IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva espressa all'udienza del 22 giugno 2012 (v. verbale di udienza che precede), sentiti i difensori (anche sul calendario del processo), visti gli atti all'esito della discussione sui mezzi di prova, ai sensi dell'art. 183, comma VII, c.p.c., ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa promossa da Claudio Berlusconi (parte attrice), rappresentato e difeso dagli Avvocati Sergio Puerari e Giulia Puerari contro Seven Immobiliare di Tardugno Antonello (parte convenuta) rappresentata e difesa dagli avvocati Massimiliano Bina e Giuseppe Battaglia e contro Lady Immobiliare (Parte convenuta contumace) avente ad oggetto: azione per la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno; In fatto Con atto di citazione notificato in data 23 settembre 2011 e depositato in Cancelleria in data 26 settembre 2011, Claudio Berlusconi assumeva di avere promesso di acquistare dalla costruttrice Lady Immobiliare un immobile sito in Varese alla via Brunico n. 50, con contestuale conferimento di incarico alla Seven Immobiliare di curare la conciliazione per la vendita di proprio immobile, sito in Cugliate Fabiasco alla via Verdi n. 31. Assumeva che, dopo la stipula dei contratti, era emerso che il locale oggetto di promessa di acquisto era inidoneo ad ottenere il certificato di agibilita'/abitabilita'. Da qui la citazione introduttiva del giudizio con cui richiedeva dichiararsi risolto il contratto e condannarsi le due societa' convenute (la Seven e la Lady) al risarcimento di tutti i danni patiti, oltre alle spese sostenute per la complessiva operazione negoziale. La parte convenuta Seven Immobiliare si costituiva resistendo alla domanda; eccepiva l'assenza di sue responsabilita' contrattuali e richiedeva, in via riconvenzionale, il pagamento del corrispettivo spettante per l'attivita' di mediazione svolta. All'udienza di prima comparizione, del 20 gennaio 2012, nessuno compariva per la Lady Immobiliare che veniva dichiarata contumace. Le parti costituite richiedevano la concessione dei termini ex art. 183 comma VI c.p.c. Il giudice concedeva i termini richiesti e fissava l'udienza in data 22 giugno 2012 per l'ammissione delle prove. All'udienza del 22 giugno 2012 le parti insistevano per l'ammissione delle richieste istruttorie. Sentite sul calendario del processo, nulla osservavano. Quanto alle richieste istruttorie della parte attrice, i capitoli nn. 3 e 4 sono irrilevanti ai fini della decisione. Il cap. 6 ha contenuto negativo, come tale non ammissibile. Il cap. 7 chiama il teste a confermare un atto scritto non contestato in causa. Stesso dicasi per il cap. 11, il cap. 12. I capitoli 13 e 14 chiamano il teste a riferire su assegni, come tali non rilevanti per il giudizio. In conclusione sono rilevanti, perche' influenti per il giudizio, i capitoli 1, 2, 5, 8, 9, 10, da ammettere con l'escussione dei testi Giancarlo Berlusconi e Bruna Brovelli. Sugli stessi capitoli viene ammesso l'interrogatorio formale dei legali rappresentanti delle parti convenute. Quanto alle richieste istruttorie della parte convenuta costituita, i capitoli 1 e 2 sono inammissibili per difetto di specificita'. Il cap. 3 difetta di rilevanza. Il cap. 5 richiede prova scritta del fatto (trattasi di provvedimenti amministrativi). Il cap. 6 e' inammissibile poiche' trattasi di testimonianza de relato partium. Va, dunque, ammesso il solo capitolo 4 con i testi Giancarlo Berlusconi e Bruna Brovelli, pure indicati dalla parte convenuta. Quanto ai profili tecnici, oggetto di contestazione, il Tribunale riserva di provvedere a consulenza tecnica d'Ufficio, se emergente come necessaria all'esito delle prove. In conclusione, l'istruttoria deve avere ad oggetto: le prove orali dell'attore, le prove orali del convenuto, gli interrogatori formali dell'attore, l'eventuale C.T.U. ex officio. Dovendosi svolgere istruttoria, questo giudice dovrebbe dare luogo alla redazione del calendario del processo, in ossequio all'art. 81-bis disp. att. c.p.c. Vi e', pero', che, nel caso di specie, nel contesto di questo ufficio, l'obbligo di provvedere sempre e comunque al calendario del processo, produce effetti di pregiudizio per il procedimento qui sub iudice e per gli altri processi pure chiamati per l'udienza. In data odierna, sono chiamati, in tutto, 32 processi, di cui 6 per l'ammissione delle prove. Orbene, il dover stendere un calendario, senza consentire al giudice discrezionalmente di disattenderlo, in ragione del Ruolo, produce, vista la minaccia della sanzione disciplinare, un effetto di paradossale "allungamento" dei tempi: il giudice, temendo di non poterlo rispettare, tende a stabilire scansione temporali ben piu' lunghe di quelle che, fisiologicamente, e senza la minaccia di Legge (di illecito disciplinare), avrebbe invece pianificato. La legge che voleva realizzare l'accelerazione e la prevedibilita' dei tempi del processo, paradossalmente, produce invece aumento dei tempi stessi, in modo irragionevole. Questo perche' l'obbligo, astrattamente disegnato, non e' concretamente collocato nel contesto degli uffici giudiziari italiani in cui, diversamente da altre magistrature, non vige una norma ad hoc per i carichi esigibili cosicche' i Ruoli (particolarmente gravosi) impongono attivita' di udienza in cui i fascicoli trattati contemporaneamente possono arrivare anche a 100 ed oltre. Ad esempio, nell'udienza odierna, erano, come detto, 32. In concreto, la differenza effettiva e', nel caso di specie, evidente. Se questo giudice non dovesse apporre il calendario, tenuto conto anche del fatto che i difensori non ne hanno chiesto l'apposizione, verrebbe fissata udienza per l'escussione di tutti i testi e gli interrogatori formali, in data 24 ottobre 2012. All'esito della prova, ove non necessaria la CTU (su cui vi e' riserva), inviterebbe le parti a precisare le conclusioni, con udienza fissata per l'incombente in data 8 marzo 2013. Dovendo pianificare il calendario con un ruolo gravoso, questo magistrato tende, invece, ad applicare il principio di precauzione, per riuscire a rispettare le scansioni del calendario stesso, tenuto conto del fatto che diverse e molteplici possono essere le variabili sopravvenute. Verrebbe, dunque, fissata udienza in data 24 ottobre 2012 per i soli testi, udienza in data 8 marzo 2013 per gli interrogatori formali e, sin da ora, udienza interlocutoria per l'eventuale CTU in data 26 giugno 2013; con contestuale fissazione dell'udienza per la precisazione delle conclusioni in data 27 dicembre 2013 (garantendo, quindi, la ragionevole durata - tre anni dall'iscrizione a Ruolo - ma agendo per far fronte al rischio di dovere incontrare variabili sopravvenute). A bene vedere, la collocazione della norma astratta (81-bis disp. att. c.p.c.) nella realta' concreta del Tribunale italiano, produce effetti irragionevoli. Proprio in tempi recenti, la Ecc.ma Corte delle Leggi ha affermato che non e' precluso al Legislatore introdurre una norma frutto di scelte discrezionali purche' si tratti di una opzione normativa rispondente a criteri di ragionevolezza "avuto riguardo alle conseguenze del suo innesto nella complessiva disciplina della materia" (Corte cost. sentenza 12 gennaio 2012, n. 1, Pres. Quaranta, est. Frigo). Ebbene, reputa questo ufficio che la norma qui censurata, al momento dell'innesto nella materia processuale civile, come resa viva dalla "realta'" effettiva del Tribunale, produce uno strappo al principio di ragionevolezza, in quanto causa un allungamento dei tempi del procedimento, una irrazionale gestione delle singole procedure e preclude al giudice di attingere al bacino della propria governance giudiziale per garantire il celere ed efficiente governo di tutte le cause sul Ruolo. Il Tribunale, cio' detto, ritiene di dovere rimettere gli atti alla Consulta, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 81-bis disp. att. cod. proc. civ., come modificato dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (art. 1-ter), nella parte in cui prevede che il giudice "Fissa" il calendario del processo (comma I), cosi' introducendo un obbligo per il magistrato, in relazione alle sanzioni previste dal comma II, per violazione dell'art. 3 Cost. (vulnus al principio di ragionevolezza) e dell'art. III Cost. (vulnus al principio di ragionevole durata). In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza O s s e r v a quanto segue, 1. In punto di rilevanza, la questione e' da considerarsi senz'altro rilevante. Giova in primo luogo rilevare che la citazione e' stata notificata in data 23 settembre 2011 e, dunque, dopo l'entrata in vigore della Legge 148/2011 che ha apportato le modifiche di cui si discute, all'art. 81-bis disp. att. c.p.c. Giova poi ribadire che - nel giudizio cui incidentale l'odierna pronuncia - deve procedersi ad istruttoria. Se il calendario non fosse obbligatorio, come invece deve ritenersi sia, il Tribunale ben potrebbe discrezionalmente motivare nel senso di non provvedere a redigerlo, tenuto conto del carico del Ruolo e, se del caso, del consenso dei difensori. Che il calendario sia obbligatorio, e' testimoniato dalla Legge 148/2011. Prima della sua entrata in vigore, nel vecchio testo dell'art. 81-bis c.p.c., buona parte della giurisprudenza aveva, per l'appunto, ritenuto discrezionale l'incombente (1) ; il Legislatore, per rimarcare invece l'obbligatorieta', ha introdotto un secondo comma rafforzativo del primo in cui l'inciso "FISSA" (e non "puo' fissare") determina, in una esegesi complessiva, una vera e propria imposizione. Pertanto: il "nuovo" art. 81-bis cit. si applica alla controversia nel caso; di specie; nella controversia de qua deve procedersi ad istruttoria; il giudice, stante l'art. 81-bis c.p.c., provvedendo sulle richieste istruttorie sarebbe tenuto alla apposizione del calendario del processo. 1.1. Sempre in punto di rilevanza, questo giudice e' consapevole del tenore letterale dell'art. 23 comma II, della legge 11 marzo 1953, n. 87, il quale ammette il giudizio incidentale di costituzionalita' "qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale", cosi' sembrando escludere la possibilita' di giudizi aventi ad oggetti norme processuali concernenti il mero svolgimento del rito: vi e', pero', che, almeno dalla consacrazione del principio del "Giusto Processo" in seno all'art. III Cost. dovrebbe ritenersi sottintesa la rilevanza della questione anche la' dove il giudizio non possa essere definito "ragionevolmente" indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale", valorizzando il diritto dell'individuo non ad un qualsiasi processo ma a quello "Giusto" che tale non e' se norme irrazionali ne impediscono la definizione entro il termine di ragionevole durata e con sacrificio intollerabile di posizioni giuridiche tutelate. Definizione del giudizio, insomma, non solo nell'un ma anche nel quomodo. In punto di non manifesta infondatezza, la questione non si palesa manifestamente infondata in relazione ai profili che vengono a breve ad essere censurati ed in relazione a quelli gia' esposti. 2. Quanto all'oggetto della questione, trattasi dell'art. 81-bis disp. att. cod. proc. civ., come modificato dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (art. 1-ter), dove, l'inciso "FISSA" del primo comma, interpretato alla luce del II comma, determina l'obbligatorieta' del calendario del processo e non anche la discrezionalita'. Dovrebbe, dunque, essere dichiarata l'incostituzionalita' dell'art. 81-bis c.p.c. nella parte in cui prevede che il giudice "FISSA" e non "PUO' FISSARE" il calendario del processo. 2.1. Sempre in punto di ammissibilita' della questione, una interpretazione adeguatrice risulta infruttuosa. Il giudice a qua e' onerato di sperimentare la cd. interpretatio secundum constitutionem (Corte Costituzionale, ordinanza 10 febbraio 2006 n. 57), sussistendo in capo al rimettente la necessita' di motivare sull'impossibilita' di interpretare la norma in senso conforme alla Costituzione (cfr. Corte Cost. 19 ottobre 2001, n. 336 in Giur. Costit., 2001, f. 5; Corte cost. 21 novembre 1997, n. 361 in Giur. Costit. 1997, fase 6). Tra i diversi significati giuridici astrattamente possibili, cioe', il Giudice deve selezionare quello che sia conforme alla Costituzione; il sospetto di illegittimita' costituzionale, infatti, e' legittimo solo allorquando nessuno dei significati, che e' possibile estrapolare dalla disposizione normativa, si sottragga alle censure di incostituzionalita' (Corte Cost., 12 marzo 1999, n. 65 in Cons. Stato, 1999, II, 366). E, tuttavia, se e' vero che in linea di principio, le leggi si dichiarano incostituzionali perche' e' impossibile darne interpretazioni "secundum Constitutionem" e non in quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali, e' anche vero che esiste un preciso limite all'esperimento del tentativo salvifico della norma a livello ermeneutico; il giudice non puo' "piegare la disposizione fino a spezzarne il legame con il dato letterale". Ed, in tal senso, di fatto, vi sarebbe il rischio - dinnanzi ad una redazione cosi' chiara della norma - di invadere una competenza che al Giudice odierno non compete, se non altro perche' altri Organi, nell'impalcatura Costituzionale (come l'adita Corte delle Leggi), sono deputati ad espletare talune funzioni ad essi esclusivamente riservate. Ma vi e' di piu': l'interpretatio secundum constitutionem presuppone, indefettibilmente, che l'interpretazione "altra" sia "possibile", cioe' praticabile; differentemente, si creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiche' anche dinnanzi a norme "chiare" ogni giudicante adito potrebbe offrire uno spunto interpretativo diverso. Svolte le considerazioni riportate, reputa l'odierno Giudicante che il dato normativo non si possa prestare ad interpretazioni diverse da quella emergente dalla mera lettura del testo: proprio perche', al cospetto di un tentativo cosi' fatto prima della Legge 148/2011, con il suddetto saggio di legificazione, il Legislatore ha di fatto smentito l'interpretazione militante verso la discrezionalita' e addirittura introdotto la sanzione disciplinare per la violazione dell'obbligo di fissare il calendario. Rimane, pertanto infruttuoso il doveroso tentativo da parte dell'odierno Giudice di individuare un'interpretazione compatibile con la Costituzione (Corte Cost. ord. 427/2005; ord. n. 306 del 2005). 3. Cosi' introdotta, nel rito, la questione sollevata, nel merito sono diversi i profili sotto i quali la disposizione e' sospettata di incostituzionalita'. In primo luogo essa sembra violare l'art. 3 della Charta Chartorum per violazione del principio di ragionevolezza. Fissando la calendarizzazione delle udienze, il giudice di merito prefigura alle parti il percorso procedimentale cui le stesse saranno sottoposte, consentendo loro di conoscere in via anticipata la durata del processo ma, soprattutto, mirando al precipuo scopo di garantire che tale durata sia ragionevole. La funzione del calendario e', comunque, quella di contribuire alla ragionevole durata del processo civile anche se, in Dottrina, si e' sostenuto che la fissazione del calendario del processo "non serve ad accelerare i tempi del processo, bensi' a renderli prevedibili". Dopo l'introduzione della prima versione dell'art. 81-bis c.p.c. ad opera della Legge 18 giugno 2009 n. 69, la Dottrina si e' interrogata circa la discrezionalita' o obbligatorieta' della fissazione del calendario del processo. La giurisprudenza di merito per prima intervenuta, ha ritenuto che il calendario del processo debba intendersi necessariamente in termini di "discrezionalita'". Ma trattasi di opinione non piu' sostenibile dopo l'intervento del Legislatore del 2011. Da qui il problema di un adempimento obbligatorio di impossibile attuazione nei ruoli carichi. L'adempimento de quo che si richiede al magistrato deve inevitabilmente essere collocato nel contesto concreto dell'Ufficio in cui il giudice si trova a operare. Si vuol dire che il numero delle cause pendenti sul ruolo del giudice influenza in modo preponderante l'attivita' gestionale dei procedimenti cosicche', secondo una formula inversamente proporzionale, maggiori saranno le cause iscritte al ruolo - e che il giudice si trova a dover gestire - minore sara' la possibilita' oggettiva di pianificare e programmare lo svolgimento delle singole udienze per ogni processo. Altrimenti detto: la minore "governabilita'" del ruolo inevitabilmente comporta una maggiore esigenza di flessibilita' e duttilita' che fa iato con un elemento di programmazione quale il calendario, poiche' intriso di inevitabile rigidita', come la dottrina, sino ad ora unanimemente, ha riconosciuto. Ed allora imponendo l'uso del calendario, nel senso di obbligare il giudice ad apporlo sempre e comunque, a prescindere dal contesto concreto in cui l'attivita' giurisdizionale e' esercitata, si corre il rischio di andare a pregiudicare proprio quelle esigenze di celerita' e di organizzazione che la legge 69 del 2009 ha inteso tutelare. Per altro verso questa interpretazione produce risultati distonici. Come ha insegnato la giurisprudenza costituzionale, una norma e' in se' incostituzionale, poiche' irragionevole, la' dove tradisca, in modo insanabile, la ratio legis che ne ha giustificato la introduzione nel sistema normativo. E, allora, se il calendario del processo persegue la finalita', vuoi di consentire la prevedibilita' dei tempi del processo, vuoi di contenere la durata del procedimento entro tempi ragionevoli, si da' luogo ad una aporia dichiararne l'obbligatorieta' pur laddove la sua applicazione rigida ed obbligatoria in uno specifico contesto giudiziario porta di fatto ad un risultato del tutto inverso e contrario. Si pensi al consumo di tempo ed attivita' che si richiede al giudice chiamato a gestire un ruolo di migliaia di cause per pianificare per ognuna di esse, man mano che sono in rotazione un calendario di tempi ed udienze, "sentiti i difensori". E' chiaro che la stessa ordinanza ex articolo 183, comma VII, c.p.c. rischia di dover essere emanata solo successivamente ad una difficile attivita' di programmazione e dunque con ulteriori ritardi nell'eventuale scioglimento delle riserve. Per non parlare dell'inevitabile prevenzione che va ad innescarsi nei giudici con Ruolo particolarmente gravoso; se e' vero che il calendario (obbligatorio) va rispettato anche a rischio di rilievi disciplinari, allora il magistrato e' indotto, "in prevenzione" a pianificare tempi piu' lunghi proprio per evitare di dovere incorrere in continue proroghe e rinvii determinati, come gli operatori del diritto ben sanno, dalla oggettiva grande difficolta' che si ricollega all'attivita' gestionale di un ventaglio di cause ben superiore a carichi esigibili. Vi e' ancora ed infine che l'obbligatorieta' del calendario non consente neanche cio' che puo' apparire piu' razionale e ragionevole ovvero scegliere i processi in cui adottare una calendarizzazione, tenuto conto di eventuali urgenze o dei temi oggetto del contendere o ancora della natura giudica dei diritti coinvolti. 4. Norme violate. Per quanto sin qui osservato, si ritiene che la norma censurata si ponga in contrasto con il principio di ragionevolezza, difeso dall'art. 3 della Charta Costituzionale, per il difetto di coerenza tra l'art. 81-bis disp. att. c.p.c. e il fine perseguito dalla disposizione. Si assume anche la violazione dell'art. 111 Cost. per violazione del principio di ragionevole durata del processo. Al riguardo, non e' invano richiamare chi, autorevolmente, afferma che "quando una norma non e' in sintonia con la finalita' che la ispira, con la sua ratio, non si puo' negare che essa non sia espressione di razionalita'" (ex cosi', la giurisprudenza costituzionale; v. ex multis, le pronunce: 345 e 390/2007 in cui si avverte un difetto di "coerenza tra il contenuto della norma e la finalita' perseguita attraverso la sua previsione"). 5. Petiti M. Per quanto sin qui osservato, e' auspicabile un intervento della Corte adita che dichiari costituzionalmente illegittimo l'art. 81-bis disp. att. c.p.c. nella parte in cui prevede che il giudice "fissa" [e non PUO' FISSARE] il calendario del processo. Alla luce di tutte le considerazioni svolte, il Tribunale di Varese, sezione Prima civile, (1) Es. Trib. Catanzaro, sez. II ord. 3 giugno 2010: L'art. 81-bis disp. att. c.p.c. (con il quale e' stato introdotto il Calendario del processo) deve essere applicato secondo un principio di ragionevolezza, pena la sua esposizione a censure di legittimita' costituzionale, sicche' esso da un lato non deve comportare, contrariamente alle finalita' che hanno animato il legislatore, un appesantimento dell'attivita' giurisdizionale ed un rallentamento del processo, mentre, dall'altro lato, nel darvi attuazione occorre tener conto della situazione contingente. Dove, pertanto, nel concreto contesto dell'Ufficio giudiziario, il calendario del processo rappresenterebbe un inutile ed irragionevole appesantimento dell'attivita' di programmazione del ruolo, lo stesso va apprestato limitatamente all'attivita' istruttoria gia' ammessa, ed ipotizzando che essa si compia effettivamente all'udienza fissata.