IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 4778 del 2011, integrato con motivi aggiunti, proposto da Abbonato Rosa, Acciari Esimio Umberto, Acri Vincenzo, Alfano Federica, Amato Saverio, Ambrosio Valeria, Anselmi Rita, Armagno Francesco, Baldari Maria, Baldassarre Lucrezia, Baldi Mariano, Balzano Renato, Barbadoro Alceo, Bartolini Antonio, Bellini Maria, Bernabei Francesco, Boffula Maria, Bonadio Giuseppe, Bonvicini Francesco, Brienza Massimo, Bronzetti Marcello, Bugiaretti Alessandro, Calestani Paola, Cangiano Raffaele, Capponi Margherita, Carbone Claudia, Casella Roberto, Catanzariti Caterina, Catta Giuseppe, Cavallaro Rosa, Cervo Gennaro, Chiavaro Marco, Cioffi Massimo, Coleti Patrizia, Compagnone Mauro, Contaldo Alfonso, Crisolini Malatesta Patrizia, Cuoccio Nicoletta, Cuomo Antonio, Daino Giuseppe, Dainotti Giuseppe, Dainotti Francesco, De Angelis Saverina, De Luca Mauro, De Luca Carmine Tommaso, De Martino Roberto, De Rosa Luisa, Del Grosso Sergio, Dell'Anno Pasquale, Di Buono Giuseppe, Di Clemente Roberta, Di Fraia Laura, Digilio Giuliana, Drago Francesco, Esposito Claudio, Esposito Daniela, Fabiani Sandro, Ferace Giovanni Maria, Ferola Fabio, Ferraiuolo Giancarlo, Filacchione Leandra, Fiori Mauro, Flaviano Federico, Forenza Sonja, Fraioli Valeria, Galassi Paolo Luigi, Galiero Salvatore, Galietta Renato, Gianassi Gianni, Giannini Graziano, Gunnella Massimo, Iannelli Marco, Infantino Angelo, Inverso Anna, Iuliano Pasqualina, La Farina Angelo, La Franca Giacomo, La Medica Ferdinando, La Monica Filomena, Lasco Michele, Lefosse Mirella, Lenzi Alessandra, Liccardo Felice, Magnanini Vittorio, Mancone Rocco, Mandarano Annarita, Maoloni Silvio, Mariani Francesca, Marotta Luigi, Masino Antonia, Mastrorilli Vito, Mastrovita Sara, Mazzarella Giovanni, Milan Aldo Enrico, Montanari Sandro, Nouglian Silvana, Novello Arianna, Pacifico Enrico, Palmentieri Stefano Maria, Panarese Antonio, Panetta Roberto, Perlingieri Stefania, Perri Bruna, Perrucci Teresa, Petrone Giuseppina, Pinelli Anna, Pino Alessandro, Pischedda Antonio, Pizzolo Alberto, Polcaro Antonietta, Polizzi Maria Adelaide, Pomella Lucia, Pompili Roberto, Pontellini Claudio, Ponziani Emesto, Ragazzoni Nella, Ragucci Gennaro, Resta Antonio, Ricca Angelo, Ricchiuti Marco, Ridolfi Paola, Rivelli Federica, Rivelli Barbara, Robertazzi Riccardo, Romanelli Cristina, Romano Gaetano, Rosiello Pompeo, Rossini Ciro, Russo Linda, Sabella Angela, Salandri Luca, Santucci Alfredo, Sbardella Luca, Scavone Benedetto, Sciacchitano Francesco, Sciarpelletti Carla, Severo Giuseppe, Sibilla Raffaella, Siciliano Antonio, Smurro Francesco, Solombrino Pellegrino, Spadaro Luigia, Tagiullo Mario Tagliaferri Bruno, Tarallo Andreina, Tempestini Francesca, Tesauro Francesco, Tilli Paolo, Tirone Luciana, Trotta Gerardo, Veneziano Antonella, Viceconti Nicola, Vici Stefania, Villoresi Cypraea, Votano Giulio, Vuosi Alberto, Zambuco Maddalena, Zotta Domenico, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Aristide Police e Giovanni Moscarini, con i quali sono elettivamente domiciliati in Roma, via Sesto Rufo n. 23; Contro l'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni e l'istituto Nazionale di Statistica, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato presso la quale sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Per l'annullamento: quanto al ricorso introduttivo, della delibera dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 114/11/CONS del 2 marzo 2011, pubblicata il 23 marzo 2011, con la quale sono state individuate le modalita' di attuazione delle disposizioni previste dal decreto-legge 1° maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nonche' di ogni altro atto presupposto, ivi compresi: a) il Parere del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato in data 11 gennaio 2011, reso su apposita richiesta dell'Autorita' Garante per la Concorrenza ed il Mercato prot. n. 0068665 del 17 dicembre 2010 in merito all'applicabilita' delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 78/2010; b) ove occorra ed in parte qua, l'elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196; c) i singoli provvedimenti individuali adottati in esecuzione della predetta delibera n. 114/11/CONS nei confronti dei singoli ricorrenti; quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, del nuovo elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e pubblicato sulla G.U., serie generale, n. 228 del 30 settembre 2011; quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, della delibera dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 498/11/CONS del 13 settembre 2011, pubblicata in data 11 novembre 2011, con la quale, in attuazione dell'art. 12, commi 7, 8, 9 e 10 del decreto-legge n. 78/2010 e dell'art. 7 della suddetta delibera n. 114/11/CONS del 2 marzo 2011,e' stata ridefinita la disciplina della I.F.R del personale dell'Autorita'; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni e dell'Istituto Nazionale di Statistica; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2012 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Considerato che la parte ricorrente con il ricorso introduttivo in punto di fatto premette che il Governo con il decreto-legge n. 78/2010, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica», ha adottato, tra l'altro, un complesso di disposizioni finalizzate al contenimento della spesa in materia di impiego pubblico e che l'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni del tutto inopinatamente, attesa l'irrilevanza delle disposizioni adottate con il citato decreto-legge rispetto alla posizione dell'Autorita' medesima, ha provveduto con la impugnata delibera n. 114/11/CONS a dare attuazione ad alcune di tali disposizioni, tra le quali: a) l'art. 6, comma 12, con il quale sono state soppresse le diarie per le missioni all'estero; b) l'art. 9, comma 1, con il quale viene fatto divieto, per il successivo triennio, di incrementare il trattamento economico dei dipendenti pubblici rispetto a quello ordinariamente spettante nel 2010; c) l'art. 9, comma 2, con il quale viene prevista la riduzione dei trattamenti economici dei dipendenti superiori a novantamila ed a centocinquantamila curo; d) l'art. 9, comma 21, con il quale viene disposto il blocco delle progressioni economiche per il triennio 2011-2013; e) l'art. 12, comma 7, con il quale viene previsto il pagamento dilazionato del trattamento di fine rapporto e di ogni altra indennita' equipollente); f) l'art. 12, comma 10, che prevede l'inclusione di tutto il personale dipendente nel regime del trattamento di fine rapporto disciplinato dall'art. 2120 cod. civ.; Considerato che con il ricorso introduttivo dei provvedimenti impugnati viene chiesto l'annullamento per i seguenti motivi: I) Violazione e falsa applicazione delle Direttive n. 2002/19/CE, n. 2002/20/CE e n. 2002/21/CE del 7 marzo 2002, nonche' della Direttiva n. 2009/140/CE del 25 novembre 2009. Violazione e falsa applicazione dell'art. 2, commi 2, 5, 27, 28, 38, lett. b), e 40 della legge 14 novembre 1995, n. 481, dell'art. 1, commi 1 e 9, della legge 31 luglio 1997, n. 249 e dell'art. 1, commi 65 e 66 della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Violazione e falsa applicazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. I ricorrenti - dopo aver analizzato la posizione occupata nell'ordinamento dall'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito denominata «AGCOM»), nonche' la specifica disciplina relativa al trattamento giuridico ed economico ed alle carriere del suo personale, al fine di evidenziare la piena autonomia ed indipendenza organizzativa e finanziaria dell'Ente, assicurata dall'ordinamento comunitario, dalla legge istitutiva dell'Ente medesimo, nonche' dalle altre norme dell'ordinamento nazionale - affermano che esiste una stretta connessione tra le funzioni tipiche dell'AGCOM ed il meccanismo di finanziamento della stessa Autorita', prevalentemente basato su contributi posti a carico dei soggetti privati operanti nel settore delle comunicazioni. Pertanto, secondo la prospettazione dei ricorrenti, essi possono essere gravati di oneri economici solo nella misura necessaria per coprire i costi derivanti dall'attivita' svolta dall'AGCOM e, quindi, in presenza di una contrazione delle spese di esercizio dell'Autorita' derivante dall'applicazione delle disposizioni del decreto-legge n. 78/2010 in materia di contenimento del costo del lavoro, «una corretta applicazione dei principi comunitari imporrebbe una corrispondente riduzione dei contributi richiesti agli operatori privati... In caso contrario, e cioe' in base allo scenario delineato dalla delibera impugnata, la contrazione dei costi di funzionamento dell'AGCOM non accompagnata da alcuna revisione della contribuzione privata implica un'imposizione a carico degli operatori di oneri incongrui e sproporzionati, la quale finirebbe per dare luogo ad una vera e propria nuova tassazione, mascherata, indiretta e distorta, in assenza della necessaria immediata copertura legislativa, in un ambito in cui l'azione del Legislatore interno in tal senso risulta, strettamente vietata dal diritto dell'Unione». Deve, quindi, conclusivamente ritenersi che «l'automatica applicazione all'AGCOM delle previste misure di riduzione dei costi andrebbe ad incidere solo in minima parte su importi gravanti sulle casse pubbliche, colpendo per converso in misura pressoche' esclusiva i versamenti degli operatori economici, attesa l'attuale ripartizione delle voci di finanziamento dell'Autorita' tra bilancio statale e contribuzione privata», con l'ulteriore conseguenza che l'impugnata delibera n. 114/11/CONS e' illegittima perche' non tiene conto della «estraneita' della posizione dell'AGCOM alla sfera di applicazione delle disposizioni di cui al d.l. n. 78/2010, almeno per tutta la parte ... delle entrate finanziarie coincidente con gli oneri a carico del settore privato»; II) Violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 28, della legge 14 novembre 1995, n. 481, dell'art. 1, comma 9, della legge 31 luglio 1997, n. 249. Violazione e falsa applicazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. I ricorrenti - dopo aver ribadito che il rapporto d'impiego del personale dell'AGCOM e' regolato da una disciplina speciale che trova la propria fonte nell'art. 2, comma 28, della legge n. 481/1995 e nell'art. 1, comma 9, della legge n. 249/1997, i quali demandano alla stessa Autorita' la regolamentazione di tale rapporto e parametrano il trattamento economico del personale dell'AGCOM a quello dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato - sostengono che la delibera n. 114/11/CONS si e' limitata a recepire acriticamente l'impugnato parere reso dal Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato in merito all'applicabilita' delle disposizioni del decreto-legge n. 78/2010, il quale sarebbe a sua volta illegittimo perche' la Ragioneria non ha tenuto conto della specialita' dell'AGCOM, ritenendo sufficiente, ai fini dell'applicazione del decreto-legge n. 78/2010, il dato formale della inclusione dell'Autorita' stessa nell'elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 196/2009 (di seguito denominato «elenco ISTAT»). Tuttavia, secondo i ricorrenti, pur essendo formalmente innegabile che l'AGCOM e' una delle Autorita' indipendenti ricomprese nell'elenco ISTAT, «non pare validamente revocabile in dubbio che, ogniqualvolta il decreto-legge in esame ha realmente inteso estendere la portata delle misure di contenimento anche alle Autorita' indipendenti ricomprese nell'elenco, ha esplicitato tale volonta' mediante l'impiego della diversa espressione «le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti». ... Per inciso, tale dizione e' stata utilizzata in una serie di previsioni, contenute nell'articolo 6, finalizzate alla riduzione dei costi degli apparati amministrativi (il comma 3 sulle indennita' dei componenti degli organi; il comma 8 sulle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e di rappresentanza; il comma 9 sulle spese per sponsorizzazioni; il comma 12 sulle spese di missione; il comma 13 sulle spese per la formazione; il comma 14 sull'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni taxi), ovverosia per disposizioni il cui ambito operativo si rivela estraneo all'autonomia riconosciuta dall'ordinamento alle Autorita' in tema di trattamento del proprio personale. Da tale rilievo d'ordine ermeneutico (rispondente al noto canone interpretativo ubi lex voluit, dixit) deve necessariamente desumersi che il Legislatore ha ritenuto opportuno estendere alle Autorita' indipendenti gli effetti delle sole norme contenenti misure compatibili con la sfera di autonomia alle stesse riservata dalle leggi istitutive a presidio della loro indipendenza, mentre non ha affatto imposto l'applicazione di quelle previsioni inerenti il rapporto d'impiego, allorche' - come nel caso dell'AGCOM - sia configurabile una normativa speciale inconciliabile rispetto ad esse». Inoltre i ricorrenti contestano la tesi della Ragioneria sulla base seguenti considerazioni di carattere sistematico: a) l'art. 2, comma 28, della legge n. 481/ 1995, nell'affermare l'autonomia organizzativa dell'AGCOM in tema di ordinamento delle carriere e di trattamento giuridico-economico del personale, opera un espresso rinvio «ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato»; b) l'art. 11, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, istitutiva dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato, a sua volta collega «il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere» della stessa Autorita' «ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative dell'Autorita'»; c) l'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 prevede per la Banca d'Italia un peculiare regime di contenimento delle spese, in virtu' del quale «la Banca d'Italia tiene conto, nell'ambito del proprio ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio 2011-2013 contenuti nel presente titolo», fermo restando che «a tal fine, qualora non si raggiunga un accordo con le organizzazioni sindacali sulle materie oggetto di contrattazione in tempo utile per dare attuazione ai suddetti principi, la Banca d'Italia provvede sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva eventuale sottoscrizione dell'accordo»; d) dal combinato disposto di tali articoli si evince, da un lato, che il trattamento del personale dell'AGCOM si pone, seppur mediatamente, in stretta connessione con quello riservato ai dipendenti della Banca d'Italia e, dall'altro, che il Legislatore ha ritenuto di applicare non solo alla Banca d'Italia, ma anche all'AGCOM soltanto i principi generali in materia di riduzione dei costi, destinati a trovare attuazione per il tramite dell'esercizio dell'autonomia organizzativa riservata dall'ordinamento alla medesima Autorita'. In via subordinata, per il caso in cui si dovesse ritenere che lo speciale regime previsto per la Banca d'Italia dall'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 non si estenda al personale della altre Autorita', i ricorrenti denunciano la incostituzionalita' dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del medesimo decreto-legge n. 78/2010 per violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost.; III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 12, dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 per violazione degli articoli 3 e 97 e 117 Cost. I ricorrenti - dopo aver evidenziato che l'elenco ISTAT «e' redatto unicamente sulla base di criteri statistici ed economici, senza alcuna analisi di carattere giuridico connessa alla natura e alle caratteristiche dei soggetti interessati» e che lo stesso Presidente dell'ISTAT, nell'ambito di un'audizione tenutasi in data 20 gennaio 2011 innanzi alla V Commissione della Camera dei Deputati ed alla V Commissione del Senato della Repubblica, «ha sollevato gravi dubbi in ordine alla circostanza che esso possa trovare impiego, da parte del legislatore, allo scopo di applicare una determinata normativa, giacche' lo stesso si struttura sulla base di criteri statistici che cagionano una evidente inidoneita' a tal fine ed implicano inevitabili disparita' di trattamento del tutto irragionevoli» - denunciano la incostituzionalita' dell'art. 6, comma 12, dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 per violazione degli articoli 3 e 97 Cost., se interpretati nel senso che gli stessi sono direttamente applicabili all'AGCOM per effetto della sua inclusione nel predetto elenco; IV) Violazione e falsa applicazione del regolamento del Consiglio n. 2223/96 del 25 giugno 1996 e conseguente illegittimita' dell'elenco delle amministrazioni pubbliche redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Eccesso di potere per irrazionalita' dell'azione amministrativa. In via subordinata rispetto al terzo motivo, i ricorrenti lamentano l'illegittimita' dell'elenco ISTAT, nella parte in cui include l'AGCOM, evidenziando che nel caso dell'Autorita' il finanziamento pubblico e' quasi del tutto inesistente perche' la stessa procede alla copertura dei costi relativi al proprio funzionamento ed all'esercizio della propria attivita' mediante contributi privati, gravando sul bilancio dello Stato nella misura dello 0,2%. Infatti il contributo Statale, che era gia' sceso a circa 2,4 milioni di euro per l'esercizio finanziario 2009, ha visto un'ulteriore drastica riduzione nell'esercizio finanziario 2011, risultando pari ad appena 164.000,00 euro, mentre il versamento operato per il medesimo anno dagli operatori economici privati ammonta a circa 62,2 milioni di euro. Inoltre, in virtu' di quanto disposto dall'art. 2, comma 241, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Finanziaria 2010), la contribuzione in favore l'AGCOM e' soggetta ad un'altra destinazione di rilievo pubblico, essendo stato previsto un meccanismo di trasferimento di risorse tra le diverse Autorita' indipendenti. Non pare quindi revocabile in dubbio, secondo i ricorrenti, che I'AGCOM non dovrebbe figurare nell'elenco ISTAT perche' e' finanziata in misura pressoche' integrale con contributi privati e gia' riversa una parte delle proprie entrate in favore di altre Amministrazioni dello Stato; V) Illegittimita' degli articoli 4, 5, 6 e 7 della delibera n. 114/11/CONS per violazione e falsa applicazione dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010. I ricorrenti sviluppano nei confronti della impugnata delibera n. 114/11/CONS una delle censure gia' dedotte con il secondo motivo avverso il parere della Ragioneria, evidenziando che in alcuni casi (come, ad esempio, nell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010) il legislatore ha fatto un generico riferimento alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196», senza richiamare espressamente le autorita' indipendenti, mentre in altri casi (come, ad esempio, nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del decreto-legge n. 78/2010) il legislatore ha fatto riferimento alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti». Da tale rilievo d'ordine ermeneutico (rispondente al noto canone interpretativo ubi lex voluit, dixit) dovrebbe quindi desumersi, secondo i ricorrenti, l'illegittimita' degli articoli 4, 5, 6 e 7 della delibera n. 114/11/CONS, perche' con tali disposizioni viene data attuazione agli articoli 9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 senza considerare che nel testo di tali articoli manca l'esplicito riferimento alle autorita' indipendenti; VI) Illegittimita' dell'articolo 2 della delibera n. 114/11/CONS per violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 12, del decreto n. 78/2010. Eccesso di potere per irragionevolezza e illogicita'. I ricorrenti - premesso che l'AGCOM non e' inclusa tra i soggetti interessati dalla riduzione disposta dall'art. 28 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, perche' non rientra nel novero delle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto n. 165/2001 e non viene neanche nominata all'interno delle tabelle allegate al decreto del Ministero del tesoro citato nel predetto art. 28 - sostengono che l'articolo 2 della delibera n. 114/11/CONS (rubricato «spese per missioni») e' illegittimo sia perche' il trattamento economico di missione spettante al personale dell'AGCOM, in virtu' del rimando contenuto nella legge istitutiva della stessa Autorita', e' quello previsto dalla disciplina vigente in materia di rapporto di lavoro dei dipendenti della Banca d'Italia (artt. 116 e ss. del Regolamento del personale della Banca d'Italia), sia perche' l'art. 6, comma 12, del decreto-legge n. 78/2010 si limita a sopprimere le sole diarie di missione gia' ridotte dall'art. 28 del decreto-legge n. 223/2006, senza intaccare minimamente quelle dei dipendenti AGCOM, i quali, come detto, non rientrano nell'ambito applicativo del decreto-legge n. 223/2006. In subordine, qualora si dovesse ritenere che l'art. 6, comma 12, del decreto-legge n. 78/2010 abbia soppresso anche le diarie per missioni all'estero del personale AGCOM, viene dedotto che l'Autorita' non avrebbe comunque potuto sopprimere il contributo di viaggio derivante dal rinvio che l'art. 17 del Regolamento concernente il trattamento giuridico ed economico del personale fa al trattamento economico stabilito per i dipendenti dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, il quale a sua volta rimanda all'art. 118 del Regolamento del personale della Banca d'Italia. Infine viene dedotto che la soppressione delle diarie si pone in netto contrasto con gli obblighi di cooperazione che l'Autorita' ha nei confronti della Commissione UE e della rete delle Autorita' garanti degli altri Paesi membri, obblighi che impongono ai dipendenti AGCOM di partecipare a frequenti incontri internazionali organizzati negli altri Stati membri. VII) Illegittimita' dell'articolo 4 della delibera n. 114/11/CONS per violazione e falsa applicazione dell'art 9, comma 1, del decreto-legge n. 78/2010 e per violazione dei principi generali di efficienza e buon andamento dell'azione amministrativa. Eccesso di potere per irragionevolezza e illogicita'. I ricorrenti deducono che l'AGCOM, nel dare attuazione al blocco delle retribuzioni previsto dal decreto-legge n. 78/2010 e' andata ben oltre le previsioni di legge, arrivando a bloccare l'intero trattamento economico - ordinario e straordinario - dei propri dipendenti e ponendo come tetto massimo di riferimento il valore del solo trattamento fondamentale percepito nel 2010. L'articolo 4 della delibera n. 114/11/CONS (rubricato «trattamento economico del personale») sarebbe, quindi, illegittimo perche' l'Autorita' «ha ampliato il blocco imposto dal Legislatore rendendolo ancor piu' rigido, laddove la diretta conseguenza dell'art. 4 della delibera 114/11/CONS sara' che nei prossimi tre anni nessun dipendente dell'AGCOM potra' percepire una retribuzione complessiva superiore a quella di base percepita nel corso del 2010, e questo a prescindere dati effettiva consistenza degli elementi straordinari della dinamica retributiva, come il numero di ore di lavoro effettuate o i risultati conseguiti»; VIII) Illegittimita' dell'articolo 4, comma 3, della delibera n. 114/11/CONS per violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 78/2010 e per violazione dei principi generali di efficienza e buon andamento dell'azione amministrativa. Eccesso di potere per irragionevolezza e illogicita'. Violazione dell'art. 97 Cost. I ricorrenti - con particolare riferimento alla disciplina degli straordinari posta dall'articolo 4, comma 3, della delibera n. 114/11/CONS, ove si prevede la predisposizione, per ciascuna struttura dell'AGCOM, di «un piano previsionale di ripartizione del complessivo monte ore disponibile per gli anni 2011, 2012 e 2013, individuato sulla base dei dati relativi all'anno 2010» - lamentano che l'Autorita' «stabilendo un farraginoso sistema di ripartizione degli straordinari tra le proprie strutture, abbia completamente travisato l'intento del Legislatore, ottenendo come unico risultato l'inevitabile compromissione dell'efficienza organizzativa dell'Autorita' stessa. In tal senso, infatti, e' evidente che ciascuna struttura sara' vincolata indissolubilmente al piano previsionale di ripartizione basato sui dati del 2010, e cio' a prescindere dall'effettiva mole di lavoro, la quale, ovviamente, nel corso del triennio 2011-2013 ben potrebbe richiedere un impegno superiore a quello affrontato nel corso del 2010»; IX) Illegittimita' dell'articolo 4, comma 7, della delibera n. 114/11/CONS per violazione degli articoli 36 e 38 Cost., nonche' per violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 1, del decreto n. 78/2010. Eccesso di potere per irragionevolezza e illogicita'. I ricorrenti - con particolare riferimento alla disciplina degli straordinari posta dall'articolo 4, comma 7, della delibera n. 114/11/CONS - lamentano che l'Autorita' «non solo ha ritenuto di dover calmierare le ore di lavoro straordinario a disposizione delle singole strutture, ma, addirittura, per garantire l'inviolabilita' dei limiti stabiliti nei piani di ripartizione, ha previsto che, in caso di sforamento degli stessi, potranno essere operate delle "compensazioni tra le diverse voci del trattamento accessorio e tra queste ultime ed il trattamento fondamentale". In sostanza, in base alle delibera dell'Autorita', qualora un dipendente per ragioni di servizio fosse costretto ad effettuare un numero di ore di lavoro straordinario eccedente il livello previsto nei piani di ripartizione, esso verrebbe "sanzionato" mediante la riduzione di altre voci di retribuzione, sino all'incredibile scenario di un possibile taglio del trattamento fondamentale. Una previsione del genere, oltre ad essere illogica ed irrazionale, e' in palese contrasto con il principio inviolabile dettato dell'art. 36 Cost., in base al quale "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro". Tale regola fondamentale non potra' materialmente essere rispettata in virtu' del disposto dell'art. 4, comma 7, della delibera 114/11/CONS, posto che il lavoratore, oltrepassata la soglia prevista dai piani di ripartizione, sara' costretto a lavorare gratuitamente, ovvero rischiera' di subire il nocumento derivante dall'eventuale riduzione del trattamento fondamentale»; X) Illegittimita' dell'articolo 4, comma 6, della delibera n. 114/11/CONS per eccesso di potere per disparita' di trattamento ed ingiustizia manifesta. Violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 78/2010. I ricorrenti affermano che la delibera n. 114/11/CONS, non distinguendo tra retribuzione ordinaria e straordinaria, non chiarisce con sufficiente precisione la posizione dei dipendenti che nel corso del 2010 si trovavano in particolari posizione giuridiche, come ad esempio coloro che lavoravano part-time, erano in aspettativa, o collocati fuori ruolo, e che per tale ragione, pur avendo diritto alla retribuzione ordinaria, non percepivano compensi accessori di natura straordinaria. In particolare l'art. 4, comma 6, della delibera 114/11/CONS dispone che «nel caso di particolari posizioni giuridiche ed economiche vigenti nell'anno 2010 e nei successivi anni 2011, 2012 e 2013 ... gli elementi retributivi considerati ai fini dell'applicazione del comma 1 dell'articolo 9 saranno riparametrati su base annua», ma tale disposizione, oltre ad essere eccessivamente generica, risulta in contrasto proprio con l'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010, secondo il quale il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010, e cioe' la soglia di blocco del triennio 2011-2013, deve essere calcolato «al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso d'anno, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma 21, terzo e quarto periodo, per le progressioni di carriera comunque denominate, maternita', malattia, missioni svolte all'estero, effettiva presenza in servizio». Inoltre, posto che l'Autorita' nulla dice in merito all'elaborazione dei piani di ripartizione del complessivo monte ore disponibile per gli anni 2011, 2012, e 2013, «coloro tra gli odierni ricorrenti che nel 2010 si trovavano in particolari condizioni (rapporto di lavoro part-time, maternita', fuori ruolo) che escludevano la possibilita' di lavoro straordinario, per il prossimo triennio, pur se dette condizioni saranno cessate, non potranno comunque svolgere alcuno straordinario, con una disparita' di trattamento, rispetto agli altri dipendenti, totalmente ingiustificata e discriminatoria, anche perche' del tutto indipendente dalla loro volonta'»; XI) Illegittimita' dell'articolo 5 della delibera 114/11/CONS, per violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 2, del decreto-legge n 78/2010. Eccesso di potere per irragionevolezza. I ricorrenti affermano che, sebbene l'art. 5, comma 2, della delibera 114/11/CONS (secondo il quale «per gli anni 2011, 2012 e 2013, i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti saranno ridotti nella misura del 5% per la parte compresa tra 90-150 mila euro e nella misura del 10% per quella eccedente i 150 mila euro») in apparenza ricalchi il testo dell'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010, tuttavia «nessuno dei commi dell'art. 5 stabilisce criteri, in particolare temporali, per determinare il superamento delle citate soglie di 90 e 150 mila euro; peraltro e' necessario constatare che non vengono precisate in alcun modo le modalita' con cui saranno effettuate le riduzioni dei trattamenti economici e l'eventuale erogazione dei conguagli. Inoltre, pur essendo presente nel testo dell'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78/2010, un riferimento al trattamento economico complessivo, a differenza della disposizione contenuta nel comma precedente tale formula non e' seguita dalla specificazione «ivi compreso il trattamento accessorio»; e' percio' evidente che, al contrario di quanto stabilito dall'Autorita' nell'art. 5, comma 2, della delibera impugnata, i tagli disposti dal Legislatore siano riferiti unicamente al trattamento economico fondamentale, con esclusione invece di quello accessorio. L'interpretazione teste' esposta, adottata peraltro dalla Banca d'Italia in sede di attuazione del decreto, e' confermata dallo stesso Legislatore, che nel successivo comma 2-bis, non applicabile pero' alle Autorita' indipendenti, definisce proprio in separata sede gli interventi rivolti al trattamento accessorio»; XII) Illegittimita' dell'articolo 6 della delibera 114/11/CONS, per violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 21, del decreto-legge n 78/2010. I ricorrenti affermano che l'art. 6, comma 1, della delibera 114/11/CONS (secondo il quale «come previsto dall'art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010, per gli anni 2011, 2012 e 2013, sara' sospesa l'assegnazione di livelli retributivi previsti da accordi sindacali gia' stipulati. Per gli anni 2011, 2012 e 2012, le progressioni previste dal regolamento concernente il trattamento giuridico ed economico del personale avranno effetti esclusivamente giuridici»), sebbene nelle intenzioni dell'Autorita' sia finalizzato a dare attuazione all'art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010 (in base al quale «per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti»), risulta tuttavia illegittimo perche' l'AGCOM non rientra tra i soggetti di cui all'art. 3 del decreto legislativo n. 165/2001. Inoltre la previsione dell'art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010 non sarebbe comunque applicabile all'AGCOM perche' «quest'ultima e' sprovvista di un meccanismo di progressione automatica. La disciplina degli scatti dei livelli retributivi e' contenuta negli artt. 36, 38, 40 e 42 del Regolamento concernente il trattamento giuridico ed economico del personale dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni, i quali, nel prevedere l'esistenza di plurimi meccanismi di progressione su base annuale, ne stabiliscono le condizioni. In particolare, per quel che riguarda i dirigenti all'art. 36 e' stabilito che «la progressione dei dirigenti si effettua mediante scatti annuali (...), salvo demerito. Tale giudizio, risultante da una motivata valutazione di insufficienza, e' espresso dal responsabile della unita'. operativa di primo livello presso la quale il dirigente presta servizio ovvero, nel caso si riferisca a quest'ultimo, dal Consiglio». Non solo, «i dirigenti sono valutati ogni anno. Con cadenza triennale nel mese di luglio ha luogo un procedimento di valutazione per l'attribuzione di progressioni equivalente a non piu' di 8 scatti normativi ed economici». Analoga disposizione e' prevista anche dall'art. 38 per i funzionari, il cui meccanismo di progressione e' in sostanza speculare a quello dei dirigenti. Diverso trattamento, ma sempre privo di automatismi, e' stabilito invece per il personale operativo ed esecutivo dagli artt. 40 e 42, i quali, prevedendo un meccanismo di progressione economica ancor piu' complesso di quello teste' esposto, precisano comunque che «ai dipendenti cui sia stato attribuito un motivato giudizio di insufficienza nell'ultimo rapporto valutativo, non sono conferiti avanzamenti». Inoltre, gli articoli citati specificano che «le progressioni sono conferite dal Consiglio, su proposta del Direttore del Dipartimento Risorse Umane e Finanziarie, tenuto conto delle disponibilita' di bilancio». In sostanza, quindi, dall'analisi delle disposizioni contenute nel Regolamento concernente il trattamento giuridico ed economico del personale non e' possibile rinvenire alcun meccanismo di progressione automatica delle retribuzioni, il cui avanzamento, come detto, e' invece subordinato a determinate valutazioni di merito e alla presenza delle necessarie risorse finanziarie». Infine i ricorrenti deducono che, anche a voler ipotizzare per assurdo che l'AGCOM rientri nel campo di applicazione dell'art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010, «il blocco disposto dalla delibera impugnata risulterebbe comunque illegittimo perche', in virtu' di pregressi accordi stipulati dall'Amministrazione, esso andrebbe ad incidere su veri e propri diritti quesiti dei ricorrenti, relativi a prestazioni lavorative che, pur se la relativa retribuzione e' stata dilazionata nel tempo, di fatto sono state gia' rese. I meccanismi di progressione meritocratica su base annuale di cui si e' detto, stabiliti dagli artt. 36, 38, 40 e 42 del Regolamento concernente il trattamento giuridico ed economico del personale dell' Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni, invero, allo stato non trovano applicazione, ne' la troveranno durante l'intero triennio disciplinato dalla delibera impugnata. Come riconosciuto espressamente dalla stessa Autorita' nell'ambito di un accordo siglato in data 31 luglio 2007, anzi, meccanismi non sono mai stati attivati, il che di fatto ha comportato un sostanziale blocco della progressione economica di tutto il personale protrattasi quasi un decennio. Per tale ragione, a seguito di una lunga trattativa condotta con le OO.SS., l'Autorita' ha riconosciuto espressamente la necessita' di "prevedere meccanismi di recupero e compensazione", ed in ragione di cio' ha concordato la sospensione sino al 2015 della disciplina degli artt. 36, 38, 40 e 42 del Regolamento del personale, stabilendo un meccanismo di progressione tale da consentire una perequazione con il trattamento economico del personale AGCM, anche in considerazione di un precedente accordo sottoscritto in data 7 marzo 2007 con cui quest'ultima aveva a sua volta stabilito un progressivo riallineamento al trattamento economico del personale della Banca d'Italia. Su tali presupposti, le parti hanno concordato l'attribuzione di 3 livelli retributivi per il 2007, il 2008, ed il 2009, stabilendo inoltre che "a partire dalla fine del 2009 si aprira' un tavolo di trattativa, avuto riguardo le condizioni organizzative, di bilancio e, piu' in generale le prospettive di compatto dell'Autorita', per decidere con apposito accordo come modificare il presente meccanismo a partire dall'anno 2010. In assenza di accordo tra le parti, saranno comunque garantiti 3 livelli per l'anno 2010, 2 livelli per il 2011 e solo uno per gli anni successivi". In sostanza, come e' possibile dedurre in modo inequivocabile dal testo dell'accordo del 31 luglio 2007, con esso l'Autorita' ha intenso sanare una situazione pregressa, ponendo rimedio sia alla mancata attivazione per quasi un decennio di qualsiasi tipo di meccanismo di progressione economica, sia alla necessita', stabilita dall'art. 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249, di raggiungere un allineamento con il trattamento economico del personale dell'AGCM, e di conseguenza della Banca d'Italia. Ne consegue che le previsioni di adeguamento economico stabilite dall'accordo del 31 luglio 2007, destinate a rimanere operanti durante l'intero periodo di applicazione del d.l. n. 78/2010, non possono essere considerate in alcun modo un meccanismo di progressione automatica; al contrario, esse sono assimilabili ad un evento straordinario della dinamica salariale, estraneo al campo applicativo dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010. Il blocco degli stipendi disposto dall'Autorita' con l'art. 6, comma 1, della delibera impugnata, in definitiva, non si limita a negare aumenti stipendiali futuri, ma, andando ben oltre la portata della norma di legge di cui vorrebbe essere applicazione, sottrae ai dipendenti dell'AGCOM compensi di fatto gia' maturati, che la stessa Autorita' ha espressamente riconosciuto loro quale vera e propria compensazione economica per la minor retribuzione percepita negli anni passati»; XIII) Illegittimita' dell'articolo 7 della delibera 114/11/CONS per violazione e falsa applicazione dell'art. 12, commi 7 e 10 del decreto-legge n. 78/2010. Eccesso di potere per disparita' di trattamento. I ricorrenti - con particolare riferimento all'art. 7 della delibera 114/11/CONS ove, nell'intento di recepire le disposizioni contenute nell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010, si prevede che «le indennita' comunque denominate e spettanti a seguito della cessazione a vario titolo dall'impiego, saranno erogate attenendosi alle modalita' specificatamente previste all'art. 12 del decreto-legge n. 78/2010. In applicazione di quanto disposto al comma 10 dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78/2010, con effetto sulle anzianita' maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011 il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati verra', regolato in base a quanto previsto dall'art. 2120 del codice civile, con applicazione dell'aliquota del 6,91%» - ribadiscono innanzi tutto le suesposte censure, incentrate sull'inapplicabilita' all'AGCOM delle disposizioni contenute nell'art. 12, commi 7 e 10, per il mancato richiamo delle Autorita' indipendenti tra le amministrazioni destinatarie del provvedimento, nonche' per l'inesistenza di reali economie per l'erario pubblico cui la normativa e' finalizzata. Inoltre i ricorrenti lamentano che la disposizione in esame e' illegittima perche' «modifica, o meglio sopprime, il regime dell'I.F.R. (indennita' di fine rapporto), che e' un istituto tipico delle Autorita' indipendenti, mutuato, in virtu' del rinvio contenuto nella legge istitutiva dell'AGCOM, dalla Banca d'Italia, ove e' tuttora vigente. Tale indennita', invero, costituisce una forma assolutamente peculiare di trattamento di fine rapporto, ma di cio' l'Amministrazione non ha tenuto minimamente conto nella sua delibera, non valutando ne' motivando in alcun modo sulla natura e sulla portata dell'istituto, ed andando ben oltre, ovvero violando, sia la previsione normativa di cui la delibera vorrebbe essere attuazione sia la disciplina vigente in materia di I.F.R., in virtu' della quale, oltretutto, i dipendenti possono vantare allo stato un vero e proprio diritto quesito, di cui alcuni colleghi in passato hanno gia' materialmente beneficiato in relazione ai medesimi periodi di lavoro per i quali il trattamento viene oggi negato agli altri. La sostanziale soppressione dell'I.F.R., in definitiva, oltre che ingiustificata alla luce del disposto dell'art. 12, commi 7 e 10, del d.l. n. 78/2010, risulta doppiamente illegittima in quanto crea una disparita' di trattamento intollerabile tra coloro che hanno gia' goduto del beneficio (per cessazione del servizio, per scadenza del contratto di lavoro a termine, per ingresso nei ruoli dell'amministrazione ovvero per semplice anticipazione) e gli altri dipendenti che, pur avendo gia' maturato il relativo diritto, per lo meno rispetto al periodo pregresso, non ne hanno ancora goduto»; XIV) Illegittimita' della delibera 114/11/CONS, nella parte in cui essa non prevede il riconoscimento di un'indennita' di vacanza contrattuale, per violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 17, del decreto-legge n. 78/2010, nonche' dell'art. 1 della 31 luglio 1997, n. 249. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e per disparita' di trattamento. I ricorrenti - premesso che l'esatta portata del blocco delle retribuzioni disposto con l'art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 78/2010 e' stata ulteriormente precisata nel successivo comma 17, ove si prevede che «non si da' luogo, senza possibilita' di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012 del personale di cui all'articolo 2, comma 2 e articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni. E' fatta salva l'erogazione dell'indennita' di vacanza contrattuale nelle misure previste a decorrere dall'anno 2010 in applicazione dell'articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203» - evidenziano che presso 1'AGCOM non sono mai stati stipulati autonomi contratti collettivi tra l'ente e le OO.SS. e, quindi, il personale non ha mai goduto di alcuna indennita' di vacanza contrattuale. Pertanto «qualora si dovesse ritenere effettivamente applicabile all'Autorita' la disciplina contenuta nel d.l. n. 78/2010, essa dovrebbe essere applicata in toto, ivi compresa la disposizione di cui al comma 17 dell'art. 9, con conseguente riconoscimento al suo personale dell'indennita' di vacanza contrattuale attribuita a tutti i dipendenti pubblici, compresi i dipendenti della Banca d'Italia. In ragione di cio', il mancato recepimento della suddetta disposizione ha reso il blocco disposto dall'art. 9, comma 1, del d.l. n. 78/2010 ancor piu' gravoso per i dipendenti AGCOM rispetto a tutti gli altri dipendenti pubblici, il che di certo va ben oltre qualsiasi possibile intento del Legislatore. Nel fare cio', inoltre, l'Autorita' ha agito in spregio del testo dell'art. 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249 (legge istitutiva dell'AGCOM), in virtu' del quale il trattamento giuridico ed economico del personale e' stabilito in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, ove appunto tale indennita' e' prevista espressamente»; Considerato che con il primo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 23 dicembre 2011, i ricorrenti hanno impugnato il nuovo elenco ISTAT, pubblicato nella G.U., serie generale, n. 228 del 30 settembre 2011, deducendo censure sostanzialmente identiche a quelle proposte con il quarto motivo del ricorso introduttivo; Considerato che con il secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 25 gennaio 2012, i ricorrenti hanno impugnato la delibera dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 498/11/CONS del 13 settembre 2011, pubblicata in data 11 novembre 2011 - con la quale, in attuazione dell'art. 12, commi 7, 8, 9 e 10 del decreto-legge n. 78/2010 e dell'art. 7 della suddetta delibera n. 114/11/CONS del 2 marzo 2011, e' stata ridefinita la disciplina della I.F.R. del personale dell'Autorita' - deducendo censure sostanzialmente identiche a quelle proposte con il primo, il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso introduttivo; Considerato che i ricorrenti con memoria depositata in data 18 febbraio 2012 hanno insistito per l'accoglimento delle suesposte censure, evidenziando, tra l'altro, che: a) il primo ed il secondo motivo del ricorso introduttivo devono essere accolti perche' «l'attuale ripartizione delle voci di finanziamento dell'AGCOM tra bilancio statale e contribuzione privata comporta, come logica conseguenza, che l'applicazione delle misure di riduzione dei costi derivanti dal d.l. n. 78/2010 sia destinata ad incidere solo in minima parte sugli importi gravanti sulle casse dello Stato, colpendo per converso in misura pressoche' esclusiva i versamenti degli operatori economici»; del resto il Consiglio di Stato, interpellato sulla compatibilita' con la struttura dell'AGCOM dell'art. 6, comma 21, del d.l. n. 78/2010 ... con il parere n. 385 del 26 gennaio 2012 ha osservato come «le somme ricavate da economie di gestione dall'Autorita' possano essere destinate al bilancio statale solo relativamente alla parte imputabile ai contributi ricevuti dallo Stato, ossia nella misura corrispondente al: valore percentuale di tali contributi sul complesso delle entrate finanziarie dell'Autorita'. Oltre questa parte, il dovere contributivo si trasformerebbe in una vera e propria imposta, tanto da richiedere - in relazione ai principi di cui agli articoli 23 Cost. e 53 Cost. - una formulazione meno generica e presupposti piu' stringenti della semplice esigenza di fare cassa. ... E' dunque sul piano dell'interpretazione costituzionalmente orientata e conforme ai principi comunitari che, collegando il comma 21 al comma 2 dell'art. 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, se ne puo' affermare l'applicazione "limitata" all'Autorita'»; b) il quarto assorbente motivo dedotto con il ricorso introduttivo risulta anch'esso fondato, perche' la Sez. III-quater di questo Tribunale, su ricorso dell'AGCOM, con la sentenza 11 gennaio 2012, n. 226, ha gia' annullato l'elenco ISTAT, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 228 del 30 settembre 2011, nella parte in cui include l'AGCOM, evidenziando in motivazione, tra l'altro, che «fondata e' la censura afferente all'autonomia finanziaria dell'Autorita' ricorrente, che si manifesta con la capacita' di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero le spese sostenute per l'attivita' svolta, sicche' manca il presupposto che in coerenza con le finalita' perseguite giustifichi il suo inserimento nell'elenco Istat, e cioe' un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto. L'autonomia finanziaria della ricorrente, le fonti dalle quali discendono le sue entrate (id est i contributi ad essa obbligatoriamente versati dagli operatori dei settori da essa regolati), la possibilita' di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da cio' che non e' configurabile spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio della ricorrente atteso che a questo fine essa e' gia' stata fornita dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma. Di qui la conclusione che il criterio di calcolo imposto dal legislatore comunitario e per libera scelta recepito dall'ISTAT, e fondato esclusivamente sul rapporto fra spesa complessiva ed entrate proprie, e' nel caso in esame ampiamente soddisfatto»; Considerato che l'Amministrazione, con memoria depositata in data 27 febbraio 2012 ha insistito per il rigetto delle suesposte censure; Considerato, in via preliminare, che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia. Infatti: A) sulla scorta del quadro normativo vigente prima dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo la Corte di cassazione (Sez. un., ord. 23 giugno 2005, n. 13446) aveva affermato che le controversie in materia di impiego alle dipendenze dell'Autorita' garante delle comunicazioni dovevano ritenersi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo evidenziando quanto segue: a) il fatto che l'art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 80/1998 (oggi recepito nell'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 165/2001 non preveda espressamente i rapporti dei dipendenti dell'AGCOM tra quelli sottratti alla giurisdizione ordinaria (al pari dei rapporti dei dipendenti della Banca d'Italia, della Consob e dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato) «non e' di per se' decisivo per fondare la giurisdizione ordinaria sulle controversie relative ai rapporti in questione: il citato d.lgs. n. 80 del 1998 attuava la delega contenuta nella legge 15 marzo 1997, n. 59, concepita in epoca in cui l'Autorita' delle comunicazioni non era stata ancora istituita»; b) l'art. 1, comma 26, della legge n. 249/1997, «disponendo testualmente che i ricorsi avverso i provvedimenti di detta Autorita' rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si pone chiaramente come norma speciale, oltre che derogatoria rispetto alla piu' generale opzione legislativa - sottesa alla riforma del pubblico impiego - a favore della giurisdizione ordinaria»; c) «l'estensione di una tale giurisdizione amministrativa esclusiva "sui provvedimenti" anche alle controversie in materia di impiego alle dipendenze dell'Autorita' garante delle comunicazioni, e' connaturale alla ratio posta alla base delle deroghe espresse dal citato art. 3 del t.u. n. 165/2001 giustificate dalla accentuata autonomia - rispetto al potere esecutivo - su cui tutte le Autorita' indipendenti fondano la loro presenza nell'ordinamento, autonomia che non puo' non riflettersi sul momento conformativo del rapporto di lavoro del personale»; d) secondo l'art. 1, comma 21, della legge n. 249/1997 all'AGCOM si applicano le disposizioni di cui all'articolo 2 della legge n. 481/1995 (istitutiva dell'Autorita' per i servizi di pubblica utilita'), il cui comma 28 gia' escludeva l'applicabilita' delle disposizioni del decreto legislativo n. 29/1993 «e, con essa, la privatizzazione (recte: contrattualizzazione) dei relativi rapporti di pubblico impiego instaurati con i propri dipendenti»; B) le conclusioni alle quali e' pervenuta la Suprema Corte devono essere mantenute ferme anche alla luce delle novita' normative introdotte dal codice del processo amministrativo e, in particolare, alla luce dell'art. 133, comma 1, lett. l), cod. proc. amm., secondo il quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge, «le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati ... dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni ... » e dell'art. 1, comma 26, della legge n. 249/1997 (come sostituito dall'art. 3, comma 8, dell'allegato 4 al decreto legislativo n. 104/2010), il quale attualmente dispone che «la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo e' disciplinata dal codice del processo amministrativo». Infatti il riferimento ai «rapporti di impiego privatizzati», contenuto nell'art. 133, comma 1, lett. l), cod. proc. amm., per quanto d'interesse in questa sede, deve ritenersi limitato ai contratti di lavoro di diritto privato di cui all'art. 1, comma 21, della legge n. 249/1997; Considerato sempre in via preliminare che, ai fini dell'interesse ad agire dei ricorrenti e della rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale che di seguito saranno esaminate, non assume affatto rilievo assorbente - a differenza di quanto affermato dai ricorrenti nella memoria depositata in data 18 febbraio 2012 - la circostanza che la Sezione III-quater di questo Tribunale con la sentenza 11 gennaio 2012, n. 226, abbia annullato l'elenco ISTAT pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 228 del 30 settembre 2011, nella parte in cui inserisce anche l'AGCOM fra le predette Amministrazioni. Infatti il Collegio ritiene che il legislatore con le norme del decreto-legge n. 78/2010 richiamate dai ricorrenti non abbia operato un rinvio mobile all'elenco annualmente redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 196/2009 (nel qual caso la predetta sentenza n. 226/2012 effettivamente determinerebbe l'accoglimento del presente ricorso per effetto dell'annullamento di un atto presupposto, quale sarebbe l'elenco ISTAT pubblicato nella G.U., serie generale, n. 228 del 30 settembre 2011 rispetto alla impugnata delibera n. 114/11/CONS), ma abbia piuttosto operato un rinvio fisso all'elenco ISTAT vigente nel momento dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 78/2010, al solo fine di individuare l'ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica dallo stesso introdotte. Del resto gli stessi ricorrenti nel terzo motivo del ricorso introduttivo hanno evidenziato che l'elenco ISTAT e' redatto «sulla base di criteri statistici ed economici, senza alcuna analisi di carattere giuridico connessa alla natura e alle caratteristiche dei soggetti interessati» e, quindi, laddove si optasse per la tesi del rinvio mobile all'elenco redatto annualmente effettivamente si porrebbero i problemi segnalati dal Presidente dell'ISTAT nell'ambito dell'audizione tenutasi in data 20 gennaio 2011 innanzi alla V Commissione della Camera dei Deputati ed alla V Commissione del Senato della Repubblica; Considerato che, sempre ai fini della rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale che di seguito saranno esaminate, il Collegio ritiene necessario evidenziare che: A) non pare condivisibile la tesi (sviluppata dai ricorrenti nel secondo e nel quinto motivo, facendo leva sul criterio ermeneutico ubi lex voluit, dixit) secondo la quale l'art. 9, commi 1, 2 e 21, e l'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 non sarebbero applicabili all'AGCOM perche' in tali articoli il legislatore ha fatto un generico riferimento alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196», senza richiamare espressamente le Autorita' indipendenti, mentre in altri casi (come, ad esempio, nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del decreto-legge n. 78/2010) il legislatore ha fatto riferimento alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita' indipendenti». Infatti, prescindendo da ogni considerazione di drafting legislativo, il Collegio ritiene che la prova della volonta' del legislatore di includere anche l'AGCOM nel campo si applicazione dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e l'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 si rinvenga: a) nel fatto che il legislatore quando ha menzionato espressamente le Autorita' indipendenti (come, per l'appunto, nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del decreto-legge n. 78/2010) ha utilizzato la formula «incluse le autorita' indipendenti», cosi' limitandosi a specificare un dato - quale l'inclusione di tali enti nell'elenco ISTAT - chiaramente evincibile da una semplice lettura del predetto elenco; b) nel fatto che lo stesso legislatore, laddove ha inteso garantire la specialita' di determinati soggetti pubblici ha introdotto una disciplina speciale in materia di contenimento della spesa; si intende evidentemente far riferimento all'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010, che prevede soltanto per la Banca d'Italia (cosi' escludendo le altre Autorita' indipendenti) un peculiare regime in virtu' del quale «la Banca d'Italia tiene conto, nell'ambito del proprio ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio 2011-2013 contenuti nel presente titolo», fermo restando che «a tal fine, qualora non si raggiunga un accordo con le organizzazioni sindacali sulle materie oggetto di contrattazione in tempo utile per dare attuazione ai suddetti principi, la Banca d'Italia provvede sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva eventuale sottoscrizione dell'accordo»; B) a differenza di quanto affermato dai ricorrenti nella memoria depositata in data 18 febbraio 2012, non assume rilievo decisivo nella presente controversia il parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale, 26 gennaio 2012, n. 385. Infatti il Consiglio di Stato - chiamato a chiarire l'applicabilita' dell'art. 6, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010 all'AGCOM, sul presupposto che il sistema di finanziamento dell'Autorita' e' quasi interamente autonomo, essendo affidato al contributo versato dai soggetti regolati, mentre solo una minima parte delle entrate e' a carico del bilancio dello Stato - dopo aver ribadito «il principio di corrispondenza tra gli oneri imposti agli operatori e i costi amministrativi sostenuti per l'esercizio dei compiti svolti dall'Autorita'» (principio richiamato dai ricorrenti nel primo motivo), nell'affrontare il problema di delineare «una compartecipazione dell'Autorita' ai doveri di solidarieta' finanziaria verso lo Stato, senza che cio' implichi uno storno di risorse vincolate al perseguimento della missione istituzionale», ha affermato quanto segue: «il punto di equilibrio sotteso all'applicazione dell'art. 6, comma 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 all'Autorita' e' da ravvisarsi nel sostegno finanziario che la stessa riceve dallo Stato, il quale costituisce al tempo stesso fondamento e limite del suo dovere di contribuire al risanamento della finanza pubblica, mediante versamento allo Stato, attraverso le risorse derivanti da risparmi della spesa corrente. Cio' comporta che le somme ricavate da economie di gestione dall'Autorita' possano essere destinate al bilancio statale solo relativamente alla parte imputabile ai contributi ricevuti dallo Stato, ossia nella misura corrispondente al valore percentuale di tali contributi sul complesso delle entrate finanziarie dell'Autorita'. Oltre questa parte, il dovere contributivo si trasformerebbe in una vera e propria imposta, tanto da richiedere - in relazione ai principi di cui agli articoli 23 Cost. e 53 Cost. - una formulazione meno generica e presupposti piu' stringenti della semplice esigenza di "fare cassa". Fino a tale limite, invece, per quanto il prelievo possa tradursi nel versamento di una parte delle entrate che, in assenza di tali risparmi, avrebbero finanziato l'organizzazione e l'attivita' dell'Autorita', non puo' ritenersi che sia sol per questo pregiudicata l'autonomia finanziaria dell'ente e la corrispondenza tra contribuiti "privati" e costi di gestione, poiche' detti costi, per definizione, non ci sono piu' per la parte corrispondente all'obbligo di versamento». Tuttavia, ragionando in questi termini, il Consiglio di Stato non fa altro che ribadire la volonta' del legislatore di includere anche l'AGCOM nel campo si applicazione delle misure previste dal decreto-legge n. 78/2010; Considerato che - ancor prima di esaminare le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti - il Collegio ritiene di dover innanzi tutto sollevare, d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010 - secondo il quale «in considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell'art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento economico complessivo non puo' essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui» - in relazione agli articoli 2, 3, 42, 53 e 97 Cost.. Infatti il T.A.R Calabria, Sez. staccata di Reggio Calabria, chiamato ad esaminare il ricorso proposto da taluni magistrati amministrativi avverso le «illegittime decurtazioni del trattamento retributivo» previste dal decreto-legge n. 78/2010, con l'ordinanza n. 89 del 1° febbraio 2012 ha sollevato, tra l'altro, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2, del predetto decreto-legge alla luce delle seguenti considerazioni che, oltre ad essere pienamente condivisibili, risultano evidentemente applicabili anche al personale dell'AGCOM: A) la natura tributaria della disposizione posta dall'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010. In particolare, secondo il T.A.R. Calabria, «nella prestazione imposta con la norma in esame devono essere ravvisati i caratteri della doverosita', in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti, e del collegamento tra la prestazione di sostegno alla pubblica spesa, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante. In sostanza, sono previste l'imposizione di un sacrificio economico individuale, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio e, contestualmente, la destinazione del gettito scaturente da tale ablazione al fine di integrare la finanza pubblica, ossia per reperire risorse necessarie a coprire spese pubbliche (come reso palese dalla stessa dizione della norma riportata, che invoca la situazione di grave crisi economica internazionale e gli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea; quanto alla giurisprudenza della Corte, si richiamano ex plurimis, Corte cost., sentt. nn. 141/2009, 335/2008, 64/2008, 334/2006, 73/2005; la difesa dei ricorrenti fa riferimento altresi' alla giurisprudenza volta a definire la nozione costituzionale di "leggi tributarie", ai fini del giudizio di ammissibilita' del referendum ex art. 75 Cost). In effetti, l'obiettivo di finanza pubblica evocato dal d.l. n. 78/2010 va oltre la mera riduzione dei costi o della spesa corrente degli Stati, attenendo, piu' propriamente, alla riduzione del rapporto tra debito pubblico e PIL (come chiarisce lo stesso comma 2 dell'art. 9, laddove fa riferimento alle "esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea")»; B) la conseguente violazione dei principi sanciti dall'art. 53 Cost.. Infatti la disposizione dell'art. 9, comma 2, «colpisce solo una specifica categoria di contribuenti, sulla base di loro peculiari qualita' soggettive e non sulla base di determinate qualita' di reddito, e, nello stesso tempo, impone una prestazione patrimoniale indipendente dall'effettiva capacita' contributiva soggettiva globalmente considerata (ossia individua uno specifico cespite da assoggettare a tassazione, senza relazioni con altre entrate del soggetto inciso), introducendo un'imposizione sostanzialmente regressiva e discriminatoria. Il primo profilo di incostituzionalita' si ravvisa nel fatto che il prelievo e' disposto esclusivamente in danno di una ben definita categoria socio-economica, i lavoratori dipendenti del settore pubblico, ... , laddove, utilizzando il termine "Tutti", la disposizione costituzionale e' chiara nell'individuare in modo inequivoco ed onnicomprensivo la platea dei contribuenti da assoggettare al prelievo fiscale. Con l'ord. n. 341/2000 la Consulta, dopo aver premesso che "l'art. 53 della Costituzione deve essere interpretato in modo unitario e coordinato, e non per preposizioni staccate ed autonome le une dalle altre" ha affermato che "la universalita' della imposizione, desumibile dalla espressione testuale 'tutti' (cittadini o non cittadini, in qualche modo con rapporti di collegamento con la Repubblica italiana), deve essere intesa nel senso di obbligo generale, improntato al principio di eguaglianza (senza alcuna delle discriminazioni vietate: art. 3, primo comma, della Costituzione), di concorrere alle 'spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva' (con riferimento al singolo tributo ed al complesso della imposizione fiscale), come dovere inserito nei rapporti politici in relazione all'appartenenza del soggetto alla collettivita' organizzata". Manca, dunque, nella fattispecie normativa in esame l'indefettibile "raccordo con la capacita' contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressivita', come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarieta' politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)", che la Corte ha ritenuto essere la corretta condizione per un'imposizione contributiva equa. Tale impostazione fa apparire decisamente anomala e non conforme alla Costituzione la scelta del Legislatore del 2010 che, in un contesto economico-finanziario esplicitamente qualificato come "eccezionale", avrebbe potuto operare soltanto interventi straordinari e/o temporanei di prelievo forzoso, ed invece ha posto in essere misure continuative e sostanzialmente stabili - e percio' dal palese sapore tributario - in quanto oltretutto prolungate nel triennio 2011 - 2013 (oltre che legate al superamento di scaglioni predeterminati, esattamente come le imposte); ma soprattutto ha indirizzato tale prelievo nei confronti di una ben limitata "classe di persone", ben guardandosi dall'operare nei confronti di "tutti" i contribuenti in possesso di determinate fasce di reddito, nessuno escluso (liberi professionisti, lavoratori dipendenti del settore privato, imprenditori e quant'altro), esentati immotivatamente dall'imposizione straordinaria, nonostante l'eccezionalita' della situazione economica del Paese, come viceversa una corretta applicazione dei principi di cui all'art. 53 Cost. avrebbe richiesto»; C) in via subordinata, per il caso in cui non fosse riconosciuta la natura tributaria alla disposizione in esame, la violazione dei principi sanciti dagli articoli 2 e 3 Cost. e dagli articoli 42 e 97 Cost.. Infatti la disposizione dell'art. 9, comma 2, «va a rideterminare, in senso ablativo, un trattamento economico gia' acquisito alla sfera del pubblico dipendente sub specie di diritto soggettivo. Essa, pertanto, va ad incidere sullo status economico dei lavoratori ... alterando quel sinallagma che e' il "proprium" dei rapporti di durata ed in particolare proprio dei rapporti di lavoro; basti considerare che sulla stabilita' anche economica si fondano le aspettative, le progettualita' e gli investimenti - di lungo periodo, se non addirittura a vita - del dipendente. Sebbene nel nostro sistema costituzionale non sia affatto interdetto al Legislatore di emanare disposizioni atte a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, le disposizioni in esame sembrano non rispettare la condizione essenziale, ossia che la riforma "in pejus" non trasmodi in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (ex multis, Corte cost., sent. n. 446/2002; ord. n. 327/2001; sentt. nn. 393/2000, 264/2005, 416/1999 n. 282/2005)". Ne consegue, secondo il T.A.R. Calabria, innanzi tutto la violazione dell'art. 2 Cost., perche' "la novazione oggettiva ed unilaterale del rapporto di lavoro, realizzata dal d.l. n. 78/2010, oltre a tradursi nel grave scardinamento di un principio di rilevanza costituzionale, e quindi indeclinabile, della materia lavoristica (la proporzionalita' tra prestazione e retribuzione ex art. 36 Cost.), va in fondo a sacrificare la stessa dignita' sociale della persona-lavoratore pubblico, che si trova soggetto, senza possibilita' di difesa, ad aggressioni patrimoniali sostanzialmente arbitrarie non solo nelle modalita' del prelievo, nei tempi del medesimo e nelle soglie stipendiali cui attingere, ma nello stesso presupposto (il presentarsi di pretese esigenze finanziarie); e cio' perche' a determinarlo e' lo stesso soggetto (Stato) che opera il prelievo, avvalendosi della forza congiunta e soverchiante derivante dall'essere ad un tempo datore di lavoro e Legislatore, e senza che il destinatario del sacrificio possa essere considerato direttamente o indirettamente responsabile della crisi finanziaria e di cassa cui e' chiamato a far fronte, derivando quest'ultima da fattori di squilibrio che sono ascrivibili a responsabilita' (quantomeno politica) dello stesso organo che dispone il prelievo». Ne consegue, altresi', la violazione degli articoli 42 e 97 Cost. perche' «si dispone nei confronti dei pubblici dipendenti una vera e propria ablazione di redditi formanti oggetto di diritti quesiti, senza alcuna indennita', con conseguente violazione dell'art. 42 Cost., secondo cui "La proprieta' privata puo' essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale". Non appare dubitabile che l'espropriazione possa astrattamente colpire (starne l'uso dell'onnicomprensivo termine «proprieta' privata» da parte del Costituente) anche beni mobili fungibili, quale il denaro (nella specie, gli stipendi pubblici nella misura gia' acquisita allo status economico del dipendente ... ); secondo tale prospettazione, la fattispecie considerata consentirebbe di qualificare la norma di cui all'art. 9 comma 2 alla stregua di norma-provvedimento (in coerenza con la natura procedimentale dell'espropriazione), e dunque ne conseguirebbe la violazione dell'art. 97 Cost., perche' del provvedimento la norma ha mutuato la natura, ma ha eliso il procedimento, nel cui ambito vanno convogliate quelle imprescindibili esigenze di equilibrio dell'esercizio del potere tipicamente volte ad assicurare il minimo sacrificio, il giusto equilibrio con l'indennita', nonche' tutte quelle altre numerose facolta' di partecipazione degli interessati, che consentono a questi ultimi di verificare la legittimita' e l'opportunita' delle scelte cui sono chiamati a contribuire con il loro sacrificio, sia nell'an, che nel quantum delle misure richieste»; D) in via ulteriormente subordinata, a prescindere dal fatto che sia riconosciuta o meno la natura tributaria della disposizione posta dall'art. 9, comma 2, la violazione dei principi sanciti dagli articoli 2 e 3 Cost. sotto altro profilo. Infatti «la Carta Fondamentale, all'art. 3 comma 2, prevede quale precipuo "compito della Repubblica" (per tale intendendosi lo Stato-apparato, ossia l'insieme dei pubblici poteri, ivi compreso il Legislatore) quello di promuovere e garantire "l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Poiche' tale partecipazione "economica" non puo' essere ovviamente considerata solo dal lato "attivo" ma anche dal lato "passivo", ovvero inglobando una serie di oneri ed obblighi che ad essa naturalmente pertengono (tra i quali la contribuzione alle esigenze finanziarie dell'Erario, a loro volta correlate al soddisfacimento dei bisogni della comunita'), il fine della norma e' quello di incaricare lo Stato (e percio' tutti i pubblici poteri) di rimuovere gli squilibri socio-economici esistenti, ossia le diversificazioni economiche tra categorie sociali diverse, o lavoratori appartenenti ai diversi settori della societa' civile. In questo senso, l'aver attribuito la parte predominante dello sforzo "contributivo" tramite una minore retribuzione ai dipendenti pubblici ... introduce forti discriminazioni nell'eguaglianza sostanziale dei soggetti dell'Ordinamento per le seguenti ragioni». In particolare, secondo il T.A.R. Calabria, «viene sottoposta a prelievo una categoria di sicura "tassabilita'" per via della garanzia della ritenuta alla fonte; al di la' di ogni altra giustificazione ravvisabile nella ratio dell'istituto, il ricorso al prelievo fiscale e' indotto dall'incapacita' (tecnica o politica) di perseguire l'evasione fiscale, con conseguente vantaggio di fatto per i redditi non derivanti da lavoro dipendente nel settore pubblico. Come evidenziato dai ricorrenti, lungi dall'impegnarsi nella predisposizione di strumenti fiscali efficaci nella prevenzione di tale fenomeno, il Legislatore statale inconcepibilmente ed intollerabilmente ha aumentato gli squilibri, trascurando del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (si pensi alle rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di lavoratori, colpevoli unicamente di possedere la qualita' di pubblici impiegati ... e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora piu' facilmente attaccatibi». Del resto «la soluzione in concreto adottata nel d.l. n. 78/2010 e' stata probabilmente preferita: in quanto piu' "difendibile" da un punto di vista politico - ossia sul piano dell'accettabilita' da parte dell'opinione pubblica generale, nel momento storico in cui e' stata posta in essere; perche' assume come propria la semplicistica e generalizzante opinione comune, secondo cui i redditi incisi, per il fatto stesso di essere "elevati", costituiscono per lo piu' "prebende di Stato"; perche' il "tributo", o comunque il prelievo, poteva comodamente essere qualificato come "riduzione di spesa"; e cio' naturalmente approfittando della coincidenza tra il soggetto che lo impone ed il datore di lavoro che si vede ridotto per legge il costo del lavoro. Sennonche', tali ipotesi ricostruttive non consentono di sostenere la costituzionalita' della legge, fermo restando che le pretese "motivazioni" della manovra concepita a danno dei pubblici dipendenti non reggono ad un piu' approfondito esame. Infatti, la capacita' contributiva dei lavoratori dipendenti ... e' gia' messa a dura prova da un sistema fiscale alimentato in grande misura dal meccanismo della ritenuta alla fonte. Pertanto, prima di assoggettare ad ulteriore prelievo gli stipendi dei dipendenti pubblici destinatari di un'elevata retribuzione, si sarebbe dovuto verificare se tali dipendenti fossero - come effettivamente sono - gia' sottoposti ad una schiacciante imposizione fiscale, e conseguentemente concentrare la "riduzione della spesa" in altri settori, ad esempio frenando il ricorso sempre piu' frequente alle consulenze esterne in favore della Pubblica Amministrazione, oppure - argomento quest'ultimo di particolare rilievo - incidendo nel settore di tutte le c.d. spese (lato sensu) "clientelari", di particolare diffusione nel settore delle Autonomie regionali e locali (di difficoltosa riduzione, perche' a torto ritenute essenziali alla politica ed alla formazione del consenso, cosi' come: inteso negli ultimi anni, come ad esempio i contributi a pioggia alle imprese, le spese per iniziative culturali, aggregative, le spese per societa' ed enti-satellite della PA, la formazione e cosi' via)»; Considerato che il Collegio ritiene di dover sollevare, d'ufficio, anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 7, del decreto-legge n. 78/2010 - secondo il quale "a titolo di concorso al consolidamento dei conti pubblici attraverso il contenimento della dinamica della spesa corrente nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica previsti dall'Aggiornamento del programma di stabilita' e crescita, dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, con riferimento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 il riconoscimento dell'indennita' di buonuscita, dell'indennita' premio di servizio, del trattamento di fine rapporto e di ogni altra indennita' equipollente corrisposta una tantum comunque denominata spettante a seguito di cessazione a vario titolo dall'impiego e' effettuato: a) in un unico importo annuale se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, e' complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro; b) in due importi annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, e' complessivamente superiore a 90.000 euro ma inferiore a 150.000 euro. In tal caso il primo importo annuale e' pari a 90.000 curo e il secondo importo annuale e' pari all'ammontare residuo; c) in tre importi annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, e' complessivamente uguale 6 superiore a 150.000 euro, in tal caso il primo importo annuale e' pari a 90.000 curo, il secondo importo annuale e' pari a 60.000 euro e il terzo importo annuale e' pari all'ammontare residuo" - in relazione agli articoli 2, 3, 42, 53 e 97 Cost.. Infatti il T.A.R Calabria, Sez. staccata di Reggio Calabria, con la suddetta ordinanza n. 89 del 1° febbraio 2012 ha sollevato anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 7, del predetto decreto-legge alla luce delle seguenti considerazioni (anch'esse integralmente condivisibili ed evidentemente applicabili anche al personale dell'AGCOM): A) la disposizione in esame comporta «lo scaglionamento - in favore del solo datore di lavoro pubblico - dell'onere di corresponsione delle indennita', comunque denominate, di fine rapporto; il differimento opera diversamente, a seconda dell'ammontare complessivo delle prestazioni. Cio' comporta una diminuzione patrimoniale certa (e quindi un altrettanto certo pregiudizio), che si identifica nella mancata corresponsione di interessi per la dilazione del pagamento; ma determina anche una piu' profonda compromissione del rapporto sinallagmatico tra datore di lavoro e dipendente pubblico, giacche' le somme di cui trattasi hanno pacificamente natura retributiva, sia pure differita. L'operativita' della rateizzazione e', d'altra parte, ineludibile, trattandosi di misura di carattere strutturale, non limitata - nella sua vigenza - ad un periodo di tempo predefinito»; B) valgono anche per la disposizione in esame le medesime censure relative all'art. 9 comma 2 del d.l. n. 78/2010, da intendersi qui richiamate e reiterate per quanto di ragione. Infatti, come evidenziato dal T.A.R Calabria, «il mero differimento della retribuzione non risponde ad alcuna logica di riduzione di spesa, ne' puo' essere apprezzato in sede comunitaria, atteso che non si tratta di una misura strutturale ma di un mero rinvio della spesa, di talche' la razionalita' del "prelievo" mascherato cede innanzi alle esigenze di trasparenza dello Stato con il cittadino, oltre che di lealta' dello Stato-datore di lavoro con il dipendente che esige la giusta remunerazione di una vita di lavoro; analogo rilievo vale per la nuova e diversa incisione del computo dei trattamenti di fine servizio». Inoltre, viene leso - senza che lo richieda il soddisfacimento di altri e piu' pregnanti principi costituzionali, nell'ottica di un ragionevole bilanciamento - il principio di affidamento del pubblico dipendente nell'ordinario sviluppo economico della carriera, comprensivo del trattamento collegato alla cessazione del rapporto di impiego. «E', del resto, fatto notorio che il pubblico dipendente, in molti casi, si propone - proprio attraverso l'integrale ed immediata percezione del trattamento di fine rapporto - di recuperare una somma gia' spesa o in via di erogazione per le principali necessita' di vita (pensiamo all'acquisto di una casa, alle spese per il matrimonio di un figlio, alla necessita' di cure mediche, ecc.), ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari gia' assunti, magari da tempo (pensiamo all'estinzione di un mutuo)». A cio' si aggiunge che «vengono discriminati "in peius" i pubblici dipendenti rispetto a tutti gli altri cittadini e/o lavoratori, con palese violazione dell'art. 3 Cost., posto che nei riguardi dei lavoratori privati il (privato) datore di lavoro non, e' legittimato ad effettuare alcuna rateizzazione del TFR». Palese e' anche «la violazione dell'art. 36 Cost., tenuto conto che il trattamento di fine rapporto, e gli istituti equivalenti, altro non sono se non una retribuzione differita, i cui importi devono pertanto essere restituiti al lavoratore al momento della cessazione del rapporto. Non appare dunque appropriato che il datore di lavoro, approfittando della coincidenza tra questo suo ruolo e quello di Legislatore, dilazioni dei pagamenti che sono dovuti nella loro interezza, a fronte del prelievo frattanto operato, e contestualmente rivoluzioni, da un giorno all'altro, le regole in ordine alle modalita' di quantificazione dell'indennita' di buonuscita, ledendo il principio di buona fede nell'esecuzione del contratto». Infine «viene completamente svuotata la capacita' autorganizzativa delle P.A., che dovrebbero normalmente potersi esprimere anche in riferimento allo stato economico del personale, secondo i generali principi espressi dall'art. 97 Cost.»; Considerato che, fermo restando quanto precede, rilevante e non manifestamente infondata appare anche la questione di legittimita' costituzionale sollevata con il secondo motivo del ricorso introduttivo, ove viene denunciata l'incostituzionalita' dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010, per violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost., sul presupposto della ritenuta inapplicabilita' all'AGCOM dello speciale regime previsto per la Banca d'Italia dall'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010. Infatti: A) in punto di rilevanza della questione, il Collegio osserva che la tesi secondo la quale l'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 sarebbe implicitamente applicabile anche all'AGCOM - sostenuta dai ricorrenti nel terzo motivo sulla scorta del combinato disposto dell'art. 2, comma 28, della legge n. 481/1995 (ove si afferma l'autonomia organizzativa dell'AGCOM in tema di ordinamento delle carriere e di trattamento giuridico-economico del personale, attraverso un espresso rinvio "ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per l'Autorita' garante della concorrenza e del mercato") con l'art. 11, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, (che, a sua volta, collega «il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere» dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato «ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative dell'Autorita'» - sembrerebbe trovare conferma in una recente pronuncia della I Sezione di questo Tribunale (sentenza 18 aprile 2012, n. 3502), con la quale e' stato parzialmente accolto il ricorso proposto da alcuni dipendenti dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato avverso la delibera della medesima Autorita' in data 19 gennaio 2011, con la quale e' stata disciplinata l'applicazione delle norme di contenimento della spesa in materia di pubblico impiego di cui al decreto-legge 78/2010 al predetto ente. Infatti la I Sezione ha annullato la predetta delibera in data 19 gennaio 2011 rimettendo all'Autorita' garante della concorrenza e del mercato l'adozione «delle misure volte a perseguire l'obiettivo del raggiungimento delle economie di spesa da realizzarsi secondo i principi del Titolo I del d.l. n. 78/2010, nel solco di quanto stabilito dalla Banca d'Italia». Tuttavia la tesi in esame, a ben vedere, non puo' essere condivisa perche', a fronte della gia' evidenziata inclusione delle Autorita' indipendenti (ivi compresa 1'AGCOM) nell'elenco ISTAT, la disposizione dell'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 si presenta come una norma eccezionale e, come tale, non suscettibile di essere applicata in ambiti diversi da quelli espressamente indicati dal legislatore (ossia alla sola Banca d'Italia); B) in punto di non manifesta infondatezza della questione, in aggiunta alle considerazioni svolte dai ricorrenti nel primo motivo sulla autonomia ed indipendenza organizzativa e finanziaria (considerazioni che devono intendersi qui integralmente richiamate), il Collegio ritiene sufficiente evidenziare che, a fronte di quanto affermato dalla Corte di cassazione (Sez. un., ord. n. 13446/2005 cit.) in merito alla «accentuata autonomia - rispetto al potere esecutivo - su cui tutte le Autorita' indipendenti fondano la loro presenza nell'ordinamento, autonomia che non puo' non riflettersi sul momento conformativo del rapporto di lavoro del personale», la mancata applicazione all'AGCOM del regime speciale previsto dall'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 per la Banca d'Italia, oltre a comportare una ingiustificata disparita' di trattamento tra enti appartenenti alla medesima categoria (quella delle Autorita' indipendenti), finisce per pregiudicare gravemente l'autonomia e l'indipendenza organizzativa e finanziaria riconosciuta all'AGCOM dall'ordinamento comunitario e da quello nazionale, in contrasto con gli articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost.;