IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale n. 673 del 2010,  proposto  da  Cosimo  Borraccino,
rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Quinto, con domicilio  eletto
presso l'avv. Fulvio Mastroviti in Bari, via Quintino Sella, 40; 
    Contro: 
        l'Ufficio centrale regionale presso  12  Corte  d'appello  di
Bari; 
        il   Ministero   dell'interno,   rappresentati    e    difesi
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato  di  Bari,  domiciliati  per
legge in Bari, via Melo n. 97; 
        la Regione Puglia; 
        l'Ufficio centrale circoscrizionale presso  il  Tribunale  di
Bari; 
        l'Ufficio centrale circoscrizionale presso  il  Tribunale  di
Brindisi; 
        l'Ufficio centrale circoscrizionale presso  il  Tribunale  di
Lecce; 
        l'Ufficio centrale circoscrizionale presso  il  Tribunale  di
Foggia; 
        l'Ufficio centrale circoscrizionale presso  il  Tribunale  di
Taranto; 
        l'Ufficio centrale circoscrizionale presso  il  Tribunale  di
Trani; 
    Nei confronti di  Negro  Salvatore;  e  con  l'intervento  di  ad
opponendum. 
    Il Movimento Difesa del Cittadino - Mdc -, rappresentato e difeso
dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio  eletto  presso  l'avv.
Maurizio Di Cagno in Bari, via Nicolai, 43; 
    Rocco Palese, Massimo Cassano, Michele Boccardi, Davide  Bellomo,
Andrea  Caroppo,  Lucio  Tarquinio,  Gianfranco  Chiarelli,  Domenico
Lanzilotta, Saverio Congedo, Roberto Marti,  Mario  Vadrucci,  Pietro
Iurlaro, Antonio Camporeale, Arnaldo Sala, Ignazio  Zullo,  Giammarco
Surico, Maurizio Friolo, Francesco Damone, Leonardo Di Gioia,  Pietro
Lospinuso, Francesco De Biase, Giandiego  Gatta,  Giovanni  Alfarano,
Salvatore Greco, rappresentati e difesi dagli avv.ti Luciano Ancora e
Roberto G. Marra, con domicilio eletto  in  Bari,  presso  l'avv.  G.
Notarnicola, via Piccinni n. 150; 
    Salvatore Tatarella e Giuseppe Ciraci',  rappresentati  e  difesi
dagli avv.ti Giuseppe  Mariani,  Francesco  Paolo  Bello  e  Fabrizio
Tatarella,  con  domicilio  eletto  presso  il  primo  in  Bari,  via
Amendola, 21; 
    Per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia: 
        del verbale dell'Ufficio centrale regionale presso  la  Corte
d'appello di Bari  relativo  alle  operazioni  per  le  elezioni  del
Consiglio regionale della Regione Puglia del 28 e 29 marzo 2010,  con
il quale, tra l'altro, e' stato determinato nei limiti di settanta il
numero dei membri del Consiglio regionale; 
        nonche', nei limiti dell'interesse del ricorrente, degli atti
di proclamazione degli eletti; 
        per il diritto del ricorrente  ad  essere  proclamato  eletto
consigliere regionale della Puglia per la legislatura 2010/2015. 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Ufficio  centrale
regionale  presso  la  Corte  d'appello  di  Bari  e   il   Ministero
dell'interno; 
    Visti  gli  atti  d'intervento  di  Rocco  Palese  ed  altri,  di
Salvatore Tatarella e Giuseppe Giraci' e  del  Movimento  Difesa  del
Cittadino; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2010 il  cons.
Giuseppina Adamo e uditi per le  parti  i  difensori,  avv.ti  Pietro
Quinto, Grazia Matteo,  Ines  Sisto,  Gianluigi  Pellegrino,  Luciano
Ancora, Roberto Marra, Giuseppe Mariani e Francesco Paolo Bello; 
    Il  ricorrente  si  e'  candidato  alla  carica  di   consigliere
regionale della Puglia nella lista «Sinistra  Ecologia  e  Liberta'»,
circoscrizione di Taranto. Le elezioni si sono  tenute  il  28  e  29
marzo 2010. L'istante non e'  stato  proclamato  eletto  dall'Ufficio
centrale regionale presso la  Corte  d'appello  di  Bari,  in  virtu'
dell'opzione interpretativa contenuta nell'atto del 29  aprile  2010,
per la quale la disciplina di  riferimento  (in  primis,  lo  Statuto
della Regione Puglia e la legge regionale 28 gennaio 2005 n.  2,  che
peraltro esplicitamente s'ispira alla legislazione statale) induce  a
ritenere che il consiglio regionale sia composto da 70  componenti  e
non da 78, come sarebbe  invece  determinato  in  applicazione  della
normativa statale (art. 15, comma tredicesimo, nn. 6, 7  e  8,  della
legge 17 febbraio 1968, n. 108, come  modificato  dall'art.  3  dalla
legge 23 febbraio 1995,  n.  43  -  introduttivo  del  meccanismo  di
rafforzamento della maggioranza, cosiddetto «Tatarellum»). 
    L'atto perviene a tale contestata conclusione osservando che  non
emergono indici sicuri, desumibili dall'art. 10 della legge regionale
28 gennaio 2005, n. 2 (e, in specie, dalla lettera j), della volonta'
di attribuire seggi aggiuntivi, rispetto  al  numero  di  consiglieri
fissato prima dallo Statuto regionale e poi dall'art. 2 della  stessa
legge regionale; ragion per cui l'intera normativa dev'essere  intesa
in conformita' allo Statuto, il  quale  non  accenna  ne'  a  deroghe
riguardanti la composizione dell'organo collegiale, ne'  a  rinvii  a
meccanismi   elettorali   disciplinati   dalla   legge   statale    o
dall'apposita  legge   regionale   (di   fatto   comunque   approvata
successivamente allo statuto). 
    Con il ricorso proposto,  questo  ragionamento  viene  contestato
dall'istante  attraverso  una  serie  di  pregevoli   argomentazioni,
riguardanti il complesso normativo gia' menzionato. 
    Precisamente si sostiene che, dopo l'assegnazione di 56 seggi  su
base proporzionale e 13 in virtu' del «premio di maggioranza» (per un
totale di 70),  l'Ufficio  avrebbe  dovuto  attribuire  ai  candidati
legati  al  presidente  della  giunta   una   quota   aggiuntiva   di
governabilita', pari ad ulteriori 8 seggi, in modo d'assicurare  alle
stesse forze una maggioranza in consiglio del 60%. 
    Si sono costituiti il Ministero dell'interno e l'Ufficio centrale
regionale. Hanno  spiegato  intervento  ad  opponendum  il  Movimento
Difesa del Cittadino con Luigi Mariano, Rocco Palese e altri, come da
dettaglio in atti, nonche' Salvatore Tatarella e Giuseppe Giraci. 
    Innanzi tutto deve registrarsi che il  ricorrente  ha  depositato
con l'atto introduttivo del  giudizio  l'attestazione  della  propria
candidatura. 
    Per chiarire i termini della vicenda, conviene poi  riportare  le
disposizioni rilevanti. 
    Per l'art. 24, primo comma, dello Statuto,  approvato  con  legge
regionale 12 maggio 2004, n. 7, «Il Consiglio regionale  e'  composto
da settanta consiglieri eletti a suffragio universale dai  cittadini,
donne e uomini, iscritti nelle  liste  elettorali  dei  comuni  della
Puglia, con voto diretto, personale, eguale, libero e segreto». 
    La  successiva  legge   regionale   28   gennaio   2005,   n.   2
esplicitamente dichiara che «Per quanto non espressamente previsto  e
in quanto compatibili con la presente legge sono recepite la legge 17
febbraio 1968, n. 108 (Norme per l'elezione  dei  Consigli  regionali
delle Regioni a statuto normale) e la legge 23 febbraio 1995,  n.  43
(Nuove norme per l'elezione dei  Consigli  delle  Regioni  a  statuto
ordinario), con le successive modificazioni e integrazioni» (art.  1,
secondo comma); essa ribadisce all'art. 3, primo comma: «Il Consiglio
regionale e' composto da  settanta  membri,  compreso  il  Presidente
eletto,  di   cui   cinquantasei   eletti   sulla   base   di   liste
circoscrizionali concorrenti e tredici eletti tra i gruppi  di  liste
collegate con il candidato Presidente eletto,  secondo  le  modalita'
previste dal successivo art. 9». 
    L'art. 10 della stessa legge  regionale  poi  dispone:  «1.  Alla
legge n. 108 del 1968 vengono apportate le seguenti modifiche:... 
        j) il numero 6) del comma 13 dell'art. 15 e'  sostituito  dal
seguente: 
        "6)  verifica  quindi  se  i  voti  riservati  al   candidato
Presidente risultato eletto sia pari o superiore al 40 per cento  dei
voti conseguiti da tutti i candidati alla carica di Presidente"». 
    La  norma  statutaria  e'  chiara  nella  sua  indicazione  della
composizione consiliare e, come gia' accennato,  non  contiene  alcun
rimando alla, legge elettorale statale o comunque  ai  meccanismi  di
governabilita', comportanti seggi aggiuntivi, come  invece  prevedono
gli statuti della Calabria, dell'Abruzzo,  della  Lombardia  e  della
Toscana. 
    Anche l'art. 3, primo comma, della  legge  regionale  28  gennaio
2005, n. 2 si limita a indicare in 70 il numero dei consiglieri,  con
il relativo metodo di attribuzione dei seggi. 
    Da tale disposizione pero' non si puo' dedurre con  certezza  che
la legge  regionale  preveda  un  numero  fisso  di  consiglieri  con
l'esclusione della possibilita' di assegnazione di  altri  seggi,  al
fine di rafforzare la governabilita'. E  cio'  perche'  la  normativa
statale presa a modello (ovvero la legge 17 febbraio  1968,  n.  108,
come modificata dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43) era formulata in
modo analogo; sicche' parallelamente l'art. 2 della legge  statale  e
l'art. 3 della legge regionale possono essere ragionevolmente  intesi
nel senso che essi fissano il numero dei  consiglieri  regionali,  il
quale funziona da presupposto  nell'ipotesi  in  cui  sia  necessaria
l'attribuzione dei seggi aggiuntivi, in applicazione  del  cosiddetto
«Tatarellum». 
    Per quanto riguarda l'art. 10 della legge regionale,  la  tecnica
di drafting utilizzata non agevola la comprensione  della  disciplina
e, per altro verso, finisce per sovrapporre  i  due  diversi  livelli
legislativi. Ha osservato  la  Corte  costituzionale,  in  un'ipotesi
simile,  che  non  e'  «precluso  dettare,  nell'esercizio   di   una
competenza che ormai le e' propria, una  disciplina  riproduttiva  di
quella delle leggi  statali  previgenti»...  «Tale  "recepimento"  va
ovviamente inteso nel senso che la legge regionale viene  a  dettare,
per relationem, disposizioni di contenuto  identico  a  quelle  della
legge statale, su alcune delle quali, contestualmente,  gli  articoli
successivi operano modificandole o sostituendole: ferma restandone la
diversa forza formale e la diversa sfera  di  efficacia.  Il  Giudice
delle leggi ha  in  particolare  rimarcato  la  improprieta'  di  una
tecnica legislativa che, operando il "recepimento" e poi la  parziale
sostituzione delle disposizioni della legge statale (fra  l'altro,  a
quanto sembra, della sola legge n. 108 del  1968,  con  le  modifiche
apportate successivamente  al  suo  testo,  in  particolare  da  vari
articoli  della  legge  n.  43  del  1995,  e  non   delle   autonome
disposizioni dettate successivamente dalla stessa  legge  n.  43  del
1995),  da'  vita  ad  una  singolare  legge  regionale,  dal   testo
corrispondente  a  quello  della  legge  statale,  i  cui  contenuti,
peraltro, non risultano sempre legittimamente assumibili dalla  legge
regionale, in quanto estranei alla sua competenza» (sentenza 5 giugno
2003, n. 196). 
    In definitiva, il legislatore regionale, con il  richiamato  art.
10, ha operato un rinvio materiale implicito alla legge  17  febbraio
1968, n. 108, nella versione  vigente,  introducendo  chirurgicamente
alcune  modifiche  determinate  da  precise  scelte  della  normativa
regionale e, in particolare, per quel che in questa sede  rileva,  da
quella  di  sostituire  il   riferimento   alla   «lista   regionale»
(cosiddetto listone, cui nella legge statale sono attribuiti i  seggi
aggiuntivi, e che invece e' stato eliminato nella Regione Puglia) con
quello alle liste circoscrizionali collegate al candidato presidente,
le quali direttamente beneficiano del premio di stabilita'. 
    Si  deve   in   conclusione   constatare   che,   nonostante   la
discutibilita'  della  tecnica  di  redazione,  la  legge   regionale
elettorale  ha  adottato,  seppur  con   limitati   adeguamenti,   il
cosiddetto «Tatarellum» comprensivo dell'assegnazione del  premio  di
governabilita',   dovendosi   altrimenti   ipotizzare   la   completa
inutilita' e superfluita' della norma  (in  contrasto  oltretutto  da
quanto risulta chiaramente dai lavori preparatori). 
    Cio' significa che l'applicazione di tale legge  elettorale  puo'
portare (e, in effetti, porta nella tornata elettorale del  2010)  ad
un risultato incompatibile con l'art. 24, primo comma, dello statuto,
in quanto il meccanismo elettorale (che intende assicurare alle liste
collegate al presidente della Regione - in questo caso - il  sessanta
per cento dei seggi nell'assemblea) produce un numero di  consiglieri
(78)  superiore  a  quello  fissato  dallo  statuto  (70).  Ne'  tale
antinomia puo' essere risolta in via meramente ermeneutica:  partendo
dal presupposto (sulla cui sussistenza si ritornera' in seguito)  che
la determinazione di cui all'art. 24 possa ritenersi annoverabile nel
contenuto necessario dello statuto, deve reputarsi  che  il  rapporto
tra le relative norme in via di principio non soggiaccia al  criterio
cronologico, di cui all'art. 15 delle  disposizioni  sulla  legge  in
generale, essendo state delineate dagli  articoli  122  e  123  della
Costituzione (nel testo  risultante  dalla  legge  costituzionale  22
novembre 1999, n. 1) due distinte sfere di competenza. 
    In tale ragione dunque consiste la rilevanza della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10  della  legge  regionale  28
gennaio 2005, n. 2, in relazione all'art. 123 della Costituzione, per
contrasto con la norma  interposta  costituita  dall'art.  24,  primo
comma, dello statuto (Corte costituzionale 10 marzo 1983, n.  48;  27
ottobre 1988, n. 993; 26 febbraio 2010,  n.  68);  questione  di  cui
dunque deve verificarsi la non manifesta infondatezza. 
    All'uopo,  principalmente,  occorre  interrogarsi  sull'idoneita'
della norma  statutaria  quale  parametro  di  costituzionalita',  in
particolare, sotto i profili evidenziati nella dialettica processuale
dalle parti, cosi' enucleabili: 
        se l'art. 24, primo comma, dello statuto rispetti esso stesso
gli articoli 122 e 123 della Costituzione, ovvero se lo  statuto  non
travalichi la sfera de «la forma di governo e i principi fondamentali
di organizzazione e funzionamento», da determinare in armonia con  la
Costituzione,  per  sconfinare  nel  «sistema   di   elezione»,   che
dev'essere invece disciplinato «con legge della  Regione  nei  limiti
dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica»; 
        se, una volta che  «i  principi  fondamentali»  delle  regole
elettorali siano stati  cristallizzati  nell'art.  4  della  legge  2
luglio 2004, n. 165 e che sia stata imposta la «a) individuazione  di
un sistema 
        elettorale che agevoli la formazione di  stabili  maggioranze
nel  consiglio  regionale  e   assicuri   la   rappresentanza   delle
minoranze», la  scelta  di  una  composizione  rigida  dell'assemblea
regionale, da parte dello statuto, non debba ritenersi  per  lo  meno
disarmonica rispetto alla Costituzione. 
    Ambedue i dubbi pero' possono essere fugati. 
    Quanto alla determinazione del numero  dei  consiglieri,  di  cui
all'art. 24, primo comma,  dello  Statuto,  per  la  riconducibilita'
della disposizione alla competenza riservata allo  statuto  depongono
una serie di elementi che debbono essere cumulativamente considerati. 
    Innanzi tutto, in base alla nuova formulazione dell'art. 123  (in
cui viene abbandonata la precedente attribuzione limitata alle «norme
relative  all'organizzazione  interna   della   regione»),   non   si
giustifica una lettura della norma che isoli «la  forma  di  governo»
dai «principi fondamentali di organizzazione e funzionamento»  e  non
ne colga invece il significato integrale, che e' quello di  abilitare
lo statuto  a  definire  i  tratti  fondamentali  dell'organizzazione
costituzionale e amministrativa dell'ente. Tra questi  non  puo'  che
essere compresa la configurazione dell'assemblea regionale e  la  sua
composizione. 
    D'altra parte  non  vi  e'  motivo  d'interpretare  l'espressione
«forma di governo» in modo rigido e restrittivo, una volta constatato
che viene recepito  non  gia'  un  istituto  giuridico  positivamente
definito, bensi' una categoria concettuale (usualmente riferita  allo
Stato  e  collegata  con  le  distinzioni  della   relativa   forma),
attraverso la quale vengono astratti i caratteri di  modelli  storici
di organizzazione politico-costituzionale posti in comparazione,  con
individuazione e accentuazione di  elementi  caratteristici  diversi,
sulla cui rilevanza  si  registra  una  varieta'  di  valutazioni  in
dottrina. 
    Di  conseguenza,  non  vi  sarebbe  ragione   d'includere   nella
competenza disegnata dall'art.  123  solamente  i  rapporti  tra  gli
organi di governo della regione, strettamente intesi (con  esclusione
del corpo elettorale, che  pure,  secondo  posizioni  minoritarie  ma
autorevoli, rientrerebbe in tali relazioni), per concludere che nelle
previsioni  proprie  dello  statuto  non  possa  trovare  spazio   la
composizione dell'organo assembleare, che pure denota  anch'essa  una
scelta politica fondamentale. 
    Cio'  contrasterebbe  con  lo  spirito  innovativo  della   legge
costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, la quale  si  e'  ispirata  al
criterio di massima  per  cui  la  determinazione  dei  caratteri  di
organizzazione   politica   della    regione    dev'essere    rimessa
all'autodeterminazione  di  quest'ultima,  costituendo,  anzi,  parte
integrante della sua autonomia.  Di  qui  la  considerazione  che  la
costituzione  degli  organi  della  Regione,  attraverso  la  tornata
elettorale e l'applicazione del principio generale per  cui  si  deve
agevolare  la  formazione  di  maggioranze  stabili   nel   Consiglio
(contenuto nella legge 2 luglio 2004, n. 165) non possano non  essere
il risultato del concorso - e  non  certo  della  contrapposizione  o
della reciproca elisione - delle disposizioni  costituzionali  (artt.
122  e   123)   contestualmente   modificate   dalla   stessa   legge
costituzionale  n.  1  del  1999,  le  quali  andrebbero   lette   ed
interpretate in termini di coerenza e  d'integrita'  sistematica.  In
particolare l'art. 122 Cost. dev'essere letto in stretta  connessione
con l'art. 123 Cost., nel  senso  che  spetta  alla  legge  regionale
disciplinare il sistema di elezione del presidente e  dei  componenti
della giunta e del consiglio, nonche' i  casi  di  ineleggibilita'  e
d'incompatibilita' di tali soggetti conformemente al proprio statuto,
al quale e' rimessa la determinazione della forma di  governo  e  dei
principi di organizzazione  regionale.  Il  necessario  raccordo  tra
l'art. 122 e l'art. 123 Cost.  puo'  essere  ricavato,  a  contrario,
dalla constatazione che si registra una significativa differenza  tra
l'autonomia (tramite fissazione nello statuto della propria forma  di
governo) concessa dal legislatore costituzionale alle Regioni in tale
materia, e quella di cui dispongono, invece,  gli  enti  territoriali
minori, poiche' relativamente a questi ultimi la Costituzione  rinvia
alla potesta' legislativa statale.  Tanto  e'  vero  che  mentre  per
comuni e province e' dato riscontrare  una  disciplina  uniforme,  in
merito alle forme di governo e ai sistemi elettorali  regionali  sono
possibili (autonome) soluzioni diversificate, sia pure  nel  rispetto
della Costituzione e dei principi  generali  sanciti  nella  legge  2
luglio 2004, n. 165. 
    Peraltro, per ritenere condivisibili le  tesi  attoree,  volte  a
dimostrare l'intangibilita' della composizione mobile  del  consiglio
(che discende dai meccanismi introdotti dalla legge 23 febbraio 1995,
n. 43 e fatti propri dalla legge regionale 28 gennaio 2005, n. 2)  ad
opera della fonte statutaria, la  locuzione  «sistema  di  elezione»,
che, secondo l'art. 122 della Costituzione, e' oggetto di  disciplina
«con  legge  della  Regione  nei  limiti  dei  principi  fondamentali
stabiliti con legge della Repubblica», dovrebbe  essere  intesa  come
comprensiva della  determinazione  del  numero  dei  consiglieri.  Su
questo presupposto,  allora,  anche  alla  fattispecie  in  esame  si
attaglierebbe il giudizio pronunciato dalla Corte costituzionale, per
la quale «occorre prendere atto che non si puo' pretendere,  in  nome
della competenza  statutaria  in  tema  di  "forma  di  governo",  di
disciplinare la materia elettorale tramite  disposizioni  statutarie,
dal momento che il primo  comma  dell'art.  123  ed  il  primo  comma
dell'art. 122 sono disposizioni tra loro pari ordinate: anche se  sul
piano concettuale puo' sostenersi che la determinazione  della  forma
di governo puo' (o addirittura dovrebbe) comprendere la  legislazione
elettorale, occorre  prendere  atto  che,  invece,  sul  piano  della
Costituzione vigente, la potesta'  legislativa  elettorale  e'  stata
attribuita ad organi ed a procedure diverse da quelli  preposti  alla
adozione dello statuto regionale e che quindi  lo  statuto  regionale
non  puo'  disciplinare  direttamente   la   materia   elettorale   o
addirittura contraddire la disposizione  costituzionale  che  prevede
questa speciale competenza legislativa» (sentenza 13 gennaio 2004, n.
2; nonche' 5 giugno 2003, n. 196; 6 dicembre 2004, n. 378; 14  giugno
2007, n. 188). 
    Al  riguardo  si  deve  osservare  che,  per  quanto  si  possano
intendere in senso lato termini quali elezioni o  materia  elettorale
(secondo la lettera dell'art. 72, ultimo comma, della Costituzione) o
legge elettorale o diritto elettorale, essi si riferiscono pur sempre
ad  un   insieme   funzionalizzato   comprensivo   di   procedimenti,
organizzazione e atti,  attraverso  il  quale  le  scelte  del  corpo
elettorale si tramutano in investiture a cariche pubbliche ad tenous. 
    Essi in  definitiva  esprimono  sempre  una  natura  strumentale,
conservano la  loro  connotazione  di  meccanismo  d'investitura  con
metodo elettivo, che non puo' quindi, in se', confondersi con il dato
della disciplina dell'organo  pubblico  (con  la  sua  consistenza  e
composizione). Tale dato deve normalmente essere  espresso  dall'atto
fondamentale di un ente autonomo, che  per  la  regione,  secondo  la
Costituzione, e' individuato nello statuto, il  quale  «determina  la
forma di governo  e  i  principi  fondamentali  di  organizzazione  e
funzionamento». 
    Nello stesso senso si e' espressa la Corte costituzionale, per la
quale «le scelte fondamentali in ordine al riparto delle funzioni tra
gli organi regionali, ed in particolare tra il Consiglio e la Giunta,
alla loro organizzazione  e  al  loro  funzionamento  sono  riservate
dall'art. 123 Cost. alla fonte statutaria» (sentenza 14 giugno  2007,
n. 188). 
    In particolare, ritenendo infondati  i  rilievi  d'illegittimita'
mossi allo statuto della Regione Marche, nella parte  in  cui  «(agli
artt. 7, comma 1, e 11, comma 2) fissa il numero dei  componenti  del
Consiglio medesimo in quarantadue, e non quarantatre», ha chiaramente
affermato che tale previsione rientra  nella  competenza  statutaria.
Invero, «La norma impugnata non  contraddice  gli  evocati  parametri
statutari, ma e' coerente con  essi.  Legittimamente  esercitando  la
propria competenza  in  ordine  alla  scelta  politica  sottesa  alla
determinazione della "forma di governo"»  della  Regione  (art.  123,
primo comma,  Cost.),  il  legislatore  statutario  delle  Marche  ha
infatti stabilito che «Il Presidente della Giunta regionale e' eletto
a suffragio universale e diretto in concomitanza con  l'elezione  del
Consiglio regionale e fa parte dell'organo consiliare» (art. 7, comma
1) e  che  «Il  Consiglio  [regionale]  e'  composto  da  quarantadue
consiglieri» (art. 11, comma 2)» (sentenza 13 gennaio 2006, n. 3). 
    Ad escludere la plausibilita' di una tale operazione  ermeneutica
estensiva  concorre  inoltre  un  argomento  di  tipo  letterale:  in
realta',  l'art.  123  della  legge  fondamentale  non  utilizza   le
generiche  locuzioni  sovraelencate  (elezioni,  materia  elettorale,
legge elettorale, diritto elettorale), bensi' «sistema di  elezione»,
la quale, nel linguaggio settoriale, si  riferisce  alla  fase  dello
scrutinio e dell'assegnazione dei seggi ed esprime  un  complesso  di
regole e una combinazione di varie procedure che mirano a  consentire
l'efficace  traduzione  dei  voti  espressi  in  seggi   e   cariche,
attraverso  la  definizione  del   sistema   di   votazione   (ovvero
dall'insieme di fattori che concorrono a regolare le  elezioni,  come
le  dimensioni  delle  circoscrizioni,  il  numero  delle  preferenze
esprimibili, la regolamentazione sulle candidature e  l'utilizzo  dei
mezzi di comunicazione) e del metodo per  l'attribuzione  dei  seggi,
con l'applicazione  della  formula  elettorale,  classificabile  come
maggioritaria o proporzionale, a cui  si  e'  aggiunta,  storicamente
piu' di recente, quella mista. 
    Per completezza si  deve  aggiungere  che  non  possono  emergere
elementi a smentita di tale conclusione dalla legge 17 febbraio 1968,
n. 108 (Norme per l'elezione dei Consigli regionali delle  Regioni  a
statuto normale). Tale legge sia nel suo testo originario  sia  nella
versione risultante dalle modifiche apportate dalla legge 23 febbraio
1995, n. 43 (Nuove norme per l'elezione dei Consigli delle Regioni  a
statuto  ordinario),  nonostante  si  occupasse  espressamente  della
materia elettorale, determinava all'art. 2 il «Numero dei consiglieri
regionali».  Cio'  pero'  all'epoca   (ovvero   prima   della   legge
costituzionale n. 1/1999) era sicuramente ammesso  e  non  comportava
alcun problema,  visto  che  l'art.  122  della  Costituzione  allora
vigente affidava alla  legge  statale  il  compito  di  fissare  tale
numero. Di riflesso, anche tale aspetto  poteva  essere  disciplinato
dalla medesima fonte che regolamentava  le  elezioni,  pur  rimanendo
concettualmente ben distinti i due ambiti. Una  volta  pero'  che  la
legge costituzionale del 1999 ha scisso le due  materie  distinguendo
tra forma di governo e  principi  fondamentali  di  organizzazione  e
funzionamento (affidati  dal  novellato  art.  123  allo  statuto)  e
sistema elettorale  (di  spettanza  della  legge  regionale  entro  i
principi fondamentali statali, secondo  il  riformato  art.  122)  la
ripartizione logica acquista rilevanza e operativita'. 
    E' da escludere poi che l'art. 24 dello statuto (laddove fissa in
modo rigido in 70 i componenti del consiglio) si ponga  in  contrasto
con «i principi fondamentali» delle regole  elettorali  (in  concreto
individuati dall'art. 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165,  il  quale
impone in particolare la «a) individuazione di un sistema  elettorale
che agevoli  la  formazione  di  stabili  maggioranze  nel  consiglio
regionale e assicuri la rappresentanza delle  minoranze»)  ovvero  in
disarmonia rispetto alla Costituzione. 
    E' evidente infatti che i richiamati principi fondamentali cui si
deve attenere la  legge  elettorale  regionale,  ex  art.  122  della
Costituzione,  non  limitano  affatto  l'attivita'  del   legislatore
statutario. In realta' il ragionamento attoreo finisce  per  rivelare
un'inversione logica e cronologica. 
    Non e'  invero  lo  statuto  che  deve  adeguarsi  al  meccanismo
elettorale (in concreto al cosiddetto Tatarellum, che storicamente ha
assicurato la solidita' delle maggioranze regionali coagulate intorno
al presidente della giunta), ma, al contrario, e' la legge elettorale
regionale che, partendo dal prius costituito dalla scelta  statutaria
di composizione fissa  dell'organo  assembleare,  deve  elaborare  un
sistema adeguato ai principi generali della legge 2 luglio  2004,  n.
165 (ma sempre nel  rispetto  del  vincolo  costituito  dalle  scelte
statutarie). 
    D'altra parte, il diritto positivo non  impone  il  rispetto  del
modello  delineato  dalla  legge  17  febbraio  1968,  n.  108,  come
modificata dalla legge 23 febbraio  1995,  n.  43,  ma  prevede  solo
l'efficacia transitoria della medesima disciplina,  in  attesa  delle
scelte autonome delle regioni, ad iniziare da quelle statutarie (art.
5 della legge costituzionale n. 1/1999). 
    Ne' si puo' ipotizzare  che  quello  disegnato  dalla  disciplina
statale  rappresenti  l'unico  sistema  in  grado  di  agevolare   la
formazione di stabili maggioranze: a prescindere dall'ovvia notazione
che tale risultato dipende non solo  dall'esito  delle  votazioni  ma
anche dalla qualita' della maggioranza, la cui intrinseca compattezza
e' un dato non meramente quantitativo non del tutto  determinato  dal
sistema elettorale, occorre sottolineare  che  l'art.  4,  lett.  a),
della legge 2 luglio 2004, n. 165 non  si  limita  a  indirizzare  il
legislatore regionale verso la finalita' di agevolare  la  formazione
di esecutivi  stabili,  ma  anche  lo  sprona  contemporaneamente  ad
assicurare forme di tutela della «rappresentanza delle minoranze». Si
puo' percio' presumere l'ammissibilita' dei vari  sistemi  cosiddetti
misti, mentre non emerge, come gia'  rilevato,  che  lo  Stato  abbia
avvertito  l'esigenza  di  conservare  precisamente   il   meccanismo
usualmente denominato «Tatarellum». 
    In definitiva, il principio generale della legge statale per  cui
e'  necessario  adottare  un  sistema  di  elezione   che   favorisca
maggioranze stabili, e' per l'appunto un principio generale, che puo'
non coincidere o che  non  deve  necessariamente  coincidere  con  la
formula elettorale del Tatarellum. Il che e' coerente con la rinuncia
del legislatore costituzionale a riservare alla legislazione  statale
una disciplina uniforme  sul  numero  predeterminato  di  consiglieri
regionali, con un'opzione diversa da quella riguardante i comuni e le
province. In definitiva il sistema sottolinea la stretta correlazione
strumentale della materia elettorale con la fissazione, a priori, del
numero dei consiglieri da parte dello statuto  regionale.  Non  solo:
evidenzia i caratteri di  una  scelta  politica  che,  se  prima  era
rimessa alla legge statale, ora deve ritenersi rimessa alla piu' alta
delle fonti regionali, ossia allo statuto. 
    Per i motivi fin qui esposti  in  ordine  alla  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art.
10  della  legge  regionale  28  gennaio  2005,  n.  2,  essa  dunque
dev'essere sottoposta al Giudice delle leggi.