patrimoniali e  non  patrimoniali  patiti  dai
convenuti, quantificabili in L. 250.000.000 ciascuno  per  i  sigg.ri
Caponetto Antonino e Caponetto  Agata,  nonche'  L.  300.000.000  per
Caponetto Angela, oltre a L. 10.000.000 quale danno patrimoniale  per
spese funerarie e L. 21.236.000 per il prezzo del motociclo, oltre  a
spese e compensi del giudizio. 
    All'udienza di prima comparizione e trattazione  del  10  gennaio
2002, si e' costituita la Levante Norditalia Assicurazioni S.p.A., ha
contestato la ricostruzione dei fatti resa dall'attore e  chiesto  il
rigetto delle domande attoree in quanti  inammissibili,  infondate  e
carenti di prova ed in assoluto subordine limitare la tenutezza della
societa' a quanto legittimamente richiedibile. 
    All'udienza del 18 febbraio 2002, gli attori in via principale  e
la  compagnia  assicuratrice  convenuta  hanno  chiesto   dichiararsi
cessata  tra  loro  la  materia  del   contendere   per   intervenuta
transazione. 
    Con ordinanza dell'8 maggio 2005, il g.  i.,  indicato  il  thema
decidendum residuo in  quello  (solo)  emergente  dalla  comparsa  di
comparizione e risposta degli eredi di Caponetto Giovanni, contenente
domanda  riconvenzionale  nei  confronti  degli  eredi   di   Gianni'
Salvatore,  ha  sollecitato  il  contraddittorio  delle  parti  sulla
apparente disparita' di trattamento normativo che  il  Codice  civile
riserva alla condotta del conducente di un  veicolo  senza  guida  di
rotaie nei diversi casi in cui tale condotta venga dedotta  e  rilevi
come cagionatrice di danno ovvero come condotta  concorrente  colposa
del conducente danneggiato. 
                            D i r i t t o 
    1. - Il sinistro dedotto in giudizio e' consistito -  secondo  le
opposte allegazioni e per la parte incontestata  -  nella  collisione
tra un  motociclista  (Caponetto  Giovanni)  ed  un  pedone  (Gianni'
Salvatore) su strada extraurbana. 
    Gli attori hanno agito (iure proprio) in qualita' di congiunti di
Gianni' Salvatore  ed  hanno  indicato  i  convenuti  come  eredi  di
Caponetto Giovanni. 
    I convenuti  hanno  spiegato  (anch'essi  iure  proprio)  domanda
risarcitoria riconvenzionale nei confronti degli attori,  indicandoli
come responsabili del sinistro in quanto eredi di Gianni'  Salvatore.
Gli attori non hanno contestato  la  propria  qualita'  di  eredi  di
Gianni' Salvatore. 
    Intervenuta transazione sulla domanda risarcitoria  spiegata  dai
congiunti del pedone nei confronti degli eredi del  motociclista,  la
materia  del  contendere   residua   ha   ad   oggetto   la   domanda
riconvenzionale proposta dai congiunti del motociclista nei confronti
degli eredi del pedone. 
    2.  -  A  sostegno  della  propria  domanda  riconvenzionale,   i
congiunti di Caponetto hanno essenzialmente prodotto copia degli atti
di accertamento compiuti,  in  fase  di  acquisizione  della  notitia
criminis, da parte della polizia giudiziaria e del consulente tecnico
del pubblico ministero, e segnatamente, per quel che qui  rileva:  il
rapporto relativo al sinistro redatto dai Carabinieri di  Francofonte
unitamente ai rilievi planimetrici del luogo del sinistro, il verbale
di sopralluogo e di ispezione esterna del cadavere di Gianni'  ed  il
verbale di  sopralluogo  e  di  ispezione  esterna  del  cadavere  di
Caponetto. 
    Non consta  che  sia  stata  operata  alcuna  attivita'  peritale
rivolta a ricostruire la dinamica del sinistro; dal quale, del resto,
e' derivata la morte di entrambi i soggetti coinvolti. 
    Dal suddetto materiale di indagine rilevano pochi elementi utili,
ed essenzialmente: 1) il teatro del sinistro (un tratto rettilineo  a
doppio senso di circolazione, poco trafficato,  privo  di  condizioni
limitative della visibilita'); 2) il punto di impatto tra motociclo e
pedone (sul margine destro della carreggiata, piu' avanti di  qualche
metro rispetto  alla  ruota  anteriore  sinistra  di  un'autocisterna
sostante a cavallo del margine destro della carreggiata); 3) il luogo
di rinvenimento del motociclo, un Suzuki 750 (a circa 110  metri  dal
punto di impatto). 
    La esiguita' dei suddetti elementi, unitamente alla modificazione
dello stato dei luoghi e delle cose avvenuta poco dopo  il  sinistro,
escludono in radice la possibilita' di istituire una c. t. u. in sede
civile. 
    In punto di  prova,  il  materiale  probatorio  in  possesso  del
giudice civile (pur integrato con le non contestazioni  delle  parti)
consente, dunque, di affermare soltanto che: 
        non consta prova che il motociclista  abbia  fatto  tutto  il
possibile per evitare il danno (la distanza tra il punto  di  impatto
tra motociclo e pedone ed il  luogo  di  rinvenimento  del  motociclo
lascia  inferire  che  senza  dubbio  il  motociclista  procedeva   a
velocita' elevata, ma questo solo elemento non  permette  di  operare
una stima della velocita'  entro  un  intervallo  non  eccessivamente
ampio); 
        il pedone ha violato l'art. 190, comma 5,  del  codice  della
strada (a mente del quale «i pedoni, per attraversare la carreggiata,
devono servirsi degli attraversamenti pedonali, dei  sottopassaggi  e
dei sovrapassaggi. Quando questi non  esistono,  o  distano  piu'  di
cento  metri  dal  punto  di  attraversamento,   i   pedoni   possono
attraversare  la  carreggiata  solo  in  senso  perpendicolare,   con
l'attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per  se'  o
per  altri»).  Su  questo  specifico  punto  va  osservato   che   e'
incontestata inter partes l'affermazione (gia' contenuta nel rapporto
redatto  dai  Carabinieri)  secondo  cui  l'autocisterna  sostante  a
cavallo  del  margine  destro  della  carreggiata   era   stata   li'
posizionata poco prima del sinistro  dallo  stesso  Gianni.  Da  cio'
deriva necessariamente - tenuto conto del punto d'impatto  sub  2)  -
che egli non si e' spostato in senso perpendicolare alla carreggiata. 
    3. - Ora, secondo l'art. 2054, comma 1, c.c. «il conducente di un
veicolo senza guida di rotaie  e'  obbligato  a  risarcire  il  danno
prodotto a persone o a cose dalla circolazione  del  veicolo  se  non
prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno». 
    La responsabilita' del conducente del veicolo ai sensi  dell'art.
2054 cit. non diverge da quella prevista dall'art. 2050 c.c. a carico
di chiunque svolga un'attivita' pericolosa, omologo e'  il  contenuto
della prova  liberatoria,  per  altro  interpretata  con  particolare
severita' dalla giurisprudenza di legittimita'.  Il  conducente  deve
provare di «avere fatto tutto il possibile per evitare il danno»;  e,
secondo costante  orientamento  giurisprudenziale,  tale  prova  puo'
dirsi raggiunta in quanto, in via diretta o presuntiva,  risulti  che
l'evento si e' verificato  esclusivamente  per  causa  imputabile  al
danneggiato o a un terzo ovvero a caso fortuito o forza maggiore. 
    4. - La norma citata  non  fa  riferimento  ai  casi  in  cui  la
circolazione del veicolo abbia prodotto un danno alla stessa  persona
del conducente. 
    Il testo della disposizione, anche a lume  del  suo  collegamento
sistematico con la regola generale di cui all'art. 2043 cit.,  appare
chiaramente rivolto a disciplinare i casi  in  cui  la  condotta  del
conducente abbia prodotto ad  altri  un  danno  ingiusto,  obbligando
colui il quale ha cagionato il danno a risarcirlo, a  meno  che  egli
fornisca la prova (comunemente indicata come «liberatoria») di  avere
fatto tutto il possibile per evitare il danno. Lo  stesso  art.  2050
cit. fa del resto testuale riferimento a «chiunque cagioni  danno  ad
altri». 
    5. - La circostanza che l'art. 2054 cit. nulla preveda per i casi
in cui la circolazione del  veicolo  abbia  prodotto  un  danno  alla
stessa persona del conducente induce a postulare che  -  in  caso  di
collisione tra un veicolo senza guida di rotaie ed un pedone, da  cui
consegnano danni non solo  al  pedone  ma  anche  al  conducente  del
veicolo - la stessa fattispecie  produttiva  di  danno  debba  essere
normativamente  regolata  in  maniera  diversa  (questa  e'  la  tesi
argomentata nel presente giudizio dal procuratore dei  congiunti  del
motociclista). 
    Infatti, una volta accertato il fatto storico  della  collisione,
mentre l'imputazione di responsabilita' in capo al conducente  per  i
danni subiti dal pedone dipende (ex art 2054 cit.) dalla  circostanza
che il  conducente  -  cioe'  colui  il  quale  ha  posto  in  essere
l'attivita' pericolosa - abbia fornito o meno la prova di avere fatto
tutto  il  possibile  per  evitare   il   danno,   l'imputazione   di
responsabilita' in capo al pedone, dipende (ex art. 2043 cit.)  dalla
prova, ancora una volta posta a carico del conducente, che il  pedone
abbia posto in essere un fatto doloso o colposo causativo del danno. 
    6. - In questo  secondo  caso,  tuttavia,  la  natura  pericolosa
dell'attivita' posta in essere dal  conducente-danneggiato  cessa  di
avere rilevanza qualificata. 
    Cio' si deve alla circostanza che l'art. 2054 cit.  e'  formulato
in tal guisa da  conferire  rilievo  al  carattere  di  pericolosita'
proprio dell'attivita' posta in essere dall'agente  soltanto  per  il
profilo che investe i terzi (id est quale  attivita'  pericolosa  nei
confronti dei terzi) e non anche per il profilo che investe  l'agente
stesso (id est quale attivita' pericolosa per lo stesso agente). 
    La norma  enuncia,  in  altre  parole,  un  dovere  di  diligenza
particolarmente rigoroso («fare tutto il  possibile  per  evitare  il
danno»), ma soltanto con riferimento alle ipotesi in cui  l'esercizio
dell'attivita' pericolosa produca danno a terzi. 
    6.1. - La diversita' di trattamento normativo riservato alle  due
imputazioni di responsabilita' (quella a carico del pedone  e  quella
carico del conducente) emerge in modo piu' marcato nelle  fattispecie
(come quella dedotta in giudizio) in cui non si disponga di materiale
probatorio sufficiente per accertare in concreto quali siano state le
circostanze  di  maggior  rilievo  influenti  sulla  dinamica   della
collisione, non sia quindi possibile accertare in che misura ciascuno
degli agenti  abbia  concorso  alla  causazione  del  sinistro,  ne',
conseguentemente,  diminuire  il  risarcimento  dovuto  da   ciascuno
secondo  la  gravita'  della  rispettiva  colpa  e  l'entita'   delle
conseguenze che ne sono derivate (ex artt.  2056  e  1227,  comma  1,
c.p.c.). 
    Infatti, in forza del combinato disposto degli artt. 2056 e  1227
citt., laddove sia possibile  affermare  che  il  fatto  colposo  del
danneggiato ha concorso a  cagionare  il  danno,  il  giudice  ha  il
potere-dovere (officioso) di diminuire  il  risarcimento  secondo  la
gravita' della colpa  e  l'entita'  delle  conseguenze  che  ne  sono
derivate, e puo', per tale via, dimensionare la  responsabilita'  del
pedone in relazione  all'entita'  del  contributo  causale  posto  in
essere (con la propria  attivita'  pericolosa)  dal  conducente  alla
causazione  del  sinistro.  Affinche'  il   giudice   eserciti   tale
potere-dovere e' pero' necessario che egli abbia elementi sufficienti
per confrontare la  condotta  concretamente  tenuta  dal  danneggiato
(cioe' dal conducente) con il dovere di diligenza incombente su detto
danneggiato. Il che non e' possibile quando gli elementi probatori  a
disposizione  del  giudice  consentono  (come  nel  caso  di  specie)
soltanto di affermare che (in negativo) non consta la  prova  che  il
conducente  abbia  interamente  adempiuto  al   proprio   dovere   di
diligenza, mentre non consentono di affermare (in  positivo)  in  che
misura egli non abbia adempiuto detto dovere. 
    7. - In questi casi, la sopraindicata diversita'  di  trattamento
appare, secondo quanto  fin  qui  rilevato,  irragionevole.  Cio'  in
quanto  all'unicita'  del  fatto  storico,  essenzialmente  connotato
dall'esercizio di un'attivita' oggettivamente pericolosa non solo per
i terzi ma anche per lo  stesso  agente,  corrispondono  due  diversi
meccanismi di imputazione di responsabilita', uno dei quali (quello a
carico del pedone) e' indifferente alla natura  pericolosa  (rectius:
presuntivamente pericolosa ex lege)  dell'attivita'  nell'ambito  del
cui esercizio si e' originata la fattispecie produttiva del danno. 
    8.  -  Ragionevole  appare  piuttosto  far  soggiacere   le   due
imputazioni di responsabilita' ad una regola di disciplina  unitaria,
la  quale  tenga  conto  dell'unicita'  del  fatto  storico  e  della
«connaturale pericolosita»  (secondo  l'espressione  impiegata  nella
relazione al codice civile del '42) dell'attivita' del conducente  da
cui il fatto essenzialmente si origina. Una regola uniforme in virtu'
della  quale  la  medesima  circostanza  -  l'avere   il   conducente
interamente adempiuto al proprio dovere di  diligenza  -  rilevi  non
soltanto con riferimento  alla  responsabilita'  del  conducente  nei
confronti del pedone (cioe' come contenuto della prova  liberatoria),
ma  anche  con  riferimento  alla  responsabilita'  del  pedone   nei
confronti del conducente (cioe' come contenuto della prova del  fatto
costitutivo della pretesa di danno). 
    9. - Il testo dell'art. 2054, comma 1, cit.  non  consente,  come
detto,  di  ricavare  direttamente  detta  regola  (sub  8),  facendo
riferimento la norma in esso contenuta soltanto ai  casi  in  cui  la
circolazione del veicolo abbia prodotto un danno alla stessa  persona
del conducente. 
    10. - Tale regola puo' essere astrattamente ricavata  in  via  di
intepretazione analogica, considerato che un precetto il quale faccia
dipendere il riconoscimento del diritto  al  risarcimento  del  danno
subito dal conducente di un veicolo senza guida di rotaie alla  prova
di avere fatto  tutto  il  possibile  per  evitare  il  danno  appare
condividere la medesima ratio del precetto previsto  dall'art.  2054,
comma 1, cit. 
    10.1. - Peraltro, tale esito interpretativo appare  coerente  con
la disciplina dettata, per il caso di scontro tra veicoli, dal  comma
2 dell'art. 2054 c.c., si' come essa viene costantemente interpretata
dalla suprema Corte di cassazione. 
    Nel caso di scontro tra veicoli, e' noto infatti che  la  suprema
Corte suole affermare  che  il  contenuto  della  «prova  contraria»,
incombente sul conducente il quale voglia superare la presunzione  in
forza della quale egli ha ugualmente concorso, insieme  con  ciascuno
dei  conducenti  degli  altri  veicoli  coinvolti  nello  scontro,  a
produrre il danno subito dai singoli veicoli, non si esaurisce  nella
prova  del  contributo  causale  concretamente  offerto  dagli  altri
conducenti nella causazione dell'evento  dannoso,  ma  comprende,  in
pari tempo, la prova che detto conducente  si  sia,  dal  canto  suo,
«pienamente uniformato alle norme sulla circolazione e  a  quelle  di
comune prudenza  ed  abbia  fatto  tutto  il  possibile  per  evitare
l'incidente» (Cass. 5 maggio 2000, n.  5671;  Cass.  n.  10156/1994).
Cio' in quanto, secondo quanto assunto  costantemente  dalla  suprema
Corte, il contenuto  della  «prova  contraria»  richiamata  dall'art.
2054, comma 2 cit. si determina in relazione alla previsione  di  cui
l'art. 2054, comma 1, c.c., il quale si applica pure alle ipotesi  di
scontro tra veicoli. 
    11. - Cio' posto, va subito di seguito osservato che,  come  piu'
sopra evidenziato, i casi normativamente indicati dalla  disposizione
di cui  al  primo  comma  dell'art.  2054  cit.  appaiono  costituire
altrettante eccezioni alla regola generale di cui all'art. 2043  c.c.
(ecco perche', nella fattispecie dedotta in giudizio, il  procuratore
dei   congiunti   del   motociclista   trae   argomento   dalla   non
applicabilita' nei confronti del motociclista dell'art. 2054, comma1,
cit., per affermare l'applicabilita' dell'art. 2043 cit.),  donde  la
specificazione per analogia della regola  sopraindicata  (sub  8)  da
quella di cui  all'art.  2054  cit.  si  infrange  contro  l'ostacolo
costituito dal divieto prescritto  dall'art.  14  delle  disposizioni
sulla legge in generale. 
    11.1. - Sul punto va invero considerato che, secondo quella parte
della dottrina la quale  critica  la  possibilita'  di  costruire  un
sistema unitario della materia della responsabilita'  civile  fondato
su di un criterio generale di imputazione per colpa, la cd. «clausola
generale» contenuta nella disposizione di cui all'art. 2043 cit. e le
previsioni normative speciali di responsabilita' contenute negli art.
2047 e ss. c.c. non sarebbero legate  tra  loro  da  un  rapporto  di
regola- eccezione bensi', soltanto, da un  rapporto  di  specialita'.
Cio' in quanto le norme di cui agli art. 2047 e ss. citt.  varrebbero
«a individuare, nell'ambito del sistema della responsabilita' civile,
una serie di settori, nei quali  si  delineano  previsioni  normative
speciali di responsabilita». 
    Si tratta tuttavia di indicazioni dottrinarie molto generali, non
segnatamente elaborate con riferimento alla questione  specifica  dei
limiti di estensione analogica delle norme considerate  e  alla  loro
qualificabilita' o meno come norme «eccezionali» ex art. 14 cit. 
    Contro dette indicazioni dottrinarie  rilevano,  invero,  diversi
interventi da parte della giurisprudenza di legittimita'  rivolti  ad
affermare la natura eccezionale di talune delle norme  considerate  e
ad escludere la possibilita' di una loro estensione in via  analogica
(vedasi sul punto cassazione civile, sez.III,  19  ottobre  2006,  n.
22399, nonche' Cassazione civile, sez. III, 14 luglio 2003, n. 11006,
nel corpo della quale,  dopo  avere  espressamente  riconosciuto  che
l'art. 2054, comma 3, c.c., «prevede una  figura  di  responsabilita'
oggettiva  non  collegata  alla  colpa»,  la  suprema  Corte  afferma
decisamente il carattere  eccezionale  della  norma,  «insuscettibile
come tale di applicazione analogica nei confronti di soggetti diversi
da  quelli  tassativamente  indicati»;  vedasi  altresi'   cassazione
civile, sez. III, 9 dicembre 1992, n. 13015, nel corpo  della  quale,
sulla medesima questione, la suprema Corte afferma che  «operare  una
traslazione   di   responsabilita'    dalla    societa'    concedente
all'utilizzatore o  concessionario  del  bene  ricorrendo,  ..., alla
interpretazione  analogica  del  terzo  comma  dell'art.  2054  c.c.,
costituirebbe una palese violazione dell'art. 14  delle  disposizioni
sulla legge in generale»; nella giurisprudenza di  merito  successiva
al 1992 vedasi  Tribunale  Milano,  13  luglio  1995;  contra  vedasi
tuttavia Tribunale Casale Monferrato, 23 maggio 1997). 
    I suddetti  interventi  denotano  un  orientamento  costantemente
rivolto nel tempo ad affermare il carattere eccezionale  delle  norme
in esame (il che legittima, secondo  cost.  6  aprile  1995,  n. 110,
nonche'  secondo  Cost.  27  luglio  1989,  n.   456,   l'invocazione
dell'intervento della Corte costituzionale: «quando, ... il dubbio di
compatibilita' con  i  principi  costituzionali  cada  su  una  norma
ricavata per interpretazione da un testo di legge  e'  indispensabile
che il giudice a quo prospetti a questa Corte l'impossibilita' di una
lettura adeguata ai detti principi; oppure che lamenti l'esistenza di
una costante lettura della disposizione denunziata in senso contrario
alla Costituzione (c.d. diritto vivente»). 
    12. - Esaminata ed esclusa  la  possibilita'  di  specificare  la
regola sub 8 in via di analogia dalla  previsione  normativa  di  cui
all'art. 2054, comma 1, cit., (o ritenuta, comunque, fondata sul  cd.
diritto vivente la qualificazione della norma come eccezionale) detta
specificazione necessita di un intervento  additivo  (il  quale,  non
comportando  alcuna  «scelta  tra   una   pluralita'   di   soluzioni
possibili», appare operabile da parte del  Giudice  costituzionale  -
Corte costituzionale, 26 gennaio 1994, n. 5). 
    In conclusione, il Tribunale: 
        rilevato che nel presente  giudizio,  avente  ad  oggetto  la
domanda risarcitoria proposta  dai  congiunti  di  un  conducente  un
veicolo senza guida di rotaie nei confronti degli eredi di un  pedone
entrato in collisione con il conducente, il  materiale  probatorio  a
disposizione del giudice consente soltanto di affermare che  (1)  non
consta prova che il conducente abbia fatto  tutto  il  possibile  per
evitare il danno (ma non e' in concreto possibile  accertare  in  che
misura egli abbia violato il proprio dovere di diligenza) e  che  (2)
il pedone ha violato l'art. 190, comma 5,  del  codice  della  strada
(violazione  influente  eziologicamente   nella   realizzazione   del
sinistro); 
        rilevato altresi' che la definizione di detta domanda secondo
la clausola generale di cui  all'art.  2043  c.c.  implicherebbe  una
irragionevole disparita' di trattamento rispetto alle ipotesi in cui,
per  il  medesimo  fatto  storico,  essenzialmente  connotato   dalla
«connaturale pericolosita» della condotta  del  conducente,  egli  e'
onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare  il
danno, ex art. 2054, coomma 1, c.c.; 
        considerato che non e' possibile estendere analogicamente  la
previsione di cui all'art.  2054,  comma  1,  cit.  alla  fattispecie
dedotta in giudizio senza violare l'art. 14 delle disposizioni  sulla
legge in generale (ovvero che la qualificazione della suddetta  norma
come eccezionale e' costante da parte della giurisprudenza),  e  che,
in conseguenza, l'art. 2054, comma 1, cit. contrasta con il principio
di eguaglianza secondo il  canone  della  ragionevolezza,  consacrato
nell'art. 3 della Costituzione; 
        ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 2054, comma 1,  c.c.,  nella
parte in cui non considera i casi in cui la circolazione del  veicolo
abbia prodotto un danno alla stessa persona del conducente e  non  fa
dipendere il diritto del conducente  al  risarcimento  del  danno  da
parte di terzi alla prova di  avere  fatto  tutto  il  possibile  per
evitare il danno. 
    L'eventuale dichiarazione di  illegittimita'  della  disposizione
avrebbe diretta incidenza sulla valutazione della responsabilita' del
sinistro e, dunque, sulla decisione del presente giudizio. 
    Il giudizio, pertanto, va sospeso e gli atti vanno  rimessi  alla
Corte    costituzionale    per    il    giudizio    incidentale    di
costituzionalita'.