IL TRIBUNALE Il Giudice dell'udienza preliminare Elena Rossi, premesso che: all'odierna udienza preliminare si procede a carico di Quaglia Daniele, Bortotto Sergio, Gallina Paolo, Zorzi Dino, Merotto Giuliana e Zambon Danilo, nei confronti dei quali il Pubblico Ministero ha chiesto il rinvio a giudizio in relazione al reato di cui agli artt. 110, 112 n. 1 c.p. e 1 D.L.vo n. 43/1948, in riferimento alla formazione del corpo paramilitare denominato «POLISIA VENETA», dotata di un inquadramento e ordinamento gerarchico interno in tutto analogo a quello militare; questo Giudice in data 21 gennaio 2011 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, per contrarieta' all'art. 76, 18 e 25 Cost. dell'art. 2268 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010 nella parte in cui al n. 297 del comma 1 abroga il decreto legislativo n. 43 del 1948 per mancanza di una valida delega e contrarieta' alla riserva di legge e, in via subordinata, dell'art. 14, comma 14 e 14-ter, della legge n. 246 del 2005; con decreto legislativo n. 213 del 13 dicembre 2010 il Governo ha di nuovo abrogato il decreto legislativo n. 43/48, espungendo la norma dall'elenco delle disposizioni che lo stesso Governo, con il precedente decreto legislativo n. 179 del 2009, attuativo della legge delega n. 246 del 2005, aveva espressamente deliberato di mantenere in vigore; in conseguenza di questa sopravvenuta nuova e autonoma abrogazione del decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43 la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate in quanto questo Giudice ha omesso di valutare gli effetti del decreto legislativo n. 213/10; in data 27 marzo 2012 e' entrato in vigore il decreto legislativo 24 febbraio 2012 n. 20 che all'art. 9 modifica il libro nono del decreto legislativo n. 66/10 disponendo alla lettera q) che «all'articolo 2268, comma 1, il numero 297) e' soppresso e, per l'effetto, il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, riprende vigore ed e' sottratto agli effetti di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 213»; Osserva Detto articolo 9 ha espressamente abrogato le precedenti disposizioni abrogatrici con la conseguenza che rivive la disposizione originariamente abrogata, nel caso di specie il decreto legislativo n. 43/48, e l'effetto abrogativo si limita a interrompere il flusso normativo pro futuro della disposizione abrogata, circoscrivendone l'efficacia: rimossa la causa ostruttiva, si determina il ripristino della precedente disposizione normativa. Il legislatore delegato ha, quindi, ripristinato la fattispecie abrogata ma cio' non e' sufficiente a rendere irrilevante la questione di legittimita' costituzionale delle norme abrogatrici in quanto l'assetto punitivo, estenderebbe retroattivamente i suoi effetti favorevoli di abolitio criminis in forza della regola della lex intermedia favorevole di cui all'art. 2, comma 4, c.p. Diverso e' il caso in cui l'effetto caducatorio discenda da una sentenza della Corte costituzionale: in tal caso la reviviscenza della norma abrogata e' ammessa sia dalla dottrina maggioritaria, sia dalla Corte costituzionale (sent. 107/1974, 108/1986, 408/1998) in quanto l'illegittimita' costituzionale della disposizione abrogante determina l'annullamento dell'effetto abrogativo. Solo la dichiarazione di incostituzionalita', pertanto, limiterebbe l'efficacia depenalizzante della norma abrogatrice ai «fatti concomitanti», la cui irrilevanza penale sarebbe comunque salvaguardata dal principio di irretroattivita' sfavorevole, mentre per i «fatti pregressi», come quelli oggetto del presente giudizio, si riespanderebbe l'efficacia punitiva della norma penale illegittimamente abrogata vigente al tempus commissi delicti. Avendo il legislatore reintrodotto la norma incriminatrice abrogata, e' necessario sollevare la questione di costituzionalita' delle norme abrogatrici, precisamente del decreto legislativo n. 213 del 2010, art. 1 nella parte in cui modifica il decreto legislativo n. 179 del 2009 espungendo dalle norme mantenute in vigore il decreto legislativo n. 43 del 1948, e dell'art. 2268, I comma n. 297, decreto legislativo n. 66 del 2010, in quanto norme illegittime, rilevandosi che la Corte ha gia' ammesso la possibilita' di sindacare norme di favore intermedie abrogate (sentenza n. 28/10). La rilevanza della questione non puo' essere pregiudicata dal fatto che gli effetti retroattivi in malam partem, derivanti dalla caducazione ex tunc della norma abrogatrice che fosse dichiarata costituzionalmente illegittima, potrebbero porsi in contrasto con principio di retroattivita' della lex mitior in quanto la portata costituzionale del principio di retroattivita' favorevole e' strettamente legata all'esistenza di una lex mitior legittima, cioe' validamente emanata nel rispetto di tutti vincoli costituzionali (Corte costituzionale, sentenza n. 394/06). Questione di costituzionalita' dell'art. 2268, I comma n. 297, del decreto legislativo n. 66 del 2010. Il decreto legislativo n. 66 del 2010, Codice dell'ordinamento militare, e' entrato in vigore il 9 ottobre 2010 e trova la sua legittimazione nella legge delega del 28 novembre 2005, n. 246, cosi' come modificata dalla legge 18 giugno 2009 n. 69. La legge delega per la «semplificazione e il riassetto normativo» n. 246/05 all'art. 14, comma 14, delega il Governo a individuare le disposizioni antecedenti al primo gennaio 1970 la cui permanenza in vigore e' ritenuta indispensabile e al comma 14-quater ad adottare decreti legislativi recanti l'abrogazione espressa di disposizioni, anche posteriori al primo gennaio 1970, che siano state oggetto di abrogazione tacita o implicita, oppure che abbiano esaurito la loro funzione, siano prive di effettivo contenuto normativo o siano comunque obsolete. Stabilisce, inoltre, al comma 14-ter, che decorso un anno dalla scadenza del termine di cui al comma 14, ovvero del maggior termine previsto dall'ultimo periodo del comma 22, tutte le disposizioni legislative statali non comprese nei decreti legislativi di cui al comma 14, anche se modificate con provvedimenti successivi, sono abrogate. In attuazione di tale legge, il primo dicembre 2009 e' stato emanato il decreto legislativo n. 179, con il quale si e' provveduto a individuare una serie di leggi anteriori al 1970 che devono rimanere in vigore in quanto indispensabili. Tra queste e' stato espressamente indicato il decreto legislativo n. 43/1948. Il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, che vieta le associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici, e' invece stato abrogato dall'art. 2268, comma 297, del decreto legislativo n. 66/10. Tale abrogazione non era possibile in quanto il d.lgs. n. 43/1948 era stato espressamente fatto salvo dal d.lgs. n. 179/2009 del primo dicembre 2009. Il decreto legislativo n. 43/1948 dava attuazione al principio di cui all'art. 18, II comma Cost., che dice espressamente che «sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare». Il divieto di costituire associazioni paramilitari con fini, anche indirettamente, politici nasce dall'esigenza che il regolare svolgimento delle libere istituzioni non venga compromesso da metodi violenti o dall'inquadramento in gerarchie militari. Non possono ammettersi associazioni con struttura militare che realizzino un modello organizzativo gerarchico simile a quello statale, in grado di infondere un analogo sentimento di timore, derivante dal potenziale uso della forza, ma con finalita' politiche antidemocratiche perseguite con la lotta violenta. Il D.L.vo n. 66/2010 abroga espressamente il decreto che sanzionava penalmente coloro i quali promuovono, organizzano, dirigono o aderiscono ad associazioni paramilitari, ma non lo sostituisce con altre disposizioni facendo cosi' mancare sul punto una disciplina costituzionalmente necessaria a salvaguardia di valori e liberta' costituzionali. E' noto il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale che vieta alla Corte di pronunciare sentenze che estendano l'ambito di applicazione di una norma incriminatrice o comunque accrescano l'area del penalmente rilevante in quanto la Corte costituzionale con le sue decisioni non puo' introdurre nuovi reati, ne' ampliare figure di reato gia' esistenti, perche' andrebbe, cosi', a invadere il campo riservato dall'art. 25, comma 2, Cost. al legislatore. Violazione della riserva di legge si avrebbe anche nel caso di sindacato di legittimita' di una norma che abbia abrogato una incriminazione o l'abbia trasformata in illecito amministrativo, facendo rivivere la figura di reato abolita o depenalizzata dal legislatore. La Corte costituzionale ha, infatti, precisato che la violazione della riserva di legge penale preclude anche quelle censure per violazione dell'art. 76 Cost., fondate sia sull'insufficiente specificazione dei principi e criteri direttivi della legge delega, sia sull'arbitraria o scorretta attuazione della delega da parte dell'esecutivo (C. Cost. n. 161/04). Si osserva, pero', che se e' vero che il sindacato della Corte puo' essere limitato dal principio della riserva di legge nell'ipotesi di un cattivo esercizio in concreto da parte del Governo della funzione legislativa conferitagli ex art. 76 Cost. dalle Camere, e' anche vero che il controllo di legittimita' costituzionale delle norme primarie non puo' essere negato quando vi sia una scelta del legislatore delegato che esuli completamente dalla delega ricevuta. E allora il principio della riserva di legge in materia penale non impedisce il vaglio di costituzionalita' in presenza di un eccesso di delega in quanto la violazione della riserva di legge e' gia' stato posto in essere dall'esecutivo, che ha violato il monopolio parlamentare nelle scelte penali. Nel caso in cui si abbia un'abrogazione in assenza di delega, il principio di legalita' costituzionale, secondo cui la legge ordinaria non puo' esprimere norme contrarie alle norme di rango costituzionale, con conseguente annullamento da parte della Corte costituzionale, non viene limitato dal principio della riserva di legge in materia penale. La Corte non effettuerebbe autonome scelte punitive ma si limiterebbe a garantire l'osservanza del precetto costituzionale che altrimenti rimarrebbe privo di supporto sanzionatorio. Nel caso di specie sussiste una violazione dell'art. 76 della Costituzione in quanto l'abrogazione del decreto legislativo n. 43/48 e' avvenuta in mancanza di una espressa delega legislativa in tal senso al Governo in quanto la legge delegante non conteneva l'indicazione dell'abrogazione. La delega attribuiva al Governo un compito ricognitivo delle norme esistenti e non gli conferiva il potere innovativo di decidere quali legge eliminare dall'ordinamento. Tale convincimento trova conferma nel comma 14-quater dell'art. 14 della legge delega che stabilisce che il Governo e' delegato a emanare decreti legislativi con cui abrogare disposizioni legislative statali ma solo se si tratti di disposizioni gia' oggetto di abrogazione tacita o implicita ovvero le quali abbiano esaurito la loro funzione o siano prive di effettivo contenuto normativo o siano da considerare obsolete. Non poteva, quindi, il Governo apportare innovazioni mai considerate dal Parlamento che si risolvano nell'abolizione di norme di perdurante rilevanza, come il decreto legislativo n. 43/48. Inoltre, con il decreto legislativo n. 179/09, il Governo aveva indicato le disposizioni di legge anteriori al 1970 di cui si doveva ritenere indispensabile la permanenza in vigore, esercitando il potere delegatogli, potere non piu' esistente al momento dell'emanazione del decreto legislativo n. 66/10. La disciplina trattata dal predetto decreto, per la sua evidente autonomia, non poteva giustificare l'eliminazione della fattispecie penale sui sodalizi di carattere militare non avendo questa incriminazione nulla a che fare con «l'organizzazione, le funzioni e l'attivita' della difesa e sicurezza militare e delle Forze Armate». Il Governo legislatore ha violato i limiti della delega andando ad abrogare il delitto che vieta la costituzione di associazioni di carattere militare che non era oggetto di delega: la materia oggetto di delega, l'ordinamento militare, seppur connessa all'incriminazione abrogata non e' sufficiente per affermare la conformita' alla legge delega. Questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1 lett. b) del decreto legislativo 213 del 2010 nella parte in cui modifica il decreto legislativo n. 179 del 2009 espungendo dalle norme mantenute in vigore il decreto legislativo n. 43 del 1948. Con l'art. 14, comma 14, legge n. 246/05, il Governo e' stato delegato «ad adottare, con le modalita' di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, decreti legislativi che individuano le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, delle quali si ritiene indispensabile la permanenza in vigore»; stabilendo, al successivo comma 14-bis, che «decorso un anno dalla scadenza del termine di cui al comma 14, ovvero del maggior termine previsto dall'ultimo periodo del comma 22, tutte le disposizioni legislative statali non comprese nei decreti legislativi di cui al comma 14, anche se modificate con provvedimenti successivi, sono abrogate». Secondo quanto disposto dall'art. 76 Cost. il legislatore delegante ha fissato un termine per l'esercizio della delega e ha dettato i principi e i criteri direttivi che il Governo avrebbe dovuto seguire nell'opera di selezione delle norme da mantenere in vigore. Nel comma 14 il termine ultimo per l'esercizio della delega, e quindi l'individuazione delle norme da mantenere in vigore, era fissato in ventiquattro mesi dalla scadenza del termine di cui al comma 12, comma che prevedeva ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 246/05, legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del primo dicembre 2005, entrata in vigore il 16 dicembre 2005. Il termine, quindi, per esercitare la delega scadeva il 16 dicembre del 2009. Sempre nel comma 14 dell'art. 14 venivano indicati i principi e criteri direttivi ai quali il legislatore delegato si doveva attenere per individuare le norme da mantenere in vigore: a) esclusione delle disposizioni oggetto di abrogazione tacita o implicita; b) esclusione delle disposizioni che abbiano esaurito la loro funzione o siano prive di effettivo contenuto normativo o siano comunque obsolete; c) identificazione delle disposizioni la cui abrogazione comporterebbe lesione dei diritti costituzionali; d) identificazione delle disposizioni indispensabili per la regolamentazione di ciascun settore, anche utilizzando a tal fine le procedure di analisi e verifica dell'impatto della regolazione; e) organizzazione delle disposizioni da mantenere in vigore per settori omogenei o per materie, secondo il contenuto precettivo di ciascuna di esse; f) garanzia della coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa; g) identificazione delle disposizioni la cui abrogazione comporterebbe effetti anche indiretti sulla finanza pubblica; h) identificazione delle disposizioni contenute nei decreti ricognitivi, emanati ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, aventi per oggetto principi fondamentali della legislazione dello Stato nelle materie previste dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. In attuazione di tale delega il Governo ha adottato il decreto legislativo primo dicembre 2009, n. 179 con quale ha elencato le leggi dello Stato anteriori al 1970 per le quali era indispensabile la permanenza in vigore e tra queste, al punto 1001 dell'allegato 1, il decreto legislativo n. 43/48. In data 16 dicembre 2010 e' entrato in vigore il decreto legislativo n. 213 del 13 dicembre 2010 che ha modificato e integrato decreto legislativo primo dicembre 2009 n. 179 disponendo che dall'Allegato 1 di detto decreto vengano espunte varie disposizioni legislative statali e in particolare, al n. 1001 dell'elenco, il decreto legislativo n. 43/48. Tale intervento di modifica del contenuto del decreto legislativo n. 179/09 e' illegittimo per l'assoluta assenza di una delega al Governo ad abrogare leggi o provvedimenti gia' sottratti all'effetto abrogativo del comma 14-ter dell'art. 14 della legge 2005 n. 246: nel momento in cui il Governo ha indicato un provvedimento tra quelli per i quali era «indispensabile la permanenza in vigore» ha impedito che quel testo venisse a essere travolto dall'effetto abrogativo altrimenti conseguente al comma 14-ter della legge 2005 n. 246. Solo il Parlamento, con un successivo provvedimento di legge, avrebbe potuto disporne l'abrogazione, non il Governo il quale, peraltro, poteva esercitare il potere conferitogli per un termine complessivo di quattro anni, decorrenti dalla data di entrata in vigore della stessa legge, ossia dal 16 dicembre 2005, per cui quel termine era spirato gia' nel dicembre del 2009. Ne' e' possibile sostenere che il potere del Governo discenda dal comma 18 dell'art. 14 legge 246/05, citato nel corpo dell'art. 1 del decreto legislativo n. 213/10, il quale prevede che: «Entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 14, possono essere emanate, con uno o piu' decreti legislativi, disposizioni integrative, di riassetto o correttive, esclusivamente nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al comma 15 e previo parere della Commissione di cui al comma 19». Detta norma si limita a consentire interventi integrativi, di riassetto o correttivi rispetto alle norme mantenute in vigore e alle norme adottate per ragioni di semplificazione e di riassetto delle stesse leggi e non attribuisce al legislatore delegato di intervenire nuovamente sull'individuazione delle norme la cui permanenza in vigore sia indispensabile. Il comma 15 dell'art. 14 della legge 246/05, citato nel comma 18, stabilisce che «i decreti legislativi di cui al comma 14 provvedono altresi' alla semplificazione o al riassetto della materia che ne e' oggetto, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n, 59, e successive modificazioni, anche al fine di armonizzare le disposizioni mantenute in vigore con quelle pubblicate successivamente alla data del 1° gennaio 1970». Gli interventi consentiti dal comma 18 sono solo di adeguamento e armonizzazione della disciplina mantenuta in vigore atteso che in detta disposizione il legislatore delegante impone al Governo di adottare questi nuovi interventi di adeguamento e armonizzazione nel rispetto «esclusivamente» dei criteri dettati dal comma 15, criteri dettati esclusivamente per guidare il Governo nelle operazioni di semplificazione e armonizzazione della normativa mantenuta in vigore, e non gia' dei criteri di cui al comma 14, che sono, invece, quelli dettati per guidare Governo nella scelta delle leggi da mantenere in vigore. Si osserva, inoltre, che al comma 14 dell'art. 14 e' fissato un termine per l'individuazione delle norme da mantenere in vigore, termine che non avrebbe alcun senso se si ammettesse che nel piu' ampio termine di cui al comma 18 il Governo avesse ancora la medesima facolta'. Si ritiene, quindi, che il legislatore delegante abbia assegnato al Governo il termine di quarantotto mesi per individuare le norme ante 1970 da mantenere in vigore, termine scaduto al momento dell'emanazione e dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 213/10, e il termine di ulteriori ventiquattro mesi per gli interventi di semplificazione e armonizzazione della normativa mantenuta in vigore e di quella successiva al 1970. Eventuale subordinata illegittimita' costituzionale dei commi 14, 14-ter e 18 dell'art. 14 legge delega 28 novembre 2005, n. 246. Nel caso in cui il riferimento contenuto nel decreto legislativo n. 213 del 2010 al comma 18 dell'art. 14 legge 246/05 dovesse intendersi come decreto correttivo del decreto legislativo n. 179 del 2009, quindi emanato in costanza di potere legislativo delegato, si deve rilevare l'illegittimita' costituzionale di questa disposizione, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione e con la conseguente illegittimita' della disposizione abrogatrice del decreto n. 213/10 per assenza di delega. L'art. 76 Cost. permette di delegare il potere legislativo al Governo solo con determinazione di principi, criteri direttivi e per oggetti definiti. Al contrario il comma 18, limitandosi a richiamare i criteri di cui al comma 15, non detta nessun criterio effettivo nel guidare Governo nell'intervento di selezione delle norme da mantenere in vigore. Profili di illegittimita' costituzionale sussistono anche in relazione all'art. 14, comma 14 e 14-ter, legge 246/05 cosi' come modificata dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, per contrasto con l'art. 76 Cost. nel caso in cui si dovesse ritenere che il potere di abrogazione sussista in capo al Governo in base a dette disposizioni. Si osserva, infatti, che nel caso di specie la legge delega non indica il settore nel quale il Governo e' delegato a esercitare la funzione legislativa, limitandosi a indicare una totale abrogazione di norme anteriori a una data, senza distinzione di materie, lasciando al Governo il potere di decidere quali norme lasciare in vigore e trasferendogli il potere di legiferare senza alcuna limitazione, in assenza di quei criteri e principi direttivi necessari ai sensi dell'art. 76 Cost. Oltre a prevedere che non devono essere mantenute in vigore le norme gia' abrogate, quelle prive di effetto od obsolete, nella lettura della legge non e' dato riscontrare nessun criterio idoneo a indirizzare la scelta del legislatore delegato circa l'individuazione delle norme da mantenere in vita lasciandogli in tal modo totale discrezionalita' in violazione dell'art. 76 Cost. L'effetto e' che i predetti criteri lasciano al Governo una totale discrezionalita', il che contrasta indiscutibilmente con l'art. 76 Cost. fatto tanto piu' grave ove, come nel caso di specie, il legislatore delegato utilizzi questa ampia discrezionalita' per andare ad attingere norme che sono comunque poste a presidio di valori costituzionali, atteso che indubbiamente il decreto legislativo n. 43 del 1948 da' attuazione all'art. 18, comma 2, della Costituzione, sanzionando penalmente il divieto ivi previsto. Ne' e' possibile ritenere che l'art. 14, comma quater, consentisse l'abrogazione del reato di divieto di associazione militare in quanto non certo norma che ha esaurito la sua funzione, essendo attuativa di un precetto costituzionale, ne' obsoleta in quanto sempre attuale e' la tutela del metodo democratico tutelato dalla Costituzione. Ugualmente non e' possibile sostenere che il potere di abrogazione derivi dal comma 15 dell'art. 14 legge 246/05 in quanto si tratta di una delega alla «semplificazione o al riassetto» delle norme mantenute in vigore, anche al fine di armonizzarle con quelle pubblicate successivamente alla data del primo gennaio 1970, dove i principi e criteri direttivi cui il Governo si doveva attenere sono quelli elencati nell'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59. Tali criteri attengono alla regolamentazione di procedimenti amministrativi o di compiti propri di enti pubblici e non sono pertinenti rispetto alla materia di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, che fa riferimento al comma 15, e, tanto meno, di cui al decreto legislativo 14 febbraio 1948 n. 43, Gli unici criteri effettivamente idonei a definire l'ambito entro cui doveva muoversi il legislatore delegato sono, quindi, quelli di cui alla lettera a) e, in parte, a-bis), i quali prevedono la possibilita' di un «riassetto normativo e codificazione della normativa primaria regolante la materia» e di «un coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo», mentre il criterio sub b), che richiede l'indicazione esplicita delle norme abrogate, ha il solo scopo di imporre di indicare in modo espresso le norme che debbono essere abrogate proprio perche' sostituite da altre disposizioni confluite nel Codice o incompatibili con queste. Si puo', quindi, affermare che la delega non era conferita per riformare le diverse materie individuate, ma semplicemente per realizzare Testi Unici delle disposizioni ante 1970 mantenute in vigore, con eventuale armonizzazione delle disposizioni successive vigenti, con la facolta' aggiuntiva di modificare le disposizioni medesime, ma esclusivamente per «garantire la coerenza logica e sistematica della normativa». D'altronde il comma 15 in esame, testualmente prevede la delega «alla semplificazione o al riassetto della materia», anche al fine di «armonizzare le disposizioni mantenute in vigore con quelle pubblicate successivamente alla data del primo gennaio 1970». Tanto piu', inoltre, era precluso in un ambito come quello in esame, di mero coordinamento tra disposizioni in vigore, che il legislatore delegato potesse abrogare una disposizione direttamente attuativa di un precetto costituzionale (art. 18 Cost.), senza far confluire nel Codice militare una norma penale analoga. Violazione degli artt. 3 e 18, II comma, Costituzione. Il reato di associazione militare rende operativo il disposto di cui all'art. 18, comma 2, Cost.: «Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare». Tale divieto, concernente le associazioni di carattere militare con scopi politici, ha trovato attuazione nel sistema penale tramite il decreto legislativo n. 43 del 1948, fonte costituzionalmente necessaria. Eliminare l'unica disciplina che prevede rimedi normativi alla creazione di tali associazioni, essenziale per realizzare la democraticita' della partecipazione alla vita politica, contraddice il «nucleo indisponibile» del divieto sancito dall'art. 18, II comma, Cost. Tale convincimento trova conferma proprio nell'operato del legislatore delegato che senza un percorso logico e razionale, adeguato e proporzionato, ha reintrodotto il decreto legislativo n. 43 del 1948 dimostrando che le precedenti abrogazioni costituiscono norme di favore con le quali si sono violati i precetti costituzionali. Con i decreti abrogativi illegittimi il legislatore delegato ha sottratto soltanto determinati soggetti alla sfera applicativa della norma incriminatrice, creando una «odiosa forma di privilegio», realizzando un'ingiustificata diversita' di trattamento di condotte uguali, essendo oggi il fatto previsto dalla legge come reato. L'art. 3 Cost. afferma che tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Tale disposizione sancisce il principio di uguaglianza formale, che costituisce un presupposto giustificativo della legge e un carattere proprio dell'intero sistema normativo e si estrinseca nel vietare che la legge ponga in essere una disciplina che dia vita direttamente o indirettamente a una non giustificata disparita' di trattamento di situazioni giuridiche. Il legislatore delegato ha operato scelte legislative che non sono supportate e giustificate da nessuna ragione creando una disparita' di trattamento, violando l'art. 3 Cost. La questione e' rilevante in quanto se le norme che hanno abrogato il reato per cui si procede e la legge delega fossero legittimi questo Giudice dovrebbe pronunciare sentenza di non luogo a procedere perche' il fatto non e' previsto come reato mentre, in caso contrario, il procedimento dovrebbe continuare per pervenire ad una pronuncia nel merito, esito che giustifica la rilevanza della questione (Corte cost. sentenza n. 148 del 1983, sentenza n. 394 del 2006). Si osserva, infine, che la permanenza del reato, sia dagli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, sia dalla contestazione effettuata dal Pubblico Ministero, e' cessata il 22 luglio 2010, data di formulazione dell'accusa (Cass. sez. V, n. 4554/10 e Cass. sez. VI, n. 49525/03).