IL TRIBUNALE 
 
    A scioglimento della riserva espressa all'udienza del  22  giugno
2012 (v. verbale di udienza che precede), sentiti i difensori  (anche
sul  calendario  del  processo),  visti  gli  atti  all'esito   della
discussione sui mezzi di prova, ai sensi dell'art.  183,  comma  VII,
c.p.c., ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa promossa  da
Claudio Berlusconi (parte  attrice),  rappresentato  e  difeso  dagli
Avvocati Sergio Puerari e Giulia Puerari contro Seven Immobiliare  di
Tardugno Antonello (parte convenuta)  rappresentata  e  difesa  dagli
avvocati  Massimiliano  Bina  e  Giuseppe  Battaglia  e  contro  Lady
Immobiliare (Parte convenuta contumace) avente ad oggetto: azione per
la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno; 
 
                              In fatto 
 
    Con atto di citazione notificato in  data  23  settembre  2011  e
depositato  in  Cancelleria  in  data  26  settembre  2011,   Claudio
Berlusconi  assumeva  di   avere   promesso   di   acquistare   dalla
costruttrice Lady Immobiliare un immobile sito  in  Varese  alla  via
Brunico n. 50, con contestuale conferimento di  incarico  alla  Seven
Immobiliare di curare la conciliazione  per  la  vendita  di  proprio
immobile, sito in Cugliate Fabiasco alla via Verdi  n.  31.  Assumeva
che, dopo la stipula dei contratti, era emerso che il locale  oggetto
di promessa di acquisto era inidoneo ad ottenere  il  certificato  di
agibilita'/abitabilita'.  Da  qui  la  citazione   introduttiva   del
giudizio con  cui  richiedeva  dichiararsi  risolto  il  contratto  e
condannarsi le due  societa'  convenute  (la  Seven  e  la  Lady)  al
risarcimento di tutti i danni patiti, oltre alle spese sostenute  per
la  complessiva  operazione  negoziale.  La  parte  convenuta   Seven
Immobiliare si costituiva resistendo alla domanda; eccepiva l'assenza
di  sue   responsabilita'   contrattuali   e   richiedeva,   in   via
riconvenzionale,  il  pagamento  del  corrispettivo   spettante   per
l'attivita' di mediazione svolta. 
    All'udienza di prima comparizione, del 20 gennaio  2012,  nessuno
compariva per la Lady Immobiliare che veniva dichiarata contumace. Le
parti costituite richiedevano la concessione dei termini ex art.  183
comma VI c.p.c. Il giudice concedeva i termini  richiesti  e  fissava
l'udienza in data  22  giugno  2012  per  l'ammissione  delle  prove.
All'udienza del 22 giugno 2012 le parti insistevano per  l'ammissione
delle richieste istruttorie. Sentite  sul  calendario  del  processo,
nulla osservavano. 
    Quanto alle richieste istruttorie della parte attrice, i capitoli
nn. 3 e 4 sono irrilevanti ai fini della  decisione.  Il  cap.  6  ha
contenuto negativo, come tale non ammissibile. Il cap.  7  chiama  il
teste a confermare un atto scritto non contestato  in  causa.  Stesso
dicasi per il cap. 11, il cap. 12. I capitoli 13  e  14  chiamano  il
teste a riferire su assegni, come tali non rilevanti per il giudizio.
In conclusione sono rilevanti, perche' influenti per il  giudizio,  i
capitoli 1, 2, 5, 8, 9, 10, da ammettere con l'escussione  dei  testi
Giancarlo Berlusconi e Bruna Brovelli. Sugli  stessi  capitoli  viene
ammesso l'interrogatorio  formale  dei  legali  rappresentanti  delle
parti  convenute.  Quanto  alle  richieste  istruttorie  della  parte
convenuta costituita, i capitoli 1 e 2 sono inammissibili per difetto
di specificita'. Il cap. 3 difetta di rilevanza. Il cap.  5  richiede
prova scritta del fatto (trattasi di  provvedimenti  amministrativi).
Il cap. 6 e'  inammissibile  poiche'  trattasi  di  testimonianza  de
relato partium. Va, dunque, ammesso il solo capitolo 4  con  i  testi
Giancarlo Berlusconi e Bruna  Brovelli,  pure  indicati  dalla  parte
convenuta. Quanto ai profili tecnici, oggetto  di  contestazione,  il
Tribunale riserva di provvedere a consulenza  tecnica  d'Ufficio,  se
emergente come necessaria all'esito delle prove. 
    In conclusione, l'istruttoria deve avere  ad  oggetto:  le  prove
orali dell'attore, le prove orali del  convenuto,  gli  interrogatori
formali  dell'attore,  l'eventuale  C.T.U.  ex   officio.   Dovendosi
svolgere  istruttoria,  questo  giudice  dovrebbe  dare  luogo   alla
redazione del calendario del processo, in  ossequio  all'art.  81-bis
disp. att. c.p.c. Vi e', pero', che, nel caso di specie, nel contesto
di questo ufficio, l'obbligo  di  provvedere  sempre  e  comunque  al
calendario del  processo,  produce  effetti  di  pregiudizio  per  il
procedimento qui sub iudice e per gli altri  processi  pure  chiamati
per l'udienza. In data odierna, sono chiamati, in tutto, 32 processi,
di cui 6 per l'ammissione delle prove. Orbene, il dover  stendere  un
calendario,  senza  consentire  al   giudice   discrezionalmente   di
disattenderlo, in ragione del Ruolo, produce, vista la minaccia della
sanzione disciplinare, un effetto di paradossale  "allungamento"  dei
tempi: il  giudice,  temendo  di  non  poterlo  rispettare,  tende  a
stabilire  scansione  temporali  ben  piu'  lunghe  di  quelle   che,
fisiologicamente,  e  senza  la  minaccia  di  Legge   (di   illecito
disciplinare),  avrebbe  invece  pianificato.  La  legge  che  voleva
realizzare  l'accelerazione  e  la  prevedibilita'  dei   tempi   del
processo, paradossalmente, produce invece aumento dei  tempi  stessi,
in  modo  irragionevole.  Questo  perche'  l'obbligo,   astrattamente
disegnato, non e' concretamente collocato nel contesto  degli  uffici
giudiziari italiani in cui, diversamente da altre  magistrature,  non
vige una norma ad hoc per  i  carichi  esigibili  cosicche'  i  Ruoli
(particolarmente gravosi) impongono attivita' di  udienza  in  cui  i
fascicoli trattati contemporaneamente possono arrivare anche a 100 ed
oltre. Ad esempio, nell'udienza odierna, erano, come detto, 32. 
    In concreto, la differenza effettiva  e',  nel  caso  di  specie,
evidente. Se questo giudice non dovesse apporre il calendario, tenuto
conto  anche  del  fatto  che  i  difensori  non  ne  hanno   chiesto
l'apposizione, verrebbe fissata udienza per l'escussione di  tutti  i
testi e gli interrogatori formali, in data 24 ottobre 2012. All'esito
della prova, ove non necessaria  la  CTU  (su  cui  vi  e'  riserva),
inviterebbe le parti a precisare le conclusioni, con udienza  fissata
per l'incombente  in  data  8  marzo  2013.  Dovendo  pianificare  il
calendario con un ruolo gravoso, questo magistrato tende, invece,  ad
applicare il principio di precauzione, per riuscire a  rispettare  le
scansioni del calendario stesso, tenuto conto del fatto che diverse e
molteplici  possono  essere  le  variabili  sopravvenute.   Verrebbe,
dunque, fissata udienza in data 24 ottobre 2012  per  i  soli  testi,
udienza in data 8 marzo 2013 per gli interrogatori formali e, sin  da
ora, udienza interlocutoria per l'eventuale CTU  in  data  26  giugno
2013; con contestuale fissazione  dell'udienza  per  la  precisazione
delle conclusioni in data 27 dicembre 2013  (garantendo,  quindi,  la
ragionevole durata - tre anni dall'iscrizione a Ruolo - ma agendo per
far fronte al rischio di dovere incontrare variabili sopravvenute). A
bene vedere, la collocazione della norma astratta (81-bis disp.  att.
c.p.c.)  nella  realta'  concreta  del  Tribunale  italiano,  produce
effetti irragionevoli. Proprio in  tempi  recenti,  la  Ecc.ma  Corte
delle  Leggi  ha  affermato  che  non  e'  precluso  al   Legislatore
introdurre una norma frutto di scelte discrezionali purche' si tratti
di una opzione normativa  rispondente  a  criteri  di  ragionevolezza
"avuto riguardo alle conseguenze del suo  innesto  nella  complessiva
disciplina della materia" (Corte cost. sentenza 12 gennaio  2012,  n.
1, Pres. Quaranta, est. Frigo). Ebbene, reputa questo ufficio che  la
norma  qui  censurata,  al   momento   dell'innesto   nella   materia
processuale civile, come resa  viva  dalla  "realta'"  effettiva  del
Tribunale, produce uno strappo al  principio  di  ragionevolezza,  in
quanto  causa  un  allungamento  dei  tempi  del  procedimento,   una
irrazionale gestione delle singole procedure e preclude al giudice di
attingere al bacino della propria governance giudiziale per garantire
il celere ed efficiente governo di tutte le cause sul Ruolo. 
    Il Tribunale, cio' detto, ritiene di dovere  rimettere  gli  atti
alla Consulta, ritenuta rilevante e non manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 81-bis disp.  att.
cod. proc. civ., come modificato dalla legge  14  settembre  2011  n.
148, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13
agosto 2011, n. 138 (art. 1-ter), nella parte in cui prevede  che  il
giudice  "Fissa"  il  calendario  del  processo  (comma   I),   cosi'
introducendo un obbligo per il magistrato, in relazione alle sanzioni
previste dal comma II, per violazione dell'art. 3  Cost.  (vulnus  al
principio  di  ragionevolezza)  e  dell'art. III  Cost.  (vulnus   al
principio di ragionevole durata). 
    In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza 
 
                            O s s e r v a 
 
    quanto segue, 
    1. In  punto  di  rilevanza,  la  questione  e'  da  considerarsi
senz'altro rilevante. Giova in primo luogo rilevare che la  citazione
e' stata notificata  in  data  23  settembre  2011  e,  dunque,  dopo
l'entrata  in  vigore  della  Legge  148/2011  che  ha  apportato  le
modifiche di cui si discute, all'art. 81-bis disp. att. c.p.c.  Giova
poi ribadire che - nel giudizio cui incidentale l'odierna pronuncia -
deve  procedersi  ad  istruttoria.  Se  il   calendario   non   fosse
obbligatorio, come  invece  deve  ritenersi  sia,  il  Tribunale  ben
potrebbe discrezionalmente motivare nel senso  di  non  provvedere  a
redigerlo, tenuto conto del carico del Ruolo  e,  se  del  caso,  del
consenso dei  difensori.  Che  il  calendario  sia  obbligatorio,  e'
testimoniato dalla Legge 148/2011. Prima della sua entrata in vigore,
nel  vecchio  testo  dell'art.  81-bis  c.p.c.,  buona  parte   della
giurisprudenza   aveva,   per   l'appunto,   ritenuto   discrezionale
l'incombente   (1)   ;   il   Legislatore,   per   rimarcare   invece
l'obbligatorieta', ha introdotto un secondo  comma  rafforzativo  del
primo in cui l'inciso "FISSA" (e non "puo'  fissare")  determina,  in
una esegesi complessiva, una vera e propria imposizione. Pertanto: il
"nuovo" art. 81-bis cit. si applica alla controversia  nel  caso;  di
specie; nella controversia de qua deve procedersi ad istruttoria;  il
giudice, stante l'art. 81-bis  c.p.c.,  provvedendo  sulle  richieste
istruttorie  sarebbe  tenuto  alla  apposizione  del  calendario  del
processo. 
    1.1. Sempre in punto di rilevanza, questo giudice e'  consapevole
del tenore letterale dell'art. 23 comma  II,  della  legge  11  marzo
1953,  n.  87,  il  quale  ammette   il   giudizio   incidentale   di
costituzionalita' "qualora il  giudizio  non  possa  essere  definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale", cosi' sembrando escludere la possibilita' di giudizi
aventi ad oggetti norme processuali concernenti il  mero  svolgimento
del rito: vi e', pero', che, almeno dalla consacrazione del principio
del "Giusto Processo" in seno all'art. III Cost.  dovrebbe  ritenersi
sottintesa la rilevanza della questione anche la'  dove  il  giudizio
non possa essere definito "ragionevolmente"  indipendentemente  dalla
risoluzione  della   questione   di   legittimita'   costituzionale",
valorizzando il diritto dell'individuo non ad un  qualsiasi  processo
ma a quello  "Giusto"  che  tale  non  e'  se  norme  irrazionali  ne
impediscono la definizione entro il termine di ragionevole  durata  e
con  sacrificio  intollerabile  di  posizioni  giuridiche   tutelate.
Definizione del giudizio, insomma, non  solo  nell'un  ma  anche  nel
quomodo. 
    In punto di non  manifesta  infondatezza,  la  questione  non  si
palesa manifestamente infondata in relazione ai profili che vengono a
breve ad essere censurati ed in relazione a quelli gia' esposti. 
    2. Quanto all'oggetto della questione, trattasi dell'art.  81-bis
disp. att. cod. proc. civ., come modificato dalla legge 14  settembre
2011  n.  148,  di  conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge  13  agosto  2011,   n.   138   (art.   1-ter),   dove,
l'inciso "FISSA" del primo  comma,  interpretato  alla  luce  del  II
comma, determina l'obbligatorieta' del calendario del processo e  non
anche  la  discrezionalita'.  Dovrebbe,  dunque,  essere   dichiarata
l'incostituzionalita' dell'art. 81-bis  c.p.c.  nella  parte  in  cui
prevede che il giudice "FISSA" e non "PUO' FISSARE" il calendario del
processo. 
    2.1. Sempre in  punto  di  ammissibilita'  della  questione,  una
interpretazione adeguatrice risulta infruttuosa. Il giudice a qua  e'
onerato di sperimentare la cd. interpretatio secundum  constitutionem
(Corte Costituzionale, ordinanza 10 febbraio 2006 n. 57), sussistendo
in capo al rimettente la necessita' di  motivare  sull'impossibilita'
di interpretare la norma in senso conforme  alla  Costituzione  (cfr.
Corte Cost. 19 ottobre 2001, n. 336 in Giur.  Costit.,  2001,  f.  5;
Corte cost. 21 novembre 1997, n. 361 in Giur. Costit. 1997, fase  6).
Tra i diversi significati giuridici astrattamente  possibili,  cioe',
il  Giudice  deve  selezionare   quello   che   sia   conforme   alla
Costituzione; il sospetto di illegittimita' costituzionale,  infatti,
e'  legittimo  solo  allorquando  nessuno  dei  significati,  che  e'
possibile estrapolare dalla disposizione normativa, si sottragga alle
censure di incostituzionalita' (Corte Cost., 12 marzo 1999, n. 65  in
Cons. Stato, 1999, II, 366). E, tuttavia, se e' vero che in linea  di
principio,  le  leggi  si  dichiarano  incostituzionali  perche'   e'
impossibile darne interpretazioni "secundum Constitutionem" e non  in
quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali, e' anche
vero che esiste  un  preciso  limite  all'esperimento  del  tentativo
salvifico della norma a livello  ermeneutico;  il  giudice  non  puo'
"piegare la disposizione fino a  spezzarne  il  legame  con  il  dato
letterale". Ed, in tal senso, di  fatto,  vi  sarebbe  il  rischio  -
dinnanzi ad una redazione cosi' chiara della norma - di invadere  una
competenza che al Giudice odierno non compete, se non  altro  perche'
altri Organi, nell'impalcatura  Costituzionale  (come  l'adita  Corte
delle Leggi), sono deputati ad  espletare  talune  funzioni  ad  essi
esclusivamente riservate. Ma vi e' di piu': l'interpretatio  secundum
constitutionem presuppone, indefettibilmente,  che  l'interpretazione
"altra"  sia  "possibile",  cioe'  praticabile;  differentemente,  si
creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiche' anche  dinnanzi
a norme "chiare" ogni giudicante adito potrebbe  offrire  uno  spunto
interpretativo diverso. 
    Svolte le considerazioni riportate, reputa  l'odierno  Giudicante
che il dato  normativo  non  si  possa  prestare  ad  interpretazioni
diverse da quella emergente dalla mera  lettura  del  testo:  proprio
perche', al cospetto di un tentativo cosi' fatto  prima  della  Legge
148/2011, con il suddetto saggio di legificazione, il Legislatore  ha
di   fatto   smentito   l'interpretazione    militante    verso    la
discrezionalita' e addirittura introdotto  la  sanzione  disciplinare
per la violazione dell'obbligo  di  fissare  il  calendario.  Rimane,
pertanto infruttuoso il  doveroso  tentativo  da  parte  dell'odierno
Giudice  di  individuare  un'interpretazione   compatibile   con   la
Costituzione (Corte Cost. ord. 427/2005; ord. n. 306 del 2005). 
    3. Cosi' introdotta, nel rito, la questione sollevata, nel merito
sono diversi i profili sotto i quali la disposizione e' sospettata di
incostituzionalita'. In primo luogo  essa  sembra  violare  l'art.  3
della   Charta   Chartorum   per   violazione   del   principio    di
ragionevolezza.  Fissando  la  calendarizzazione  delle  udienze,  il
giudice di merito prefigura alle parti il percorso procedimentale cui
le stesse saranno sottoposte, consentendo loro di  conoscere  in  via
anticipata  la  durata  del  processo  ma,  soprattutto,  mirando  al
precipuo scopo di garantire  che  tale  durata  sia  ragionevole.  La
funzione del calendario e',  comunque,  quella  di  contribuire  alla
ragionevole durata del processo civile anche se, in Dottrina,  si  e'
sostenuto che la fissazione del calendario del processo "non serve ad
accelerare i tempi del processo, bensi' a renderli prevedibili". Dopo
l'introduzione della prima versione dell'art. 81-bis c.p.c. ad  opera
della Legge 18 giugno 2009 n. 69, la Dottrina si e' interrogata circa
la discrezionalita' o obbligatorieta' della fissazione del calendario
del processo. La giurisprudenza di merito per prima  intervenuta,  ha
ritenuto  che   il   calendario   del   processo   debba   intendersi
necessariamente in termini  di  "discrezionalita'".  Ma  trattasi  di
opinione non piu' sostenibile dopo l'intervento del  Legislatore  del
2011.  Da  qui  il  problema  di  un  adempimento   obbligatorio   di
impossibile attuazione nei ruoli carichi. 
    L'adempimento  de  quo  che  si  richiede  al   magistrato   deve
inevitabilmente essere collocato nel contesto  concreto  dell'Ufficio
in cui il giudice si trova a operare. Si  vuol  dire  che  il  numero
delle  cause  pendenti  sul  ruolo  del  giudice  influenza  in  modo
preponderante  l'attivita'  gestionale  dei  procedimenti  cosicche',
secondo una formula inversamente proporzionale, maggiori  saranno  le
cause iscritte al ruolo - e che il giudice si trova a dover gestire -
minore sara' la possibilita' oggettiva di pianificare  e  programmare
lo svolgimento delle singole udienze per  ogni  processo.  Altrimenti
detto: la minore "governabilita'" del ruolo inevitabilmente  comporta
una maggiore esigenza di flessibilita' e duttilita' che fa  iato  con
un elemento di programmazione quale il calendario, poiche' intriso di
inevitabile rigidita', come la dottrina, sino ad ora unanimemente, ha
riconosciuto. Ed allora imponendo l'uso del calendario, nel senso  di
obbligare il giudice ad apporlo sempre e comunque, a prescindere  dal
contesto concreto in cui l'attivita' giurisdizionale  e'  esercitata,
si corre il rischio di andare a pregiudicare proprio quelle  esigenze
di celerita' e di organizzazione che la legge 69 del 2009  ha  inteso
tutelare. Per altro verso questa  interpretazione  produce  risultati
distonici. Come ha insegnato la  giurisprudenza  costituzionale,  una
norma e' in se' incostituzionale,  poiche'  irragionevole,  la'  dove
tradisca, in modo insanabile, la ratio legis che ne  ha  giustificato
la introduzione nel sistema normativo. E, allora,  se  il  calendario
del  processo  persegue  la  finalita',   vuoi   di   consentire   la
prevedibilita' dei tempi del processo, vuoi di  contenere  la  durata
del procedimento entro tempi ragionevoli, si da' luogo ad una  aporia
dichiararne l'obbligatorieta' pur laddove la sua applicazione  rigida
ed obbligatoria in uno specifico contesto giudiziario porta di  fatto
ad un risultato del tutto inverso e contrario. Si pensi al consumo di
tempo ed attivita' che si richiede al giudice chiamato a  gestire  un
ruolo di migliaia di cause per pianificare per ognuna  di  esse,  man
mano che sono  in  rotazione  un  calendario  di  tempi  ed  udienze,
"sentiti i difensori". E' chiaro che la stessa ordinanza ex  articolo
183,  comma  VII,  c.p.c.  rischia  di  dover  essere  emanata   solo
successivamente ad una difficile attivita' di programmazione e dunque
con ulteriori ritardi nell'eventuale scioglimento delle riserve.  Per
non parlare dell'inevitabile prevenzione che  va  ad  innescarsi  nei
giudici  con  Ruolo  particolarmente  gravoso;  se  e'  vero  che  il
calendario (obbligatorio) va rispettato anche a  rischio  di  rilievi
disciplinari, allora il magistrato e'  indotto,  "in  prevenzione"  a
pianificare tempi piu' lunghi proprio per evitare di dovere incorrere
in continue proroghe e rinvii determinati,  come  gli  operatori  del
diritto  ben  sanno,  dalla  oggettiva  grande  difficolta'  che   si
ricollega all'attivita' gestionale  di  un  ventaglio  di  cause  ben
superiore  a  carichi  esigibili.  Vi  e'  ancora   ed   infine   che
l'obbligatorieta' del calendario non consente neanche cio'  che  puo'
apparire piu' razionale e ragionevole ovvero scegliere i processi  in
cui adottare una calendarizzazione, tenuto conto di eventuali urgenze
o dei temi oggetto del contendere o ancora della natura  giudica  dei
diritti coinvolti. 
    4. Norme violate. Per quanto sin qui osservato, si ritiene che la
norma  censurata  si  ponga  in  contrasto  con   il   principio   di
ragionevolezza, difeso dall'art. 3 della Charta  Costituzionale,  per
il difetto di coerenza tra l'art. 81-bis disp. att. c.p.c. e il  fine
perseguito  dalla  disposizione.  Si  assume  anche   la   violazione
dell'art. 111 Cost.  per  violazione  del  principio  di  ragionevole
durata del processo. Al  riguardo,  non  e'  invano  richiamare  chi,
autorevolmente, afferma che "quando una norma non e' in sintonia  con
la finalita' che la ispira, con la sua ratio, non si puo' negare  che
essa  non  sia   espressione   di   razionalita'"   (ex   cosi',   la
giurisprudenza costituzionale; v.  ex  multis,  le  pronunce:  345  e
390/2007 in cui si avverte un difetto di "coerenza tra  il  contenuto
della norma e la finalita' perseguita attraverso la sua previsione"). 
    5. Petiti M. Per quanto sin  qui  osservato,  e'  auspicabile  un
intervento  della  Corte  adita   che   dichiari   costituzionalmente
illegittimo l'art. 81-bis  disp.  att.  c.p.c.  nella  parte  in  cui
prevede che il giudice "fissa" [e non PUO' FISSARE] il calendario del
processo. 
    Alla luce di tutte le  considerazioni  svolte,  il  Tribunale  di
Varese, sezione Prima civile, 

(1) Es. Trib. Catanzaro, sez. II ord. 3 giugno  2010:  L'art.  81-bis
    disp. att. c.p.c. (con il quale e' stato introdotto il Calendario
    del processo) deve  essere  applicato  secondo  un  principio  di
    ragionevolezza, pena la sua esposizione a censure di legittimita'
    costituzionale, sicche' esso da  un  lato  non  deve  comportare,
    contrariamente alle finalita' che hanno animato  il  legislatore,
    un   appesantimento   dell'attivita'   giurisdizionale   ed    un
    rallentamento del processo, mentre, dall'altro  lato,  nel  darvi
    attuazione occorre  tener  conto  della  situazione  contingente.
    Dove, pertanto, nel concreto contesto  dell'Ufficio  giudiziario,
    il  calendario  del  processo  rappresenterebbe  un  inutile   ed
    irragionevole appesantimento dell'attivita' di programmazione del
    ruolo,  lo  stesso  va  apprestato  limitatamente   all'attivita'
    istruttoria gia' ammessa,  ed  ipotizzando  che  essa  si  compia
    effettivamente all'udienza fissata.