Sentenza 
 
nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,  secondo
comma, della legge 27 dicembre 1956 n. 1423  (Misure  di  prevenzione
nei confronti delle persone pericolose per  la  sicurezza  e  per  la
pubblica moralita'), come sostituito dall'art. 14  del  decreto-legge
27  luglio  2005,  n.  144  (Misure  urgenti  per  il  contrasto  del
terrorismo  internazionale),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 31 luglio 2005,  n.  155,  promosso  dal  Tribunale  di  Trani,
sezione distaccata di Andria, nel procedimento penale a carico di  G.
D., con ordinanza del  12  ottobre  2009,  iscritta  al  n.  314  del
registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 1, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del  9  giugno  2010  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Trani,  sezione  distaccata  di  Andria,  in
composizione monocratica, con l'ordinanza  indicata  in  epigrafe  ha
sollevato, in riferimento agli articoli 25, secondo comma, e 3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  9,
secondo comma, della legge 27  dicembre  1956,  n.  1423  (Misure  di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralita'),  come  sostituito  dall'articolo  14  del
decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto
del terrorismo internazionale), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 31 luglio 2005, n. 155, in relazione all'art. 5,  terzo  comma,
prima parte, della stessa legge n. 1423 del 1956. 
    Il rimettente premette di  essere  chiamato  a  giudicare  in  un
procedimento penale a carico di G. D.,  arrestato  in  flagranza  del
reato previsto e punito dalla norma censurata e tratto a giudizio con
rito direttissimo per avere, «quale soggetto sottoposto  alla  misura
della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno  nel  Comune  di
Andria, in forza del decreto n. 5/06 M. P. emesso in data 11  gennaio
2006 dal Tribunale di Bari, violato, con piu' azioni esecutive di  un
medesimo disegno criminoso, le prescrizioni di cui al punto n. 4  del
citato decreto e cioe' quelle di "vivere onestamente,  rispettare  le
leggi dello Stato e non dare ragione alcuna  di  sospetto  in  ordine
alla propria condotta" e precisamente  perche':  1)  si  poneva  alla
guida di un ciclomotore senza aver conseguito il previsto certificato
di idoneita' alla guida dei ciclomotori  e  senza  essere  munito  di
patente perche' revocata;  2)  si  poneva  alla  guida  dello  stesso
ciclomotore senza indossare il casco protettivo; 3) transitava  nella
zona battuta da spacciatori e tossicodipendenti, cosi' dando  ragione
di sospetto con la propria condotta». 
    Il  giudice  a  quo  prosegue  esponendo  che,  all'esito   della
convalida dell'arresto, l'imputato ha formulato richiesta di giudizio
abbreviato, che e' stato disposto. 
    Nell'ambito di tale giudizio il difensore ha sollevato  questione
di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 13,  25
e 27 Cost. - dell'art. 9 della legge n. 1423 del 1956, nella parte in
cui, richiamando il dettato dell'art. 5 della stessa legge,  sanziona
la prescrizione di «rispettare le leggi». 
    2. - Tanto premesso, il giudicante osserva che «l'art. 9, secondo
comma, legge n. 1423/1956, come  modificato  dall'art.  14,  d.l.  n.
144/2005, si pone in contrasto sia con l'art. 25, secondo comma,  che
con l'art. 3 della Costituzione facendo emergere due profili autonomi
e distinti di illegittimita' costituzionale». 
    Ad avviso del giudice a quo, in relazione al contrasto con l'art.
25, secondo comma, Cost.,  il  detto  art.  9,  nella  parte  in  cui
sanziona  penalmente  l'inosservanza  della   prescrizione   prevista
nell'art. 5, terzo comma, della stessa legge n. 1423 del 1956,  cioe'
quella di "vivere onestamente, di rispettare  le  leggi  e  non  dare
ragione  di  sospetti",  violerebbe  il  principio  di   tassativita'
sancito, in modo implicito ma certo, dal citato art. 25 Cost., «quale
corollario e completamento logico dei principi della riserva di legge
e della irretroattivita'». 
    Il detto principio di tassativita' imporrebbe la  tipizzazione  e
la determinatezza della fattispecie di reato, affinche'  la  condotta
sanzionata penalmente possa essere sempre individuata,  o,  comunque,
individuabile con sicurezza. 
    Tuttavia, l'obbligo di vivere onestamente, di rispettare le leggi
e  non  dare  ragione  di  sospetti,  pur  essendo  compreso  tra  le
prescrizioni  imposte  al  sorvegliato  speciale,  costituirebbe   un
obbligo di carattere generale, concernente  tutta  la  collettivita',
non riferibile specificamente al detto  soggetto.  Pertanto,  proprio
per  la  sua  portata  generale,  l'obbligo  indicato  non   potrebbe
individuare  una  prescrizione  a  contenuto  precettivo,  tipico   e
specifico, della misura della sorveglianza speciale, onde non sarebbe
possibile riconoscere con precisione la condotta idonea ad  integrare
il reato di violazione della sorveglianza speciale, dato il carattere
vago ed indeterminato degli elementi utilizzati per  la  tipizzazione
della fattispecie. 
    Infatti, andrebbe definito il concetto di "vivere onestamente"  e
sarebbe necessario stabilire le leggi di cui si impone  il  rispetto;
inoltre bisognerebbe chiedersi quali siano i comportamenti  idonei  a
generare ragioni di sospetto. 
    Il rimettente richiama, poi, l'ordinanza di questa Corte  n.  354
del 2003 e, pur rimarcando  che  essa  dichiaro'  inammissibile,  per
difetto  di  rilevanza  in  quella  fattispecie,  la   questione   di
legittimita' costituzionale della norma in questa sede  censurata  in
riferimento all'art. 25,  secondo  comma,  Cost.,  pone  in  evidenza
quanto si legge in detto provvedimento, cioe' che «l'art. 5 prevede -
accanto  a  specifiche  e  qualificate   condotte   che   configurano
altrettanti e ben precisi "obblighi", tutti puntualmente circoscritti
nominatim dalla previsione di legge la quale evidentemente assume  in
parte qua valore precettivo - alcune prescrizioni di "genere"; queste
ultime,  riconducibili  al  paradigma   dell'honeste   vivere,   sono
anch'esse funzionali alla ratio essendi della sorveglianza  speciale,
ma non sono certo qualificabili alla stregua di specifici  "obblighi"
penalmente sanzionati;  paradigma,  quello  accennato,  al  quale  e'
certamente possibile ricondurre anche la prescrizione  di  "non  dare
ragione  di  sospetti",  rappresentando  essa   null'altro   che   la
proiezione esteriore del comportamento di chi osservi appunto il piu'
generale precetto costituzionalmente imposto  a  chiunque  di  vivere
onestamente». 
    Cio'   posto,   e   riferito   l'orientamento   dominante   nella
giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui  l'inosservanza
- da parte del sorvegliato speciale di  pubblica  sicurezza  -  delle
menzionate prescrizioni integra pur sempre il reato di cui all'art. 9
della legge  1423  del  1956  (nel  testo  vigente),  ad  avviso  del
giudicante e' inevitabile rilevare come tale norma, «nella  parte  in
cui sanziona penalmente la violazione delle prescrizioni di cui  alla
prima parte del terzo comma del predetto art. 5, si ponga in evidente
contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione in  quanto
viola il principio costituzionale di tassativita'  sancito  in  detto
articolo della Costituzione». 
    La  questione,  per  le  considerazioni  esposte,   sarebbe   non
manifestamente infondata e  risulterebbe,  altresi',  rilevante,  «in
quanto la eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale  e'
destinata ad incidere sulle decisioni del  giudice  remittente  nella
misura in cui porterebbe ad escludere la  sussistenza  del  fatto  di
reato contestato». 
    3.  -  Sotto  altro  profilo,  il  rimettente  ritiene  la  norma
censurata  in  contrasto  con  l'art.  3  Cost.  per  violazione  del
principio di eguaglianza. 
    Richiamato il precetto dell'art. 9, secondo comma, della legge n.
1423 del 1956, come sostituito dall'art. 14 del d.l. n. 144 del 2005,
convertito, con modificazioni,  dalla  legge  n.  155  del  2005,  il
giudice a quo rileva che esso «tipizza  come  delitto  la  violazione
della misura di sorveglianza speciale in alternativa alla  previsione
del primo comma  dello  stesso  art.  9  che  invece  configura  come
contravvenzione la semplice inosservanza degli obblighi inerenti alla
sorveglianza speciale senza l'obbligo o il divieto di soggiorno». 
    Tuttavia, dal punto di vista della  concreta  offensivita'  della
condotta, l'inosservanza degli obblighi  inerenti  alla  sorveglianza
speciale presenta la stessa carica di disvalore, «a  prescindere  dal
fatto  che  il  sorvegliato  speciale  sia  o  meno   gravato   anche
dall'obbligo o dal divieto di soggiorno, diversamente dal caso in cui
sia  invece  proprio  questa,  e  cioe'  la   prescrizione   inerente
all'obbligo o al divieto di soggiorno, ad essere violata». 
    Per  conseguenza,  il  piu'  severo   trattamento   sanzionatorio
previsto dall'art. 9, secondo comma (testo vigente), della  legge  n.
1423 del 1956 crea, ad  avviso  del  giudicante,  una  ingiustificata
disparita'  di  trattamento  tra  sorvegliato  speciale  semplice   e
sorvegliato speciale con obbligo o divieto di dimora. 
    Infatti, la diversita'  del  trattamento  sanzionatorio  andrebbe
ancorata alla maggiore gravita' del fatto, da valutare  in  relazione
alla concreta offensivita' di esso, e non alla qualita' del soggetto,
sicche'  «va  apprezzata  allo  stesso  modo  con  riferimento   alle
prescrizioni concretamente violate a prescindere dalla  previsione  o
meno nel provvedimento applicativo della  misura  della  sorveglianza
speciale dell'obbligo o del divieto di soggiorno;  la  previsione  di
tale obbligo o divieto non incide sulla offensivita' e gravita' della
condotta, ma serve solo a  connotare  diversamente  il  comportamento
imposto al sorvegliato  speciale  e  ad  imporgli  una  piu'  gravosa
prescrizione che se violata puo' si' giustificare la configurabilita'
della fattispecie delittuosa prevista nel secondo comma dell'art.  9,
legge n. 1423/1956». 
    4. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
presente giudizio di legittimita' costituzionale,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata manifestamente infondata. 
    La difesa dello  Stato,  con  riferimento  all'art.  25,  secondo
comma,  Cost.,  sostiene   che   la   pretesa   anomalia   denunziata
nell'ordinanza di rimessione va inquadrata «nell'ambito  del  noto  e
non infrequente fenomeno delle cosi' dette leggi  penali  in  bianco:
espressione coniata dalla dottrina con cui si suole denominare quella
legge che faccia rinvio a un atto normativo di grado  inferiore,  per
indicare tutte le connotazioni di un  fatto  che  la  legge  medesima
considera penalmente illecito». 
    Al riguardo, l'Avvocatura richiama l'art. 650 del  codice  penale
ed osserva che, secondo la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  detta
norma «non contrasta con la riserva di  legge  sancita  dall'articolo
25, secondo comma, della Costituzione. La Corte ha in piu'  occasioni
affermato che il principio di legalita' non e' violato quando sia una
legge dello Stato,  non  importa  se  proprio  la  medesima  legge  o
un'altra  legge,  ad  indicare  con  sufficiente   specificazione   i
presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti  del  provvedimento
dell'autorita' non legislativa, alla cui trasgressione  deve  seguire
la pena (sent. n. 26 del 1966 e sent.  n.  62  del  1969);  nel  caso
dell'art.  650  c.  p.,  la  materialita'  della  contravvenzione  e'
descritta  tassativamente  in  tutti  i  suoi  elementi  costitutivi,
spettando al giudice penale di  indagare,  volta  per  volta,  se  il
provvedimento sia stato legittimamente emesso  nell'esercizio  di  un
potere-dovere previsto da una legge che  determini  con  "sufficiente
specificazione"  le  condizioni  e  l'ambito  di   applicazione   del
provvedimento». 
    Ad avviso della  difesa  dello  Stato,  lo  stesso  paradigma  si
osserva anche nella  fattispecie  normativa  in  esame,  nella  quale
l'art. 9, secondo comma, prevede la reclusione da uno a cinque  anni,
ed e' consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza,  quando
l'inosservanza riguardi gli obblighi e le prescrizioni inerenti  alla
sorveglianza speciale. 
    Il contenuto delle prescrizioni  e'  ricavabile  con  riferimento
indiretto ed implicito alle misure di prevenzione nei confronti delle
persone pericolose, dettate dall'art. 5 della stessa  legge  n.  1423
del 1956. Al terzo comma  di  detto  articolo  fanno  riferimento  le
prescrizioni di «vivere onestamente, rispettare le leggi dello Stato,
non dare ragione alcuna di sospetto in ordine alla propria condotta»,
indicate nel punto 4 del decreto del  Tribunale  di  Bari;  e,  nella
specie, la violazione di tali prescrizioni  era  stata  accertata  in
flagrante, con  riferimento  a  comportamenti  posti  in  essere  dal
sorvegliato speciale in  violazione  di  specifiche  norme  di  legge
dettate dall'ordinamento generale, come  quelle  del  vigente  codice
della strada. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, anche  la  questione  sollevata
con riguardo all'art. 3 Cost. sarebbe manifestamente infondata. 
    Infatti, un trattamento piu'  severo  per  chi  non  osservi  gli
obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza  speciale,  con
obbligo  o  divieto  di  soggiorno,  non  puo'  dirsi  irragionevole,
trattandosi di  obblighi  e  prescrizioni  relative  alla  misura  di
prevenzione piu' grave, irrogata a  soggetto  ritenuto  portatore  di
speciale pericolosita'. In proposito, e' richiamata  la  sentenza  di
questa Corte n. 161 del 2009. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di Trani,  sezione  distaccata  di  Andria,  in
composizione monocratica, dubita, in riferimento  agli  articoli  25,
secondo  comma,  e   3   della   Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale  dell'articolo  9,  secondo  comma,  della  legge   27
dicembre 1956, n. 1423 (Misure di  prevenzione  nei  confronti  delle
persone pericolose per la sicurezza e  per  la  pubblica  moralita'),
come sostituito dall'articolo 14 del decreto-legge 27 luglio 2005, n.
144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo  internazionale),
convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, in
relazione all'art. 5, terzo comma, prima parte, della stessa legge n.
1423 del 1956. 
    Il rimettente premette di  essere  chiamato  a  giudicare  in  un
procedimento  penale  con  rito  direttissimo  a  carico  di  G.  D.,
arrestato in flagranza del reato di cui al denunziato art. 9, secondo
comma, della legge n. 1423  del  1956,  per  avere,  «quale  soggetto
sottoposto alla misura della sorveglianza  speciale  con  obbligo  di
soggiorno nel Comune di Andria, in forza del decreto n.  5/06  M.  P.
emesso in data 11 gennaio 2006 dal Tribunale di  Bari,  violato,  con
piu'  azioni  esecutive  di  un  medesimo   disegno   criminoso,   le
prescrizioni di cui al punto n. 4 del citato decreto e  cioe'  quelle
di "vivere onestamente, rispettare le leggi dello Stato  e  non  dare
ragione alcuna  di  sospetto  in  ordine  alla  propria  condotta"  e
precisamente perche': 1) si poneva alla guida di un ciclomotore senza
aver conseguito il previsto certificato di idoneita' alla  guida  dei
ciclomotori e senza essere munito di patente perche' revocata; 2)  si
poneva alla guida dello stesso ciclomotore senza indossare  il  casco
protettivo;  3)  transitava  nella  zona  battuta   notoriamente   da
spacciatori e tossicodipendenti, cosi' dando ragione di sospetto  con
la propria condotta». 
    Il giudice a quo aggiunge che, dopo  la  convalida  dell'arresto,
l'imputato ha formulato richiesta  di  giudizio  abbreviato,  che  e'
stato disposto, e  nell'ambito  di  tale  giudizio  il  difensore  ha
sollevato questione di legittimita'  costituzionale  della  normativa
sopra indicata, per contrasto con gli artt. 3, 25, 27 e 13 Cost. 
    Cio' premesso, il giudicante ritiene che la  normativa  censurata
violi sia l'art. 25, secondo  comma,  sia  l'art.  3  Cost.,  facendo
emergere  due  profili  autonomi   e   distinti   di   illegittimita'
costituzionale. 
    Con riguardo al primo profilo, il rimettente  osserva  che  detta
normativa, nella parte in cui sanziona  come  delitto  di  violazione
della  sorveglianza  speciale   l'inosservanza   della   prescrizione
prevista dall'art. 5, terzo comma, prima parte, della legge  n.  1423
del 1956 (vivere onestamente, rispettare le leggi e non dare  ragione
di sospetti), si pone in contrasto con il principio di  tassativita',
sancito in  modo  implicito  ma  certo  dall'art.  25  Cost.,  «quale
corollario e completamento logico dei principi della riserva di legge
e della irretroattivita'». Il principio di  tassativita'  «impone  la
determinazione  e  la  determinatezza  della  fattispecie  di   reato
affinche' possa essere sempre individuata  o  comunque  individuabile
con sicurezza la  condotta  sanzionata  penalmente».  Tali  caratteri
mancherebbero nelle menzionate prescrizioni, che si  limiterebbero  a
prevedere  obblighi  generali  riguardanti  tutta  la  collettivita',
sicche' non sarebbe possibile riconoscere con precisione la  condotta
idonea ad integrare il reato contestato. 
    Quanto al secondo profilo, il trattamento sanzionatorio ben  piu'
severo, previsto dalla norma censurata per  il  sorvegliato  speciale
con obbligo o divieto di soggiorno rispetto al  sorvegliato  speciale
non gravato da tali obblighi, darebbe  luogo  ad  una  ingiustificata
disparita' di trattamento,  in  quanto  «dal  punto  di  vista  della
concreta offensivita' della condotta, la inosservanza degli  obblighi
inerenti alla sorveglianza speciale presenta oggettivamente la stessa
carica di  disvalore»,  nell'uno  e  nell'altro  caso,  onde  sarebbe
violato il principio dettato dall'art. 3 Cost. 
    2. - La questione, in relazione ad entrambi  i  profili,  non  e'
fondata, nei sensi di seguito precisati. 
    2.1. - Va premesso che l'art. 9 della legge  n.  1423  del  1956,
come oggi vigente dopo le modifiche apportate con l'art. 14 del  d.l.
n. 144 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  155
del 2005,  dispone  nel  primo  comma  che  il  «contravventore  agli
obblighi inerenti alla sorveglianza speciale e' punito con  l'arresto
da  tre  mesi  ad  un  anno»;  nel  secondo  comma  aggiunge  che  se
«l'inosservanza riguarda gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla
sorveglianza speciale con l'obbligo o il  divieto  di  soggiorno,  si
applica la  pena  della  reclusione  da  uno  a  cinque  anni  ed  e'
consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza». 
    Questa  Corte,  con  sentenza  n.  161  del  2009,   dopo   avere
ricostruito l'evoluzione  della  normativa  in  esame  (punto  3  del
Considerato in diritto), ha  ritenuto  non  irragionevole  la  scelta
legislativa di inasprire il trattamento sanzionatorio delle  condotte
penalmente illecite, inerenti alla misura della sorveglianza speciale
con l'obbligo o il divieto di soggiorno,  scelta  attuata  collocando
nella relativa fattispecie criminosa, punita con la reclusione da uno
a cinque anni, anche l'inosservanza  delle  prescrizioni  inerenti  a
tale misura, disposte dal tribunale ai sensi dell'art. 5 della  legge
n. 1423 del 1956 e successive modificazioni. Al riguardo, si e' posto
in rilievo che la pur severa sanzione prevista dalla norma denunziata
(peraltro con un consistente divario  tra  il  minimo  e  il  massimo
edittale  della  pena,  con  conseguente  ampia   flessibilita'   del
trattamento punitivo)  concerne  soggetti  sottoposti  ad  una  grave
misura di prevenzione, perche' ritenuti pericolosi per  la  sicurezza
pubblica, in relazione alla cui salvaguardia altre  misure  non  sono
state considerate idonee. 
    Le prescrizioni - che la persona sottoposta ad una  delle  misure
di prevenzione previste dall'art. 3 della legge n. 1423 del 1956 deve
osservare  -  sono   determinate   dal   tribunale,   all'esito   del
procedimento giurisdizionale applicativo della misura stessa, in base
al citato art. 5 della medesima  legge,  il  cui  terzo  comma  cosi'
dispone: «In ogni caso prescrive di vivere onestamente, di rispettare
le leggi, di non dare ragione di sospetti e di non allontanarsi dalla
dimora senza  preventivo  avviso  all'autorita'  locale  di  pubblica
sicurezza; prescrive, altresi', di non associarsi  abitualmente  alle
persone che hanno subito condanne  e  sono  sottoposte  a  misure  di
prevenzione o di sicurezza, di non rincasare la sera piu' tardi e  di
non uscire la mattina piu' presto di una data ora e senza  comprovata
necessita'  e,  comunque,  senza  averne  data   tempestiva   notizia
all'autorita' locale di pubblica sicurezza, di  non  detenere  e  non
portare armi, di non trattenersi abitualmente nelle osterie, bettole,
o  in  case  di  prostituzione  e  di  non  partecipare  a  pubbliche
riunioni». 
    Come questa Corte ha gia' osservato, il fondamento  delle  misure
di prevenzione e' nel principio secondo  cui  l'ordinato  e  pacifico
svolgimento dei rapporti sociali deve essere garantito, oltre che dal
complesso di norme repressive di fatti illeciti, anche da un  sistema
di misure preventive contro  il  pericolo  del  loro  verificarsi  in
avvenire, sistema che corrisponde ad  una  esigenza  fondamentale  di
ogni ordinamento, accolta e riconosciuta negli  artt.  13,  16  e  17
Cost. (sentenze n. 23 del 1964 e n. 27 del 1959). E  le  prescrizioni
sopra indicate mirano appunto a garantire il  detto  fine  di  tutela
preventiva, anche allo scopo di consentire  l'esercizio  di  adeguati
controlli da parte dell'autorita' di pubblica sicurezza. 
    Cio' posto, venendo alla questione di legittimita' costituzionale
sollevata dal rimettente con riferimento all'art. 25, secondo  comma,
Cost., si deve osservare che, per costante giurisprudenza  di  questa
Corte, per verificare il rispetto del principio di tassativita' o  di
determinatezza  della  norma  penale  occorre   non   gia'   valutare
isolatamente il singolo elemento  descrittivo  dell'illecito,  bensi'
collegarlo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con
la disciplina in cui questa s'inserisce. 
    In   particolare,   «l'inclusione   nella   formula   descrittiva
dell'illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi,  ovvero
di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus  del
parametro costituzionale evocato, quando la  descrizione  complessiva
del fatto incriminato consenta comunque al giudice -  avuto  riguardo
alle  finalita'  perseguite  dall'incriminazione  ed  al  piu'  ampio
contesto ordinamentale in cui essa  si  colloca  -  di  stabilire  il
significato di tale elemento  mediante  un'operazione  interpretativa
non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato:  quando  cioe'
quella   descrizione   consenta   di   esprimere   un   giudizio   di
corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie  astratta,
sorretto   da   un   fondamento   ermeneutico    controllabile;    e,
correlativamente, permetta al destinatario della norma di  avere  una
percezione sufficientemente chiara ed immediata del  relativo  valore
precettivo» (ex plurimis: sentenze n. 327 del 2008; n. 5 del 2004; n.
34 del 1995; n. 122 del 1993). 
    In questo quadro, la prescrizione  di  «vivere  onestamente»,  se
valutata in modo isolato, appare di per se' generica  e  suscettibile
di  assumere   una   molteplicita'   di   significati,   quindi   non
qualificabile  come  uno  specifico  obbligo  penalmente   sanzionato
(ordinanza n. 354 del 2003). Tuttavia, se e' collocata  nel  contesto
di tutte le altre prescrizioni previste dal menzionato art. 5 e se si
considera che e' elemento di  una  fattispecie  integrante  un  reato
proprio, il quale puo' essere commesso soltanto da un  soggetto  gia'
sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con
obbligo o  divieto  di  soggiorno,  essa  assume  un  contenuto  piu'
preciso, risolvendosi nel dovere imposto a quel soggetto di  adeguare
la propria condotta ad un sistema di vita conforme al complesso delle
suddette  prescrizioni,  tramite  le  quali  il  dettato  di  «vivere
onestamente» si concreta e si individualizza. 
    Quanto alla prescrizione di «rispettare le leggi», contrariamente
all'opinione espressa dal rimettente, essa non e' indeterminata ma si
riferisce al dovere, imposto al prevenuto,  di  rispettare  tutte  le
norme a contenuto precettivo, che impongano cioe'  di  tenere  o  non
tenere una certa condotta; non soltanto le norme penali,  dunque,  ma
qualsiasi disposizione la cui inosservanza sia ulteriore indice della
gia' accertata pericolosita' sociale. 
    Ne' vale addurre che questo e' un obbligo  generale,  riguardante
tutta la collettivita', perche' il carattere  generale  dell'obbligo,
da un lato,  non  ne  rende  generico  il  contenuto  e,  dall'altro,
conferma la sottolineata  esigenza  di  prescriverne  il  rispetto  a
persone nei cui confronti e' stato formulato, con le garanzie proprie
della giurisdizione, il  suddetto  giudizio  di  grave  pericolosita'
sociale. 
    Infine, in ordine alla  prescrizione  di  «non  dare  ragione  di
sospetti», ancora una volta essa non va considerata in  modo  isolato
ma nel contesto delle altre prescrizioni contemplate dall'art. 5, tra
cui assume particolare rilevanza, al  fine  di  dare  concretezza  al
dettato normativo, il divieto posto al sorvegliato  speciale  di  non
frequentare determinati luoghi o persone. 
    Inoltre, non e' esatto ritenere che la prescrizione de qua  possa
esaurirsi in un mero sospetto, disancorato da  qualsiasi  circostanza
concreta. L'applicazione di essa,  invece,  richiede  la  valutazione
oggettiva di fatti, collegati alla condotta della persona, che  siano
idonei a rivelarne la proclivita' a commettere reati. La  valutazione
di  tale  idoneita',  dovendo  essere  compiuta  in  concreto  e  con
riferimento alle singole fattispecie, non puo' che  essere  demandata
al competente giudice penale. 
    La  questione  di   legittimita'   costituzionale   della   norma
censurata, in relazione all'art. 25, secondo  comma,  Cost.,  non  e'
dunque fondata, nei sensi fin qui esposti. 
    2.2. - Anche la questione di  legittimita'  costituzionale  della
medesima norma, sollevata in riferimento all'art.  3  Cost.,  non  e'
fondata. 
    Questa Corte, con sentenza n. 161 del 2009, ha gia' sottoposto  a
scrutinio detta norma, con riferimento al parametro ora citato, e  ne
ha escluso la difformita' rispetto alla Costituzione sotto i  profili
denunciati. 
    Gli  argomenti  addotti  in  questa  sede  dal   rimettente   non
consentono di modificare tale orientamento. 
    Invero, ad avviso del giudice a quo, sussiste una  ingiustificata
disparita'  di  trattamento  tra  sorvegliato   speciale   cosiddetto
"semplice" e sorvegliato speciale con obbligo o  divieto  di  dimora.
Infatti,  mentre  il  contravventore  agli  obblighi  inerenti   alla
sorveglianza speciale e' punito con l'arresto da tre mesi ad un  anno
(art. 9 citato, primo comma), se l'inosservanza riguarda gli obblighi
e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l'obbligo o
il divieto di soggiorno, si applica la pena della reclusione da uno a
cinque anni ed e'  consentito  l'arresto  anche  fuori  dei  casi  di
flagranza. 
    Tuttavia, secondo  il  rimettente,  «dal  punto  di  vista  della
concreta offensivita' della condotta, la inosservanza degli  obblighi
inerenti alla sorveglianza speciale presenta oggettivamente la stessa
carica di disvalore  a  prescindere  dal  fatto  che  il  sorvegliato
speciale sia o meno gravato  anche  dall'obbligo  o  dal  divieto  di
soggiorno, diversamente dal caso in cui invece sia proprio questa,  e
cioe' la prescrizione inerente all'obbligo o al divieto di soggiorno,
ad  essere  violata».   Di   qui   l'ingiustificata   disparita'   di
trattamento. 
    Questo assunto non puo' essere condiviso, perche'  il  rimettente
muove da un presupposto interpretativo erroneo. 
    Invero, non e' esatto che la condotta  del  sorvegliato  speciale
cosiddetto "semplice" e quella del sorvegliato speciale  con  obbligo
di soggiorno in un determinato comune  (come  nella  specie)  abbiano
pari  carattere  offensivo,  e  quindi   pari   gravita',   in   caso
d'inosservanza  agli  obblighi  e  alle  prescrizioni  inerenti  alla
sorveglianza speciale. 
    L'art. 3, terzo comma, della legge n. 1423 del 1956, e successive
modificazioni, stabilisce che «Nei casi in cui  le  altre  misure  di
prevenzione non sono ritenute idonee  alla  sicurezza  pubblica  puo'
essere imposto l'obbligo di soggiorno nel comune di  residenza  o  di
dimora abituale». La stessa legge, dunque,  prevede  una  graduazione
nell'ambito delle misure di prevenzione, riservando  la  sorveglianza
speciale  con  obbligo  di  soggiorno  ai  casi  di  piu'  accentuata
pericolosita' sociale, nei quali le altre misure  non  sono  ritenute
idonee; e questa maggiore pericolosita'  necessariamente  rende  piu'
grave l'inosservanza delle prescrizioni imposte al soggetto. 
    Ne  deriva  che  le  due  situazioni  non  sono  omogenee,   onde
l'asserita violazione dell'art. 3 Cost. non e' ravvisabile, dovendosi
per il resto confermare la costante giurisprudenza di  questa  Corte,
secondo cui le scelte legislative aventi ad oggetto la configurazione
delle fattispecie criminose e il relativo  trattamento  sanzionatorio
sono censurabili, in sede di costituzionalita', soltanto  qualora  la
relativa discrezionalita' sia stata esercitata in modo manifestamente
irragionevole, arbitrario o radicalmente ingiustificato (ex plurimis:
sentenze n. 161 del 2009, n. 324 del 2008, n. 22 del 2007, n. 394 del
2006); mentre il raffronto tra fattispecie normative,  finalizzato  a
verificare la ragionevolezza delle scelte del legislatore, deve avere
ad oggetto casistiche omogenee, risultando  altrimenti  improponibile
la stessa comparazione  (ex  plurimis:  sentenza  n.  161  del  2009;
ordinanze n. 41 del 2009, n. 71 e n. 30 del 2007).