IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 4778  del  2011,  integrato  con  motivi  aggiunti,
proposto da Abbonato Rosa, Acciari  Esimio  Umberto,  Acri  Vincenzo,
Alfano Federica,  Amato  Saverio,  Ambrosio  Valeria,  Anselmi  Rita,
Armagno  Francesco,  Baldari  Maria,  Baldassarre   Lucrezia,   Baldi
Mariano, Balzano Renato, Barbadoro Alceo, Bartolini Antonio,  Bellini
Maria, Bernabei Francesco, Boffula Maria, Bonadio Giuseppe, Bonvicini
Francesco,   Brienza   Massimo,   Bronzetti   Marcello,    Bugiaretti
Alessandro, Calestani Paola, Cangiano Raffaele,  Capponi  Margherita,
Carbone  Claudia,  Casella  Roberto,  Catanzariti   Caterina,   Catta
Giuseppe, Cavallaro  Rosa,  Cervo  Gennaro,  Chiavaro  Marco,  Cioffi
Massimo,  Coleti  Patrizia,  Compagnone  Mauro,   Contaldo   Alfonso,
Crisolini Malatesta Patrizia, Cuoccio Nicoletta, Cuomo Antonio, Daino
Giuseppe, Dainotti Giuseppe, Dainotti Francesco, De Angelis Saverina,
De Luca Mauro, De Luca Carmine Tommaso, De Martino Roberto,  De  Rosa
Luisa, Del Grosso Sergio, Dell'Anno Pasquale, Di Buono  Giuseppe,  Di
Clemente Roberta, Di Fraia Laura, Digilio Giuliana, Drago  Francesco,
Esposito Claudio, Esposito Daniela, Fabiani Sandro,  Ferace  Giovanni
Maria, Ferola Fabio, Ferraiuolo Giancarlo, Filacchione Leandra, Fiori
Mauro, Flaviano Federico, Forenza  Sonja,  Fraioli  Valeria,  Galassi
Paolo Luigi, Galiero Salvatore,  Galietta  Renato,  Gianassi  Gianni,
Giannini  Graziano,  Gunnella  Massimo,  Iannelli  Marco,   Infantino
Angelo, Inverso Anna, Iuliano Pasqualina, La Farina Angelo, La Franca
Giacomo, La Medica Ferdinando, La  Monica  Filomena,  Lasco  Michele,
Lefosse  Mirella,  Lenzi  Alessandra,  Liccardo   Felice,   Magnanini
Vittorio, Mancone Rocco, Mandarano Annarita, Maoloni Silvio,  Mariani
Francesca,  Marotta  Luigi,   Masino   Antonia,   Mastrorilli   Vito,
Mastrovita Sara, Mazzarella Giovanni, Milan  Aldo  Enrico,  Montanari
Sandro,  Nouglian  Silvana,   Novello   Arianna,   Pacifico   Enrico,
Palmentieri  Stefano  Maria,  Panarese  Antonio,   Panetta   Roberto,
Perlingieri  Stefania,  Perri   Bruna,   Perrucci   Teresa,   Petrone
Giuseppina, Pinelli Anna, Pino Alessandro, Pischedda Antonio, Pizzolo
Alberto, Polcaro Antonietta, Polizzi Maria Adelaide,  Pomella  Lucia,
Pompili  Roberto,  Pontellini  Claudio,  Ponziani  Emesto,  Ragazzoni
Nella, Ragucci Gennaro, Resta Antonio, Ricca Angelo, Ricchiuti Marco,
Ridolfi  Paola,  Rivelli  Federica,   Rivelli   Barbara,   Robertazzi
Riccardo,  Romanelli  Cristina,  Romano  Gaetano,  Rosiello   Pompeo,
Rossini Ciro, Russo Linda, Sabella Angela,  Salandri  Luca,  Santucci
Alfredo, Sbardella Luca, Scavone Benedetto,  Sciacchitano  Francesco,
Sciarpelletti Carla, Severo Giuseppe,  Sibilla  Raffaella,  Siciliano
Antonio, Smurro Francesco,  Solombrino  Pellegrino,  Spadaro  Luigia,
Tagiullo  Mario  Tagliaferri  Bruno,  Tarallo  Andreina,   Tempestini
Francesca, Tesauro Francesco, Tilli  Paolo,  Tirone  Luciana,  Trotta
Gerardo,  Veneziano  Antonella,  Viceconti  Nicola,  Vici   Stefania,
Villoresi Cypraea, Votano Giulio, Vuosi Alberto,  Zambuco  Maddalena,
Zotta Domenico, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati  Aristide
Police  e  Giovanni  Moscarini,  con  i  quali   sono   elettivamente
domiciliati in Roma, via Sesto Rufo n. 23; 
    Contro  l'Autorita'  per  le  Garanzie  nelle   Comunicazioni   e
l'istituto Nazionale di Statistica, in persona dei rispettivi  legali
rappresentanti pro tempore, rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura
generale dello Stato presso la quale sono per  legge  domiciliati  in
Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Per l'annullamento: 
        quanto al ricorso introduttivo, della delibera dell'Autorita'
per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 114/11/CONS del 2 marzo  2011,
pubblicata il 23 marzo 2011, con la quale sono state  individuate  le
modalita' di attuazione delle disposizioni previste dal decreto-legge
1° maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge  30
luglio 2010, n. 122, nonche' di  ogni  altro  atto  presupposto,  ivi
compresi: a) il Parere del  Dipartimento  della  Ragioneria  Generale
dello Stato in data 11  gennaio  2011,  reso  su  apposita  richiesta
dell'Autorita' Garante per la Concorrenza  ed  il  Mercato  prot.  n.
0068665 del 17  dicembre  2010  in  merito  all'applicabilita'  delle
disposizioni di cui al decreto-legge n. 78/2010; b) ove occorra ed in
parte qua, l'elenco  delle  Amministrazioni  pubbliche  inserite  nel
conto economico consolidato redatto dall'ISTAT ai sensi dell'articolo
1, comma 3, della legge 31  dicembre  2009,  n.  196;  c)  i  singoli
provvedimenti  individuali  adottati  in  esecuzione  della  predetta
delibera n. 114/11/CONS nei confronti dei singoli ricorrenti; 
        quanto al primo ricorso per motivi aggiunti, del nuovo elenco
delle  Amministrazioni  pubbliche  inserite   nel   conto   economico
consolidato redatto dall'ISTAT ai sensi  dell'articolo  1,  comma  3,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e pubblicato sulla G.U.,  serie
generale, n. 228 del 30 settembre 2011; 
        quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, della delibera
dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 498/11/CONS del
13 settembre 2011, pubblicata in data 11 novembre 2011, con la quale,
in attuazione dell'art. 12, commi 7, 8, 9 e 10 del  decreto-legge  n.
78/2010 e dell'art. 7 della suddetta delibera n.  114/11/CONS  del  2
marzo  2011,e'  stata  ridefinita  la  disciplina  della  I.F.R   del
personale dell'Autorita'; 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Autorita' per  le
Garanzie nelle Comunicazioni e dell'Istituto Nazionale di Statistica; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2012 il  dott.
Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato  nel
verbale; 
    Considerato che la parte ricorrente con il  ricorso  introduttivo
in punto di fatto premette che il Governo  con  il  decreto-legge  n.
78/2010,  recante  «Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria e di competitivita' economica», ha adottato, tra l'altro,
un complesso di disposizioni finalizzate al contenimento della  spesa
in materia di impiego pubblico e  che  l'Autorita'  per  le  Garanzie
nelle Comunicazioni del tutto  inopinatamente,  attesa  l'irrilevanza
delle disposizioni adottate con il citato decreto-legge rispetto alla
posizione dell'Autorita' medesima, ha  provveduto  con  la  impugnata
delibera  n.  114/11/CONS  a  dare  attuazione  ad  alcune  di   tali
disposizioni, tra le quali: a) l'art. 6, comma 12, con il quale  sono
state soppresse le diarie per le missioni all'estero;  b)  l'art.  9,
comma 1,  con  il  quale  viene  fatto  divieto,  per  il  successivo
triennio, di incrementare il  trattamento  economico  dei  dipendenti
pubblici rispetto a quello  ordinariamente  spettante  nel  2010;  c)
l'art. 9, comma 2, con il  quale  viene  prevista  la  riduzione  dei
trattamenti economici dei dipendenti superiori  a  novantamila  ed  a
centocinquantamila curo; d) l'art. 9, comma 21, con  il  quale  viene
disposto il blocco delle  progressioni  economiche  per  il  triennio
2011-2013; e) l'art. 12, comma 7, con  il  quale  viene  previsto  il
pagamento dilazionato del trattamento di  fine  rapporto  e  di  ogni
altra indennita' equipollente); f) l'art. 12, comma 10,  che  prevede
l'inclusione  di  tutto  il  personale  dipendente  nel  regime   del
trattamento di fine rapporto disciplinato dall'art. 2120 cod. civ.; 
    Considerato che con il  ricorso  introduttivo  dei  provvedimenti
impugnati viene chiesto l'annullamento per i seguenti motivi: 
I) Violazione e falsa applicazione delle Direttive n. 2002/19/CE,  n.
2002/20/CE e n. 2002/21/CE del 7 marzo 2002, nonche' della  Direttiva
n. 2009/140/CE del 25 novembre 2009. Violazione e falsa  applicazione
dell'art. 2, commi 2, 5, 27, 28, 38, lett. b), e 40  della  legge  14
novembre 1995, n. 481, dell'art. 1, commi  1  e  9,  della  legge  31
luglio 1997, n. 249 e dell'art. 1, commi  65  e  66  della  legge  23
dicembre  2005,  n.  266.  Violazione  e   falsa   applicazione   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. 
    I  ricorrenti  -  dopo  aver  analizzato  la  posizione  occupata
nell'ordinamento dall'Autorita' per le Garanzie  nelle  Comunicazioni
(di seguito denominata  «AGCOM»),  nonche'  la  specifica  disciplina
relativa al trattamento giuridico ed economico ed alle  carriere  del
suo  personale,  al  fine  di  evidenziare  la  piena  autonomia   ed
indipendenza  organizzativa  e  finanziaria   dell'Ente,   assicurata
dall'ordinamento  comunitario,  dalla  legge   istitutiva   dell'Ente
medesimo, nonche' dalle  altre  norme  dell'ordinamento  nazionale  -
affermano che esiste una stretta connessione tra le funzioni  tipiche
dell'AGCOM ed il meccanismo di finanziamento della stessa  Autorita',
prevalentemente basato su contributi  posti  a  carico  dei  soggetti
privati operanti nel settore delle comunicazioni.  Pertanto,  secondo
la prospettazione dei ricorrenti,  essi  possono  essere  gravati  di
oneri economici solo nella misura  necessaria  per  coprire  i  costi
derivanti dall'attivita' svolta dall'AGCOM e, quindi, in presenza  di
una contrazione delle spese  di  esercizio  dell'Autorita'  derivante
dall'applicazione delle disposizioni del decreto-legge n. 78/2010  in
materia  di  contenimento  del  costo  del  lavoro,   «una   corretta
applicazione dei principi comunitari  imporrebbe  una  corrispondente
riduzione dei contributi richiesti agli operatori privati... 
    In caso contrario, e cioe' in base allo scenario delineato  dalla
delibera  impugnata,  la  contrazione  dei  costi  di   funzionamento
dell'AGCOM non accompagnata da alcuna revisione  della  contribuzione
privata implica un'imposizione a  carico  degli  operatori  di  oneri
incongrui e sproporzionati, la quale finirebbe per dare luogo ad  una
vera e propria nuova tassazione, mascherata, indiretta e distorta, in
assenza della  necessaria  immediata  copertura  legislativa,  in  un
ambito in cui l'azione del Legislatore interno in tal senso  risulta,
strettamente  vietata  dal  diritto   dell'Unione».   Deve,   quindi,
conclusivamente ritenersi che  «l'automatica  applicazione  all'AGCOM
delle previste misure di riduzione dei  costi  andrebbe  ad  incidere
solo in minima parte  su  importi  gravanti  sulle  casse  pubbliche,
colpendo per converso in misura  pressoche'  esclusiva  i  versamenti
degli operatori economici, attesa l'attuale ripartizione  delle  voci
di finanziamento dell'Autorita' tra bilancio statale e  contribuzione
privata», con l'ulteriore conseguenza  che  l'impugnata  delibera  n.
114/11/CONS e' illegittima perche' non tiene conto della «estraneita'
della  posizione  dell'AGCOM  alla  sfera   di   applicazione   delle
disposizioni di cui al d.l. n. 78/2010, almeno per tutta la parte ...
delle entrate finanziarie coincidente con  gli  oneri  a  carico  del
settore privato»; 
II) Violazione e falsa applicazione  dell'art.  2,  comma  28,  della
legge 14 novembre 1995, n. 481, dell'art. 1, comma 9, della legge  31
luglio  1997,  n.  249.   Violazione   e   falsa   applicazione   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. 
    I ricorrenti - dopo aver ribadito che il rapporto  d'impiego  del
personale dell'AGCOM e' regolato da una disciplina speciale che trova
la propria fonte nell'art. 2, comma 28, della  legge  n.  481/1995  e
nell'art. 1, comma 9, della legge n. 249/1997, i quali demandano alla
stessa Autorita' la regolamentazione di tale rapporto  e  parametrano
il  trattamento  economico  del   personale   dell'AGCOM   a   quello
dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato  -  sostengono
che  la  delibera  n.  114/11/CONS  si   e'   limitata   a   recepire
acriticamente  l'impugnato  parere  reso   dal   Dipartimento   della
Ragioneria Generale dello Stato in  merito  all'applicabilita'  delle
disposizioni del decreto-legge n. 78/2010, il  quale  sarebbe  a  sua
volta illegittimo perche' la Ragioneria non  ha  tenuto  conto  della
specialita'    dell'AGCOM,    ritenendo    sufficiente,    ai    fini
dell'applicazione del decreto-legge n. 78/2010, il dato formale della
inclusione dell'Autorita' stessa  nell'elenco  delle  Amministrazioni
pubbliche inserite nel conto economico consolidato redatto dall'ISTAT
ai sensi dell'articolo 1,  comma  3,  della  legge  n.  196/2009  (di
seguito denominato «elenco ISTAT»). Tuttavia, secondo  i  ricorrenti,
pur essendo formalmente innegabile che l'AGCOM e' una delle Autorita'
indipendenti ricomprese  nell'elenco  ISTAT,  «non  pare  validamente
revocabile in dubbio che, ogniqualvolta il decreto-legge in esame  ha
realmente inteso estendere la portata delle  misure  di  contenimento
anche  alle  Autorita'  indipendenti   ricomprese   nell'elenco,   ha
esplicitato  tale   volonta'   mediante   l'impiego   della   diversa
espressione  «le  amministrazioni  pubbliche   inserite   nel   conto
economico   consolidato   della   pubblica   amministrazione,    come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31  dicembre  2009,  n.  196,
incluse le autorita' indipendenti». ... Per inciso, tale  dizione  e'
stata utilizzata in una serie di previsioni, contenute  nell'articolo
6, finalizzate alla riduzione dei costi degli apparati amministrativi
(il comma 3 sulle indennita' dei componenti degli organi; il comma  8
sulle spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicita'  e
di rappresentanza; il comma 9 sulle spese  per  sponsorizzazioni;  il
comma 12 sulle spese di missione; il comma  13  sulle  spese  per  la
formazione; il comma 14 sull'acquisto, la manutenzione, il noleggio e
l'esercizio di autovetture, nonche' per l'acquisto  di  buoni  taxi),
ovverosia per disposizioni il cui ambito operativo si rivela estraneo
all'autonomia riconosciuta dall'ordinamento alle Autorita' in tema di
trattamento  del  proprio  personale.  Da   tale   rilievo   d'ordine
ermeneutico  (rispondente  al  noto  canone  interpretativo  ubi  lex
voluit, dixit) deve necessariamente desumersi che il  Legislatore  ha
ritenuto opportuno estendere alle Autorita' indipendenti gli  effetti
delle sole norme  contenenti  misure  compatibili  con  la  sfera  di
autonomia alle stesse riservata dalle  leggi  istitutive  a  presidio
della loro indipendenza, mentre non ha affatto imposto l'applicazione
di quelle previsioni inerenti il rapporto d'impiego, allorche' - come
nel caso  dell'AGCOM  -  sia  configurabile  una  normativa  speciale
inconciliabile rispetto ad esse». Inoltre i ricorrenti contestano  la
tesi della Ragioneria sulla base seguenti considerazioni di carattere
sistematico: a) l'art.  2,  comma  28,  della  legge  n.  481/  1995,
nell'affermare  l'autonomia  organizzativa  dell'AGCOM  in  tema   di
ordinamento delle carriere e di trattamento  giuridico-economico  del
personale, opera un espresso rinvio «ai criteri fissati dal contratto
collettivo  di  lavoro  in  vigore  per  l'Autorita'  garante   della
concorrenza e del mercato»; b) l'art. 11, comma  2,  della  legge  10
ottobre  1990,  n.  287,  istitutiva  dell'Autorita'  garante   della
concorrenza e del  mercato,  a  sua  volta  collega  «il  trattamento
giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle  carriere»
della stessa Autorita' «ai criteri fissati dal  contratto  collettivo
di lavoro in  vigore  per  la  Banca  d'Italia,  tenuto  conto  delle
specifiche esigenze funzionali ed organizzative  dell'Autorita'»;  c)
l'art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 prevede per la  Banca
d'Italia un peculiare regime di contenimento delle spese,  in  virtu'
del quale «la Banca d'Italia tiene  conto,  nell'ambito  del  proprio
ordinamento, dei principi di contenimento della spesa per il triennio
2011-2013 contenuti nel presente titolo», fermo restando che  «a  tal
fine, qualora non si  raggiunga  un  accordo  con  le  organizzazioni
sindacali sulle materie oggetto di contrattazione in tempo utile  per
dare attuazione ai suddetti  principi,  la  Banca  d'Italia  provvede
sulle materie oggetto  del  mancato  accordo,  fino  alla  successiva
eventuale sottoscrizione dell'accordo»; d) dal combinato disposto  di
tali articoli si evince, da un lato, che il trattamento del personale
dell'AGCOM si pone, seppur mediatamente, in stretta  connessione  con
quello riservato ai dipendenti della Banca  d'Italia  e,  dall'altro,
che il Legislatore ha ritenuto  di  applicare  non  solo  alla  Banca
d'Italia, ma anche all'AGCOM soltanto i principi generali in  materia
di riduzione dei costi, destinati a trovare attuazione per il tramite
dell'esercizio      dell'autonomia      organizzativa       riservata
dall'ordinamento alla medesima Autorita'. In via subordinata, per  il
caso in cui si dovesse ritenere che lo speciale regime  previsto  per
la Banca d'Italia dall'art. 3, comma 3, del decreto-legge n.  78/2010
non si estenda al  personale  della  altre  Autorita',  i  ricorrenti
denunciano la incostituzionalita' dell'art. 9, commi 1,  2  e  21,  e
dell'art. 12, commi 7 e 10, del medesimo decreto-legge n. 78/2010 per
violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost.; 
III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma  12,  dell'art.
9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10,  del  decreto-legge
n. 78/2010 per violazione degli articoli 3 e 97 e 117 Cost. 
    I ricorrenti - dopo  aver  evidenziato  che  l'elenco  ISTAT  «e'
redatto unicamente sulla base di  criteri  statistici  ed  economici,
senza alcuna analisi di carattere giuridico connessa  alla  natura  e
alle caratteristiche  dei  soggetti  interessati»  e  che  lo  stesso
Presidente dell'ISTAT, nell'ambito di un'audizione tenutasi  in  data
20 gennaio 2011 innanzi alla V Commissione della Camera dei  Deputati
ed alla V Commissione del  Senato  della  Repubblica,  «ha  sollevato
gravi dubbi  in  ordine  alla  circostanza  che  esso  possa  trovare
impiego, da parte  del  legislatore,  allo  scopo  di  applicare  una
determinata normativa, giacche' lo stesso si struttura sulla base  di
criteri statistici che cagionano una evidente inidoneita' a tal  fine
ed  implicano  inevitabili  disparita'  di  trattamento   del   tutto
irragionevoli» - denunciano la incostituzionalita' dell'art. 6, comma
12, dell'art. 9, commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e  10,  del
decreto-legge n. 78/2010 per violazione degli articoli 3 e 97  Cost.,
se  interpretati  nel  senso  che  gli   stessi   sono   direttamente
applicabili all'AGCOM per effetto della sua inclusione  nel  predetto
elenco; 
IV) Violazione e falsa applicazione del regolamento del Consiglio  n.
2223/96 del 25 giugno 1996 e conseguente  illegittimita'  dell'elenco
delle  amministrazioni  pubbliche   redatto   dall'ISTAT   ai   sensi
dell'articolo 1, comma 3, della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196.
Eccesso di potere per irrazionalita' dell'azione amministrativa. 
    In  via  subordinata  rispetto  al  terzo  motivo,  i  ricorrenti
lamentano l'illegittimita' dell'elenco  ISTAT,  nella  parte  in  cui
include  l'AGCOM,  evidenziando  che  nel  caso   dell'Autorita'   il
finanziamento pubblico e' quasi  del  tutto  inesistente  perche'  la
stessa  procede  alla  copertura  dei  costi  relativi   al   proprio
funzionamento  ed  all'esercizio  della  propria  attivita'  mediante
contributi privati, gravando sul bilancio dello  Stato  nella  misura
dello 0,2%. Infatti il contributo Statale, che era gia' sceso a circa
2,4 milioni di  euro  per  l'esercizio  finanziario  2009,  ha  visto
un'ulteriore  drastica  riduzione  nell'esercizio  finanziario  2011,
risultando pari ad  appena  164.000,00  euro,  mentre  il  versamento
operato per  il  medesimo  anno  dagli  operatori  economici  privati
ammonta a circa 62,2 milioni di euro. Inoltre, in  virtu'  di  quanto
disposto dall'art. 2, comma 241, della legge 23 dicembre 2009, n. 191
(Finanziaria 2010), la contribuzione in favore l'AGCOM e' soggetta ad
un'altra destinazione di rilievo pubblico, essendo stato previsto  un
meccanismo di trasferimento  di  risorse  tra  le  diverse  Autorita'
indipendenti.  Non  pare  quindi  revocabile  in  dubbio,  secondo  i
ricorrenti, che  I'AGCOM  non  dovrebbe  figurare  nell'elenco  ISTAT
perche' e' finanziata in misura pressoche' integrale  con  contributi
privati e gia' riversa una parte delle proprie entrate in  favore  di
altre Amministrazioni dello Stato; 
V) Illegittimita' degli articoli 4,  5,  6  e  7  della  delibera  n.
114/11/CONS per violazione e falsa applicazione dell'art. 9, commi 1,
2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010. 
    I ricorrenti sviluppano nei confronti della impugnata delibera n.
114/11/CONS una delle censure gia'  dedotte  con  il  secondo  motivo
avverso il parere della Ragioneria, evidenziando che in  alcuni  casi
(come, ad esempio, nell'art. 9, commi 1, 2  e  21,  e  dell'art.  12,
commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010) il legislatore  ha  fatto
un generico riferimento alle «amministrazioni pubbliche inserite  nel
conto economico  consolidato  della  pubblica  amministrazione,  come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre  2009,  n.  196»,
senza richiamare espressamente le autorita' indipendenti,  mentre  in
altri casi (come, ad esempio, nell'art. 6, commi 8, 9, 12,  13  e  14
del decreto-legge n. 78/2010) il  legislatore  ha  fatto  riferimento
alle  «amministrazioni  pubbliche  inserite   nel   conto   economico
consolidato  della   pubblica   amministrazione,   come   individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi  del  comma  3
dell'articolo 1 della legge 31 dicembre  2009,  n.  196,  incluse  le
autorita' indipendenti». 
    Da tale rilievo d'ordine ermeneutico (rispondente al noto  canone
interpretativo ubi lex  voluit,  dixit)  dovrebbe  quindi  desumersi,
secondo i ricorrenti, l'illegittimita' degli articoli 4,  5,  6  e  7
della delibera n. 114/11/CONS, perche' con  tali  disposizioni  viene
data attuazione agli articoli 9, commi 1, 2 e  21,  e  dell'art.  12,
commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 senza considerare che  nel
testo di tali articoli manca l'esplicito riferimento  alle  autorita'
indipendenti; 
VI) Illegittimita' dell'articolo 2 della delibera n. 114/11/CONS  per
violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 12, del decreto n.
78/2010. Eccesso di potere per irragionevolezza e illogicita'. 
    I ricorrenti - premesso che l'AGCOM non e' inclusa tra i soggetti
interessati dalla riduzione disposta dall'art. 28 del decreto-legge 4
luglio  2006,  n.  223,  perche'  non  rientra   nel   novero   delle
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto n. 165/2001 e
non viene neanche nominata  all'interno  delle  tabelle  allegate  al
decreto del Ministero del  tesoro  citato  nel  predetto  art.  28  -
sostengono che l'articolo 2 della delibera n. 114/11/CONS  (rubricato
«spese per missioni»)  e'  illegittimo  sia  perche'  il  trattamento
economico di missione spettante al personale  dell'AGCOM,  in  virtu'
del rimando contenuto nella legge istitutiva della stessa  Autorita',
e' quello previsto dalla disciplina vigente in materia di rapporto di
lavoro dei dipendenti della Banca  d'Italia  (artt.  116  e  ss.  del
Regolamento del personale della Banca d'Italia), sia  perche'  l'art.
6, comma 12, del decreto-legge n. 78/2010 si limita a  sopprimere  le
sole diarie di missione gia' ridotte dall'art. 28  del  decreto-legge
n. 223/2006, senza intaccare minimamente quelle dei dipendenti AGCOM,
i quali,  come  detto,  non  rientrano  nell'ambito  applicativo  del
decreto-legge n. 223/2006. In subordine, qualora si dovesse  ritenere
che l'art. 6, comma 12, del decreto-legge n. 78/2010 abbia  soppresso
anche le diarie per missioni all'estero del  personale  AGCOM,  viene
dedotto che l'Autorita' non avrebbe  comunque  potuto  sopprimere  il
contributo  di  viaggio  derivante  dal  rinvio  che  l'art.  17  del
Regolamento concernente il trattamento  giuridico  ed  economico  del
personale fa al trattamento  economico  stabilito  per  i  dipendenti
dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato,  il  quale  a
sua volta rimanda all'art. 118 del Regolamento  del  personale  della
Banca d'Italia. Infine viene dedotto che la soppressione delle diarie
si pone in netto contrasto  con  gli  obblighi  di  cooperazione  che
l'Autorita' ha nei confronti della Commissione UE e della rete  delle
Autorita' garanti degli altri Paesi membri, obblighi che impongono ai
dipendenti AGCOM di partecipare a frequenti  incontri  internazionali
organizzati negli altri Stati membri. 
VII) Illegittimita' dell'articolo 4 della delibera n. 114/11/CONS per
violazione  e  falsa  applicazione   dell'art   9,   comma   1,   del
decreto-legge n. 78/2010 e per violazione dei  principi  generali  di
efficienza e buon andamento dell'azione  amministrativa.  Eccesso  di
potere per irragionevolezza e illogicita'. 
    I ricorrenti deducono che l'AGCOM, nel dare attuazione al  blocco
delle retribuzioni previsto dal decreto-legge n.  78/2010  e'  andata
ben oltre le previsioni  di  legge,  arrivando  a  bloccare  l'intero
trattamento economico  -  ordinario  e  straordinario  -  dei  propri
dipendenti e ponendo come tetto massimo di riferimento il valore  del
solo trattamento fondamentale percepito nel 2010. L'articolo 4  della
delibera  n.  114/11/CONS  (rubricato  «trattamento   economico   del
personale») sarebbe,  quindi,  illegittimo  perche'  l'Autorita'  «ha
ampliato il blocco imposto  dal  Legislatore  rendendolo  ancor  piu'
rigido, laddove la diretta conseguenza  dell'art.  4  della  delibera
114/11/CONS  sara'  che  nei  prossimi  tre  anni  nessun  dipendente
dell'AGCOM potra' percepire una retribuzione complessiva superiore  a
quella di base percepita nel corso del 2010, e questo  a  prescindere
dati effettiva consistenza degli elementi straordinari della dinamica
retributiva, come il numero di ore di lavoro effettuate o i risultati
conseguiti»; 
VIII) Illegittimita' dell'articolo 4,  comma  3,  della  delibera  n.
114/11/CONS per violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 1,
del decreto-legge n. 78/2010 e per violazione dei  principi  generali
di efficienza e buon andamento dell'azione amministrativa. Eccesso di
potere per irragionevolezza e illogicita'.  Violazione  dell'art.  97
Cost. 
    I ricorrenti - con particolare riferimento alla disciplina  degli
straordinari posta  dall'articolo  4,  comma  3,  della  delibera  n.
114/11/CONS,  ove  si  prevede  la  predisposizione,   per   ciascuna
struttura dell'AGCOM, di «un piano previsionale di  ripartizione  del
complessivo monte ore disponibile per gli anni  2011,  2012  e  2013,
individuato sulla base dei dati relativi all'anno 2010»  -  lamentano
che l'Autorita' «stabilendo un farraginoso  sistema  di  ripartizione
degli straordinari tra  le  proprie  strutture,  abbia  completamente
travisato l'intento del Legislatore, ottenendo come  unico  risultato
l'inevitabile    compromissione     dell'efficienza     organizzativa
dell'Autorita'  stessa.  In  tal  senso,  infatti,  e'  evidente  che
ciascuna  struttura  sara'  vincolata  indissolubilmente   al   piano
previsionale di ripartizione basato sui  dati  del  2010,  e  cio'  a
prescindere dall'effettiva mole di lavoro, la quale, ovviamente,  nel
corso del triennio  2011-2013  ben  potrebbe  richiedere  un  impegno
superiore a quello affrontato nel corso del 2010»; 
IX) Illegittimita'  dell'articolo  4,  comma  7,  della  delibera  n.
114/11/CONS per violazione degli articoli 36 e 38 Cost., nonche'  per
violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 1, del decreto  n.
78/2010. Eccesso di potere per irragionevolezza e illogicita'. 
    I ricorrenti - con particolare riferimento alla disciplina  degli
straordinari posta  dall'articolo  4,  comma  7,  della  delibera  n.
114/11/CONS - lamentano che l'Autorita'  «non  solo  ha  ritenuto  di
dover calmierare le ore di lavoro straordinario a disposizione  delle
singole strutture, ma, addirittura,  per  garantire  l'inviolabilita'
dei limiti stabiliti nei piani di ripartizione, ha previsto  che,  in
caso di  sforamento  degli  stessi,  potranno  essere  operate  delle
"compensazioni tra le diverse voci del trattamento accessorio  e  tra
queste ultime ed il trattamento fondamentale". In sostanza,  in  base
alle delibera dell'Autorita', qualora un dipendente  per  ragioni  di
servizio fosse costretto ad effettuare un numero  di  ore  di  lavoro
straordinario  eccedente   il   livello   previsto   nei   piani   di
ripartizione, esso verrebbe "sanzionato"  mediante  la  riduzione  di
altre voci di  retribuzione,  sino  all'incredibile  scenario  di  un
possibile taglio del trattamento  fondamentale.  Una  previsione  del
genere, oltre  ad  essere  illogica  ed  irrazionale,  e'  in  palese
contrasto con il principio inviolabile dettato dell'art. 36 Cost., in
base  al  quale  "il  lavoratore  ha  diritto  ad  una   retribuzione
proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro". Tale  regola
fondamentale non potra' materialmente essere rispettata in virtu' del
disposto dell'art. 4, comma 7, della delibera 114/11/CONS, posto  che
il  lavoratore,  oltrepassata  la  soglia  prevista  dai   piani   di
ripartizione,  sara'  costretto  a  lavorare  gratuitamente,   ovvero
rischiera' di subire il nocumento derivante dall'eventuale  riduzione
del trattamento fondamentale»; 
X)  Illegittimita'  dell'articolo  4,  comma  6,  della  delibera  n.
114/11/CONS per eccesso di potere per disparita'  di  trattamento  ed
ingiustizia manifesta. Violazione e falsa applicazione  dell'art.  9,
comma 1, del decreto-legge n. 78/2010. 
    I ricorrenti  affermano  che  la  delibera  n.  114/11/CONS,  non
distinguendo  tra  retribuzione  ordinaria   e   straordinaria,   non
chiarisce con sufficiente precisione la posizione dei dipendenti  che
nel corso del 2010 si trovavano in particolari posizione  giuridiche,
come  ad  esempio  coloro  che   lavoravano   part-time,   erano   in
aspettativa, o collocati fuori ruolo, e che  per  tale  ragione,  pur
avendo diritto alla retribuzione ordinaria, non percepivano  compensi
accessori di natura straordinaria. In particolare l'art. 4, comma  6,
della delibera 114/11/CONS  dispone  che  «nel  caso  di  particolari
posizioni giuridiche ed  economiche  vigenti  nell'anno  2010  e  nei
successivi anni 2011,  2012  e  2013  ...  gli  elementi  retributivi
considerati ai fini dell'applicazione del  comma  1  dell'articolo  9
saranno riparametrati su base annua», ma tale disposizione, oltre  ad
essere eccessivamente generica,  risulta  in  contrasto  proprio  con
l'art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 78/2010, secondo il quale  il
trattamento ordinariamente spettante per  l'anno  2010,  e  cioe'  la
soglia di blocco del triennio 2011-2013, deve  essere  calcolato  «al
netto degli effetti derivanti da eventi straordinari  della  dinamica
retributiva,  ivi  incluse  le  variazioni  dipendenti  da  eventuali
arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso  d'anno,  fermo
in ogni caso quanto previsto dal comma 21, terzo  e  quarto  periodo,
per le progressioni  di  carriera  comunque  denominate,  maternita',
malattia,  missioni  svolte   all'estero,   effettiva   presenza   in
servizio». Inoltre,  posto  che  l'Autorita'  nulla  dice  in  merito
all'elaborazione dei piani di ripartizione del complessivo monte  ore
disponibile per gli anni 2011, 2012, e 2013, «coloro tra gli  odierni
ricorrenti che  nel  2010  si  trovavano  in  particolari  condizioni
(rapporto  di  lavoro  part-time,  maternita',   fuori   ruolo)   che
escludevano la possibilita' di lavoro straordinario, per il  prossimo
triennio, pur se  dette  condizioni  saranno  cessate,  non  potranno
comunque  svolgere  alcuno  straordinario,  con  una  disparita'   di
trattamento,   rispetto    agli    altri    dipendenti,    totalmente
ingiustificata   e   discriminatoria,   anche   perche'   del   tutto
indipendente dalla loro volonta'»; 
XI) Illegittimita' dell'articolo 5 della  delibera  114/11/CONS,  per
violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.   9,   comma   2,   del
decreto-legge n 78/2010. Eccesso di potere per irragionevolezza. 
    I ricorrenti affermano che, sebbene  l'art.  5,  comma  2,  della
delibera 114/11/CONS (secondo il quale «per gli  anni  2011,  2012  e
2013, i trattamenti  economici  complessivi  dei  singoli  dipendenti
saranno ridotti nella misura del 5% per la parte compresa tra  90-150
mila euro e nella misura del 10% per  quella  eccedente  i  150  mila
euro») in apparenza ricalchi il  testo  dell'art.  9,  comma  2,  del
decreto-legge n. 78/2010, tuttavia «nessuno  dei  commi  dell'art.  5
stabilisce criteri, in  particolare  temporali,  per  determinare  il
superamento delle citate soglie di 90 e 150 mila  euro;  peraltro  e'
necessario constatare che non vengono  precisate  in  alcun  modo  le
modalita' con cui saranno effettuate  le  riduzioni  dei  trattamenti
economici  e  l'eventuale  erogazione  dei  conguagli.  Inoltre,  pur
essendo presente nel testo dell'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78/2010,
un riferimento al trattamento  economico  complessivo,  a  differenza
della disposizione contenuta nel comma precedente tale formula non e'
seguita   dalla   specificazione   «ivi   compreso   il   trattamento
accessorio»;  e'  percio'  evidente  che,  al  contrario  di   quanto
stabilito  dall'Autorita'  nell'art.  5,  comma  2,  della   delibera
impugnata, i tagli disposti dal Legislatore siano riferiti unicamente
al trattamento  economico  fondamentale,  con  esclusione  invece  di
quello  accessorio.  L'interpretazione   teste'   esposta,   adottata
peraltro dalla Banca d'Italia in sede di attuazione del  decreto,  e'
confermata dallo stesso Legislatore, che nel successivo comma  2-bis,
non applicabile pero' alle Autorita' indipendenti, definisce  proprio
in separata sede gli interventi rivolti al trattamento accessorio»; 
XII) Illegittimita' dell'articolo 6 della delibera  114/11/CONS,  per
violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  9,   comma   21,   del
decreto-legge n 78/2010. 
    I ricorrenti affermano che l'art.  6,  comma  1,  della  delibera
114/11/CONS (secondo il quale «come previsto dall'art. 9,  comma  21,
del decreto-legge n. 78/2010, per gli anni 2011, 2012 e  2013,  sara'
sospesa l'assegnazione di livelli  retributivi  previsti  da  accordi
sindacali gia'  stipulati.  Per  gli  anni  2011,  2012  e  2012,  le
progressioni previste  dal  regolamento  concernente  il  trattamento
giuridico ed economico del personale avranno  effetti  esclusivamente
giuridici»), sebbene nelle intenzioni dell'Autorita' sia  finalizzato
a dare attuazione all'art. 9, comma 21, del decreto-legge n.  78/2010
(in base al quale «per le categorie di personale di cui  all'articolo
3 del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  e  successive
modificazioni,  che  fruiscono  di  un  meccanismo  di   progressione
automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono  utili
ai fini della maturazione delle classi e degli  scatti  di  stipendio
previsti dai rispettivi ordinamenti»), risulta  tuttavia  illegittimo
perche' l'AGCOM non rientra tra i soggetti  di  cui  all'art.  3  del
decreto legislativo n. 165/2001. Inoltre la previsione  dell'art.  9,
comma  21,  del  decreto-legge  n.  78/2010  non   sarebbe   comunque
applicabile all'AGCOM  perche'  «quest'ultima  e'  sprovvista  di  un
meccanismo di progressione automatica. La disciplina degli scatti dei
livelli retributivi e' contenuta negli artt. 36,  38,  40  e  42  del
Regolamento concernente il trattamento  giuridico  ed  economico  del
personale dell'Autorita'  per  le  Garanzie  nelle  Comunicazioni,  i
quali,  nel  prevedere   l'esistenza   di   plurimi   meccanismi   di
progressione su base  annuale,  ne  stabiliscono  le  condizioni.  In
particolare, per  quel  che  riguarda  i  dirigenti  all'art.  36  e'
stabilito che «la progressione dei  dirigenti  si  effettua  mediante
scatti annuali (...), salvo demerito. Tale  giudizio,  risultante  da
una  motivata  valutazione  di   insufficienza,   e'   espresso   dal
responsabile della unita'. operativa di primo livello presso la quale
il  dirigente  presta  servizio  ovvero,  nel  caso  si  riferisca  a
quest'ultimo, dal Consiglio». Non solo, «i  dirigenti  sono  valutati
ogni anno. Con cadenza triennale nel  mese  di  luglio  ha  luogo  un
procedimento  di  valutazione  per  l'attribuzione  di   progressioni
equivalente a non piu' di 8 scatti normativi ed  economici».  Analoga
disposizione e' prevista anche dall'art. 38 per i funzionari, il  cui
meccanismo di progressione e' in  sostanza  speculare  a  quello  dei
dirigenti. Diverso trattamento, ma sempre privo  di  automatismi,  e'
stabilito invece per il personale operativo ed esecutivo dagli  artt.
40 e 42, i quali, prevedendo un meccanismo di progressione  economica
ancor piu' complesso di quello teste' esposto, precisano comunque che
«ai dipendenti cui sia  stato  attribuito  un  motivato  giudizio  di
insufficienza nell'ultimo rapporto  valutativo,  non  sono  conferiti
avanzamenti».  Inoltre,  gli  articoli  citati  specificano  che  «le
progressioni sono conferite dal Consiglio, su proposta del  Direttore
del Dipartimento Risorse Umane  e  Finanziarie,  tenuto  conto  delle
disponibilita' di bilancio». In sostanza, quindi, dall'analisi  delle
disposizioni contenute nel  Regolamento  concernente  il  trattamento
giuridico ed economico del personale non e' possibile rinvenire alcun
meccanismo di progressione  automatica  delle  retribuzioni,  il  cui
avanzamento,  come  detto,  e'  invece  subordinato   a   determinate
valutazioni di  merito  e  alla  presenza  delle  necessarie  risorse
finanziarie».  Infine  i  ricorrenti  deducono  che,  anche  a  voler
ipotizzare per assurdo che l'AGCOM rientri nel campo di  applicazione
dell'art. 9, comma 21,  del  decreto-legge  n.  78/2010,  «il  blocco
disposto dalla delibera impugnata risulterebbe  comunque  illegittimo
perche',    in    virtu'    di    pregressi     accordi     stipulati
dall'Amministrazione, esso andrebbe ad  incidere  su  veri  e  propri
diritti quesiti dei ricorrenti,  relativi  a  prestazioni  lavorative
che, pur se la relativa retribuzione e' stata dilazionata nel  tempo,
di  fatto  sono  state  gia'  rese.  I  meccanismi  di   progressione
meritocratica su base annuale di cui si  e'  detto,  stabiliti  dagli
artt. 36, 38, 40 e 42  del  Regolamento  concernente  il  trattamento
giuridico ed economico del personale dell' Autorita' per le  Garanzie
nelle Comunicazioni, invero, allo stato non trovano applicazione, ne'
la troveranno durante l'intero triennio disciplinato  dalla  delibera
impugnata. Come riconosciuto  espressamente  dalla  stessa  Autorita'
nell'ambito di un accordo siglato  in  data  31  luglio  2007,  anzi,
meccanismi non sono mai stati attivati, il che di fatto ha comportato
un sostanziale  blocco  della  progressione  economica  di  tutto  il
personale protrattasi quasi un decennio. Per tale ragione, a  seguito
di una lunga  trattativa  condotta  con  le  OO.SS.,  l'Autorita'  ha
riconosciuto espressamente la necessita' di "prevedere meccanismi  di
recupero e compensazione", ed in ragione di  cio'  ha  concordato  la
sospensione sino al 2015 della disciplina degli artt. 36, 38, 40 e 42
del  Regolamento  del  personale,   stabilendo   un   meccanismo   di
progressione tale da consentire una perequazione con  il  trattamento
economico  del  personale  AGCM,  anche  in  considerazione   di   un
precedente  accordo  sottoscritto  in  data  7  marzo  2007  con  cui
quest'ultima   aveva   a   sua   volta   stabilito   un   progressivo
riallineamento al trattamento economico  del  personale  della  Banca
d'Italia.  Su   tali   presupposti,   le   parti   hanno   concordato
l'attribuzione di 3 livelli retributivi per il 2007, il 2008,  ed  il
2009, stabilendo inoltre che  "a  partire  dalla  fine  del  2009  si
aprira'  un  tavolo  di  trattativa,  avuto  riguardo  le  condizioni
organizzative, di bilancio e, piu'  in  generale  le  prospettive  di
compatto dell'Autorita',  per  decidere  con  apposito  accordo  come
modificare il  presente  meccanismo  a  partire  dall'anno  2010.  In
assenza di accordo tra le parti, saranno comunque garantiti 3 livelli
per l'anno 2010, 2 livelli per il  2011  e  solo  uno  per  gli  anni
successivi".  In  sostanza,  come  e'  possibile  dedurre   in   modo
inequivocabile dal testo dell'accordo del 31 luglio  2007,  con  esso
l'Autorita' ha  intenso  sanare  una  situazione  pregressa,  ponendo
rimedio sia  alla  mancata  attivazione  per  quasi  un  decennio  di
qualsiasi tipo di meccanismo  di  progressione  economica,  sia  alla
necessita', stabilita dall'art. 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249,
di raggiungere un  allineamento  con  il  trattamento  economico  del
personale dell'AGCM,  e  di  conseguenza  della  Banca  d'Italia.  Ne
consegue  che  le  previsioni  di  adeguamento  economico   stabilite
dall'accordo del  31  luglio  2007,  destinate  a  rimanere  operanti
durante l'intero periodo di applicazione del  d.l.  n.  78/2010,  non
possono  essere  considerate  in  alcun   modo   un   meccanismo   di
progressione automatica; al contrario, esse sono assimilabili  ad  un
evento straordinario della  dinamica  salariale,  estraneo  al  campo
applicativo dell'art. 9, comma 21, del d.l.  n.  78/2010.  Il  blocco
degli stipendi disposto dall'Autorita' con l'art. 6, comma  1,  della
delibera impugnata, in definitiva, non si  limita  a  negare  aumenti
stipendiali futuri, ma, andando ben oltre la portata della  norma  di
legge di cui vorrebbe  essere  applicazione,  sottrae  ai  dipendenti
dell'AGCOM compensi di fatto gia' maturati, che la  stessa  Autorita'
ha espressamente riconosciuto loro quale vera e propria compensazione
economica per la minor retribuzione percepita negli anni passati»; 
XIII) Illegittimita' dell'articolo 7 della delibera  114/11/CONS  per
violazione e falsa applicazione  dell'art.  12,  commi  7  e  10  del
decreto-legge  n.  78/2010.  Eccesso  di  potere  per  disparita'  di
trattamento. 
    I ricorrenti -  con  particolare  riferimento  all'art.  7  della
delibera 114/11/CONS ove, nell'intento di  recepire  le  disposizioni
contenute nell'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge  n.  78/2010,
si prevede che «le  indennita'  comunque  denominate  e  spettanti  a
seguito della cessazione a vario titolo dall'impiego, saranno erogate
attenendosi alle modalita' specificatamente previste all'art. 12  del
decreto-legge n. 78/2010. In applicazione di quanto disposto al comma
10 dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78/2010, con  effetto  sulle
anzianita' maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011  il  computo  dei
trattamenti di fine servizio, comunque denominati verra', regolato in
base  a  quanto  previsto  dall'art.  2120  del  codice  civile,  con
applicazione dell'aliquota del 6,91%» - ribadiscono innanzi tutto  le
suesposte censure, incentrate sull'inapplicabilita'  all'AGCOM  delle
disposizioni contenute nell'art. 12, commi 7 e  10,  per  il  mancato
richiamo  delle  Autorita'  indipendenti   tra   le   amministrazioni
destinatarie del provvedimento, nonche' per  l'inesistenza  di  reali
economie per l'erario  pubblico  cui  la  normativa  e'  finalizzata.
Inoltre i ricorrenti  lamentano  che  la  disposizione  in  esame  e'
illegittima  perche'  «modifica,  o  meglio   sopprime,   il   regime
dell'I.F.R. (indennita' di fine rapporto), che e' un istituto  tipico
delle Autorita' indipendenti, mutuato, in virtu' del rinvio contenuto
nella legge istitutiva  dell'AGCOM,  dalla  Banca  d'Italia,  ove  e'
tuttora vigente.  Tale  indennita',  invero,  costituisce  una  forma
assolutamente peculiare di trattamento di fine rapporto, ma  di  cio'
l'Amministrazione non ha tenuto minimamente conto nella sua delibera,
non valutando ne' motivando  in  alcun  modo  sulla  natura  e  sulla
portata dell'istituto, ed andando ben oltre, ovvero violando, sia  la
previsione normativa di cui la delibera  vorrebbe  essere  attuazione
sia la disciplina vigente in  materia  di  I.F.R.,  in  virtu'  della
quale, oltretutto, i dipendenti possono vantare allo stato un vero  e
proprio diritto quesito, di cui alcuni colleghi in passato hanno gia'
materialmente beneficiato in relazione ai medesimi periodi di  lavoro
per  i  quali  il  trattamento  viene  oggi  negato  agli  altri.  La
sostanziale  soppressione  dell'I.F.R.,  in  definitiva,  oltre   che
ingiustificata alla luce del disposto dell'art. 12, commi 7 e 10, del
d.l. n. 78/2010, risulta doppiamente illegittima in quanto  crea  una
disparita' di trattamento intollerabile tra  coloro  che  hanno  gia'
goduto del beneficio (per cessazione del servizio, per  scadenza  del
contratto   di   lavoro   a   termine,   per   ingresso   nei   ruoli
dell'amministrazione ovvero per semplice anticipazione) e  gli  altri
dipendenti che, pur avendo gia' maturato il relativo diritto, per  lo
meno rispetto al periodo pregresso, non ne hanno ancora goduto»; 
XIV) Illegittimita' della delibera 114/11/CONS, nella  parte  in  cui
essa non  prevede  il  riconoscimento  di  un'indennita'  di  vacanza
contrattuale, per violazione e falsa applicazione dell'art. 9,  comma
17, del decreto-legge n. 78/2010, nonche' dell'art. 1 della 31 luglio
1997, n. 249. Eccesso di potere per manifesta irragionevolezza e  per
disparita' di trattamento. 
    I ricorrenti - premesso che l'esatta  portata  del  blocco  delle
retribuzioni disposto con l'art. 9, comma  1,  del  decreto-legge  n.
78/2010 e' stata ulteriormente precisata nel successivo comma 17, ove
si prevede che «non si da' luogo,  senza  possibilita'  di  recupero,
alle  procedure  contrattuali  e  negoziali  relative   al   triennio
2010-2012 del personale di cui all'articolo 2, comma 2 e  articolo  3
del  decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.  165   e   successive
modificazioni. E' fatta salva l'erogazione dell'indennita' di vacanza
contrattuale nelle misure previste  a  decorrere  dall'anno  2010  in
applicazione dell'articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008,
n. 203» - evidenziano che presso 1'AGCOM non sono mai stati stipulati
autonomi contratti collettivi tra l'ente e le OO.SS.  e,  quindi,  il
personale  non  ha  mai  goduto  di  alcuna  indennita'  di   vacanza
contrattuale. Pertanto «qualora si  dovesse  ritenere  effettivamente
applicabile  all'Autorita'  la  disciplina  contenuta  nel  d.l.   n.
78/2010, essa dovrebbe essere applicata  in  toto,  ivi  compresa  la
disposizione  di  cui  al  comma  17  dell'art.  9,  con  conseguente
riconoscimento  al   suo   personale   dell'indennita'   di   vacanza
contrattuale attribuita a tutti i  dipendenti  pubblici,  compresi  i
dipendenti della Banca d'Italia.  In  ragione  di  cio',  il  mancato
recepimento della suddetta disposizione ha reso  il  blocco  disposto
dall'art. 9, comma 1, del d.l. n. 78/2010 ancor piu'  gravoso  per  i
dipendenti AGCOM rispetto a tutti gli altri dipendenti  pubblici,  il
che  di  certo  va  ben  oltre  qualsiasi   possibile   intento   del
Legislatore. 
    Nel fare cio', inoltre, l'Autorita' ha agito in spregio del testo
dell'art. 1 della legge 31 luglio  1997,  n.  249  (legge  istitutiva
dell'AGCOM),  in  virtu'  del  quale  il  trattamento  giuridico   ed
economico del personale e' stabilito in base ai criteri  fissati  dal
contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca  d'Italia,  ove
appunto tale indennita' e' prevista espressamente»; 
    Considerato  che  con  il  primo  ricorso  per  motivi  aggiunti,
depositato in data 23 dicembre 2011, i ricorrenti hanno impugnato  il
nuovo elenco ISTAT, pubblicato nella G.U., serie generale, n. 228 del
30 settembre 2011,  deducendo  censure  sostanzialmente  identiche  a
quelle proposte con il quarto motivo del ricorso introduttivo; 
    Considerato che con  il  secondo  ricorso  per  motivi  aggiunti,
depositato in data 25 gennaio 2012, i ricorrenti hanno  impugnato  la
delibera  dell'Autorita'  per  le  Garanzie  nelle  Comunicazioni  n.
498/11/CONS del 13 settembre 2011, pubblicata  in  data  11  novembre
2011 - con la quale, in attuazione dell'art. 12, commi 7, 8, 9  e  10
del decreto-legge n. 78/2010 e dell'art. 7 della suddetta delibera n.
114/11/CONS del 2 marzo 2011, e' stata ridefinita la disciplina della
I.F.R.   del   personale   dell'Autorita'   -    deducendo    censure
sostanzialmente identiche a quelle proposte con il primo, il secondo,
il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso introduttivo; 
    Considerato che i ricorrenti con memoria depositata  in  data  18
febbraio 2012 hanno  insistito  per  l'accoglimento  delle  suesposte
censure, evidenziando, tra l'altro, che: a) il primo  ed  il  secondo
motivo  del  ricorso  introduttivo  devono  essere  accolti   perche'
«l'attuale ripartizione delle voci di  finanziamento  dell'AGCOM  tra
bilancio  statale  e  contribuzione  privata  comporta,  come  logica
conseguenza, che l'applicazione delle misure di riduzione  dei  costi
derivanti dal d.l. n. 78/2010  sia  destinata  ad  incidere  solo  in
minima parte sugli importi gravanti sulle casse dello Stato, colpendo
per converso  in  misura  pressoche'  esclusiva  i  versamenti  degli
operatori economici»; del resto il Consiglio di  Stato,  interpellato
sulla compatibilita' con la struttura dell'AGCOM dell'art.  6,  comma
21, del d.l. n. 78/2010 ... con il parere n. 385 del 26 gennaio  2012
ha  osservato  come  «le  somme  ricavate  da  economie  di  gestione
dall'Autorita' possano essere  destinate  al  bilancio  statale  solo
relativamente alla parte  imputabile  ai  contributi  ricevuti  dallo
Stato, ossia nella misura corrispondente al:  valore  percentuale  di
tali   contributi   sul   complesso   delle    entrate    finanziarie
dell'Autorita'.  Oltre  questa  parte,  il  dovere  contributivo   si
trasformerebbe in una vera e propria imposta, tanto da  richiedere  -
in relazione ai principi di cui agli articoli 23 Cost. e 53  Cost.  -
una formulazione meno generica e presupposti  piu'  stringenti  della
semplice  esigenza  di  fare  cassa.  ...   E'   dunque   sul   piano
dell'interpretazione  costituzionalmente  orientata  e  conforme   ai
principi comunitari che, collegando il comma 21 al comma 2  dell'art.
6 del decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78,  se  ne  puo'  affermare
l'applicazione "limitata" all'Autorita'»;  b)  il  quarto  assorbente
motivo dedotto con il ricorso introduttivo risulta anch'esso fondato,
perche'  la  Sez.  III-quater  di  questo   Tribunale,   su   ricorso
dell'AGCOM, con  la  sentenza  11  gennaio  2012,  n.  226,  ha  gia'
annullato l'elenco ISTAT, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  228
del  30  settembre  2011,  nella  parte  in  cui   include   l'AGCOM,
evidenziando in motivazione, tra l'altro, che «fondata e' la  censura
afferente all'autonomia finanziaria dell'Autorita' ricorrente, che si
manifesta con la capacita' di provvedere con  le  proprie  entrate  a
fronteggiare per intero le spese sostenute  per  l'attivita'  svolta,
sicche' manca  il  presupposto  che  in  coerenza  con  le  finalita'
perseguite giustifichi il suo inserimento nell'elenco Istat, e  cioe'
un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va
contenuto. L'autonomia finanziaria della ricorrente, le  fonti  dalle
quali discendono  le  sue  entrate  (id  est  i  contributi  ad  essa
obbligatoriamente  versati  dagli  operatori  dei  settori  da   essa
regolati), la possibilita' di intervenire per garantirne nel tempo la
corrispondenza  alle  uscite  sono  tutti  elementi  legislativamente
fissati,  e,  quindi,  incontestabili.  Segue  da  cio'  che  non  e'
configurabile spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere
costretta a sopportare per assicurare il pareggio di  bilancio  della
ricorrente atteso che a questo fine essa e' gia'  stata  fornita  dal
legislatore di strumenti propri per provvedere in  via  autonoma.  Di
qui la conclusione che il criterio di calcolo imposto dal legislatore
comunitario e  per  libera  scelta  recepito  dall'ISTAT,  e  fondato
esclusivamente sul rapporto fra spesa complessiva ed entrate proprie,
e' nel caso in esame ampiamente soddisfatto»; 
    Considerato che l'Amministrazione, con memoria depositata in data
27 febbraio 2012 ha insistito per il rigetto delle suesposte censure; 
    Considerato, in via preliminare, che  sussiste  la  giurisdizione
del giudice amministrativo sulla presente controversia. Infatti: 
        A)  sulla  scorta  del   quadro   normativo   vigente   prima
dell'entrata in vigore del  codice  del  processo  amministrativo  la
Corte di cassazione (Sez. un., ord. 23 giugno 2005, n.  13446)  aveva
affermato che le controversie in materia di impiego  alle  dipendenze
dell'Autorita'  garante  delle   comunicazioni   dovevano   ritenersi
devolute alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo
evidenziando quanto segue: a) il fatto che l'art.  2,  comma  2,  del
decreto legislativo n. 80/1998 (oggi recepito nell'art. 3,  comma  1,
del decreto legislativo  n.  165/2001  non  preveda  espressamente  i
rapporti  dei  dipendenti  dell'AGCOM  tra  quelli   sottratti   alla
giurisdizione ordinaria (al pari dei rapporti  dei  dipendenti  della
Banca  d'Italia,  della  Consob  e   dell'Autorita'   Garante   della
Concorrenza e del Mercato) «non e' di per se' decisivo per fondare la
giurisdizione ordinaria sulle controversie relative  ai  rapporti  in
questione: il  citato  d.lgs.  n.  80  del  1998  attuava  la  delega
contenuta nella legge 15 marzo 1997, n. 59, concepita in epoca in cui
l'Autorita' delle comunicazioni non era stata ancora  istituita»;  b)
l'art. 1, comma 26, della legge n. 249/1997, «disponendo testualmente
che i ricorsi avverso i provvedimenti di  detta  Autorita'  rientrano
nella giurisdizione esclusiva del  giudice  amministrativo,  si  pone
chiaramente come norma speciale, oltre che derogatoria rispetto  alla
piu' generale opzione legislativa - sottesa alla riforma del pubblico
impiego - a favore della giurisdizione ordinaria»;  c)  «l'estensione
di   una   tale   giurisdizione   amministrativa    esclusiva    "sui
provvedimenti" anche alle controversie in  materia  di  impiego  alle
dipendenze dell'Autorita' garante delle comunicazioni, e' connaturale
alla ratio posta alla base delle deroghe espresse dal citato  art.  3
del t.u.  n.  165/2001  giustificate  dalla  accentuata  autonomia  -
rispetto al potere esecutivo - su cui tutte le Autorita' indipendenti
fondano la loro presenza nell'ordinamento, autonomia che non puo' non
riflettersi sul momento  conformativo  del  rapporto  di  lavoro  del
personale»; d) secondo l'art. 1, comma 21, della  legge  n.  249/1997
all'AGCOM si applicano le disposizioni di cui  all'articolo  2  della
legge  n.  481/1995  (istitutiva  dell'Autorita'  per  i  servizi  di
pubblica utilita'), il cui comma 28 gia'  escludeva  l'applicabilita'
delle disposizioni del decreto legislativo n. 29/1993 «e,  con  essa,
la  privatizzazione  (recte:   contrattualizzazione)   dei   relativi
rapporti di pubblico impiego instaurati con i propri dipendenti»; 
        B) le conclusioni alle quali e' pervenuta  la  Suprema  Corte
devono essere mantenute ferme anche alla luce delle novita' normative
introdotte dal codice del processo amministrativo e, in  particolare,
alla luce dell'art. 133, comma 1, lett. l), cod. proc. amm.,  secondo
il quale sono  devolute  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge, «le controversie
aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori
ed esclusi quelli  inerenti  ai  rapporti  di  impiego  privatizzati,
adottati ... dall'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni ... »
e dell'art. 1, comma 26, della legge  n.  249/1997  (come  sostituito
dall'art. 3, comma 8,  dell'allegato  4  al  decreto  legislativo  n.
104/2010),   il   quale   attualmente   dispone   che   «la    tutela
giurisdizionale davanti al giudice amministrativo e' disciplinata dal
codice  del  processo  amministrativo».  Infatti  il  riferimento  ai
«rapporti di impiego privatizzati», contenuto nell'art. 133, comma 1,
lett. l), cod. proc. amm., per quanto  d'interesse  in  questa  sede,
deve ritenersi limitato ai contratti di lavoro di diritto privato  di
cui all'art. 1, comma 21, della legge n. 249/1997; 
    Considerato sempre in via preliminare che, ai fini dell'interesse
ad  agire  dei  ricorrenti  e  della  rilevanza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale che di  seguito  saranno  esaminate,  non
assume affatto rilievo assorbente - a differenza di quanto  affermato
dai ricorrenti nella memoria depositata in data 18 febbraio 2012 - la
circostanza che la Sezione III-quater  di  questo  Tribunale  con  la
sentenza 11 gennaio 2012, n.  226,  abbia  annullato  l'elenco  ISTAT
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 228  del  30  settembre  2011,
nella  parte  in  cui  inserisce  anche  l'AGCOM  fra   le   predette
Amministrazioni. Infatti il Collegio ritiene che il  legislatore  con
le norme del decreto-legge n. 78/2010 richiamate dai  ricorrenti  non
abbia  operato  un  rinvio  mobile  all'elenco  annualmente   redatto
dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge n. 196/2009
(nel qual  caso  la  predetta  sentenza  n.  226/2012  effettivamente
determinerebbe  l'accoglimento  del  presente  ricorso  per   effetto
dell'annullamento di un  atto  presupposto,  quale  sarebbe  l'elenco
ISTAT pubblicato nella G.U., serie generale, n. 228 del 30  settembre
2011 rispetto alla  impugnata  delibera  n.  114/11/CONS),  ma  abbia
piuttosto operato  un  rinvio  fisso  all'elenco  ISTAT  vigente  nel
momento dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 78/2010, al  solo
fine  di  individuare  l'ambito  soggettivo  di  applicazione   delle
disposizioni in materia di contenimento della  spesa  pubblica  dallo
stesso introdotte. Del resto gli stessi ricorrenti nel  terzo  motivo
del ricorso introduttivo hanno  evidenziato  che  l'elenco  ISTAT  e'
redatto «sulla base di criteri statistici ed economici, senza  alcuna
analisi  di  carattere  giuridico  connessa  alla   natura   e   alle
caratteristiche dei  soggetti  interessati»  e,  quindi,  laddove  si
optasse per la tesi del rinvio mobile all'elenco redatto  annualmente
effettivamente si porrebbero  i  problemi  segnalati  dal  Presidente
dell'ISTAT nell'ambito dell'audizione tenutasi  in  data  20  gennaio
2011 innanzi alla V Commissione della Camera dei Deputati ed  alla  V
Commissione del Senato della Repubblica; 
    Considerato che, sempre ai fini della rilevanza  delle  questioni
di legittimita' costituzionale che di seguito saranno  esaminate,  il
Collegio ritiene necessario evidenziare che: 
        A) non pare condivisibile la tesi (sviluppata dai  ricorrenti
nel  secondo  e  nel  quinto  motivo,  facendo  leva   sul   criterio
ermeneutico ubi lex voluit, dixit) secondo la quale l'art.  9,  commi
1, 2 e 21, e l'art. 12, commi 7 e 10, del  decreto-legge  n.  78/2010
non sarebbero applicabili  all'AGCOM  perche'  in  tali  articoli  il
legislatore ha fatto un generico  riferimento  alle  «amministrazioni
pubbliche inserite nel conto  economico  consolidato  della  pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1  della  legge
31  dicembre  2009,  n.  196»,  senza  richiamare  espressamente   le
Autorita' indipendenti, mentre  in  altri  casi  (come,  ad  esempio,
nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del decreto-legge n. 78/2010) il
legislatore ha  fatto  riferimento  alle  «amministrazioni  pubbliche
inserite   nel   conto   economico   consolidato    della    pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1  della  legge
31  dicembre  2009,  n.  196,  incluse  le  autorita'  indipendenti».
Infatti, prescindendo da ogni considerazione di drafting legislativo,
il Collegio ritiene che la prova della volonta'  del  legislatore  di
includere anche l'AGCOM nel campo si applicazione dell'art. 9,  commi
1, 2 e 21, e l'art. 12, commi 7 e 10, del decreto-legge n. 78/2010 si
rinvenga: a) nel  fatto  che  il  legislatore  quando  ha  menzionato
espressamente  le  Autorita'  indipendenti  (come,   per   l'appunto,
nell'art. 6, commi 8, 9, 12, 13 e 14 del decreto-legge n. 78/2010) ha
utilizzato la formula  «incluse  le  autorita'  indipendenti»,  cosi'
limitandosi a specificare un dato - quale l'inclusione di  tali  enti
nell'elenco ISTAT - chiaramente evincibile da  una  semplice  lettura
del predetto elenco; b) nel fatto che lo stesso legislatore,  laddove
ha inteso garantire la specialita' di determinati  soggetti  pubblici
ha introdotto una disciplina  speciale  in  materia  di  contenimento
della spesa; si intende evidentemente  far  riferimento  all'art.  3,
comma 3, del decreto-legge n. 78/2010, che prevede  soltanto  per  la
Banca d'Italia (cosi' escludendo le altre Autorita' indipendenti)  un
peculiare regime in virtu' del quale «la Banca d'Italia tiene  conto,
nell'ambito del proprio ordinamento,  dei  principi  di  contenimento
della spesa per il triennio 2011-2013 contenuti nel presente titolo»,
fermo restando che «a tal fine, qualora non si raggiunga  un  accordo
con  le   organizzazioni   sindacali   sulle   materie   oggetto   di
contrattazione  in  tempo  utile  per  dare  attuazione  ai  suddetti
principi, la  Banca  d'Italia  provvede  sulle  materie  oggetto  del
mancato  accordo,  fino  alla  successiva  eventuale   sottoscrizione
dell'accordo»; 
        B) a differenza di  quanto  affermato  dai  ricorrenti  nella
memoria depositata in data  18  febbraio  2012,  non  assume  rilievo
decisivo nella presente  controversia  il  parere  del  Consiglio  di
Stato, Commissione Speciale, 26 gennaio  2012,  n.  385.  Infatti  il
Consiglio di Stato - chiamato a chiarire  l'applicabilita'  dell'art.
6, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010 all'AGCOM, sul  presupposto
che il sistema di finanziamento dell'Autorita' e'  quasi  interamente
autonomo,  essendo  affidato  al  contributo  versato  dai   soggetti
regolati, mentre solo una minima parte delle entrate e' a carico  del
bilancio  dello  Stato  -  dopo  aver  ribadito  «il   principio   di
corrispondenza tra  gli  oneri  imposti  agli  operatori  e  i  costi
amministrativi  sostenuti  per   l'esercizio   dei   compiti   svolti
dall'Autorita'»  (principio  richiamato  dai  ricorrenti  nel   primo
motivo),   nell'affrontare   il   problema    di    delineare    «una
compartecipazione   dell'Autorita'   ai   doveri   di    solidarieta'
finanziaria verso lo Stato, senza che cio'  implichi  uno  storno  di
risorse vincolate al perseguimento della missione istituzionale»,  ha
affermato   quanto   segue:   «il   punto   di   equilibrio   sotteso
all'applicazione dell'art. 6, comma 21 del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 all'Autorita' e' da ravvisarsi nel  sostegno  finanziario
che la stessa riceve dallo  Stato,  il  quale  costituisce  al  tempo
stesso  fondamento  e  limite  del  suo  dovere  di  contribuire   al
risanamento della finanza pubblica, mediante versamento  allo  Stato,
attraverso le risorse derivanti da  risparmi  della  spesa  corrente.
Cio'  comporta  che  le  somme  ricavate  da  economie  di   gestione
dall'Autorita' possano essere  destinate  al  bilancio  statale  solo
relativamente alla parte  imputabile  ai  contributi  ricevuti  dallo
Stato, ossia nella misura corrispondente  al  valore  percentuale  di
tali   contributi   sul   complesso   delle    entrate    finanziarie
dell'Autorita'.  Oltre  questa  parte,  il  dovere  contributivo   si
trasformerebbe in una vera e propria imposta, tanto da  richiedere  -
in relazione ai principi di cui agli articoli 23 Cost. e 53  Cost.  -
una formulazione meno generica e presupposti  piu'  stringenti  della
semplice esigenza di "fare cassa". Fino a tale  limite,  invece,  per
quanto il prelievo possa tradursi nel versamento di una  parte  delle
entrate che,  in  assenza  di  tali  risparmi,  avrebbero  finanziato
l'organizzazione e l'attivita' dell'Autorita', non puo' ritenersi che
sia sol per questo pregiudicata l'autonomia finanziaria  dell'ente  e
la corrispondenza tra contribuiti  "privati"  e  costi  di  gestione,
poiche' detti costi, per definizione, non ci sono piu' per  la  parte
corrispondente all'obbligo di versamento».  Tuttavia,  ragionando  in
questi termini, il Consiglio di Stato non fa altro  che  ribadire  la
volonta' del legislatore di includere  anche  l'AGCOM  nel  campo  si
applicazione delle misure previste dal decreto-legge n. 78/2010; 
    Considerato che -  ancor  prima  di  esaminare  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti  -  il  Collegio
ritiene di dover innanzi tutto sollevare, d'ufficio la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 2,  del  decreto-legge
n. 78/2010 - secondo il quale «in considerazione della eccezionalita'
della  situazione  economica  internazionale  e  tenuto  conto  delle
esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio  2011
e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti  economici  complessivi  dei
singoli dipendenti, anche di  qualifica  dirigenziale,  previsti  dai
rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel
conto economico  consolidato  della  pubblica  amministrazione,  come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT),  ai  sensi
del comma 3, dell'art. 1, della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196,
superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento  per
la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000  euro,  nonche'
del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro; a seguito della
predetta riduzione il  trattamento  economico  complessivo  non  puo'
essere comunque inferiore a 90.000 euro lordi annui» -  in  relazione
agli articoli 2, 3, 42, 53 e 97 Cost..  Infatti  il  T.A.R  Calabria,
Sez. staccata di Reggio Calabria, chiamato ad  esaminare  il  ricorso
proposto da taluni magistrati amministrativi avverso le  «illegittime
decurtazioni del trattamento retributivo» previste dal  decreto-legge
n. 78/2010, con l'ordinanza n. 89 del 1° febbraio 2012 ha  sollevato,
tra l'altro, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9,
comma  2,  del  predetto  decreto-legge  alla  luce  delle   seguenti
considerazioni  che,  oltre  ad  essere   pienamente   condivisibili,
risultano evidentemente applicabili anche al personale dell'AGCOM: 
        A) la natura tributaria della disposizione posta dall'art. 9,
comma 2, del decreto-legge n. 78/2010.  In  particolare,  secondo  il
T.A.R. Calabria, «nella prestazione imposta con  la  norma  in  esame
devono essere ravvisati i caratteri della doverosita', in mancanza di
un rapporto sinallagmatico tra  parti,  e  del  collegamento  tra  la
prestazione di sostegno alla  pubblica  spesa,  in  relazione  ad  un
presupposto economicamente  rilevante.  In  sostanza,  sono  previste
l'imposizione di  un  sacrificio  economico  individuale,  realizzata
attraverso  un  atto   autoritativo   di   carattere   ablatorio   e,
contestualmente, la  destinazione  del  gettito  scaturente  da  tale
ablazione al  fine  di  integrare  la  finanza  pubblica,  ossia  per
reperire risorse necessarie a  coprire  spese  pubbliche  (come  reso
palese dalla stessa dizione della  norma  riportata,  che  invoca  la
situazione di grave crisi economica internazionale e gli obiettivi di
finanza  pubblica   concordati   in   sede   europea;   quanto   alla
giurisprudenza della Corte, si richiamano ex plurimis,  Corte  cost.,
sentt. nn. 141/2009, 335/2008, 64/2008, 334/2006, 73/2005; la  difesa
dei ricorrenti fa riferimento altresi' alla  giurisprudenza  volta  a
definire la nozione costituzionale di "leggi tributarie", ai fini del
giudizio di ammissibilita'  del  referendum  ex  art.  75  Cost).  In
effetti, l'obiettivo di finanza pubblica evocato dal d.l. n.  78/2010
va oltre la mera riduzione dei costi o  della  spesa  corrente  degli
Stati, attenendo, piu' propriamente, alla riduzione del rapporto  tra
debito pubblico e PIL (come chiarisce lo stesso comma 2 dell'art.  9,
laddove fa riferimento alle "esigenze prioritarie  di  raggiungimento
degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea")»; 
        B) la conseguente violazione dei principi  sanciti  dall'art.
53 Cost.. Infatti la disposizione dell'art.  9,  comma  2,  «colpisce
solo una specifica categoria di  contribuenti,  sulla  base  di  loro
peculiari  qualita'  soggettive  e  non  sulla  base  di  determinate
qualita' di reddito, e, nello stesso tempo,  impone  una  prestazione
patrimoniale  indipendente  dall'effettiva   capacita'   contributiva
soggettiva globalmente considerata  (ossia  individua  uno  specifico
cespite da assoggettare  a  tassazione,  senza  relazioni  con  altre
entrate   del   soggetto   inciso),    introducendo    un'imposizione
sostanzialmente regressiva e discriminatoria.  Il  primo  profilo  di
incostituzionalita' si ravvisa nel fatto che il prelievo e'  disposto
esclusivamente   in   danno   di   una   ben    definita    categoria
socio-economica, i lavoratori dipendenti del settore pubblico, ...  ,
laddove,   utilizzando   il   termine   "Tutti",   la    disposizione
costituzionale e'  chiara  nell'individuare  in  modo  inequivoco  ed
onnicomprensivo  la  platea  dei  contribuenti  da  assoggettare   al
prelievo fiscale. Con l'ord.  n.  341/2000  la  Consulta,  dopo  aver
premesso che "l'art. 53 della Costituzione deve  essere  interpretato
in modo unitario e coordinato, e non  per  preposizioni  staccate  ed
autonome le une dalle altre" ha affermato che "la universalita' della
imposizione, desumibile dalla espressione testuale 'tutti' (cittadini
o non cittadini, in qualche modo con rapporti di collegamento con  la
Repubblica  italiana),  deve  essere  intesa  nel  senso  di  obbligo
generale, improntato al principio di eguaglianza (senza alcuna  delle
discriminazioni vietate: art. 3, primo comma, della Costituzione), di
concorrere alle 'spese pubbliche  in  ragione  della  loro  capacita'
contributiva' (con riferimento al singolo  tributo  ed  al  complesso
della  imposizione  fiscale),  come  dovere  inserito  nei   rapporti
politici   in   relazione   all'appartenenza   del   soggetto    alla
collettivita'  organizzata".   Manca,   dunque,   nella   fattispecie
normativa  in  esame  l'indefettibile  "raccordo  con  la   capacita'
contributiva,  in  un  quadro  di  sistema  informato  a  criteri  di
progressivita', come svolgimento  ulteriore,  nello  specifico  campo
tributario, del principio di eguaglianza,  collegato  al  compito  di
rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti  di  fatto  alla
liberta' ed eguaglianza dei cittadini-persone umane,  in  spirito  di
solidarieta' politica,  economica  e  sociale  (artt.  2  e  3  della
Costituzione)",  che  la  Corte  ha  ritenuto  essere   la   corretta
condizione per un'imposizione contributiva equa. Tale impostazione fa
apparire decisamente anomala e  non  conforme  alla  Costituzione  la
scelta   del   Legislatore   del   2010   che,   in    un    contesto
economico-finanziario esplicitamente qualificato come  "eccezionale",
avrebbe  potuto  operare   soltanto   interventi   straordinari   e/o
temporanei di prelievo forzoso, ed invece ha posto in  essere  misure
continuative e sostanzialmente stabili - e percio' dal palese  sapore
tributario - in quanto oltretutto prolungate nel triennio 2011 - 2013
(oltre  che  legate  al  superamento  di  scaglioni   predeterminati,
esattamente come le imposte);  ma  soprattutto  ha  indirizzato  tale
prelievo nei confronti di una ben limitata "classe di  persone",  ben
guardandosi dall'operare nei confronti di "tutti" i  contribuenti  in
possesso di determinate fasce di  reddito,  nessuno  escluso  (liberi
professionisti,   lavoratori   dipendenti   del   settore    privato,
imprenditori     e     quant'altro),     esentati     immotivatamente
dall'imposizione  straordinaria,  nonostante  l'eccezionalita'  della
situazione  economica  del  Paese,  come   viceversa   una   corretta
applicazione  dei  principi  di  cui  all'art.   53   Cost.   avrebbe
richiesto»; 
        C)  in  via  subordinata,  per  il  caso  in  cui  non  fosse
riconosciuta la natura tributaria  alla  disposizione  in  esame,  la
violazione dei principi sanciti dagli articoli 2 e 3  Cost.  e  dagli
articoli 42 e 97 Cost.. Infatti la disposizione dell'art. 9, comma 2,
«va a rideterminare, in senso ablativo, un trattamento economico gia'
acquisito alla sfera del pubblico dipendente sub  specie  di  diritto
soggettivo. Essa, pertanto, va ad incidere sullo status economico dei
lavoratori ... alterando quel sinallagma che  e'  il  "proprium"  dei
rapporti di durata ed in particolare proprio dei rapporti di  lavoro;
basti considerare che sulla stabilita' anche economica si fondano  le
aspettative, le progettualita' e gli investimenti - di lungo periodo,
se non addirittura a  vita  -  del  dipendente.  Sebbene  nel  nostro
sistema costituzionale non sia affatto interdetto al  Legislatore  di
emanare disposizioni atte a modificare in  senso  sfavorevole  per  i
beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se  l'oggetto
di  questi  sia  costituito  da  diritti  soggettivi   perfetti,   le
disposizioni  in  esame  sembrano  non   rispettare   la   condizione
essenziale, ossia che la  riforma  "in  pejus"  non  trasmodi  in  un
regolamento  irrazionale,  frustrando,  con  riguardo  a   situazioni
sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,   l'affidamento   del
cittadino nella sicurezza giuridica,  da  intendersi  quale  elemento
fondamentale dello Stato di diritto (ex multis, Corte cost., sent. n.
446/2002; ord. n. 327/2001; sentt. nn. 393/2000,  264/2005,  416/1999
n. 282/2005)". Ne consegue, secondo il T.A.R. Calabria, innanzi tutto
la violazione dell'art. 2 Cost., perche' "la novazione  oggettiva  ed
unilaterale del rapporto di lavoro, realizzata dal d.l.  n.  78/2010,
oltre a tradursi nel grave scardinamento di un principio di rilevanza
costituzionale, e quindi indeclinabile, della materia lavoristica (la
proporzionalita' tra prestazione e retribuzione ex art. 36 Cost.), va
in  fondo  a   sacrificare   la   stessa   dignita'   sociale   della
persona-lavoratore   pubblico,   che   si   trova   soggetto,   senza
possibilita' di difesa, ad aggressioni  patrimoniali  sostanzialmente
arbitrarie non solo nelle  modalita'  del  prelievo,  nei  tempi  del
medesimo e nelle soglie stipendiali cui attingere,  ma  nello  stesso
presupposto (il presentarsi di pretese esigenze finanziarie); e  cio'
perche' a determinarlo e' lo stesso soggetto  (Stato)  che  opera  il
prelievo, avvalendosi della forza congiunta e soverchiante  derivante
dall'essere ad un tempo datore di lavoro e Legislatore, e  senza  che
il destinatario del sacrificio possa essere considerato  direttamente
o indirettamente responsabile della crisi finanziaria e di cassa  cui
e' chiamato a  far  fronte,  derivando  quest'ultima  da  fattori  di
squilibrio  che  sono  ascrivibili  a   responsabilita'   (quantomeno
politica) dello stesso organo che dispone il prelievo». Ne  consegue,
altresi', la violazione degli articoli 42  e  97  Cost.  perche'  «si
dispone nei confronti dei pubblici  dipendenti  una  vera  e  propria
ablazione di redditi  formanti  oggetto  di  diritti  quesiti,  senza
alcuna indennita', con conseguente  violazione  dell'art.  42  Cost.,
secondo cui "La proprieta' privata puo' essere,  nei  casi  preveduti
dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per  motivi  d'interesse
generale".  Non  appare   dubitabile   che   l'espropriazione   possa
astrattamente  colpire  (starne  l'uso  dell'onnicomprensivo  termine
«proprieta' privata» da parte  del  Costituente)  anche  beni  mobili
fungibili, quale il denaro (nella specie, gli stipendi pubblici nella
misura gia' acquisita allo status economico  del  dipendente  ...  );
secondo tale prospettazione, la fattispecie considerata consentirebbe
di qualificare la norma di cui all'art. 9 comma  2  alla  stregua  di
norma-provvedimento  (in  coerenza  con  la   natura   procedimentale
dell'espropriazione),  e  dunque  ne  conseguirebbe   la   violazione
dell'art. 97 Cost., perche' del provvedimento la norma ha mutuato  la
natura, ma ha eliso il procedimento, nel cui ambito vanno convogliate
quelle imprescindibili  esigenze  di  equilibrio  dell'esercizio  del
potere tipicamente volte  ad  assicurare  il  minimo  sacrificio,  il
giusto  equilibrio  con  l'indennita',  nonche'  tutte  quelle  altre
numerose facolta' di partecipazione degli interessati, che consentono
a questi ultimi di verificare la legittimita' e l'opportunita'  delle
scelte cui sono chiamati a contribuire con il  loro  sacrificio,  sia
nell'an, che nel quantum delle misure richieste»; 
        D) in via ulteriormente subordinata, a prescindere dal  fatto
che sia riconosciuta o meno la natura tributaria  della  disposizione
posta dall'art. 9, comma 2, la violazione dei principi sanciti  dagli
articoli  2  e  3  Cost.  sotto  altro  profilo.  Infatti  «la  Carta
Fondamentale, all'art. 3 comma 2,  prevede  quale  precipuo  "compito
della Repubblica" (per tale  intendendosi  lo  Stato-apparato,  ossia
l'insieme dei pubblici poteri, ivi compreso il Legislatore) quello di
promuovere  e  garantire  "l'effettiva  partecipazione  di  tutti   i
lavoratori  all'organizzazione  politica,  economica  e  sociale  del
Paese". Poiche'  tale  partecipazione  "economica"  non  puo'  essere
ovviamente considerata solo dal  lato  "attivo"  ma  anche  dal  lato
"passivo", ovvero inglobando una serie di oneri ed  obblighi  che  ad
essa naturalmente pertengono  (tra  i  quali  la  contribuzione  alle
esigenze  finanziarie  dell'Erario,  a  loro   volta   correlate   al
soddisfacimento dei bisogni della comunita'), il fine della norma  e'
quello di incaricare lo Stato (e percio' tutti i pubblici poteri)  di
rimuovere  gli  squilibri   socio-economici   esistenti,   ossia   le
diversificazioni  economiche  tra  categorie   sociali   diverse,   o
lavoratori appartenenti ai diversi settori della societa' civile.  In
questo senso, l'aver attribuito la parte  predominante  dello  sforzo
"contributivo" tramite una minore retribuzione ai dipendenti pubblici
... introduce forti discriminazioni nell'eguaglianza sostanziale  dei
soggetti dell'Ordinamento per le seguenti ragioni».  In  particolare,
secondo  il  T.A.R.  Calabria,  «viene  sottoposta  a  prelievo   una
categoria di sicura  "tassabilita'"  per  via  della  garanzia  della
ritenuta  alla  fonte;  al  di  la'  di  ogni  altra  giustificazione
ravvisabile nella ratio dell'istituto, il ricorso al prelievo fiscale
e'  indotto  dall'incapacita'  (tecnica  o  politica)  di  perseguire
l'evasione fiscale, con conseguente vantaggio di fatto per i  redditi
non  derivanti  da  lavoro  dipendente  nel  settore  pubblico.  Come
evidenziato   dai    ricorrenti,    lungi    dall'impegnarsi    nella
predisposizione di strumenti fiscali efficaci  nella  prevenzione  di
tale  fenomeno,   il   Legislatore   statale   inconcepibilmente   ed
intollerabilmente ha aumentato gli squilibri, trascurando  del  tutto
di colpire le  ricchezze  evase  al  fisco  e  persino  gli  introiti
derivanti da rendite ben conosciute (si pensi alle rendite  catastali
e  finanziarie),  per  concentrarsi  su  una  fascia   specifica   di
lavoratori, colpevoli unicamente di possedere la qualita' di pubblici
impiegati ... e di avere redditi  facilmente  accertabili  ed  ancora
piu' facilmente attaccatibi». Del resto  «la  soluzione  in  concreto
adottata nel d.l. n. 78/2010 e'  stata  probabilmente  preferita:  in
quanto piu' "difendibile" da un punto di vista politico -  ossia  sul
piano dell'accettabilita' da parte dell'opinione  pubblica  generale,
nel momento storico in cui e' stata posta in essere;  perche'  assume
come propria  la  semplicistica  e  generalizzante  opinione  comune,
secondo  cui  i  redditi  incisi,  per  il  fatto  stesso  di  essere
"elevati", costituiscono per lo piu' "prebende di Stato"; perche'  il
"tributo",  o  comunque  il  prelievo,  poteva   comodamente   essere
qualificato  come  "riduzione  di   spesa";   e   cio'   naturalmente
approfittando della coincidenza tra il soggetto che lo impone  ed  il
datore di lavoro che si vede ridotto per legge il costo  del  lavoro.
Sennonche', tali ipotesi ricostruttive non consentono di sostenere la
costituzionalita'  della  legge,  fermo  restando  che   le   pretese
"motivazioni" della manovra concepita a danno dei pubblici dipendenti
non reggono ad un piu'  approfondito  esame.  Infatti,  la  capacita'
contributiva dei lavoratori dipendenti ... e' gia' messa a dura prova
da un sistema fiscale alimentato  in  grande  misura  dal  meccanismo
della  ritenuta  alla  fonte.  Pertanto,  prima  di  assoggettare  ad
ulteriore prelievo gli stipendi dei dipendenti  pubblici  destinatari
di un'elevata retribuzione, si  sarebbe  dovuto  verificare  se  tali
dipendenti fossero - come effettivamente sono -  gia'  sottoposti  ad
una schiacciante imposizione fiscale, e conseguentemente  concentrare
la "riduzione della spesa" in altri settori, ad esempio  frenando  il
ricorso sempre piu' frequente alle consulenze esterne in favore della
Pubblica  Amministrazione,  oppure  -   argomento   quest'ultimo   di
particolare rilievo - incidendo nel settore di tutte  le  c.d.  spese
(lato sensu) "clientelari", di  particolare  diffusione  nel  settore
delle  Autonomie  regionali  e  locali  (di  difficoltosa  riduzione,
perche' a torto ritenute essenziali alla politica ed alla  formazione
del consenso, cosi' come: inteso negli ultimi anni, come ad esempio i
contributi a pioggia alle imprese, le spese per iniziative culturali,
aggregative, le spese per societa' ed  enti-satellite  della  PA,  la
formazione e cosi' via)»; 
    Considerato  che  il  Collegio  ritiene   di   dover   sollevare,
d'ufficio,  anche  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 12, comma 7, del decreto-legge  n.  78/2010  -  secondo  il
quale "a titolo di concorso  al  consolidamento  dei  conti  pubblici
attraverso il contenimento della dinamica della  spesa  corrente  nel
rispetto   degli   obiettivi    di    finanza    pubblica    previsti
dall'Aggiornamento del programma di stabilita' e crescita, dalla data
di entrata in vigore del presente provvedimento, con  riferimento  ai
dipendenti   delle   amministrazioni   pubbliche   come   individuate
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi  del  comma  3
dell'articolo  1  della  legge  31   dicembre   2009,   n.   196   il
riconoscimento dell'indennita' di buonuscita, dell'indennita'  premio
di servizio, del  trattamento  di  fine  rapporto  e  di  ogni  altra
indennita' equipollente corrisposta una  tantum  comunque  denominata
spettante a seguito di cessazione  a  vario  titolo  dall'impiego  e'
effettuato: a) in un unico importo annuale se l'ammontare complessivo
della prestazione, al lordo delle  relative  trattenute  fiscali,  e'
complessivamente pari o inferiore a 90.000 euro; b)  in  due  importi
annuali se l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo  delle
relative trattenute fiscali, e' complessivamente superiore  a  90.000
euro ma inferiore a 150.000  euro.  In  tal  caso  il  primo  importo
annuale e' pari a 90.000 curo e il secondo importo  annuale  e'  pari
all'ammontare residuo; c)  in  tre  importi  annuali  se  l'ammontare
complessivo della prestazione, al  lordo  delle  relative  trattenute
fiscali, e' complessivamente uguale 6 superiore a  150.000  euro,  in
tal caso il primo importo annuale e' pari a 90.000 curo,  il  secondo
importo annuale e' pari a 60.000 euro e il terzo importo  annuale  e'
pari all'ammontare residuo" - in relazione agli articoli 2, 3, 42, 53
e 97 Cost.. Infatti  il  T.A.R  Calabria,  Sez.  staccata  di  Reggio
Calabria, con la suddetta ordinanza n. 89 del  1°  febbraio  2012  ha
sollevato anche la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
12, comma 7, del predetto  decreto-legge  alla  luce  delle  seguenti
considerazioni    (anch'esse    integralmente    condivisibili     ed
evidentemente applicabili anche al personale dell'AGCOM): 
        A) la disposizione in esame comporta «lo scaglionamento -  in
favore  del  solo  datore  di  lavoro  pubblico   -   dell'onere   di
corresponsione  delle  indennita',  comunque  denominate,   di   fine
rapporto;   il   differimento   opera   diversamente,    a    seconda
dell'ammontare  complessivo  delle  prestazioni.  Cio'  comporta  una
diminuzione  patrimoniale  certa  (e  quindi  un  altrettanto   certo
pregiudizio), che  si  identifica  nella  mancata  corresponsione  di
interessi per la dilazione del pagamento; ma determina anche una piu'
profonda compromissione del rapporto  sinallagmatico  tra  datore  di
lavoro e dipendente pubblico, giacche' le somme di cui trattasi hanno
pacificamente natura retributiva, sia pure differita.  L'operativita'
della rateizzazione e', d'altra parte,  ineludibile,  trattandosi  di
misura di carattere strutturale, non limitata - nella sua  vigenza  -
ad un periodo di tempo predefinito»; 
        B) valgono anche per la disposizione  in  esame  le  medesime
censure  relative  all'art.  9  comma  2  del  d.l.  n.  78/2010,  da
intendersi qui richiamate e reiterate per quanto di ragione. Infatti,
come evidenziato dal T.A.R  Calabria,  «il  mero  differimento  della
retribuzione non risponde ad alcuna logica di riduzione di spesa, ne'
puo' essere apprezzato in sede comunitaria, atteso che non si  tratta
di una misura strutturale ma  di  un  mero  rinvio  della  spesa,  di
talche' la razionalita' del "prelievo" mascherato cede  innanzi  alle
esigenze di trasparenza dello Stato con il cittadino,  oltre  che  di
lealta' dello Stato-datore di lavoro con il dipendente che  esige  la
giusta remunerazione di una vita di lavoro; analogo rilievo vale  per
la nuova e diversa incisione del  computo  dei  trattamenti  di  fine
servizio».  Inoltre,  viene  leso  -  senza  che   lo   richieda   il
soddisfacimento di altri e piu'  pregnanti  principi  costituzionali,
nell'ottica  di  un  ragionevole  bilanciamento  -  il  principio  di
affidamento del pubblico dipendente nell'ordinario sviluppo economico
della carriera, comprensivo del trattamento collegato alla cessazione
del rapporto di  impiego.  «E',  del  resto,  fatto  notorio  che  il
pubblico dipendente, in molti casi, si propone -  proprio  attraverso
l'integrale ed immediata percezione del trattamento di fine  rapporto
- di recuperare una somma gia' spesa o in via di  erogazione  per  le
principali necessita' di vita (pensiamo  all'acquisto  di  una  casa,
alle spese per il matrimonio di un figlio, alla  necessita'  di  cure
mediche, ecc.), ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo
ad  impegni  finanziari  gia'  assunti,  magari  da  tempo  (pensiamo
all'estinzione di  un  mutuo)».  A  cio'  si  aggiunge  che  «vengono
discriminati "in peius" i pubblici dipendenti rispetto  a  tutti  gli
altri cittadini e/o lavoratori, con  palese  violazione  dell'art.  3
Cost., posto che nei riguardi dei  lavoratori  privati  il  (privato)
datore  di  lavoro  non,  e'   legittimato   ad   effettuare   alcuna
rateizzazione del TFR». Palese e' anche «la violazione  dell'art.  36
Cost., tenuto conto che  il  trattamento  di  fine  rapporto,  e  gli
istituti  equivalenti,  altro  non  sono  se  non  una   retribuzione
differita,  i  cui  importi  devono  pertanto  essere  restituiti  al
lavoratore al momento  della  cessazione  del  rapporto.  Non  appare
dunque appropriato che  il  datore  di  lavoro,  approfittando  della
coincidenza tra questo suo ruolo e quello di  Legislatore,  dilazioni
dei pagamenti che sono dovuti nella  loro  interezza,  a  fronte  del
prelievo frattanto operato,  e  contestualmente  rivoluzioni,  da  un
giorno  all'altro,  le   regole   in   ordine   alle   modalita'   di
quantificazione dell'indennita' di buonuscita, ledendo  il  principio
di  buona  fede  nell'esecuzione  del   contratto».   Infine   «viene
completamente svuotata la capacita' autorganizzativa delle P.A.,  che
dovrebbero normalmente potersi esprimere anche  in  riferimento  allo
stato economico del personale, secondo i generali  principi  espressi
dall'art. 97 Cost.»; 
    Considerato che, fermo restando quanto precede, rilevante  e  non
manifestamente infondata appare anche la  questione  di  legittimita'
costituzionale  sollevata  con  il   secondo   motivo   del   ricorso
introduttivo, ove viene denunciata l'incostituzionalita' dell'art. 9,
commi 1, 2 e 21, e dell'art. 12, commi 7 e 10, del  decreto-legge  n.
78/2010, per violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma  1,  Cost.,
sul  presupposto  della  ritenuta  inapplicabilita'  all'AGCOM  dello
speciale regime previsto per la Banca d'Italia dall'art. 3, comma  3,
del decreto-legge n. 78/2010. Infatti: 
        A) in punto di rilevanza della questione, il Collegio osserva
che la tesi secondo la quale l'art. 3, comma 3, del decreto-legge  n.
78/2010  sarebbe  implicitamente  applicabile   anche   all'AGCOM   -
sostenuta dai ricorrenti nel terzo motivo sulla scorta del  combinato
disposto dell'art. 2, comma 28,  della  legge  n.  481/1995  (ove  si
afferma l'autonomia organizzativa dell'AGCOM in tema  di  ordinamento
delle carriere e di trattamento  giuridico-economico  del  personale,
attraverso un espresso  rinvio  "ai  criteri  fissati  dal  contratto
collettivo  di  lavoro  in  vigore  per  l'Autorita'  garante   della
concorrenza e del mercato") con l'art. 11, comma 2,  della  legge  10
ottobre 1990, n. 287, (che, a  sua  volta,  collega  «il  trattamento
giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle  carriere»
dell'Autorita' garante della concorrenza e del  mercato  «ai  criteri
fissati dal contratto collettivo di lavoro in  vigore  per  la  Banca
d'Italia,  tenuto  conto  delle  specifiche  esigenze  funzionali  ed
organizzative dell'Autorita'» - sembrerebbe trovare conferma  in  una
recente pronuncia della I Sezione di questo  Tribunale  (sentenza  18
aprile 2012, n. 3502), con la quale e' stato parzialmente accolto  il
ricorso proposto da alcuni dipendenti  dell'Autorita'  garante  della
concorrenza  e  del  mercato  avverso  la  delibera  della   medesima
Autorita' in data 19 gennaio 2011, con la quale e' stata disciplinata
l'applicazione delle norme di contenimento della spesa in materia  di
pubblico impiego di cui al decreto-legge 78/2010  al  predetto  ente.
Infatti la I Sezione ha annullato la predetta  delibera  in  data  19
gennaio 2011 rimettendo all'Autorita' garante della concorrenza e del
mercato l'adozione «delle misure volte a perseguire  l'obiettivo  del
raggiungimento delle economie  di  spesa  da  realizzarsi  secondo  i
principi del Titolo I del  d.l.  n.  78/2010,  nel  solco  di  quanto
stabilito dalla Banca d'Italia». Tuttavia la tesi  in  esame,  a  ben
vedere, non puo'  essere  condivisa  perche',  a  fronte  della  gia'
evidenziata inclusione delle  Autorita'  indipendenti  (ivi  compresa
1'AGCOM) nell'elenco ISTAT, la disposizione dell'art. 3, comma 3, del
decreto-legge n. 78/2010 si presenta come una  norma  eccezionale  e,
come tale, non suscettibile di essere applicata in ambiti diversi  da
quelli espressamente indicati dal legislatore (ossia alla sola  Banca
d'Italia); 
        B) in punto di non manifesta infondatezza della questione, in
aggiunta alle considerazioni svolte dai ricorrenti nel  primo  motivo
sulla  autonomia  ed   indipendenza   organizzativa   e   finanziaria
(considerazioni che devono intendersi qui integralmente  richiamate),
il Collegio ritiene sufficiente evidenziare che, a fronte  di  quanto
affermato dalla Corte di cassazione (Sez.  un.,  ord.  n.  13446/2005
cit.) in merito alla  «accentuata  autonomia  -  rispetto  al  potere
esecutivo - su cui tutte le Autorita' indipendenti  fondano  la  loro
presenza nell'ordinamento, autonomia che non puo' non riflettersi sul
momento conformativo  del  rapporto  di  lavoro  del  personale»,  la
mancata applicazione all'AGCOM del regime speciale previsto dall'art.
3, comma 3, del decreto-legge n. 78/2010 per la Banca d'Italia, oltre
a comportare una ingiustificata disparita' di  trattamento  tra  enti
appartenenti  alla  medesima  categoria   (quella   delle   Autorita'
indipendenti), finisce  per  pregiudicare  gravemente  l'autonomia  e
l'indipendenza organizzativa  e  finanziaria  riconosciuta  all'AGCOM
dall'ordinamento comunitario e da quello nazionale, in contrasto  con
gli articoli 3, 97 e 117, comma 1, Cost.;