LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Terza sezione penale Composta da: Claudia Squassoni - Presidente Luigi Marini - Relatore Vito Di Nicola Chiara Graziosi Aldo Aceto ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da CLARK Stephen, nato a il // in qualita' di legale rappresentante del "J. P. Getty Trust" avverso l'ordinanza del 28/2-3/5/2012 del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Pesaro che, quale giudice chiamato a decidere ex art. 667, comma 4, cod. proc. pen. sulla opposizione mossa all'ordinanza emessa il 10/2/2010 dallo stesso Ufficio quale giudice dell'esecuzione, ha respinto la richiesta di revoca della confisca della statua bronzea denominata "L'atleta vittorioso" attribuibile all'artista greco Lisippo e attualmente collocata in California (USA) presso il Getty Museum; Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; Udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini; Lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso; Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 3 maggio 2012 (ud. 28 febbraio 2012) il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Pesaro, quale giudice chiamato a decidere ex art. 667, comma 4, cod. proc. pen. sulla opposizione mossa all'ordinanza emessa il 10 febbraio 2010 dallo stesso Ufficio quale giudice dell'esecuzione, ha respinto la richiesta di revoca della confisca della statua bronzea denominata "L'atleta vittorioso" attribuibile all'artista greco Lisippo e attualmente collocata in California (USA) presso il Getty Museum. Il Giudice delle indagini preliminari ha emesso l'ordinanza qui impugnata al termine dell'udienza tenuta il 28 febbraio 2012 con le forme dell'art. 127 cod. proc. pen. alla presenza delle parti interessate provvedendo in conformita' della decisione con cui questa Corte aveva qualificato come atto di opposizione in fase esecutiva il ricorso proposto dal sig. Clark avverso l'ordinanza del Giudice delle indagini preliminari in data 10 febbraio 2010 sopra richiamata. 2. I fatti che hanno condotto alla emanazione del provvedimento impugnato sono dettagliatamente riportati nel provvedimento stesso, nella precedente ordinanza del 10 febbraio 2010, nell'atto di ricorso e nello scritto, qualificato "controricorso", che l'Avvocatura generale dello Stato nell'interesse del Ministero per i beni e le attivita' culturali ha depositato in data 30/7/2012 presso il Tribunale, di Roma e che e' pervenuto al Tribunale di Pesaro in data 6/8/2012. 3. Questo autorizza la Corte a una piu' sintetica esposizione della vicenda nel termini che seguono; - la statua in bronzo fu agganciata in acqua con le reti da alcuni pescatori a bordo di due motopescherecci (comandati dai sigg. Pirani e Ferri) nell'estate del 1964,e quindi portata a terra presso il porto di Fano senza essere denunciata alle autorita' competenti e i nascosta presso l'abitazione del sig. Felici, amico di Ferri, in Carrara di Fano; - ceduta ai sigg. Barbetti, antiquari, la statua fu trasferita a Gubbio e nascosta presso l'abitazione di un sacerdote, Giovanni Nagni, fino ai mese di maggio 1965; nel frattempo, infatti, nel mese di aprile 1965 era pervenuta ai Carabinieri la notizia di un viaggio dei sigg. Barbetti in Germania per vendere una statua di valore ed erano state poco dopo eseguite inutilmente attivita' di perquisizione domiciliare in danno dei presunti possessori; - le indagini in corso ad opera della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia ipotizzavano a carico dei sigg. Pietro Fabio e Giacomo Barbetti e del sacerdote Giovanni Nagni il reato di ricettazione in relazione al reato ex art. 67 della legge n. 1089 del 1939; - il procedimento instaurato si concluse con l'assoluzione di tutti gli imputati ad opera del Tribunale di Perugia e con la successiva condanna ad opera della Corte di appello di Perugia, sull'impugnazione del Pubblico ministero, per i reati di ricettazione (sigg. Barbetti) e favoreggiamento (sig. Nagni). Sull'impugnazione delta parti private la Corte di Cassazione annullo' la sentenza con rinvio alla Corte di appello di Roma che, con sentenza dell'8/11/1970, definitivamente assolse gli imputati per assenza di prove del reato ex art. 67 della legge n. 1089 del 1939, reato presupposto dell'ipotesi di ricettazione. Secondo i giudici dell'appello difettavano le prove circa la materialita' dei fatti (natura del reperto e luogo di rinvenimento); - nel frattempo, nel periodo maggio-giugno 1965 la statua era stata ceduta ad altra persona, verosimilmente di Milano e se ne persero le tracce; - secondo le dichiarazioni in atti, la statua fu vista nel 1972 in Monaco di Baviera presso l'antiquario Heinz Herzer e nel 1973 i Carabinieri ebbero in Monaco diretta conferma della circostanza, ma non poterono ne' visionare la statua ne' acquisirne una immagine; - sulla base di tali elementi la Pretura di Gubbio iscrisse nel registro notizie di reato un nuovo procedimento rubricato sotto il reato di esportazione clandestina di opere d'arte e quindi dette corso ad attivita' rogatoriale che le autorita' di Monaco di Baviera non accolsero in quanto il reato ipotizzato non era incluso fra quelli che potevano dare origine ad estradizione; con la conseguenza che le medesime autorita' germaniche nel corso del 1974 disposero l'archiviazione dei procedimento avviato e restituirono il sig, Heinz Herzer nella piena disponibilita' dell'opera; - nel frattempo i Carabinieri avevano acquisito le dichiarazioni di un commerciante di Imola, Renato Merli, che nel 1964 aveva visionato la statua presso coloro che l'avevano rinvenuta in mare ed era stato a conoscenza della successiva vendita al sigg. Barbetti. Acquisita da Merli una fotografia della statua ancora coperta delle concrezioni marine, ricevute da lui le indicazioni sui soggetti coinvolti e sentiti i comandanti dei due motopescherecci, i Carabinieri ebbero notizia da questi che la stauta era stata rinvenuta poco a largo di Pedaso (Ascoli Piceno); - sulla base delle nuove attivita' rogatoriali ordinate, l'autorita' giudiziaria di Gubbio ricevette informazioni sul fatto che la statua era stata ceduta nel 1974 dal sig. Heinz Henzer alla societa' "Artemis" di Lussemburgo tramite la filiale di questa, "David Carritt Ltd", di Londra; - sulla base di ulteriori indagini svolte presso il Paul Getty Museum, ove la statua era nel frattempo pervenuta, nei marzo del 1978 i Carabinieri informarono l'autorita' giudiziari di Gubbio che la statua aveva fatto ingresso in territorio statunitense tramite il porto di Boston con bolletta datata 15/8/1977 spedita dalla societa' Artemis; la statua era rimasta per un breve periodo al Museo delle Belle Arti di Boston, quindi trasferita al Museo di Denver (Colorado) e finalmente al Paul Getty Museum di Malibu'; - la sostanza di tali notizie fu confermata alle autorita' britanniche dal sig. David Carritt che, dopo avere precisato di non essere in possesso di alcuna documentazione, riferi' che dopo l'acquisto della statua questa fu inviata da Artemis per il restauro "al Museo - Antichita' Classiche di Monaco, dove rimase circa due anni, e quindi riportata a Londra a seguito dell'avvio di trattative col sig. Paul Getty fino a che il Getty Museum provvide all'acquisto e nell'agosto 1977 fece arrivare la statua In Usa attraverso il porto dl Boston; - dopo che le autorita' inglesi (non avendo la Gran Bretagna aderito alla Convenzione Unesco del 1970) e quelle statunitensi (ritenuti carenti i requisiti legali) avevano rigettato le ulteriori istanze rogatoriali, il Pretore di Gubbio con provvedimento del 25 novembre 1978 dispose non luogo a procedere in ordine ai fatti di illecita esportazione del reperto artistico per essere rimasti ignoti gli autori del reato; - sulla base di nuove informazioni nel corso dell'anno 2007 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro dette corso a un nuovo procedimento (n. 2042/07 R. G. N. R.) in cui si Ipotizzavano a carico dei sigg. Pirani e Ferri e dei sigg. Pietro, Fabio e Giacomo Barbetti i reati previsti dall'art. 110 cod. pen., in relazione all'art. 66 della legge n. 1089 del 1939 (come da ultimo modificato dall'art. 174 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), art. 483 cod. pen. o artt. 482, 476 cod. pen. e, a carico dei soli Pirani e Ferri, i reati previsti dagli artt. 510, 511 e 1146 Codice Navigazione, artt. 46-68 della legge n. 1089 del 1930 e art. 97 e seguenti della legge n. 1424 del 1940; - sempre nel corso del 2007 il Pubblico ministero nel richiedere l'archiviazione del procedimento, risultando i reati estinti e prescrizione, ha chiesto al Giudice delle indagini preliminari la confisca della statua in relazione al disposto dell'art. 66 della legge n. 1089 del del 1939 e delle norme in tema di contrabbando; - con decreto in data 19 novembre 2007 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Pesaro ha disposto l'archiviazione del procedimento per essere tutti i reati coperti da prescrizione; in tale contesto ha respinto la richiesta di confisca della statua in quanto gli attuali possessori della stessa, e cioe' i responsabili del Getty Museum, debbono essere considerati estranei al reato ex art,66, citato; - avverso tale ultima pronuncia il Pubblico ministero ha proposto incidente di esecuzione ex artt. 676 e 667, comma 4, e 666 cod. proc. pen. e il Giudice delle indagini preliminari, integrato, il contraddittorio fra le parti interessate, ha ordinato con provvedimento del 10 febbraio 2010 la confisca della statua "ovunque essa si trovi"; - l'ordine di confisca, come si e' detto in premessa, e' stato impugnato dai sig. Stephen Clark mediante ricorso avanti la Corte Suprema di Cassazione, che con la sentenza del 18 gennaio 2011 ha qualificato il ricorso come opposizione ex art. 667, comma 4, cod. proc. pen. e disposto la trasmissione al Giudice delle indagini preliminari dei Tribunale di Pesaro; - questi, integrato il contradditorio, ha acquisito la documentazione prodotta e sentito lo stesso sig, Clark, e quindi all'udienza del 28 febbraio 2012 ha riservato la decisione; l'ordinanza che dispone la confisca del bene e' stata depositato in data 3 maggio 2012; - va ricordato che sia prima sia successivamente agli avvenimenti che condussero al decreto di archiviazione del 19 novembre 2007 i Carabinieri hanno proseguito nell'attivita' di ricostruzione dei fatti relativi al rinvenimento e alla esportazione della statua e con informativa del 27 novembre 2007 hanno riferito che, sulla base di articoli di stampa e di una intervista televisiva resa da Thomas Hoving nel 1979, avevano provveduto ad assumere informazioni presso lo stesso Hoving, all'epoca direttore del Metropolitan Museum di New York, e dall'arch. Stephen George Garrett, vice direttore del Getty Museum. Dalle relative dichiarazioni i Carabinieri hanno in tal modo ricostruito i termini essenziali della trattativa e le perplessita' circa la regolarita' della esportazione della statua dall'Italia che avevano trattenuto dall'immediato acquisto Paul Getty Sr. (deceduto poco prima che la Getty Foundation perfezionasse l'acquisto per circa 3,9 milioni di Dollari statunitensi); I Carabinieri hanno altresi' fornito informazioni circa i termini della missiva scritta dallo stesso Hoving a David Carritt di Artemis il 23 giugno 1973 e della successiva missiva del 26 giugno 1973 da Hoving scritta a Paul Getty anche con riguardo all'incarico che il Metropolitan Museum aveva affidato a un legale affinche' acquisisse presso le autorita' italiana i provvedimenti di autorizzazione ritenuti necessari per perfezionare l'acquisto (le due missive sono state acquisite e tradotte nell'ambito della procedura esecutiva oggi in esame); - sempre nella medesima informativa i Carabinieri danno atto che secondo il sig. Hoving le resistenze del sig. Heinz Herzer a dare risposta positiva alle proposte di acquisto nascevano dalla sua impossibilita' di fornire la documentazione relativa alla provenienza della statua; - ulteriore documentazione sulla trattativa e sulla posizione dei responsabili del "The J.P. Getty Trust" che deliberarono l'acquisto dopo la morte di Paul Getty Trust" (posizione che, anche sulla base dei pareri espressi nel tempo dai due legali della Artemis incaricati di verificare le modalita' di esportazione, assume la regolare provenienza della Statua e l'assenza di pretese da parte dello Stato italiano) e' stata prodotta in atti dalla Difesa del ricorrente e ulteriori elementi sono stati acquisiti dal Giudice all'udienza camerate del 21/12/2009 mediante l'assunzione delle dichiarazioni di Stephen W. Clark, legale rappresentante del Trust citato (si vedano pag. 13 e 14 dell'ordinanza impugnata). 4. Sulla base delle premesse in fatto cosi' sintetizzate, l'ordinanza del 3 maggio 2012 ha respinto l'opposizione avanzata dal sig. Clark mediante una serie di passaggi argomentativi che e' possibile sintetizzare come segue: - il riconoscimento della prescrizione del reato di contrabbando non fa venir meno l'obbligo per il giudice di disporre la confisca del bene oggetto di reato (Sez. Un., n. 38834 del 10/7/2008; Sez. 3, n. 28508 del 13/7/2009), tanto e' vero che nel decreto di archiviazione emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Pesaro il 13 novembre 2007 si legge che la richiesta di confisca viene rigettata in base alla "estraneita' al reato" (reato ex art. 66, citato) del detentore del bene; - nella ipotesi che il provvedimento di merito non accerti la insussistenza dei fatto o l'estraneita' della persona allo stesso, il giudice conserva poteri di accertamento in ordine agli elementi di fatto che presiedono alla decisione sulla confisca; muovendo dalla motivazione di Sez. Un., n. 38834 del 10/7/2008 e dall'ivi affermato potere di accertamento del giudice ai fini di confisca (sul punto richiamando i principi fissati da Corte Cost., sentenza n. 85 del 2006 e sentenze n. 29 del 1961 e 46 del 1964) deve convenirsi con Sez. 1, n. 2453 del 4/12/2008 che al giudice non puo' essere negato il potere di acquisire i necessari elementi di conoscenza; - tale potere, che il giudice dell'esecuzione deve esercitare nei limiti della procedura e dell'accertamento cui mira, e' stato puntualmente esercitato in concreto dal Giudice delle indagini preliminari sia nel contesto della procedura conclusasi con l'ordinanza del febbraio 2010 sia nel contesto della presente procedura di opposizione (si veda l'ordinanza 28 novembre 2011); - sussiste (pag. 17 della motivazione) la giurisdizione dell'autorita' giudiziaria italiana ex art. 6 cod. pen., come correttamente affermato dal Giudice delle indagini preliminari con l'ordinanza del 12 giugno 2009, posto che la statua fu rinvenuta verosimilmente al di fuori delle acque territoriali, importata clandestinamente e quindi illegalmente esportata, cosi' che i reati ipotizzati ai capi b), c), e d) risultano commessi in Italia cosi' come una parte della condotta di illecita esportazione; - non rileva rispetto ai "terzi", quali gli acquirenti statunitensi, che il contratto di acquisto sia stato perfezionato all'estero, posto che la presenza della statua all'estero costituisce elemento integrante il reato contestato e che la valutazione della titolarita' del bene deve essere compiuta - con riguardo al momento della commissione del reato e non a un momento successivo; - la confiscabilita' del bene discende dal testo dell'art. 66 della legge n. 1089 del 1939, che opera un rinvio alla disciplina in tema di contrabbando, e trova conferma nel testo dei successivi art. 123 del d.lgs. n. 490 del 1999 e art. 174 del d.lgs. n. 42 del 2004, che prevedono "la confisca delle cose, salvo che queste appartengano a persona estranea al reato"; - i principi interpretativi invocati dalla difesa (come da Sez. 2, n. 1809 e n. 1386 del 2009) concernono le diverse ipotesi ex artt. 67 e 68 della legge n. 1089 del 1939, mentre In relazione al reato che qui interessa va richiamata la ordinanza di Sez. 3, n. 49438 del 23/12/2009, che ribadisce l'applicabilita' della confisca anche in ipotesi di proscioglimento che non escludano la materialita' dei fatti e in ipotesi di estinzione del reato per prescrizione; - nessun dubbio sussiste sulla natura del bene oggetto di esportazione, trattandosi di bene per legge appartenente allo Stato (art. 826 cod. civ.) e non suscettibile di proprieta' in capo al privato se non nei limitati casi previsti, cosi' non operando gli istituti civilistici ex artt. 1153 o 1161 cod. civ. (sul punto si vedano Sez. 1, civile, n. 2995 dei 10/2/2006 e con riferimento al reato ex art,176 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Sez. 3, n. 41070 del 11/11/2011 e Sez. 4, n. 12618 del 5/4/2005); principi che operano con riguardo ai beni archeologici che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato (Sez. Un. civili, n. 898 del 6/4/1966; Sez. 1, civile, n. 4260 del 7/4/1992); - quanto ai diritti del possessore o titolare del bene illegalmente esportato, la sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 14/1/1987 e la successiva legge n. 88 del 1988 hanno fissato la regola di tutela che esclude la confiscabilita' nella ipotesi che la persona "non sia l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto". L'interpretazione del concetto di "terzo estraneo al reato" e' stata fissata con la sentenza di Sez. 3, n. 22030 del 12/2/2003, Pludwinski con riferimento ai limiti ex art. 127 del d.lgs. n. 490 del 1999 (ora art. 178 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), operando una lettura restrittiva dei limiti comportanti una deroga alla regola di obbligatorieta' della confisca, cosi' che per i beni intrinsecamente non commerciabili la proprieta' non e' acquisibile da privati neppure in ipotesi di acquistoin "buona fede"; - in ogni caso, nella condotta dei titolari dei Getty Museum non puo' ravvisarsi alcuna buona fede, essendo emerso con chiarezza che l'acquisto e' stato effettuato nonostante i dubbi sulla liceita' dell'esportazione manifestati dal sig. Paul Getty Sr., nonostante - l'assenza di vailda documentazione, nonostante si sia omesso di interessare le autorita' italiane al fine di verificare l'esistenza di autorizzazioni, mai prodotte dal venditore (sul punto si veda pag. 15 dell'ordinanza 10 febbraio 2010 e l'ampia disamina dell'ordinanza 3 maggio 2012 alle pagine 29 e ss.); - non sussistono quindi ragioni per prospettare alla Corte EDU la questione pregiudiziale sollecitata dalla difesa. 5. Avverso tale decisione gli avv. Emanuele Rimini e Alfredo Gaito nell'interesse del sig. Stephen Clark, quale legale rappresentante del J. P. Getty Trust, hanno depositato in data 30 maggio 2012 atto di ricorso col quale, dopo una "premessa ricostruttiva necessaria" (pagg. 2-5) in sintesi lamentano: a. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. a causia dell'illegittimita' della procedura svoltasi, nonostante l'espressa richiesta di celebrazione in pubblica udienza, con rito camerate, cosi' incorrendo il giudice nella violazione del principi fissati dalla Corte EDU, tra l'altro, con le sentenze 13/11/2007, Bocellari e Rizza c/ Italia e 13/7/2012, Lorenzetti c/ Italia; b. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. per avere il giudice omesso di pronunciare la propria decisione "subito" dopo la discussione dell'ultimo difensore, cosi' violando l'art. 424 in relazione all'art. 525 cod. proc. pen. ; c. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. con riguardo al mancato riconoscimento di una preclusione processuale invocata anche in sede di memoria per avere il Giudice delle indagini preliminari con l'ordinanza del febbraio 2010 accolto la richiesta di confisca avanzata dal Pubblico ministero in sede esecutiva dopo che il giudice del merito aveva respinto analoga richiesta; tale ultima decisione avrebbe dovuto impedire ai giudice dell'esecuzione di tornare a pronunciare sul punto. Il principio fissato da Sezioni Unite con la sentenza n. 5307/2008, ud. 20/12/2007, Battistella, con riferimento all'art. 240, comma 2, cod. pena non puo' non operare anche per le altre ipotesi di confisca obbligatoria e comporta che il giudice dell'esecuzione possa ordinare la misura ablativa solo nella ipotesi che il giudice del merito (e tale va qualificato il giudice dell'archiviazione) abbia omesso di pronunciare. Nel caso, in esame, avendo Pubblico ministero omesso di impugnare il provvedimento di archiviazione nella parte in cui rigettava motivatamente la richiesta di confisca del bene, si e' in presenza di provvedimento non piu' impugnabile e non modificabile in sede esecutiva; d. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. con riguardo alla mancata ammissione e assunzione di prove "richieste dalla difesa (memoria 13/7/2011) e non accolte dal Giudice delle indagini preliminari (ordinanza 28/11/2011) in violazione dell'art. 111, comma 4, Costituzione e dell'art. & CEDU e dei principi in tema di riforma della decisione in senso sfavorevole alla parte privata (Corte EDU, sentenza 5/7/2011, Dan c/ Moldavia). Si osservi, poi, che gli elementi di prova introdotti con memorie del Pubblico ministero e dell'Avvocatura generale dello Stato sono stati assunti in procedimenti diversi e comunque in sedi cui la difesa del ricorrente non ha potuto partecipare ne' interloquire; e. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. per avere il giudice omesso di avanzare la questione pregiudiziale richiesta dalla difesa (memoria del 28/2/2012) in ordine alla possibilita' di disporre la confisca nei confronti del terzo a fronte di una ipotesi di reato prospettata dal Pubblico ministero ma non verificata nel contraddittorio; f. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. per avere il Giudice delle indagini preliminari esteso il contraddittorio a parti estranee al procedimento penale, e cioe' alla associazione "Le Cento Citta'" e alla Avvocatura dello Stato, che sono portatori di interessi non tutelabili in sede esecutiva; g. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. e vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, lett. e) cod. proc. pen. con riferimento alla sussistenza di giurisdizione dell'autorita' giudiziaria italiana e con riferimento alla competenza dell'aurtorita' giudiziaria di Pesaro: il rinvenimento in acque internazionali rendeva il possesso legittimo in capo a chi lo opero' e sollevo' non un profilo di appartenenza del bene al patrimonio indisponibile dello Stato (che avrebbe operato se il rinvenimento fosse avvenuto nel sottosuolo o su fondali di acque territoriali italiane), bensi' un profilo di comunicazione del rinvenimento alle autorita' italiane ai fini previsti dall'art. 42 della legge n. 1089 del 1938. Il diverso approccio a questi profili da parte dell'ordinanza del 10/2/2010 (che ipotizzo' il rinvenimento in acque territoriali italiane) e dell'ordinanza del 3/5/2012 (che sembra accogliere l'ipotesi opposta) e l'assoluta carenza di motivazione della seconda ordinanza in ordine ai rilievi formulati dalla difesa sulla natura del bene e la sua commerciabilita' comportano un vizio radicale del provvedimento impugnato (si vedano le pagine 24-30 anche con riferimento alla acquisizione del bene al Getty Museum a seguito di usucapione ventennale); h. vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, lett. e) cod. proc. pen. con riferimento all'elemento della legittimita' dell'acquisto anche sotto il profilo soggettivo, posto che la motivazione nella sostanza rinvia alle argomentazioni contenute nella ordinanza del febbraio 2010 e non esamina l'ampia allegazione della difesa del ricorrente concernente la legittimita' della procedure di acquisto dai titolari tedeschi della statua, anche alla luce della decisione delle autorita' giudiziarie di Germania che restituirono il bene all'avente diritto a dimostrazione della sua piena commerciabilita' e alla luce della circostanza che l'acquisto da parte del museo avvenne quattro anni dopo il provvedimento di archiviazione e restituzione emesso dalle autorita' di Monaco senza che nel frattempo le autorita' italiane avessero intrapreso azioni formali di rivendicazione di diritti sul bene; i. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod. proc. pen. e questione di legittimita' costituzionale in relazione alla disciplina in tema di confisca, e cio' sottoplurimi profili: 1) la decisione di disporre la confisca in sede esecutiva dopo che in sede di merito l'autorita' giudiziaria ha pronunciato assoluzione per alcuni imputati e ordinato l'archiviazione del procedimento aperto nei confronti di altri rappresenta una decisione che viola gli standard minimi del processo equo. Richiamata la sentenza 20/1/2009 della Corte EDU nella causa Sud Fondi ci Italia e richiamata la qualificazione della confisca come "pena" anche per le ipotesi che il diritto interno le attribuisca natura amministrativa (sul punto si veda anche Sez. Un., n. 19/1/2012, Volkswagen Leasing Gbmh); richiamati, altresi', l'art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e l'art. 6 della Convenzione, il ricorrente evidenzia come in assenza dell'esercizio dell'azione penale difettino In radice i presupposti che autorizzano la confisca del bene: il provvedimento di archiviazione rappresenta una decisione di rinuncia all'accertamento (Corte Cost., sent. n. 88 del 1991 e n. 319 del 1993), inibisce il formarsi del contraddittorio fra le parti e risulta incompatibile con la confisca anche nell'ipotesi prevista dall'art. 240, comma 2, cod. pen. (Sez. Un. 15/10/2008, De Maio; Sez. 3 19/5/2009, Costanza; 6/10/2010, Grova e altri). Del resto, che per i beni archeologici non possa parlarsi di cose intrinsecamente illecite e non possa ipotizzarsi l'applicazione dell'art. 240, comma 2, cod. pen. e' principio costantemente affermato dalla giurisprudenza (Sez. 2, 24/4/2009, Cicchetti e altri; 7/4/2009, Crescenzi); 2) vizio di motivazione con riferimento alla condizione del Getty Museum con soggetto estraneo al reato (art. 174, comma 3, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) e alla mancanza dell'elemento della buona fede. Ora, se puo' accogliersi il concetto di estraneita' fissato da Sez. 3, 12/2/2003, Pludwinski (si veda anche Corte Cost., n. 2 del 1987), non vi e' dubbio che nessun collegamento e nessun vantaggio il Getty Museum ha tratto dai reati asseritamente commessi in Italia e in sede di esportazione, altri essendo i beneficiari di tali condotte, cosi' che il successivo acquisto non puo' connotarsi di rimproverabilita', in tal senso deponendo la convincente motivazione resa dal Giudice delle indagini preliminari nel respingere la richiesta di confisca avanzata dal Pubblico ministero in sede di archiviazione; 3) vizio dl motivazione con riferimento al concetto di "appartenenza" come affrontato dal Giudice delle indagini preliminari, posto che il requisito della "buona fede" non e' richiesto dalla legge e che risulta errata la motivazione dell'ordinanza allorche' afferma che in assenza di tale requisito non puo' aversi legittima titolarita' di un bene che il giudice qualifica come "assolutamente non commerciabile". Tale impostazione erra nell'escludere che un bene Inalienabile" possa appartenere al privato acquirente: il concetto di "appartenenza" si lega alla situazione di fatto e non alle forme di acquisizione. Quanto al requisito della "buona fede", il ricorrente non ignora l'approdo cui le Sezioni Unite sono giunte con la sentenza Bacherotti (n. 9 del 28/4/1999) e l'esigenza ivi affermata che il possessore del bene non abbia alcun collegamento con i fatti di reato o, se tale collegamento sussiste, possa far valere un "affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza che rende scusabile l'ignoranza o il difetto di diligenza"; 4) sussistenza, ove tate impostazione non venga accolto, di un contrasto delle disposizioni contenute negli artt. 676 cod. proc. pen. e 174 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 con quelle contenute negli artt. 3, 25, 27, 42, 111 e 117 Cost. in relazione all'art. 7 CEDU e all'art. 1 del Protocollo n. 1, citato. 6. Con atto depositato in data 30/7/2012 l'Avvocatura generale dello Stato nell'interesse del Ministero per i beni e le attivita' culturali ha presentato "controricorso", con li quale, contestate le censure in rito avanzate dal ricorrente, ha prospettato una questione di inammissibilita' del ricorso e questioni di infondatezza dei motivi processuali e sostanziali. 7. Le argomentazioni prospettate dall'Avvocatura generale dello Stato sono state oggetto di critica da parte del ricorrente mediante il deposito di "Note illustrative", Lo stesso ricorrente ha quindi depositato "Note di replica alla requisitoria del P. G. " con le quali ha censurato gli argomenti prospettati dalla Procura generale della Repubblica presso questa Corte con la richiesta di rigetto del ricorso formulata in data 7/8/2013. 8. Il ricorso, assegnato per la trattazione nelle forme dell'art. 611 cod. proc. pen. alla udienza del 7/5/2014 e' stato rinviato per la decisione alla odierna udienza con ordinanza redatta a verbale. Considerato in diritto 1. La complessa vicenda processuale, che occupa nelle diverse forme un arco temporale di oltre quaranta anni, viene all'attenzione di questo collegio per valutare la assoggettabilita' a confisca di un bene che, rinvenuto sui fondali marini nell'estate del 1964, fu esportato in epoca anteriore al 1972 in territorio tedesco con modalita' che i giudici del merito e dell'esecuzione hanno ritenuto chiaramente illecite e quindi oggetto di ulteriori trasferimenti fino all'odierna destinazione presso il "Getty Museum" in territorio statunitense. 2. Le modalita' di esportazione dal territorio italiano vanno considerate illecite, secondo quei giudici, sia che il reperto archeologico sia stato rinvenuto e tratto a bordo del pescherecci in acque territoriali italiane (ipotesi fatta propria negli iniziali giudizi) sia che, invece, cio' risulti avvenuto in acque internazionali e il reperto sia stato successivamente introdotto in territorio italiano con modalita' contrarie alle disposizioni di legge vigenti (ipotesi ritenuta verosimile con il provvedimento di archiviazione dell'anno 2007). E la consapevole illiceita' della condotta dei privati coinvolti nel rinvenimento, nell'occultamento e nella esportazione clandestina della statua risulta accertata dalle decisioni successive a quella della Corte di appello di Roma che con la sentenza dell'8 novembre 1970, ritenne non sufficienti le prove sulla natura effettiva del reperto e sulla coincidenza fra il bene rinvenuto in mare e quello presente presso la sede di un antiquario di Monaco di Baviera. 3. Cio' che oggi si chiede a questa Corte e' di valutare la legittimita' della decisione con cui il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Pesaro, quale giudice dell'esecuzione, ha ordinato la confisca della statua accogliendo la domanda del Pubblico ministero che chiedeva di modificare la diversa decisione adottata dal Giudice delle indagini preliminari in sede di decreto di archiviazione. 4. Il ricorso proposto dal sig. Clark in data 30 maggio 2012 si dirige avverso l'ordinanza adottata - in sede di reclamo contro l'ordinanza del 15 gennaio 2010 - dal giudice dell'esecuzione in data del 28 febbraio 2012 e depositata in data del 3 maggio 2012, nonche' nei confronti della precedente ordinanza depositata il 28 novembre 2011 con la quale lo stesso giudice ha respinto le questioni preliminari anche di nullita' che erano state proposte dalla difesa in data 13 luglio 2011. 5. Prima di passare all'esame del motivi di ricorso occorre rilevare che il giudizio svoltosi in sede di esecuzione- secondo le forme camerali previste dagli artt. 665 e seguenti cod. proc. pen. costituisce l'unica sede nelle quali le persone e i soggetti interessati dalla destinazione del bene in sequestro hanno potuto esporre le proprie ragioni. Infatti, e' solo nel corso della procedura esecutiva che l'Avvocatura generale dello Stato nella sua funzione di rappresentanza dei Ministero competente e il sig. Clark nella sua veste di legale rappresentante del "J. P. Getty Trust" hanno assunto la veste di parti del giudizio. E' pacifico, poi, che il sig. Clark e' rimasto dei tutto estraneo alla fase delle indagini preliminari conclusasi con il provvedimento di archiviazione del 19 novembre 2007 emesso nel procedimento penale avviato contro altri e nel cui ambito il giudice respinse la richiesta dei Pubblico ministero In ordine alla confisca del bene. 6. Il ricorso proposto nell'interesse del sig. Clark, le memorie presentate dall'Avvocatura dello Stato e le conclusioni del Procuratore generale propongono alcune questioni processuali che devono essere affrontate in via preliminare. 6. 1. La prima questione riguarda la ritualita' del ricorso Clark che si assume essere stato proposto in proprio e non quale legale rappresentante della societa' statunitense detentrice della statua in oggetto. La Corte ritiene che la questione sollevata dall'Avvocatura dello Stato non meriti accoglimento. Il ricorso proposto dall'odierno ricorrente avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione del 15 gennaio 2010, fu ritenuto legittimamente presentato da parte di questa Corte allorche' con sentenza del 18 gennaio 2011, n. 6558/11 qualifico' l'impugnazione quale opposizione ai sensi dell'art. 667, comma 4, cod. proc. pen. e dispose restituirsi gli atti al Tribunale di Pesaro per li giudizio che si e' concluso col provvedimento oggetto del presente giudizio. Osserva, poi, che il ricorso presentato dagli avv. ti Rimini e Gaito, muniti di procura speciale, in data 30 maggio 2012 e' stato proposto "nell'interesse dei sig. Stephen Clark, legate rappresentante del J. P. Getty Trust" e che il tema ha formato oggetto di convincenti decisioni del giudice dell'esecuzione. 6. 2. Le difese del ricorrente hanno eccepito la non ritualita' della partecipazione ai giudizio esecutivo dell'Avvocatura dello Stato, che il giudice avrebbe erroneamente ammesso. Il tema si lega alla natura dell'accertamento che il giudice dell'esecuzione e' chiamato a effettuare allorche' vengono in gioco provvedimenti che incidono su diritti che in sede di accertamento hanno trovato una soluzione che deve essere ripensata o corretta. Soccorre sul punto la ricostruzione operata da questa Corte con la sentenza n. 28508 del 2009 (Sez. 3, ud. 4/6/2009, Vedani) che ha ritenuto che l'incidente di esecuzione e il giudizio di opposizione ex artt. 676 e 667, comma . 4, cod. proc, pen. siano la sede che garantisce il contraddittorio fra le parti e, dunque, "sedi processuali adeguate a fronte della "fluidita'" e della provvisorieta' che caratterizzano i provvedimenti di archiviazione - per contestare a possibilita' di disporre la confisca obbligatoria, essendo possibile in tale sede dare prova dell'inesistenza del nesso materiale fra la cosa di cui e' stata disposta la confisca e il reato ovvero della estraneita' al reato medesimo, nei limiti previsti dalla legge, del soggetto cui la cosa appartiene". La circostanza che la procedura di esecuzione costituisca la sede ove puo' essere operato ogni accertamento resosi necessario per valutare la domanda introdotta con l'incidente di esecuzione va esaminata alla luce dei principi che questa Corte ha fissato con riferimento all'ampiezza dell'accertamento che li giudice puo' compiere allorche' deve valutare l'eventualita' di confisca in presenza di una sentenza di proscioglimento o di un provvedimento di archiviazione. Con sentenza n. 2453/2009, udienza del 4/12/2008, Squillante e altro, la Sez. 1 ha statuito che, "considerata l'evoluzione della legislazione in materia e la sempre piu' ampia utilizzazione dell'Istituto della confisca al fine di contrastare i piu' diffusi fenomeni di criminalita', si puo' affermare che, in caso di estinzione del reato, il riconoscimento al giudice di poteri di accertamento al fine dell'applicazione della confisca medesima non possono dirsi necessariamente legati alla facilita' dell'accertamento medesimo" e puo' quindi riguardare anche le cose "che sono considerate (criminose) per il loro collegamento con uno specifico fatto criminoso". Cosi' fissata l'estensione della procedura di esecuzione e del relativo accertamento, non vi e' dubbio che in caso di deliberazione in tema di confisca di cose non appartenenti all'autore o presunto autore dell'illecito il giudice debba consentire la partecipazione di tutti i soggetti interessati a lui noti. Depone in tal senso la previsione del comma 1 dell'art. 127 cod. proc. pen., disposizione che fissa le regole generali del procedimento camerale e che risponde in modo perfetto alle esigenze dell'accertamento cui e' chiamato il giudice dell'esecuzione che deve trattare ex art. 676 cod. proc. pen. materia diversa dall'esecuzione della sentenza nei confronti del condannato. L'art. 127, comma 1, citato prevede che il giudice dia avviso dell'udienza "alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori"; tutti costoro hanno quindi diritto alla comunicazione o notificazione del provvedimento e possono proporre ricorso per cassazione. Sulla base dei principi che precedono appare incontestabile che il rappresentante del Ministero competente avesse diritto di essere considerato parte o soggetto interessato. La questione posta dal Pubblico ministero con l'incidente di esecuzione, infatti, mira a confiscare un bene che si sa essere in possesso dei detentore estero e che viene rivendicato dallo Stato in quanto bene indisponibile o, comunque, in quanto bene illegalmente esportato e meritevole di essere reintegrato nel patrimonio statale. Ed e' proprio la complessiva disciplina in tema di esportazione e commercio di opere d'arte o di valore archeologico che individua nel competente Ministero l'autorita' che puo' agire anche in sede internazionale per la restituzione dell'opera. 6. 3 La terza questione, sollevata dalla difesa del ricorrente, riguarda la esistenza di una preclusione processuale che deriverebbe dalla decisione adottata in tema di confisca da parte del provvedimento di archiviazione. La questione e' infondata. Va rilevato, sotto un primo profilo, che l'accertamento operato dal giudice in sede di archiviazione e' per sua natura adottato allo stato degli atti, non definito ma suscettibile di cedere a fronte di motivata istanza di riapertura delle indagini. Va rilevato, poi, che eventuali vizi o problematicita' del contenuto della decisione di archiviazione come quelli che hanno condotto alla decisione qui impugnata non sono correggibili con lo strumento del ricorso ai giudice di legittimita', bensi' con richiesta inoltrata dalla parte legittimata ai giudice dell'esecuzione. Il provvedimento di archiviazione, infatti, e' ricorribile in cassazione esclusivamente nel casi di abnormita' del contenuto (per tutte si veda la sentenza della Sez. 2, n. 29936 del 4/7/2013, P. O. In proc. Loffredo) oppure di nullita' procedurale al sensi dell'art. 127, comma 5, cod. proc. pen. (per tutte si veda la sentenza Sez. 6, n. 30775 dei 28/5/2007, P. O. in proc. Grimaldi). L'insieme delle considerazioni che precedono impediscono di condividere l'assunto del ricorrente e portano ad affermare che nessuna preclusione processuale esiste rispetto alla domanda che il pubblico ministero ha formulato al giudice dell'esecuzione con riguardo alla correzione del presunto errore commesso in tema di confisca dal giudice delle indagini preliminari. 6. 4. L'ultima e decisiva questione preliminare concerne la ritualita' della procedura camerale seguita ai sensi degli artt. 666 e ss. e 127 cod. proc. pen. Il ricorrente lamenta l'esistenza di un contrasto della disciplina domestica con i principi del processo equo e segnatamente con il diritto della persona a sollecitare e, ove possibile, ottenere la pubblicita' dell'udienza avanti il giudice (art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Edu). Il ricorrente censura pertanto la decisione del giudice dell'esecuzione di non accogliere la richiesta avanzata in tal senso e di non ritenere sussistente la compressione del diritto della parte privata che pure la difesa aveva chiesto fosse riconosciuta. La Corte ritiene che la questione prospettata dal ricorrente sia fondata. 7. Il rispetto dell'art. 6, par. 1 della Convenzione Edu. L'art. 6, par. 1, della Convenzione citata recita: "Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale . . . La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti In causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicita' puo' pregiudicare gli interesse della giustizia". Il tema proposto dal ricorrente non riguarda la pubblicita' dell'udienza Intesa come possibilita' per le parti di' essere sentite personalmente (la procedura ex art. 127 cod. proc. pen. e', infatti, rispettosa del principio della "oralita'" della causa nel senso piu' volte fissato dalla Corte Edu, ad esempio con la sentenza della Grande Camera del 26 novembre 2006 nella causa Jussila contro Finlandia, punti 40-44); riguarda, invece, la previsione che limita la partecipazione e la presenza alle sole parti senza che sia consentito l'accesso del pubblico e degli organi di informazione. E' questo un tema che sia la Corte Edu sia la Corte costituzionale hanno avuto modo di affrontare in precedenti occasioni e che puo' essere oggi affrontato, sulla scia di tali decisioni, nei soli aspetti essenziali. Questo collegio puo' cosi' prendere le mosse dalle chiare affermazioni contenute nella recente sentenza della Corte costituzionale, n. 135 del 2014, che al punto 8 ha concluso: "Gli artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma 1, cod. proc. pen. vanno dichiarati, pertanto, costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell'udienza pubblica. "Tale conclusione e' stata raggiunta al termine di una ricognizione, a cui si puo' fare rinvio, della giurisprudenza con cui la Corte Edu ha dato applicazione al citato art. 6, par. 1, nonche' delle pronunce che la stessa Consulta ha gia' adottato sul tema. A questi riferimenti non puo' non essere aggiunto il rinvio alla recente decisione che la Corte Edu ha assunto nella causa Grande Stevens e altri contro Italia (Sez. Seconda, sentenza del 4 marzo 2014). Nell'esaminare i molteplici profili di doglianza contenuti nel ricorso, la Corte ha esaminato anche la questione della oralita' e pubblicita' delle udienze in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione citata, affermando. principi che qui si riportano: ". . . 119. Tuttavia, e' vero che l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non e' assoluto (Håkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 66, serie A n. 171-A) e che l'articolo 6 non esige necessariamente lo svolgimento di una udienza in tutte le procedure, soprattutto nelle cause che non sollevano questioni di credibilita' o non suscitano controversie su fatti che rendono necessario un confronto orale, e nell'ambito delle quali i giudici possono pronunciarsi in maniera equa e ragionevole sulla base delle conclusioni scritte delle parti e degli altri documenti contenuti nel fascicolo (si vedano, ad esempio, Döry c, Svezia, n. 28394/95, § 37, 12 novembre 2002; Pursiheimo c. Finlandia (dec.), n. 57795/00, 25 novembre 2003; Jussila, sopra citata, § 41; e Suhadok c. Slovenia (dec.), n. 57655/08, 17 maggio 2011, dove la Corte ha ritenuto che la mancanza di udienza orale e pubblica non creasse alcuna violazione dell'articolo 6 della Convenzione in una causa per eccesso di velocita' e di guida in stato di ebbrezza nella quale gli elementi a carico dell'accusato erano stati ottenuti grazie ad alcuni apparecchi tecnici). "120. Anche se le esigenze del processo equo sono piu' rigorose in materia penale, la Corte non esclude che, nell'ambito di alcune procedure penali, i giudici aditi possano, in ragione della natura delle questioni che si pongono, sentirsi esonerati dal tenere un'udienza. Se bisogna tenere presente che i procedimenti penali, che hanno ad oggetto la determinazione della responsabilita' penale e l'imposizione di misure a carattere repressivo e dissuasivo, assumono una certa gravita', va da se' che alcuni di essi non comportano alcun carattere infamante per le persone che ne sono oggetto e che le «accuse in materia penale» non hanno tutte lo stesso peso (Jussila, sopra citata, § 43). "121. E' opportuno anche precisare che l'importanza considerevole che la posta in gioco del procedimento in questione puo' avere per la situazione personale di un ricorrente non e' decisiva per stabilire se sia necessario tenere una udienza(Pirinen c. Finlandia (dec.), n. 32447/02, 16 maggio 2006). Resta comunque il fatto che il rigetto della richiesta di tenere una udienza puo' giustificarsi soltanto in rare occasioni (Miller c. Svezia, n. 55853/00, § 29, 8 febbraio 2005, e Jussila, sopra citata, § 42). "122. Per quanto riguarda la presente causa, secondo la Corte era necessaria una udienza pubblica, orale e accessibile ai ricorrenti. A tale proposito, la Corte osserva che vi era una controversia sui fatti, soprattutto per cio' che riguardava Io stato di avanzamento delle negoziazioni con la Merrill Lynch International Ltd, e che, al di la' della loro gravita' da un punto di vista economico, le sanzioni in cui rischiavano di incorrere alcuni dei ricorrenti avevano, come notato prima (paragrafi 74, 97 e 98 sopra), un carattere infamante, potendo arrecare pregiudizio all'onorabilita' professionale e al credito delle persone interessate. 123. Per quanto sopra esposto, la Corte reputa che il procedimento dinanzi alla CONSOLI non soddisfacesse tutte le esigenze dell'articolo 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la parita' delle armi tra accusa e difesa e il mancato svolgimento di una udienza pubblica che permettesse un confronto orale," Alla luce di quanto esposto merita evidenziare che un particolare rilievo assumono nella ricognizione operata nel corso della motivazione della citata sentenza n. 135 del 2014 gli argomenti con cui la Corte Edu (Sezione Seconda, sentenza del 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia) ha riconosciuto come contrarie alla citata disposizione convenzionale le procedure non pubbliche che l'ordinamento italiano prevede per la riparazione dell'ingiusta detenzione e, in particolare, il fatto che il giudizio di merito in unico grado venga svolto davanti alla Corte di appello secondo la procedura ex art. 127 cod. proc. pen., giusto il rinvio che l'art. 315, comma 3, cod. proc. pen. opera all'art. 646, comma 1, cod. proc. pen. Si legge a tal proposito al punto 5 della sentenza n. 135/2014, citata: "Anche in questo caso, la Corte di Strasburgo ha ritenuto essenziale che i singoli coinvolti nella procedura fruiscano almeno della facolta' di richiedere la trattazione in forma pubblica dell'udienza innanzi la corte d'appello (competente nel merito in unico grado), non ravvisando alcuna circostanza eccezionale che valga a giustificare una deroga generale e assoluta al principio di pubblicita' dei giudizi. Nell'ambito della procedura considerata, infatti, i giudici interni sono chiamati essenzialmente a valutare se l'interessato abbia contribuito a provocare la sua detenzione intenzionalmente o per colpa grave: sicche' non si discute di «questioni di natura tecnica che possono essere regolate in maniera soddisfacente unicamente in base al fascicolo»." Per comprendere le ragioni che rendono le citate decisioni rilevanti e, addirittura, decisive nella soluzione della questione posta dal ricorrente Clark appare utile riportare i passaggi essenziali della sentenza Lorenzetti che la Corte costituzionale ha richiamato con giudizio adesivo: "26. Il ricorrente sostiene che la mancanza di una udienza pubblica non era giustificata nel caso di specie tanto piu' che la procedura in cassazione si svolge ugualmente in camera di consiglio. "27. Il Governo spiega che una procedura con udienza pubblica porrebbe problemi di sovraccarico di procedimenti e di tempi di attesa. "28. Ricorda inoltre che si tratta di una procedura di natura civile e che le parti hanno la facolta' di intervenire personalmente. Ad ogni modo, il Governo afferma che la corte d'appello di Catania per prassi tratta le cause nel corso di una udienza pubblica e che in concreto non vi e' alcuna lesione del diritto alla pubblicita' della procedura. "29. La Corte ricorda che la pubblicita' del dibattimento costituisce un principio fondamentale sancito dall'articolo 6 § 1 della Convenzione. Tale pubblicita' tutela i singoli da una giustizia che sfugge al controllo del pubblico e rappresenta cosi' uno degli strumenti per contribuire al mantenimento della fiducia nei tribunali. Attraverso la trasparenza che fornisce all'amministrazione della giustizia, essa contribuisce a raggiungere l'obiettivo dell'articolo 6 § 1, ossia il processo equo, la cui garanzia fa parte dei principi di ogni societa' democratica (vedi, fondamentali in particolare, Diennet c. Francia, sentenza del 26 settembre 1995, serie A n 325-A, § 33, Gautrin e altri c. Francia, sentenza del 20 maggio 1998, § 42, Recueil 1998-111, e Hurter c. Svizzera, n° 53146/99, § 26, 15 dicembre 2005). "30. L'articolo 6 § 1 tuttavia non impedisce che i giudici, viste le particolarita' della causa sottoposta al loro esame, decidano di derogare a questo principio: ai sensi di questa disposizione, "(. . .) l'accesso alla sala d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicita' possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia"; l'assenza del pubblico, totale o parziale, deve essere rigorosamente dettata dalle circostanze della causa (mutatis mutandis, Diennet, prima citata, § 34). "31. Nel presente caso, la corte d'appello e la Corte di cassazione hanno trattato le cause secondo la procedura in camera di consiglio, a porte chiuse, come e' espressamente previsto dalla legge interna e le parti non hanno avuto la possibilita' di chiedere e ottenere una udienza pubblica. A tale proposito la Corte osserva che il Governo non ha invocato nessuna delle eccezioni previste dall'articolo 6 § 1 (paragrafo 30 supra) e che queste eccezioni non sono applicabili alla fattispecie. "32. La Corte ricorda inoltre che una udienza pubblica puo' non essere necessaria date le circostanze eccezionali della causa, soprattutto quando quest'ultima non solleva questioni di fatto o di diritto che non possono essere risolte in base al fascicolo e alle osservazioni presentate dalle parti (Schlumpf c. Svizzera, no 29002/06, § 64, 8 gennaio 2009; Döry c. De via, no 28394/95, § 37, 12 novembre 2002, Lundevall c Svezia, no 38629/97, § 34, 12 novembre 2002, Salomonsson c. Svezia, no 38978/97, § 34, 12 novembre 2002; vedi anche, mutatis mutandis, Fredin c. Svezia (no 2), sentenza del 23 febbraio 1994, serie A no 283-A, pp. 10-11, §§ 21 22, e Fischer c. Austria, sentenza del 26 aprile 1995, serie A no 312, pp. 20-21, § 44). Cio' avviene soprattutto quando si tratta di situazioni che hanno ad oggetto questioni altamente tecniche (per esempio il contenzioso in materia di sicurezza so-da le; Schuler-Zgraggen c. Svizzera, 24 giugno 1993, § 58, serie A, e Döry, prima citata, § 41). La Corte osserva che questa giurisprudenza si riferisce essenzialmente allo svolgimento di una udienza in quanto tale e riguarda soprattutto il diritto ad esprimersi innanzi al tribunale previsto dall'articolo 6 § 1. Ritiene pero' che considerazioni analoghe possono essere applicate per quanto riguarda l'esigenza di pubblicita'. Quando, come nel caso di specie, una udienza si e' svolta in virtu' del diritto nazionale, benche' la Convenzione non esiga il diritto ad esprimersi oralmente, questa udienza deve per principio essere pubblica. Tuttavia, in tali casi, circostanze eccezionali - e soprattutto il carattere altamente tecnico delle questioni da esaminare - possono giustificare la mancanza dl pubblicita', purche' la specificita' della materia non esiga il controllo del pubblico. "33. Nella fattispecie la Corte nota che, nell'ambito della procedura in causa, a' giudici interni devono valutare se l'interessato ha contribuito a provocare la sua detenzione intenzionalmente o per colpa grave. Secondo la Corte non si tratta di questioni di natura tecnica. Richiama la sua giurisprudenza in forza della quale (ag c. Turchia [GC], no 36590/97, CEDU 2002 V), quando si tratta di una domanda di indennizzo per custodia cautelare "ingiusta", nessuna circostanza eccezionale giustifica l'esimersi dal tenere una udienza sotto il controllo del pubblico, non trattandosi di questioni di natura tecnica che possono essere regolate in maniera soddisfacente unicamente in base al fascicolo. Per le stesse ragioni, in queste circostanze, si imponeva la pubblicita' dell'udienza in mancanza di circostanze particolari che giustificassero l'esclusione del pubblico. "34. Riassumendo, la Corte ritiene essenziale che i singoli coinvolti in una procedura di riparazione per custodia cautelare "ingiusta" si vedano quanto meno offrire la possibilita' di richiedere una udienza pubblica innanzi alla corte d'appello. "35. Nella fattispecie, il ricorrente non ha beneficiato di questa possibilita'. Pertanto vi e' stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione." Evidenti appaiono a questo collegio le corrispondenze fra la situazione di fatto e le valutazioni in diritto contenute nella sentenza a Lorenzetti e quelle che concernono i provvedimenti giudiziali adottati nel presente procedimento. In sintesi: a) il ricorso ha per oggetto una ordinanza emessa al termine di una procedura camerale che interviene dopo un accertamento penale compiuto dal giudice del merito (ancorche' contenuto nel nostro caso in provvedimento di archiviazione) e concerne l'applicazione di una misura ulteriore rispetto a detto accertamento; b) la misura applicata o applicabile incide su diritti della persona o del soggetto giuridico destinatario della stessa (si tratta qui di diritto contemplato all'articolo 1 dell'Annesso 1, citato); c) la procedura camerale rappresenta il luogo in cui vengono esaminati e accertati i fatti che fondano la decisione e, nel caso in esame, la cosa assume specifica e maggiore rilevanza per essere il ricorrente rimasto estraneo all'accertamento del giudice di merito e messo in condizione di difendersi soltanto in sede di procedura esecutiva che si svolge con rito camerate non pubblico; d) la materia trattata (confisca di cosa oggetto di reato o pertinente a reato) non presenta profili di complessita' tecnica che possano richiedere o giustificare una deroga alla regola della pubblicita'. Questi elementi appaiono da soli sufficienti per concludere che anche nel caso in esame non si ravvedono ragioni per derogare alla regola della pubblicita' dell'udienza. Sussistono, peraltro, elementi ulteriori e peculiari che concorrono al medesimo esito. Il riferimento e', da un lato, alla partecipazione di un organo del Governo alla procedura di esecuzione quale parte necessaria e, dall'altro, alla natura e alle caratteristiche del bene oggetto di confisca. L'ordine di confisca ha per oggetto una statua di grande valore artistico e archeologico che il Pubblico ministero e l'Avvocatura dello Stato sostengono far parte del patrimonio indisponibile dello Stato e che lo stesso giudice dell'esecuzione ha giudicato sottratta all'ordinario regime in tema di proprieta' e di trasferibilita'. Va cosi' concluso che, impregiudicata la compatibilita' con l'art. 6, par. 1, citato, della celebrazione di un rito camerale non pubblico avanti la Corte di Cassazione (si vedano le sentenze della Corte costituzionale n. 93 del 12 gennaio 2010 e n. 80 del 25 gennaio 2011), le disposizioni contenute negli artt. 666 e 676, in relazione all'art. 667, comma 4, cod. proc, pen. contrastano con la medesima disposizione della Convenzione Edu nella parte in cui disciplinano la procedura di incidente di esecuzione per l'applicazione della confisca. Spetta adesso a questo giudice individuare quali ricadute tale conclusione abbia sul procedimento in esame che quelle disposizioni del codice di procedura penale ha seguito. La Corte ritiene che le citate disposizioni del codice di rito non consentano alcuna interpretazione adeguatrice. Esse, infatti, sono inequivoche nel disciplinare la procedura avanti il giudice dell'esecuzione come rito camerale caratterizzato da oralita' ma non aperto ai pubblico. Da cio' discende che l'applicazione diretta dei principi convenzionali come interpretati dalla Corte Edu, comporterebbe una lettura di portata abrogatrice delle disposizioni interne, non consentita dall'ordinamento. Occorre, allora, nel rispetto delle indicazioni che la Corte costituzionale ha fornito al giudicante a far data dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007, investire quella stessa Corte del giudizio di legittimita' delle disposizioni interne con riguardo ai parametri forniti dagli artt. 117, comma 1, e 111, comma 1, della Costituzione. In conclusione, questa Corte ritiene che la questione relativa alla conformita' a Costituzione degli artt. 666, 667, comma 4, e 676 cod, proc, pen., nella parte in cui non consentono che la parte possa richiedere al giudice dell'esecuzione lo svolgimento dell'udienza in forma pubblica, sia rilevante per la decisione del ricorso proposto dal sig. Clark e non manifestamente infondata. A tale proposito si evidenzia che la richiesta di svolgimento dell'udienza in forma pubblica ha formato oggetto di specifica istanza della difesa del sig. Clark e di questione di illegittimita' costituzionale delle norme di rito seguite dai giudice dell'esecuzione, come si ricava dal verbale dell'udienza svoltasi in data 21 dicembre 2009 davanti al Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Pesaro e dall'ordinanza che lo stesso giudice ha adottato in pari data con la quale ha respinto la questione propostagli. Va evidenziato, ancora, che la questione della illegittimita' della "procedura segreta a porte chiuse" ha formato oggetto di specifico motivo di ricorso della difesa Clark nell'impugnazione proposta avverso la prima ordinanza del giudice dell'esecuzione adottata nel 2010 e avverso la precedente ordinanza interlocutoria del 21 dicembre 2009, sopra citata. Con il che risulta rispettata nel caso in esame la condizione, fissata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 214 del 5 giugno 2013, che il ricorrente abbia effettivamente mostrato interesse allo svolgimento dell'udienza in sede di merito secondo la forma pubblica. Sulla base delle considerazioni che precedono il presente procedimento deve essere sospeso con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.