IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 441/2001 promossa da Galota Orazia, nata a Modica, il 12 aprile 1945; Gianni' Angelo, nato a Modica il 12 aprile 1968; Gianni Renato, nato a Modica il 18 luglio 1973; Gianni' Raffaele, nato a Modica il 29 novembre 1980, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Pietro Roccasalva ed elettivamente domiciliati in Lentini, presso lo studio dell'avv. Antonino Tribulato, al Cortile Tribulato n. 14, attori e convenuti in via riconvenzionale; Contro Caponetto Agata, nata a Francofonte il 18 luglio 1949; Caponetto Angela Maria, nata a Lentini il 26 dicembre 1968; Caponetto Antonino, nato a Francofonte, il, 20 aprile 1952, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Carmelo Giunta, presso il cui Studio in Lentini, alla via Rosso di San Secondo n. 18 sono elettivamente domiciliati, convenuti ed attori in via riconvenzionale e contro Levante Norditalia Assicurazioni S.p.A., in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Gaetano De Mauro, presso il cui studio in Catania, alla via G. Clementi n. 5 e' elettivamente domiciliata, convenuto, avente ad oggetto: risarcimento dei danni da sinistro stradale. Visto l'atto di citazione con i relativi allegati; Viste le comparse di costituzione; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti di causa; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. F a t t o Con atto di citazione notificato in data 12 ottobre 2001 e depositato in Cancelleria in data 25 ottobre 2001, gli attori hanno citato, per l'udienza del 7 gennaio 2001, Caponetto Agata, Caponetto Angela Maria, Caponetto Antonino, quali eredi del defunto sig. Caponetto Giovanni, nonche' la Levante Norditalia Assicurazioni S.p.A. per sentire dichiarare che l'incidente per cui e' causa e' dovuto a colpa esclusiva del sig. Caponetto Giovanni, quantificare in L. 250.000.000 i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dalla sig.ra Galota Orazia (moglie del de cuius Gianni' Salvatore) in conseguenza del sinistro e L. 220.000.000 cadauno per i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti da Gianni' Angelo, Gianni' Renato e Gianni Raffaele (figli del de cuius Gianni' Salvatore) e condannare in solido convenuti al pagamento delle suddette somme o di quelle altre maggiori o minori ritenute di giustizia, con rivalutazione ed interessi fino al soddisfo, con vittoria di spese e compensi. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata in Cancelleria il 10 dicembre 2001, si sono costituiti Caponetto Agata, Caponetto Angela Maria e Caponetto Antonino, i quali hanno contestato la ricostruzione dei fatti contenuta nell'atto di citazione, chiesto, in via riconvenzionale, di ritenere e dichiarare la responsabilita' esclusiva, o, comunque, subordinatamente, concorrente in via del tutto maggioritaria del pedone, sig. Gianni' Salvatore, nella causazione del sinistro, nonche' di condannare gli attori, convenuti in via riconvenzionale, quali eredi di Gianni' Salvatore, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dai convenuti, quantificabili in L. 250.000.000 ciascuno per i sigg.ri Caponetto Antonino e Caponetto Agata, nonche' L. 300.000.000 per Caponetto Angela, oltre a L. 10.000.000 quale danno patrimoniale per spese funerarie e L. 21.236.000 per il prezzo del motociclo, oltre a spese e compensi del giudizio. All'udienza di prima comparizione e trattazione del 10 gennaio 2002, si e' costituita la Levante Norditalia Assicurazioni S.p.A., ha contestato la ricostruzione dei fatti resa dall'attore e chiesto il rigetto delle domande attoree in quanti inammissibili, infondate e carenti di prova ed in assoluto subordine limitare la tenutezza della societa' a quanto legittimamente richiedibile. All'udienza del 18 febbraio 2002, gli attori in via principale e la compagnia assicuratrice convenuta hanno chiesto dichiararsi cessata tra loro la materia del contendere per intervenuta transazione. Con ordinanza dell'8 maggio 2005, il g. i., indicato il thema decidendum residuo in quello (solo) emergente dalla comparsa di comparizione e risposta degli eredi di Caponetto Giovanni, contenente domanda riconvenzionale nei confronti degli eredi di Gianni' Salvatore, ha sollecitato il contraddittorio delle parti sulla apparente disparita' di trattamento normativo che il Codice civile riserva alla condotta del conducente di un veicolo senza guida di rotaie nei diversi casi in cui tale condotta venga dedotta e rilevi come cagionatrice di danno ovvero come condotta concorrente colposa del conducente danneggiato. D i r i t t o 1. - Il sinistro dedotto in giudizio e' consistito - secondo le opposte allegazioni e per la parte incontestata - nella collisione tra un motociclista (Caponetto Giovanni) ed un pedone (Gianni' Salvatore) su strada extraurbana. Gli attori hanno agito (iure proprio) in qualita' di congiunti di Gianni' Salvatore ed hanno indicato i convenuti come eredi di Caponetto Giovanni. I convenuti hanno spiegato (anch'essi iure proprio) domanda risarcitoria riconvenzionale nei confronti degli attori, indicandoli come responsabili del sinistro in quanto eredi di Gianni' Salvatore. Gli attori non hanno contestato la propria qualita' di eredi di Gianni' Salvatore. Intervenuta transazione sulla domanda risarcitoria spiegata dai congiunti del pedone nei confronti degli eredi del motociclista, la materia del contendere residua ha ad oggetto la domanda riconvenzionale proposta dai congiunti del motociclista nei confronti degli eredi del pedone. 2. - A sostegno della propria domanda riconvenzionale, i congiunti di Caponetto hanno essenzialmente prodotto copia degli atti di accertamento compiuti, in fase di acquisizione della notitia criminis, da parte della polizia giudiziaria e del consulente tecnico del pubblico ministero, e segnatamente, per quel che qui rileva: il rapporto relativo al sinistro redatto dai Carabinieri di Francofonte unitamente ai rilievi planimetrici del luogo del sinistro, il verbale di sopralluogo e di ispezione esterna del cadavere di Gianni' ed il verbale di sopralluogo e di ispezione esterna del cadavere di Caponetto. Non consta che sia stata operata alcuna attivita' peritale rivolta a ricostruire la dinamica del sinistro; dal quale, del resto, e' derivata la morte di entrambi i soggetti coinvolti. Dal suddetto materiale di indagine rilevano pochi elementi utili, ed essenzialmente: 1) il teatro del sinistro (un tratto rettilineo a doppio senso di circolazione, poco trafficato, privo di condizioni limitative della visibilita'); 2) il punto di impatto tra motociclo e pedone (sul margine destro della carreggiata, piu' avanti di qualche metro rispetto alla ruota anteriore sinistra di un'autocisterna sostante a cavallo del margine destro della carreggiata); 3) il luogo di rinvenimento del motociclo, un Suzuki 750 (a circa 110 metri dal punto di impatto). La esiguita' dei suddetti elementi, unitamente alla modificazione dello stato dei luoghi e delle cose avvenuta poco dopo il sinistro, escludono in radice la possibilita' di istituire una c. t. u. in sede civile. In punto di prova, il materiale probatorio in possesso del giudice civile (pur integrato con le non contestazioni delle parti) consente, dunque, di affermare soltanto che: non consta prova che il motociclista abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno (la distanza tra il punto di impatto tra motociclo e pedone ed il luogo di rinvenimento del motociclo lascia inferire che senza dubbio il motociclista procedeva a velocita' elevata, ma questo solo elemento non permette di operare una stima della velocita' entro un intervallo non eccessivamente ampio); il pedone ha violato l'art. 190, comma 5, del codice della strada (a mente del quale «i pedoni, per attraversare la carreggiata, devono servirsi degli attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi e dei sovrapassaggi. Quando questi non esistono, o distano piu' di cento metri dal punto di attraversamento, i pedoni possono attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare, con l'attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per se' o per altri»). Su questo specifico punto va osservato che e' incontestata inter partes l'affermazione (gia' contenuta nel rapporto redatto dai Carabinieri) secondo cui l'autocisterna sostante a cavallo del margine destro della carreggiata era stata li' posizionata poco prima del sinistro dallo stesso Gianni. Da cio' deriva necessariamente - tenuto conto del punto d'impatto sub 2) - che egli non si e' spostato in senso perpendicolare alla carreggiata. 3. - Ora, secondo l'art. 2054, comma 1, c.c. «il conducente di un veicolo senza guida di rotaie e' obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno». La responsabilita' del conducente del veicolo ai sensi dell'art. 2054 cit. non diverge da quella prevista dall'art. 2050 c.c. a carico di chiunque svolga un'attivita' pericolosa, omologo e' il contenuto della prova liberatoria, per altro interpretata con particolare severita' dalla giurisprudenza di legittimita'. Il conducente deve provare di «avere fatto tutto il possibile per evitare il danno»; e, secondo costante orientamento giurisprudenziale, tale prova puo' dirsi raggiunta in quanto, in via diretta o presuntiva, risulti che l'evento si e' verificato esclusivamente per causa imputabile al danneggiato o a un terzo ovvero a caso fortuito o forza maggiore. 4. - La norma citata non fa riferimento ai casi in cui la circolazione del veicolo abbia prodotto un danno alla stessa persona del conducente. Il testo della disposizione, anche a lume del suo collegamento sistematico con la regola generale di cui all'art. 2043 cit., appare chiaramente rivolto a disciplinare i casi in cui la condotta del conducente abbia prodotto ad altri un danno ingiusto, obbligando colui il quale ha cagionato il danno a risarcirlo, a meno che egli fornisca la prova (comunemente indicata come «liberatoria») di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno. Lo stesso art. 2050 cit. fa del resto testuale riferimento a «chiunque cagioni danno ad altri». 5. - La circostanza che l'art. 2054 cit. nulla preveda per i casi in cui la circolazione del veicolo abbia prodotto un danno alla stessa persona del conducente induce a postulare che - in caso di collisione tra un veicolo senza guida di rotaie ed un pedone, da cui consegnano danni non solo al pedone ma anche al conducente del veicolo - la stessa fattispecie produttiva di danno debba essere normativamente regolata in maniera diversa (questa e' la tesi argomentata nel presente giudizio dal procuratore dei congiunti del motociclista). Infatti, una volta accertato il fatto storico della collisione, mentre l'imputazione di responsabilita' in capo al conducente per i danni subiti dal pedone dipende (ex art 2054 cit.) dalla circostanza che il conducente - cioe' colui il quale ha posto in essere l'attivita' pericolosa - abbia fornito o meno la prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, l'imputazione di responsabilita' in capo al pedone, dipende (ex art. 2043 cit.) dalla prova, ancora una volta posta a carico del conducente, che il pedone abbia posto in essere un fatto doloso o colposo causativo del danno. 6. - In questo secondo caso, tuttavia, la natura pericolosa dell'attivita' posta in essere dal conducente-danneggiato cessa di avere rilevanza qualificata. Cio' si deve alla circostanza che l'art. 2054 cit. e' formulato in tal guisa da conferire rilievo al carattere di pericolosita' proprio dell'attivita' posta in essere dall'agente soltanto per il profilo che investe i terzi (id est quale attivita' pericolosa nei confronti dei terzi) e non anche per il profilo che investe l'agente stesso (id est quale attivita' pericolosa per lo stesso agente). La norma enuncia, in altre parole, un dovere di diligenza particolarmente rigoroso («fare tutto il possibile per evitare il danno»), ma soltanto con riferimento alle ipotesi in cui l'esercizio dell'attivita' pericolosa produca danno a terzi. 6.1. - La diversita' di trattamento normativo riservato alle due imputazioni di responsabilita' (quella a carico del pedone e quella carico del conducente) emerge in modo piu' marcato nelle fattispecie (come quella dedotta in giudizio) in cui non si disponga di materiale probatorio sufficiente per accertare in concreto quali siano state le circostanze di maggior rilievo influenti sulla dinamica della collisione, non sia quindi possibile accertare in che misura ciascuno degli agenti abbia concorso alla causazione del sinistro, ne', conseguentemente, diminuire il risarcimento dovuto da ciascuno secondo la gravita' della rispettiva colpa e l'entita' delle conseguenze che ne sono derivate (ex artt. 2056 e 1227, comma 1, c.p.c.). Infatti, in forza del combinato disposto degli artt. 2056 e 1227 citt., laddove sia possibile affermare che il fatto colposo del danneggiato ha concorso a cagionare il danno, il giudice ha il potere-dovere (officioso) di diminuire il risarcimento secondo la gravita' della colpa e l'entita' delle conseguenze che ne sono derivate, e puo', per tale via, dimensionare la responsabilita' del pedone in relazione all'entita' del contributo causale posto in essere (con la propria attivita' pericolosa) dal conducente alla causazione del sinistro. Affinche' il giudice eserciti tale potere-dovere e' pero' necessario che egli abbia elementi sufficienti per confrontare la condotta concretamente tenuta dal danneggiato (cioe' dal conducente) con il dovere di diligenza incombente su detto danneggiato. Il che non e' possibile quando gli elementi probatori a disposizione del giudice consentono (come nel caso di specie) soltanto di affermare che (in negativo) non consta la prova che il conducente abbia interamente adempiuto al proprio dovere di diligenza, mentre non consentono di affermare (in positivo) in che misura egli non abbia adempiuto detto dovere. 7. - In questi casi, la sopraindicata diversita' di trattamento appare, secondo quanto fin qui rilevato, irragionevole. Cio' in quanto all'unicita' del fatto storico, essenzialmente connotato dall'esercizio di un'attivita' oggettivamente pericolosa non solo per i terzi ma anche per lo stesso agente, corrispondono due diversi meccanismi di imputazione di responsabilita', uno dei quali (quello a carico del pedone) e' indifferente alla natura pericolosa (rectius: presuntivamente pericolosa ex lege) dell'attivita' nell'ambito del cui esercizio si e' originata la fattispecie produttiva del danno. 8. - Ragionevole appare piuttosto far soggiacere le due imputazioni di responsabilita' ad una regola di disciplina unitaria, la quale tenga conto dell'unicita' del fatto storico e della «connaturale pericolosita» (secondo l'espressione impiegata nella relazione al codice civile del '42) dell'attivita' del conducente da cui il fatto essenzialmente si origina. Una regola uniforme in virtu' della quale la medesima circostanza - l'avere il conducente interamente adempiuto al proprio dovere di diligenza - rilevi non soltanto con riferimento alla responsabilita' del conducente nei confronti del pedone (cioe' come contenuto della prova liberatoria), ma anche con riferimento alla responsabilita' del pedone nei confronti del conducente (cioe' come contenuto della prova del fatto costitutivo della pretesa di danno). 9. - Il testo dell'art. 2054, comma 1, cit. non consente, come detto, di ricavare direttamente detta regola (sub 8), facendo riferimento la norma in esso contenuta soltanto ai casi in cui la circolazione del veicolo abbia prodotto un danno alla stessa persona del conducente. 10. - Tale regola puo' essere astrattamente ricavata in via di intepretazione analogica, considerato che un precetto il quale faccia dipendere il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno subito dal conducente di un veicolo senza guida di rotaie alla prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno appare condividere la medesima ratio del precetto previsto dall'art. 2054, comma 1, cit. 10.1. - Peraltro, tale esito interpretativo appare coerente con la disciplina dettata, per il caso di scontro tra veicoli, dal comma 2 dell'art. 2054 c.c., si' come essa viene costantemente interpretata dalla suprema Corte di cassazione. Nel caso di scontro tra veicoli, e' noto infatti che la suprema Corte suole affermare che il contenuto della «prova contraria», incombente sul conducente il quale voglia superare la presunzione in forza della quale egli ha ugualmente concorso, insieme con ciascuno dei conducenti degli altri veicoli coinvolti nello scontro, a produrre il danno subito dai singoli veicoli, non si esaurisce nella prova del contributo causale concretamente offerto dagli altri conducenti nella causazione dell'evento dannoso, ma comprende, in pari tempo, la prova che detto conducente si sia, dal canto suo, «pienamente uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle di comune prudenza ed abbia fatto tutto il possibile per evitare l'incidente» (Cass. 5 maggio 2000, n. 5671; Cass. n. 10156/1994). Cio' in quanto, secondo quanto assunto costantemente dalla suprema Corte, il contenuto della «prova contraria» richiamata dall'art. 2054, comma 2 cit. si determina in relazione alla previsione di cui l'art. 2054, comma 1, c.c., il quale si applica pure alle ipotesi di scontro tra veicoli. 11. - Cio' posto, va subito di seguito osservato che, come piu' sopra evidenziato, i casi normativamente indicati dalla disposizione di cui al primo comma dell'art. 2054 cit. appaiono costituire altrettante eccezioni alla regola generale di cui all'art. 2043 c.c. (ecco perche', nella fattispecie dedotta in giudizio, il procuratore dei congiunti del motociclista trae argomento dalla non applicabilita' nei confronti del motociclista dell'art. 2054, comma1, cit., per affermare l'applicabilita' dell'art. 2043 cit.), donde la specificazione per analogia della regola sopraindicata (sub 8) da quella di cui all'art. 2054 cit. si infrange contro l'ostacolo costituito dal divieto prescritto dall'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale. 11.1. - Sul punto va invero considerato che, secondo quella parte della dottrina la quale critica la possibilita' di costruire un sistema unitario della materia della responsabilita' civile fondato su di un criterio generale di imputazione per colpa, la cd. «clausola generale» contenuta nella disposizione di cui all'art. 2043 cit. e le previsioni normative speciali di responsabilita' contenute negli art. 2047 e ss. c.c. non sarebbero legate tra loro da un rapporto di regola- eccezione bensi', soltanto, da un rapporto di specialita'. Cio' in quanto le norme di cui agli art. 2047 e ss. citt. varrebbero «a individuare, nell'ambito del sistema della responsabilita' civile, una serie di settori, nei quali si delineano previsioni normative speciali di responsabilita». Si tratta tuttavia di indicazioni dottrinarie molto generali, non segnatamente elaborate con riferimento alla questione specifica dei limiti di estensione analogica delle norme considerate e alla loro qualificabilita' o meno come norme «eccezionali» ex art. 14 cit. Contro dette indicazioni dottrinarie rilevano, invero, diversi interventi da parte della giurisprudenza di legittimita' rivolti ad affermare la natura eccezionale di talune delle norme considerate e ad escludere la possibilita' di una loro estensione in via analogica (vedasi sul punto cassazione civile, sez.III, 19 ottobre 2006, n. 22399, nonche' Cassazione civile, sez. III, 14 luglio 2003, n. 11006, nel corpo della quale, dopo avere espressamente riconosciuto che l'art. 2054, comma 3, c.c., «prevede una figura di responsabilita' oggettiva non collegata alla colpa», la suprema Corte afferma decisamente il carattere eccezionale della norma, «insuscettibile come tale di applicazione analogica nei confronti di soggetti diversi da quelli tassativamente indicati»; vedasi altresi' cassazione civile, sez. III, 9 dicembre 1992, n. 13015, nel corpo della quale, sulla medesima questione, la suprema Corte afferma che «operare una traslazione di responsabilita' dalla societa' concedente all'utilizzatore o concessionario del bene ricorrendo, ..., alla interpretazione analogica del terzo comma dell'art. 2054 c.c., costituirebbe una palese violazione dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale»; nella giurisprudenza di merito successiva al 1992 vedasi Tribunale Milano, 13 luglio 1995; contra vedasi tuttavia Tribunale Casale Monferrato, 23 maggio 1997). I suddetti interventi denotano un orientamento costantemente rivolto nel tempo ad affermare il carattere eccezionale delle norme in esame (il che legittima, secondo cost. 6 aprile 1995, n. 110, nonche' secondo Cost. 27 luglio 1989, n. 456, l'invocazione dell'intervento della Corte costituzionale: «quando, ... il dubbio di compatibilita' con i principi costituzionali cada su una norma ricavata per interpretazione da un testo di legge e' indispensabile che il giudice a quo prospetti a questa Corte l'impossibilita' di una lettura adeguata ai detti principi; oppure che lamenti l'esistenza di una costante lettura della disposizione denunziata in senso contrario alla Costituzione (c.d. diritto vivente»). 12. - Esaminata ed esclusa la possibilita' di specificare la regola sub 8 in via di analogia dalla previsione normativa di cui all'art. 2054, comma 1, cit., (o ritenuta, comunque, fondata sul cd. diritto vivente la qualificazione della norma come eccezionale) detta specificazione necessita di un intervento additivo (il quale, non comportando alcuna «scelta tra una pluralita' di soluzioni possibili», appare operabile da parte del Giudice costituzionale - Corte costituzionale, 26 gennaio 1994, n. 5). In conclusione, il Tribunale: rilevato che nel presente giudizio, avente ad oggetto la domanda risarcitoria proposta dai congiunti di un conducente un veicolo senza guida di rotaie nei confronti degli eredi di un pedone entrato in collisione con il conducente, il materiale probatorio a disposizione del giudice consente soltanto di affermare che (1) non consta prova che il conducente abbia fatto tutto il possibile per evitare il danno (ma non e' in concreto possibile accertare in che misura egli abbia violato il proprio dovere di diligenza) e che (2) il pedone ha violato l'art. 190, comma 5, del codice della strada (violazione influente eziologicamente nella realizzazione del sinistro); rilevato altresi' che la definizione di detta domanda secondo la clausola generale di cui all'art. 2043 c.c. implicherebbe una irragionevole disparita' di trattamento rispetto alle ipotesi in cui, per il medesimo fatto storico, essenzialmente connotato dalla «connaturale pericolosita» della condotta del conducente, egli e' onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ex art. 2054, coomma 1, c.c.; considerato che non e' possibile estendere analogicamente la previsione di cui all'art. 2054, comma 1, cit. alla fattispecie dedotta in giudizio senza violare l'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (ovvero che la qualificazione della suddetta norma come eccezionale e' costante da parte della giurisprudenza), e che, in conseguenza, l'art. 2054, comma 1, cit. contrasta con il principio di eguaglianza secondo il canone della ragionevolezza, consacrato nell'art. 3 della Costituzione; ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2054, comma 1, c.c., nella parte in cui non considera i casi in cui la circolazione del veicolo abbia prodotto un danno alla stessa persona del conducente e non fa dipendere il diritto del conducente al risarcimento del danno da parte di terzi alla prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno. L'eventuale dichiarazione di illegittimita' della disposizione avrebbe diretta incidenza sulla valutazione della responsabilita' del sinistro e, dunque, sulla decisione del presente giudizio. Il giudizio, pertanto, va sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale per il giudizio incidentale di costituzionalita'.