LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio in  materia  di
pensioni civili, iscritto al numero 11978 del registro di segreteria,
proposto, con ricorso collettivo, dai Signori SERGIO MATTEINI  CHIARI
(nato a Perugia il 1 settembre 1941 e residente in  Gubbio  alla  via
Giacomo Devoto n. 21 -  c.  f.:  MTTSRG41P01G478H);  PIETRO  ABBRITTI
(nato a Bocchigliero il 18 ottobre 1940 e residente a Perugia in  via
delle  Cove  n.  10  -  c.f.:   BBRPTR40R18A912P);   ALFREDO   ARIOTI
BRANCIFORTI (nato a Palermo il 26 novembre 1941 e residente a Perugia
in via del Tessuto n. 18 - c.f: RTBLRD41S26G273J); ALBERTO  BELLOCCHI
(nato a Perugia il 25 giugno  1941  e  ivi  residente  in  via  della
Treggia n. 96 - c.f.: BLLLRT41H250478G);  GIOVANNI  BORSINI  (nato  a
Bevagna il 30 aprile 1946 e ivi residente in via Flaminia 71 -  c.f.:
BRSGNN46D30A835Z); SANDRO COSSU (nato a Perugia il 21  dicembre  1946
ed ivi residente in via Vivaldi 11 - c.f.:  CSSSDR46T21G478T);  MARIA
LETIZIA IMMACOLATA DE LUCA (nata  a  Santa  Lucia  di  Serino  il  17
settembre 1948 e residente in Terni, via  Galileo  Ferraris  n.  3  -
c.f.. DLCMLT48P57I219F); EMANUELE SALVATORE MEDORO (nato a Gela il 24
maggio 1939 e residente a Foligno in Via Carlo Cattaneo n. 10 - c.f..
MDRMLS39E24D960A); CLAUDIO PRATILLO HELLMANN  (nato  a  Padova  il  4
novembre 1942 e residente in Spoleto in Localita' Colle  San  Tommaso
9/A - c.f.: PRTCLD42S04G224T); ALFREDO RAINONE (nato a Napoli  il  20
giugno 1947 e residente in Terni in via Gabbo Ferraris n. 3  -  c.f.:
RNNLRD47H20F839R) nei confronti dell'INPS (gestione EX INPDAP) per la
declaratoria  dell'illegittimita'  delle   trattenute   operate   sui
trattamenti  pensionistici   diretti   in   godimento,   dalla   data
dell'agosto 2011, cosi' come previsto dall'articolo 18  comma  22-bis
del decreto legislativo n.  98/11  e  del  conseguente  diritto  alla
restituzione delle somme indebitamente trattenute. 
    Tutti i ricorrenti sono rappresentati  e  difesi  dagli  avvocati
ALARICO MARIANI MARINI (c.f.: MRNLRC31S26A475M) e IOLE  CIULLO  (c.f.
CLLLIO68E68HS01L), presso lo  studio  dei  quali  sono  elettivamente
domiciliati,  in  Perugia  alla  via  Angeloni  80/b  (indirizzo  PEC
alarico.marianimarini@avvocatiperugiapec.it                         e
iole.ciullo@avvocatiperugiapec.it). 
    L'INPS (gestione ex  INPDAP)  si  e'  costituito  in  resistenza,
rappresentato  e  difeso  dagli  avvocati  SALVATORE  CAROLLA  (c.f.:
CRLSVT71S18H2230) e ROBERTO ANNOVAZZI (c.f.:  NNVRRT71L28G478P),  con
elezione di domicilio presso la sede dell'Istituto  in  Perugia,  via
Cacciatori       delle       Alpi       32       (indirizzo       PEC
roberto.annovazzi@postacert.inpdap.gov.it e
salvatore.carolla@postacert.inpdap.gov.it). 
    Uditi alla pubblica udienza del 20  marzo  2013  il  relatore  in
persona del Giudice Unico Presidente di Sezione  dr.  ALBERTO  AVOLI,
nonche' per i ricorrenti l'avv. IOLE CIULLO e  per  l'amministrazione
previdenziale l'avv. SALVATORE CAROLLA. 
 
                              Premesso 
 
    I ricorrenti sono tutti magistrati ordinari collocati a riposo in
date diverse e residenti in Umbria. 
    I medesimi sostengono che nei  loro  confronti  l'Amministrazione
previdenziale convenuta ha applicato, a far data dal mese  di  agosto
2011, le riduzioni  del  trattamento  pensionistico  in  godimento  a
seguito dell'entrata in vigore delle disposizioni contenute nel comma
22-bis dell'articolo 18 del  decreto  legge  6  luglio  2011  n.  98,
convertito con modificazioni' nella legge 15 luglio 2011 n. 111,  poi
confermate dalla legge 14 settembre 2011 n. 148  ed  "aggravate"  dal
comma 31-bis dell'articolo 24 del decreto legge 6  dicembre  2011  n.
201, convertito con modificazioni con legge n. 214/11. 
    I ricorrenti hanno adito questa Corte per vedersi riconoscere  il
diritto a percepire  per  l'intero  il  trattamento  di  pensione  in
godimento prima dell'agosto  2011,  senza  la  decurtazione  prevista
dalle richiamate norme a titolo di "contributo di perequazione",  sul
presupposto di. un loro asserito contrasto con gli articoli 1, 2,  3,
36, 38 e 53 della Costituzione. 
    Hanno poi chiesto il ripristino del trattamento e la restituzione
delle somme indebitamente introitate. 
    In particolare -  per  quanto  concerne  i  profili  di  presunta
incostituzionalita' - l'articolo  3  (principio  di  uguaglianza)  e'
stato  richiamato:  a)  per  la  natura  tributaria  delle  norme  in
questione; b) per il  disallineamento  temporale  delle  decurtazioni
previste nei riguardi dei pensionati (3 anni e 5  mesi),  rispetto  a
quelle del personale di magistratura in servizio (3 anni); c) per  la
violazione del principio dell'affidamento. 
    Gli articoli 36 e 38 sono stati richiamati per la violazione  del
principio  di  proporzionalita'  ed   adeguatezza   dei   trattamenti
pensionistici, intesi come retribuzioni differite. 
    Gli articoli 1 e 2 sono stati evocati per la asserita  violazione
della protezione del lavoro e  per  l'ingiustificato  richiamo  -  da
parte  delle  norme  censurate  -  del  principio  solidaristico  (le
pensioni  dei  ricorrenti   costituiscono   retribuzione   differite,
differenziandosi in cio' dalle pensioni sociali vere e proprie) 
    La violazione dell'articolo  53  e'  stata  invece  eccepita  con
riferimento al principio della generalita' e della progressivita' del
sistema impositivo. 
    Le richieste conclusivamente formulate nel  ricorso  introduttivo
sono state le seguenti: "In via preliminare -  ritenuta  rilevante  e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'articolo 18 comma 22-bis  del  decreto  legge  n.
98/11 aggiunto dalla legge di conversione n. 111/11, come  modificato
dalle leggi 148/11  e  214/11,  nella  parte  in  cui  dispongono  la
decurtazione dei trattamenti pensionistici erogati dagli enti gestori
di forme di previdenza obbligatoria, in relazione agli articoli 1, 2,
3, 36, 38 e 53 della Costituzione, sospendere il giudizio e  disporre
la trasmissione degli atti alla  Corte  costituzionale;  nel  merito,
accertato l'obbligo dell'ente  convenuto  a  corrispondere  le  somme
indebitamente trattenute e  i  trattamenti  di  pensione  nella  loro
interezza, condannare gli enti convenuti competenti a  provvedere  ai
pagamento delle somme trattenute ai  ricorrenti  sul  trattamento  di
pensione a titolo di contributo di perequazione ai sensi delle  somme
indicate, con  rivalutazione  monetaria  e  interessi  dalle  singole
scadenze al saldo, ed a ripristinare l'integrale  corresponsione  dei
trattamenti previdenziali  conseguentemente  dovuti;  condannare  gli
enti convenuti al pagamento delle spese legali". 
    I ricorrenti in data 8 marzo 2013 hanno depositato una  ulteriore
memoria, nella quale  hanno  confermato  le  conclusioni  come  sopra
riportate, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n.  241
del 31 ottobre 2012, a seguito del ricorso di  alcune  Regioni  circa
l'attribuzione al bilancio dello Stato -  anziche'  delle  Regioni  -
delle somme introitate  a  seguito  del  contributo  di  perequazione
ovvero di solidarieta'. 
    L'Amministrazione previdenziale INPS (gestione ex INPDAP)  si  e'
costituita in giudizio in data  11  marzo  2013  con  una  articolata
memoria. Le conclusioni del resistente INPS sono state  le  seguenti:
a) In via pregiudiziale ritenere il proprio difetto di  giurisdizione
in favore delle Commissioni tributarie regionali con riferimento alla
domanda relativa ai  contributo  ex  articolo  18  comma  22-bis  del
decreto legge 6 luglio 2011 n. 98; b) Sempre in via  pregiudiziale  e
nel rito accertare  e  ritenere  parziale  carenza  di  giurisdizione
dell'INPS, nonche' la sussistenza di una  ipotesi  di  litisconsorzio
necessario ex articolo 102 cpc  nei  confronti  della  Agenzia  delle
entrate,  quale  parte  necessaria  nelle  controversie  inerenti  la
sussistenza dell'ammontare di imposte e tributi e la restituzione  di
somme  asseritamente  non  dovute  a  tale  titolo,  con  conseguente
integrazione  del  contraddittorio  nei  confronti   delta   suddetta
Agenzia; c) Nel merito respingere in ogni  caso  le  avverse  domande
perche' infondate in fatto  e  in  diritto;  d)  In  via  subordinata
disporre  la  sospensione  dei  presente  giudizio  in  attesa  della
pronuncia della Corte  costituzionale  sull'ordinanza  di  remissione
della Corte dei  conti  -  Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione
Campania del 20 luglio 2012 , pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale  n.
45 del 14 novembre 2002. 
    Con sentenza parziale n.  20  in  pari  data,  il  Giudice  Unico
remittente ha dichiarato la propria giurisdizione nella  controversia
in  epigrafe  e  ha  respinto  l'eccezione  di  difetto  parziale  di
legittimazione passiva dell'INPS (gestione ex INPDAP). Ha poi  deciso
la  remissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  sollevando
questione di  legittimita'  costituzionale  -  con  riferimento  agli
articoli 2, 3 e 53 della Costituzione - dell'articolo 18 comma 22-bis
del  decreto  legge  98/2011  (cosi'  come  convertito  dalla   legge
111/2011), dell'articolo 2 comma 1 del decreto legge 13  agosto  2011
n. 138 (cosi' come convertito dalla legge. 14 settembre 2011 n.  148)
e dell'articolo 24; comma 31-bis del decreto legge 6 dicembre 2011 n.
201 (cosi' come: convertito dalla legge 22  dicembre  2011  n.  214),
dichiarando manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale delle medesime norme, con riferimento agli articoli 1,
36 e 38 della Costituzione. 
    In conseguenza, il Giudice medesimo ha disposto  la  sospensione;
della trattazione nel merito della causa, in attesa  della  pronuncia
della Corte costituzionale. 
    Tanto rilevato, si osserva che la presente  controversia  ha  per
oggetto l'accertamento della legittimita' delle decurtazioni  operate
a  carico  dei  trattamenti  pensionistici  dei   ricorrenti,   tutti
magistrati ordinari a riposo residenti in Umbria.  I  medesimi  hanno
sostenuto che  le  decurtazioni  in  questione  sono  state  disposte
dall'INPS in applicazione di norme che presentano molteplici dubbi di
conformita' alla Carta costituzionale il Remittente,  anticipando  la
propria  decisione,  ritiene  che  effettivamente  sussistono  valide
ragioni per il deferimento della questione di costituzionalita',  sia
pure solo per alcuni  dei  profili  evidenziati  dai  ricorrenti  (e,
cioe', in particolare in relazione unicamente agli articoli 2, 3 e 53
Cost.) E cio' per le argomentazioni di seguito evidenziate. 
    Le norme oggetto di censura costituzionale cosi' dispongono. 
    Il comma 22-bis recita "In  considerazione  della  eccezionalita'
della  situazione  economica  internazionale  e  tenuto  conto  delle
esigenze prioritarie di raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica, a decorrere dal 1 agosto 2011 e fino ai 31 dicembre 2014  i
trattamenti pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di
previdenza obbligatoria, i cui importi  complessivamente  superino  i
90.000 euro lordi  annui,  sono  assoggettati  ad  un  contributo  di
perequazione pari al 5% della parte  eccedente  il  predetto  importo
fino a 150.000 euro, nonche' pari  al  10%  per  la  parte  eccedente
150.000 euro...  Le  somme  versate  dagli  enti  vengono  versate...
all'entrata del bilancio dello Stato" 
    Il comma primo dell'articolo 2 della legge 14 settembre  2011  n.
148 ha precisato che "le disposizioni di cui  alla  legge  15  luglio
2011 n. 111 continuano ad applicarsi nei termini ivi previsti...dal 1
agosto 2011 al 31 dicembre 2014" Infine il comma 31-bis dell'articolo
24  della  legge  214/11  ha  previsto  un  ulteriore  scaglione   di
contributo di previdenza ("Al comma 22  bis  dell'articolo  18  della
legge 15 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla  legge
15 luglio 2011 n. 111, dopo le parole «eccedente 150.000  euro»  sono
inserite le seguenti: e al 15% per  la  parte  eccedente  le  200.000
euro"). 
    In sintesi, dal combinato disposto delle tre  norme  risulta  che
alle pensioni a carico degli enti  gestori  di  forme  di  previdenza
obbligatorie  si  applica  una  decurtazione  quantificata   su   tre
scaglioni (90.000 euro, 150.000 euro e 200.000  euro  rispettivamente
del 5%, del 10% e del 15%  e  per  il  periodo  dall'agosto  2011  al
dicembre 2014). 
    Tutto il menzionato complesso dispositivo deve  essere  collocato
nel contesto delle  disposizioni  volte  a  fronteggiare  l'emergenza
finanziaria  conseguente  alla  grave  crisi  nazionale,  europea  ed
internazionale.  In  particolare,  esso  deve   essere   "letto"   in
correlazione  con  le  norme  che  ebbero  a   prevedere   molteplici
decurtazioni alle retribuzioni del personale (non  contrattualizzato)
di magistratura. 
    E' d'uopo ricordare che queste ultime sono state gia'  scrutinate
dalla Corte costituzionale, che le ha dichiarate  non  conformi  alla
Carta nelle parti di interesse con sentenza  n.  223/12  (articoli  9
commi 2 e 22 e comma 10 del  decreto  legge  31  maggio  2010  n.  78
convertito dalla legge 30 luglio 2010 n. 122). 
    In sintesi e' stato affermato in tale sede  che  le  retribuzioni
del personale di magistratura non debbono seguire logiche  negoziali,
a  tutela  dell'autonomia  e  dell'indipendenza  della   magistratura
medesima. 
    Inoltre  e'  stata  rilevata  la  violazione  del  principio   di
uguaglianza e di progressivita' tributaria. 
    Alle  norme  e'  stato  conferito  espressamente   il   carattere
tributario, ricorrendone tutte le caratteristiche. 
    Per quanto di interesse in questa sede, giova ripercorrere alcuni
passaggi  relativi  a  quanto  puntualizzato  dalla   Consulta:   "La
giurisprudenza  (della   Corte   costituzionale)   ha   costantemente
precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria
sono tre: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente
a procurare una definitiva decurtazione  patrimoniale  a  carico  del
soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica del
rapporto  sinallagmatico;  le  risorse  connesse  ad  un  presupposto
economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione sono
destinate a sovvenire pubbliche spese...Indipendentemente  dal  nomen
iuris attribuitole dal  legislatore,  al  fine  di  valutare  se  una
decurtazione patrimoniale  definitiva  integri  un  tributo,  occorre
interpretare la disciplina sostanziale che la prevede alla  luce  dei
criteri   indicati   dalla   giurisprudenza    costituzionale    come
caratterizzanti la nozione unitaria del tributo: cioe' la doverosita'
della prestazione, in mancanza  di  rapporto  sinallagmatico  fra  le
parti, nonche' il collegamento di tale prestazione  con  la  pubblica
spesa, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante...  Un
tributo consiste dunque in un prelievo coattivo che e' finalizzato al
concorso alle pubbliche spese ed e' posto a  carico  di  un  soggetto
passivo in base ad uno specifico indice  di  capacita'  contributiva,
indice   che   deve,   esprimere   l'idoneita'   di   tale   soggetto
all'obbligazione tributaria... La Costituzione non impone affatto una
tassazione fiscale uniforme, con  criteri  assolutamente  identici  e
proporzionali per tutte le tipologie di  imposizione  tributaria,  ma
esige invece un indefettibile raccordo con la capacita' contributiva,
in un quadro di sistema informato a criteri di  progressivita',  come
svolgimento  ulteriore,  nello  specifico   campo   tributario,   del
principio di  uguaglianza...Pertanto  il  controllo  della  Corte  in
ordine alla  lesione  dei  principi  di  cui  all'articolo  53  della
Costituzione,  come  specificazione  del  fondamentale  principio  di
uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, consiste in  un
giudizio sull'uso ragionevole, o  meno,  che  il  legislatore  stesso
abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia  tributaria,  al
fine di verificare la coerenza interna della  struttura  dell'imposta
con il suo presupposto economico,  come  pure  la  non  arbitrarieta'
dell'entita' dell'imposizione". 
    Il  Giudice  remittente  e'  consapevole  delle  differenze   che
intercorrono fra le decurtazioni che hanno  colpito  le  retribuzioni
dei magistrati (disposte con le norme  dichiarate  illegittime  dalla
ricordata sentenza n. 223/12) e quelle  relative  alle  pensioni:  la
platea dei soggetti colpiti e' diversa, cosi'  come  la  destinazione
finale delle risorse acquisite con i risparmi di spesa. 
    Tuttavia, rispetto agli elementi di diversita', prevalgono quelli
analogici, tenuto conto che anche il prelievo sulle  pensioni  e'  in
realta' confluito nelle entrate generali dello Stato  per  "obiettivi
di finanza pubblica" indifferenziati,  senza  alcuna  correlazione  a
programmi perequativi e/o riequilibrativi del sistema previdenziale. 
    Altro elemento  che  accomuna  le  decurtazioni  stipendiali  dei
magistrati  e  quelle  dei  pensionati   iscritti   alla   previdenza
obbligatoria e' la "natura tributaria" delle norme,  riconosciuta  in
entrambi i casi dalla stessa Corte costituzionale. La Corte,  con  la
richiamata sentenza n. 223/12 ha qualificato "di  natura  tributaria"
le norme relative alle decurtazioni delle retribuzioni del  personale
di magistratura; con la successiva sentenza n. 241/2012 ha  posto  lo
stesso  carattere  anche  alla  disciplina  riferita  ai  trattamenti
pensionistici. 
    Infatti   alcune   Regioni   avevano   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale di  tale  disciplina  relativamente  alla
attribuzione al bilancio statale - anziche' regionale -  delle  somme
derivanti dai risparmi di spesa conseguenti alle decurtazioni oggetto
della presente controversia. 
    Con specifico riferimento al "contributo di perequazione  di  cui
all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge 6 luglio 2011 n. 98,
convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011",  la  Corte
Costituzionale ha espressamente affermato quanto segue. 
    "Il contributo oggetto  di  censura  e'  previsto  a  carico  dei
trattamenti pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di
previdenza obbligatorie ed ha natura certamente tributaria, in quanto
costituisce un prelievo analogo a quello effettuato  sul  trattamento
economico complessivo dei dipendenti pubblici previsto  dallo  stesso
comma primo  nella  parte  dichiarata  illegittima  con  la  suddetta
sentenza  n.  223/2012  e  la  cui   natura   tributaria   e'   stata
espressamente  riconosciuta  dalla  medesima   sentenza.   La   norma
impugnata, infatti, integra una decurtazione patrimoniale  definitiva
del trattamento pensionistico, con acquisizione al  bilancio  statale
del relativo ammontare, che  presenta  tutti  i  requisiti  richiesti
dalla giurisprudenza (costituzionale) per caratterizzare il  prelievo
fiscale". 
    La sentenza  n.  241  ha  in  vero  dichiarato  inammissibile  la
questione di legittimita' prospettata, ma e' di tutta evidenza che io
scrutinio richiesto in questa sede parte  da  presupposti  dei  tutto
differenti. 
    Non e' infatti "in gioco" la  destinazione  delle  somme  (se  al
bilancio statale o regionale), bensi' la legittimita'  del  prelievo,
con riferimento agli articoli 2, 3 e 53 della Carta. 
    Il Remittente ritiene pertanto acquisiti i seguenti punti: a)  le
decurtazioni dei trattamenti pensionistici erogati nell'ambito  della
previdenza obbligatoria sono state disposte dall'INPS in applicazione
di norme di "natura tributaria"; b) il contributo di perequazione  di
cui all'articolo 18 comma 22-bis del decreto legge 6 luglio  2011  n.
98 (convertito dalla legge n. 111/2011) ha natura tributaria;  c)  Le
trattenute  oggetto  del  presente  giudizio  risultano   prestazioni
patrimoniali imposte per  legge,  prive  di  destinazione  specifica,
destinate a sopperire alle esigenze generali dell'erario. 
    Da questa base - che puo' ritenersi sostanzialmente  certa  -  si
deve  passare  a  valutare  la  concomitante  sussistenza   dei   tre
presupposti che consentono il deferimento alla  Corte  costituzionale
della questione di legittimita' delle norme piu' volte richiamate: la
rilevanza della questione; l'impossibilita' da parte del  Giudice  di
merito di risolvere  la  controversia  mediante  una  interpretazione
costituzionalmente orientata; la non manifesta infondatezza. 
 
                        Ritenuta la rilevanza 
 
    della questione di legittimita' , con riferimento  agli  articoli
2, 3 e 53 Cost., dell'articolo 18  comma  22-bis  del  decreto  legge
98/2011  (cosi'   come   convertito   dalla   legge   n.   111/2011),
dell'articolo 2 comma 1 del decreto  legge  13  agosto  2011  n.  138
(cosi' come convertito dalla  legge  14  settembre  2011  n.  148)  e
dall'articolo 24 comma 31-bis del decreto legge 6  dicembre  2011  n.
201 (cosi' come convertito dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214). 
    La  rilevanza  e'  in  re  ipsa.  Infatti  le  decurtazioni   del
trattamento pensionistico sono  state  disposte  dall'amministrazione
previdenziale in diretta ed immediata applicazione  delle  richiamate
norme. 
    La domanda giudiziale volta al  ripristino  di  quanto  percepito
prima dell'agosto del 2011 trova la  soluzione  solo  in  conseguenza
dello scrutinio  di  compatibilita'  costituzionale  in  questa  sede
promosso. 
    Del resto la rilevanza assume particolare pregnanza rispetto alla
specifica domanda dei ricorrenti, sulla base dei cedolini di pensione
in atti portanti tutti la  dicitura  "contributo  articolo  18  comma
22-bis della legge 111/2011" e l'importo mensile della trattenuta. 
 
       Ritenuta l'impossibilita' di interpretazioni orientate 
 
    L'evidenziato complesso normativo - incentrato sul comma 22 -  e'
immediatamente precettivo ed e' suscettibile  di  applicazione  senza
particolari  passaggi  interpretativi.  E'   infatti   oggettivamente
impossibile pervenire ad una interpretazione delle  sospettate  norme
che consenta di escludere (o, quanto meno, diversamente modulare)  le
decurtazioni in argomento. 
    La pretesa dei ricorrenti di vedere ripristinato  il  trattamento
in godimento prima dell'agosto 2011 puo'  andare  a  buon  fine  solo
attraverso la rimozione della norma, se ed in quanto non  conforme  a
Costituzione. 
    Si ribadisce che le disposizioni in questione esprimono la regola
da applicare in maniera chiara e puntuale, servendosi  di  "parametri
numerici del tutto  rigidi",  come  tali  appunto  insuscettibili  di
interpretazione ne' in via amministrativa ne' da parte del Giudice di
merito. 
 
               Quanto alla non manifesta infondatezza 
 
    Come gia' evidenziato, questo Giudice ritiene di  dover  disporre
la remissione degli atti alla  Corte  costituzionale,  sollevando  la
questione di costituzionalita' con riferimento agli articoli 2,  3  e
53. 
    I dubbi di conformita' costituzionale  si  presentano  fortemente
interconnessi con riferimento ai tre articoli asseritamente  violati,
consentendo una trattazione unitaria. 
    Deve subito essere "sgombrato il campo" dal richiamo al principio
dell'affidamento, cosi' come prospettato dai ricorrenti. 
    La  consolidata  giurisprudenza  costituzionale  insegna  che  il
legislatore,  nell'esercizio   della   sua   discrezionalita',   puo'
modificare  i  rapporti  di  durata,  anche   prevedendo   situazioni
"peggiorative" o impedendo il conseguimento di posizioni "attese". 
    La discrezionalita' del legislatore - nel superare  il  principio
di affidamento - non deve superare i limiti  della  ragionevolezza  e
del principio di uguaglianza. 
    Ed e' proprio sulla violazione di quest'ultimo principio  che  si
incentrano i dubbi di legittimita' costituzionale del Remittente. 
    Il principio di uguaglianza assume  particolare  pregnanza  nella
causa in esame con riferimento all'articolo 53 la' dove prescrive che
"tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della
loro capacita' contributiva; il sistema  tributario  e'  informato  a
criteri di progressivita'". 
    In sintesi i dubbi si incentrano sulla scelta del legislatore  di
imporre un contributo di natura  fiscale  solo  ai  pensionati  della
previdenza obbligatoria e quindi ad una sola categoria di  cittadini,
con una discriminazione che non tiene in nessun  conto  il  parametro
della capacita' contributiva. 
    Doppia discriminazione: rispetto alla  platea  dei  cittadini  in
genere (e, in  particolare,  di  quelli  con  capacita'  contributiva
analoga), rispetto agli altri pensionati e lavoratori. 
    Dunque ai  pensionati  della  previdenza  obbligatoria  e'  stato
imposto  un  onere  di  solidarieta'  assolutamente   irrazionale   e
improprio. 
    Infatti - pur riconoscendo che il prelievo e' stato effettuato su
trattamenti oggettivamente  piuttosto  elevati  -  viene  imposto  un
sacrificio solo ad un  ristretto  numero  di  pensionati,  molti  dei
quali, fra l'altro, hanno lasciato il servizio a settantacinque anni,
con una aspettativa di vita oggettivamente piu' ridotta. 
    La violazione  dell'articolo  2  e'  prefigurata  non  tanto  con
riferimento  ai  diritti  inviolabili,  quanto   per   aver   imposto
coattivamente ed irragionevolmente un onere di  solidarieta'  ad  una
ristretto numero di ex lavoratori. 
    Il punto centrale che invece configura - ad  avviso  del  Giudice
Unico   -   un   marcato   e   pregnante   profilo    di    possibile
incostituzionalita'  e'  rappresentato   dalla   irragionevolezza   e
soprattutto dalla violazione del principio di uguaglianza, per  avere
il legislatore colpito sotto il profilo reddituale solo i pensionati,
con una norma  di  evidente  natura  tributaria  e  per  fronteggiare
esigenze di ordine generale  (proprie  di  tutta  indistintamente  la
comunita' dei cittadini). 
    E' infatti chiaro che l'asserito "fine perequativo", sancito solo
formalmente, ha rappresentato uno "schermo formale",  superato  dallo
stesso prosieguo della norma, la' dove ha previsto  la  "devoluzione"
al bilancio generale dello Stato delle somme introitate come risparmi
di spesa. 
    Somme definitivamente  trattenute  -  giova  sottolinearlo  -  in
quanto - non e' stato previsto un loro "recupero" ne'  dopo  il  2013
ne' dopo il 2014 
    Le trattenute hanno comportato una vera  e  propria  decurtazione
del trattamento pensionistico per un periodo poliennale, con il  piu'
che fondato rischio di un suo ulteriore prolungamento, considerata la
permanenza dei fattori di criticita' del bilancio dello Stato. 
    Come gia'  evidenziato,  dunque,  i  dubbi  di  costituzionalita'
prendono le mosse dall'impropria  qualificazione  delle  decurtazioni
come "contributo di perequazione", la' dove in realta' ci si trova in
presenza di un vero e  proprio  prelievo  fiscale,  imposto  in  modo
autoritativo , destinato al  bilancio  generale  per  il  risanamento
delle gravi condizioni dell'economia pubblica. Prelievo imposto  -  a
parita' di indice di capacita' contributiva -  solo  ad  un  limitato
numero di soggetti, destinatari di una doppia discriminazione. 
    Il contributo di  perequazione  altro  non  e'  che  una  imposta
speciale transitoria ed eccezionale a  carico  dei  soli  trattamenti
pensionistici corrisposti da enti  gestori  di  forme  di  previdenza
obbligatoria. 
    Il contributo sembra violare il principio di parita' di  prelievo
a parita' di presupposto di imposta economicamente rilevante, secondo
quanto  previsto  dagli  articoli  3  e  53  della  Costituzione.   E
conseguentemente   il    principio    di    modulazione    universale
dell'intervento impositivo. 
    Da  cio'  consegue   l'irragionevolezza   e   l'ingiustizia   del
legislatore  che  ha  posto  a  carico  dei  pensionati  l'onere   di
partecipare al risanamento in modo indifferenziato e in termini  piu'
onerosi rispetto ad altre categorie di contribuenti,  con  redditi  e
condizioni economiche equivalenti o superiori. 
    Si richiama, condividendolo e facendolo proprio, quanto  ritenuto
dal Giudice unico laziale nelle ordinanze di remissione numero  74  e
75 del 2013, secondo  cui  i  principi  costituzionali  di  cui  agli
articoli 3 e 53 della Costituzione risultano violati,  essendo  state
chiamate solo alcune categorie  di  cittadini  (pensionati  non  solo
pubblici) a concorrere al contenimento  della  spesa  pubblica  e  al
risanamento del bilancio pubblico generale. 
    In linea di principio non puo' negarsi che il  risanamento  possa
essere perseguito anche in modo articolato, con modalita'  differenti
per le varie categorie di cittadini, in una visione complessiva delle
politiche di bilancio,  dove  si  valorizzino  tutte  le  conseguenze
macroeconomiche determinate dalle varie tipologie degli interventi di
contenimento della spesa e del risanamento generale. 
    Tuttavia,  la  diversificazione  degli  strumenti  normativi   di
contenimento della  spesa  e  di  risanamento  -  che  rientra  nella
discrezionalita' del legislatore - non puo' mai contrastare o eludere
nella sostanza il principio di ragionevolezza e di uguaglianza. 
    Soprattutto quando non siano neppure presenti delle  eccezionali,
straordinarie  e  contingenti  ragioni  che  giustifichino  i  regimi
differenziali e le loro "diseguaglianze" 
    Infatti le decurtazioni pensionistiche sono previste  dall'agosto
2011  al  dicembre  2014  (con  il  probabile  rischio  di  un   loro
prolungamento), non potendo pertanto considerarsi  "straordinarie"  o
"contingenti", anche perche',  come  gia'  evidenziato,  applicate  a
soggetti obiettivamente con una aspettativa di vita piu' limitata  (e
cio' vale ancora di piu' per i magistrati in considerazione del  loro
ritardato collocamento in quiescenza rispetto ad altre  categorie  di
dipendenti pubblici) 
    Il comma 22-bis ha valorizzato  come  parametro  rigido  per  gli
interventi di risanamento il "reddito pensionistico". Ed  e'  proprio
con riferimento a tale parametro che si ritiene essersi  attualizzato
il "vulnus" costituzionale. 
    Una  volta  infatti  centralizzato   l'intervento   sul   reddito
pensionistico e ritenuto che i cittadini  titolari  di  redditi  piu'
elevati dovessero maggiormente essere onerati del peso risanatore, il
legislatore non  poteva  diversificare  le  posizioni  dei  cittadini
titolari delle medesime posizioni di capacita' contributiva. 
    Invece il comma 22-bis - come  ritenuto  dal  Giudice  rimettente
laziale  -  sembra  aver  violato  l'articolo  3  della   Carta   che
"stabilisce il principio di uguaglianza e quindi anche di uguaglianza
tributaria, in ordine alla quale la  giurisprudenza  della  Corte  e'
risalente   nell'affermare   che   a   situazioni   uguali    debbono
corrispondere  uguali  regimi  impositivi   e   che   per   capacita'
contributiva, ai sensi dell'articolo  53  della  Costituzione,  debba
intendersi l'idoneita'  del  soggetto  all'obbligazione  di  imposta,
desumibile dal presupposto economico al quale la prestazione  risulta
collegata, il che impone di verificare se sussista uguaglianza fra le
situazioni da sottoporre a confronto: nella specie, da  una  parte  i
pensionati e dall'altra le diverse categorie di contribuenti" 
    In  questa  sede  deve   evidenziarsi   che   la   posizione   di
diseguaglianza  che  rileva  e'  quella  fra  i  pensionati  con   un
trattamento superiore a 90.000 euro (e, a seguire, a 150.000 euro e a
200.000 euro)  e  gli  altri  cittadini  con  la  medesima  capacita'
contributiva i primi sono tenuti  ad  una  imposizione  supplementare
rispettivamente del 5%, del 10% e del 15%  del  loro  trattamento;  i
secondi a nessuna imposizione supplementare. 
    La diseguaglianza e' poi destinata ad aggravarsi dopo l'ulteriore
soglia  dei  300.00  euro,  allorche'  i   pensionati   sono   tenuti
all'imposta (contributo di perequazione) del 15%,  mentre  tutti  gli
altri cittadini sono tenuti ad un contributo di solidarieta' del  3%.
Come  precisato,  tale  ulteriore  diseguaglianza  non  puo'   essere
riferita al caso di specie,  posto  che  nessuno  dei  ricorrenti  ha
materialmente  superato  questa   soglia.   Tuttavia   anche   questa
"discriminazione"  e'  indice  di  un  sistema  normativo  con  serie
criticita' in ordine alla razionalita', al rispetto del principio  di
uguaglianza, al pieno rispetto dei valori costituzionali. 
    I rappresentati dubbi  di  possibile  incostituzionalita'  escono
rinforzati anche dalla lettura  di  due  precedenti  ordinanze  della
Corte medesima, la numero 22 del 2003 e la 160 del 2007. 
    In entrambi i casi, la Corte si e'  occupata  del  contributo  di
solidarieta' previsto all'articolo 37 della legge n. 488/99. 
    Tale norma aveva previsto che, dal gennaio 2000, per  un  periodo
di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici  corrisposti
da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie  complessivamente
superiori al massimale annuo di cui all'art. 2 comma 18 della legge 8
agosto 1995 n. 335 fosse dovuto un "contributo di solidarieta'" nella
misura del 2%. 
    La  questione  di   incostituzionalita'   e'   stata   dichiarata
manifestamente infondata dall'ordinanza nr. 22  sul  presupposto  che
"la norma censurata e' volta a realizzare un circuito di solidarieta'
interna   al   sistema   previdenziale,    evitando    la    generica
fiscalizzazione del prelievo contributivo effettuato" 
    Con l'ordinanza n, 160/2007 fa Corte costituzionale e' tornata ad
occuparsi della medesima norma,  confermando  sostanzialmente  quanto
stabilito   in    precedenza    e    dichiarando    di    conseguenza
l'inammissibilita'  dell'ulteriore   deferimento.   Appare   evidente
l'essenziale differenza fra il  contributo  di  solidarieta'  del  2%
previsto  dall'articolo  37  della   legge   n.   488/99   e   quello
"perequativo" di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del decreto legge
n. 98/2011. Nel primo caso  il  contributo  ha  avuto  una  effettiva
funzione volta a "realizzare un circuito di solidarieta'  interna  ai
sistema  previdenziale,  evitando  la  generica  fiscalizzazione  del
prelievo contributivo effettuato". 
    Nel secondo caso - quello rilevante nella presente sede -  si  e'
concretizzata una finalizzazione opposta, in quanto, come piu'  volte
osservato, le  entrate  conseguenti  ai  risparmi  di  spesa  per  le
decurtazioni pensionistiche sono  andate  a  confluire  nel  bilancio
indifferenziato, con  la  correlata  attribuzione  alla  norma  della
qualita' di "natura tributaria". 
    Per quanto sopra esposto, ai sensi dell'articolo 23 secondo comma
della legge n. 87 del 1953, appare  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dei  comma
22-bis dell'articolo 18 del  decreto  legge  6  luglio  2011  n.  98,
convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111,  come
successivamente novellato dall'articolo 24 , comma 31-bis del decreto
legge 6 dicembre 2011 n.  201,  convertito  con  modificazioni  dalla
legge 22 dicembre 2011 n. 214, la cui vigenza e' stata solo ribadita,
senza nulla innovare, dall'articolo 2 comma 1 del  decreto  legge  13
agosto 2011 n.  138  convertito  con  modificazioni  dalla  legge  14
settembre 2011 n. 148, per contrasto con gli  articoli  2,  3,  e  53
della Costituzione.