LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Terza sezione penale 
 
    Composta da: 
    Claudia Squassoni - Presidente 
    Luigi Marini - Relatore 
    Vito Di Nicola 
    Chiara Graziosi 
    Aldo Aceto 
    ha pronunciato la seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  da
CLARK Stephen, nato a il // in qualita' di legale rappresentante  del
"J. P. Getty Trust" 
    avverso l'ordinanza del 28/2-3/5/2012 del Giudice delle  indagini
preliminari del Tribunale di Pesaro che,  quale  giudice  chiamato  a
decidere ex art. 667, comma 4,  cod.  proc.  pen.  sulla  opposizione
mossa all'ordinanza emessa il 10/2/2010 dallo  stesso  Ufficio  quale
giudice dell'esecuzione, ha respinto la  richiesta  di  revoca  della
confisca  della  statua  bronzea  denominata  "L'atleta   vittorioso"
attribuibile all'artista greco Lisippo  e  attualmente  collocata  in
California (USA) presso il Getty Museum; 
    Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
    Udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini; 
    Lette  le  richieste  del  Pubblico  Ministero,  in  persona  del
Sostituto  Procuratore  generale,  Sante  Spinaci,  che  ha  concluso
chiedendo rigettarsi il ricorso; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con ordinanza del 3 maggio 2012  (ud.  28  febbraio  2012)  il
Giudice delle indagini preliminari del  Tribunale  di  Pesaro,  quale
giudice chiamato a decidere ex art. 667, comma  4,  cod.  proc.  pen.
sulla opposizione mossa all'ordinanza  emessa  il  10  febbraio  2010
dallo stesso Ufficio quale giudice dell'esecuzione,  ha  respinto  la
richiesta di revoca della confisca della  statua  bronzea  denominata
"L'atleta  vittorioso"  attribuibile  all'artista  greco  Lisippo   e
attualmente collocata in California (USA) presso il Getty Museum. 
    Il Giudice delle indagini preliminari ha emesso  l'ordinanza  qui
impugnata al termine dell'udienza tenuta il 28 febbraio 2012  con  le
forme dell'art.  127  cod.  proc.  pen.  alla  presenza  delle  parti
interessate provvedendo in conformita' della decisione con cui questa
Corte aveva qualificato come atto di opposizione in fase esecutiva il
ricorso proposto dal sig. Clark avverso l'ordinanza del Giudice delle
indagini preliminari in data 10 febbraio 2010 sopra richiamata. 
    2. I fatti che hanno condotto alla emanazione  del  provvedimento
impugnato sono dettagliatamente riportati nel  provvedimento  stesso,
nella precedente ordinanza del 10 febbraio 2010, nell'atto di ricorso
e  nello  scritto,  qualificato  "controricorso",  che   l'Avvocatura
generale dello Stato nell'interesse del Ministero per  i  beni  e  le
attivita'  culturali  ha  depositato  in  data  30/7/2012  presso  il
Tribunale, di Roma e che e' pervenuto al Tribunale di Pesaro in  data
6/8/2012. 
    3. Questo autorizza la Corte a  una  piu'  sintetica  esposizione
della vicenda nel termini che seguono; 
    - la statua in bronzo fu agganciata  in  acqua  con  le  reti  da
alcuni pescatori a bordo di due motopescherecci (comandati dai  sigg.
Pirani e Ferri) nell'estate del 1964,e quindi portata a terra  presso
il porto di Fano senza essere denunciata alle autorita' competenti  e
i nascosta presso l'abitazione del sig. Felici, amico  di  Ferri,  in
Carrara di Fano; 
    - ceduta ai sigg. Barbetti, antiquari, la statua fu trasferita  a
Gubbio e nascosta  presso  l'abitazione  di  un  sacerdote,  Giovanni
Nagni, fino ai mese di maggio 1965; nel frattempo, infatti, nel  mese
di aprile 1965 era pervenuta ai Carabinieri la notizia di un  viaggio
dei sigg. Barbetti in Germania per vendere una statua  di  valore  ed
erano state poco dopo eseguite inutilmente attivita' di perquisizione
domiciliare in danno dei presunti possessori; 
    - le indagini in corso ad opera della  Procura  della  Repubblica
presso il Tribunale di Perugia ipotizzavano a carico dei sigg. Pietro
Fabio e Giacomo Barbetti e del sacerdote Giovanni Nagni il  reato  di
ricettazione in relazione al reato ex art. 67 della legge n. 1089 del
1939; 
    - il procedimento instaurato si  concluse  con  l'assoluzione  di
tutti gli imputati ad  opera  del  Tribunale  di  Perugia  e  con  la
successiva condanna ad opera  della  Corte  di  appello  di  Perugia,
sull'impugnazione del Pubblico ministero, per i reati di ricettazione
(sigg. Barbetti) e favoreggiamento  (sig.  Nagni).  Sull'impugnazione
delta parti private la Corte di Cassazione annullo' la  sentenza  con
rinvio  alla  Corte  di   appello   di   Roma   che,   con   sentenza
dell'8/11/1970, definitivamente assolse gli imputati per  assenza  di
prove del reato ex art. 67  della  legge  n.  1089  del  1939,  reato
presupposto  dell'ipotesi  di   ricettazione.   Secondo   i   giudici
dell'appello difettavano le prove circa  la  materialita'  dei  fatti
(natura del reperto e luogo di rinvenimento); 
    - nel frattempo, nel periodo maggio-giugno  1965  la  statua  era
stata ceduta ad altra persona,  verosimilmente  di  Milano  e  se  ne
persero le tracce; 
    - secondo le dichiarazioni in atti, la statua fu vista  nel  1972
in Monaco di Baviera presso l'antiquario Heinz Herzer e  nel  1973  i
Carabinieri ebbero in Monaco diretta conferma della  circostanza,  ma
non poterono ne' visionare la statua ne' acquisirne una immagine; 
    - sulla base di tali elementi la Pretura di Gubbio  iscrisse  nel
registro notizie di reato un nuovo procedimento  rubricato  sotto  il
reato di esportazione clandestina di  opere  d'arte  e  quindi  dette
corso ad attivita' rogatoriale che le autorita' di Monaco di  Baviera
non accolsero in quanto il  reato  ipotizzato  non  era  incluso  fra
quelli che potevano dare origine ad estradizione; con la  conseguenza
che le medesime autorita' germaniche nel  corso  del  1974  disposero
l'archiviazione dei procedimento avviato e restituirono il sig, Heinz
Herzer nella piena disponibilita' dell'opera; 
    - nel frattempo i Carabinieri avevano acquisito le  dichiarazioni
di un commerciante  di  Imola,  Renato  Merli,  che  nel  1964  aveva
visionato la statua presso coloro che l'avevano rinvenuta in mare  ed
era stato a conoscenza della successiva vendita  al  sigg.  Barbetti.
Acquisita da Merli una fotografia della statua ancora  coperta  delle
concrezioni marine, ricevute  da  lui  le  indicazioni  sui  soggetti
coinvolti  e  sentiti  i  comandanti  dei  due   motopescherecci,   i
Carabinieri  ebbero  notizia  da  questi  che  la  stauta  era  stata
rinvenuta poco a largo di Pedaso (Ascoli Piceno); 
    -  sulla  base  delle  nuove  attivita'   rogatoriali   ordinate,
l'autorita' giudiziaria di Gubbio ricevette  informazioni  sul  fatto
che la statua era stata ceduta nel 1974 dal sig.  Heinz  Henzer  alla
societa' "Artemis" di  Lussemburgo  tramite  la  filiale  di  questa,
"David Carritt Ltd", di Londra; 
    - sulla base di ulteriori indagini svolte presso  il  Paul  Getty
Museum, ove la statua era nel frattempo pervenuta, nei marzo del 1978
i Carabinieri informarono l'autorita' giudiziari  di  Gubbio  che  la
statua aveva fatto ingresso in  territorio  statunitense  tramite  il
porto di Boston con bolletta datata 15/8/1977 spedita dalla  societa'
Artemis; la statua era rimasta per un breve periodo  al  Museo  delle
Belle Arti di Boston, quindi trasferita al Museo di Denver (Colorado)
e finalmente al Paul Getty Museum di Malibu'; 
    - la sostanza  di  tali  notizie  fu  confermata  alle  autorita'
britanniche dal sig. David Carritt che, dopo avere precisato  di  non
essere  in  possesso  di  alcuna  documentazione,  riferi'  che  dopo
l'acquisto della statua questa fu inviata da Artemis per il  restauro
"al Museo - Antichita' Classiche di Monaco,  dove  rimase  circa  due
anni, e quindi riportata a Londra a seguito dell'avvio di  trattative
col sig. Paul Getty fino a che il Getty Museum provvide  all'acquisto
e nell'agosto 1977 fece arrivare la statua In Usa attraverso il porto
dl Boston; 
    - dopo che le autorita' inglesi  (non  avendo  la  Gran  Bretagna
aderito alla Convenzione  Unesco  del  1970)  e  quelle  statunitensi
(ritenuti carenti i requisiti legali) avevano rigettato le  ulteriori
istanze rogatoriali, il Pretore di Gubbio con  provvedimento  del  25
novembre 1978 dispose non luogo a procedere in  ordine  ai  fatti  di
illecita esportazione del reperto artistico per essere rimasti ignoti
gli autori del reato; 
    - sulla base di nuove informazioni nel corso  dell'anno  2007  la
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro dette corso  a
un nuovo procedimento (n. 2042/07 R. G. N. R.) in cui si Ipotizzavano
a carico dei sigg. Pirani e Ferri e dei sigg. Pietro, Fabio e Giacomo
Barbetti i reati previsti  dall'art.  110  cod.  pen.,  in  relazione
all'art. 66 della legge n. 1089 del 1939 (come da  ultimo  modificato
dall'art. 174 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), art. 483 cod.  pen.
o artt. 482, 476 cod. pen. e, a carico dei soli  Pirani  e  Ferri,  i
reati previsti dagli artt. 510, 511 e 1146 Codice Navigazione,  artt.
46-68 della legge n. 1089 del 1930 e art. 97 e seguenti  della  legge
n. 1424 del 1940; 
    - sempre nel corso del 2007 il Pubblico ministero nel  richiedere
l'archiviazione  del  procedimento,  risultando  i  reati  estinti  e
prescrizione, ha chiesto al Giudice  delle  indagini  preliminari  la
confisca della statua in relazione al  disposto  dell'art.  66  della
legge n. 1089 del del 1939 e delle norme in tema di contrabbando; 
    - con decreto in data 19 novembre 2007 il Giudice delle  indagini
preliminari del Tribunale di Pesaro ha disposto  l'archiviazione  del
procedimento per essere tutti i reati  coperti  da  prescrizione;  in
tale contesto ha respinto la richiesta di confisca  della  statua  in
quanto gli attuali possessori della stessa, e  cioe'  i  responsabili
del Getty Museum, debbono essere considerati  estranei  al  reato  ex
art,66, citato; 
    - avverso tale ultima pronuncia il Pubblico ministero ha proposto
incidente di esecuzione ex artt. 676 e 667, comma 4, e 666 cod. proc.
pen.  e  il  Giudice  delle  indagini  preliminari,   integrato,   il
contraddittorio  fra  le   parti   interessate,   ha   ordinato   con
provvedimento del 10 febbraio 2010 la confisca della statua  "ovunque
essa si trovi"; 
    - l'ordine di confisca, come si e' detto in  premessa,  e'  stato
impugnato dai sig. Stephen Clark mediante  ricorso  avanti  la  Corte
Suprema di Cassazione, che con la sentenza del  18  gennaio  2011  ha
qualificato il ricorso come opposizione ex art. 667,  comma  4,  cod.
proc. pen. e disposto  la  trasmissione  al  Giudice  delle  indagini
preliminari dei Tribunale di Pesaro; 
    -  questi,  integrato  il   contradditorio,   ha   acquisito   la
documentazione prodotta e sentito lo  stesso  sig,  Clark,  e  quindi
all'udienza  del  28  febbraio  2012  ha  riservato   la   decisione;
l'ordinanza che dispone la confisca del bene e' stata  depositato  in
data 3 maggio 2012; 
    - va ricordato che sia prima sia successivamente agli avvenimenti
che condussero al decreto di archiviazione del  19  novembre  2007  i
Carabinieri hanno  proseguito  nell'attivita'  di  ricostruzione  dei
fatti relativi al rinvenimento e alla esportazione della statua e con
informativa del 27 novembre 2007 hanno riferito che,  sulla  base  di
articoli di stampa e di una  intervista  televisiva  resa  da  Thomas
Hoving nel 1979, avevano provveduto ad assumere  informazioni  presso
lo stesso Hoving, all'epoca direttore del Metropolitan Museum di  New
York, e dall'arch. Stephen George Garrett, vice direttore  del  Getty
Museum. Dalle relative dichiarazioni i Carabinieri hanno in tal  modo
ricostruito i termini essenziali della trattativa e  le  perplessita'
circa la regolarita' della esportazione della statua dall'Italia  che
avevano trattenuto dall'immediato acquisto Paul Getty  Sr.  (deceduto
poco prima che la Getty Foundation perfezionasse l'acquisto per circa
3,9 milioni di Dollari statunitensi); I  Carabinieri  hanno  altresi'
fornito informazioni circa i  termini  della  missiva  scritta  dallo
stesso Hoving a David Carritt di Artemis il 23 giugno  1973  e  della
successiva missiva del 26 giugno 1973 da Hoving scritta a Paul  Getty
anche con riguardo all'incarico  che  il  Metropolitan  Museum  aveva
affidato  a  un  legale  affinche'  acquisisse  presso  le  autorita'
italiana i provvedimenti di  autorizzazione  ritenuti  necessari  per
perfezionare l'acquisto  (le  due  missive  sono  state  acquisite  e
tradotte nell'ambito della procedura esecutiva oggi in esame); 
    - sempre nella medesima informativa i Carabinieri danno atto  che
secondo il sig. Hoving le resistenze del sig.  Heinz  Herzer  a  dare
risposta positiva alle  proposte  di  acquisto  nascevano  dalla  sua
impossibilita' di fornire la documentazione relativa alla provenienza
della statua; 
    - ulteriore documentazione sulla trattativa e sulla posizione dei
responsabili del "The J.P. Getty Trust" che  deliberarono  l'acquisto
dopo la morte di Paul Getty Trust" (posizione che, anche  sulla  base
dei pareri espressi nel tempo dai due legali della Artemis incaricati
di verificare  le  modalita'  di  esportazione,  assume  la  regolare
provenienza della Statua e l'assenza di pretese da parte dello  Stato
italiano) e' stata prodotta in atti dalla  Difesa  del  ricorrente  e
ulteriori elementi  sono  stati  acquisiti  dal  Giudice  all'udienza
camerate del 21/12/2009 mediante l'assunzione delle dichiarazioni  di
Stephen W. Clark, legale rappresentante del Trust citato  (si  vedano
pag. 13 e 14 dell'ordinanza impugnata). 
    4.  Sulla  base  delle  premesse  in  fatto  cosi'  sintetizzate,
l'ordinanza del 3 maggio 2012 ha respinto l'opposizione avanzata  dal
sig. Clark mediante  una  serie  di  passaggi  argomentativi  che  e'
possibile sintetizzare come segue: 
    - il riconoscimento della prescrizione del reato di  contrabbando
non fa venir meno l'obbligo per il giudice di  disporre  la  confisca
del bene oggetto di reato (Sez. Un., n. 38834 del 10/7/2008; Sez.  3,
n.  28508  del  13/7/2009),  tanto  e'  vero  che  nel   decreto   di
archiviazione emesso  dal  Giudice  delle  indagini  preliminari  del
Tribunale di Pesaro il 13 novembre 2007 si legge che la richiesta  di
confisca viene rigettata in base alla "estraneita' al  reato"  (reato
ex art. 66, citato) del detentore del bene; 
    - nella ipotesi che il provvedimento di  merito  non  accerti  la
insussistenza dei fatto o l'estraneita' della persona allo stesso, il
giudice conserva poteri di accertamento in ordine  agli  elementi  di
fatto che presiedono alla decisione sulla  confisca;  muovendo  dalla
motivazione di Sez. Un., n. 38834 del 10/7/2008 e dall'ivi  affermato
potere di accertamento del giudice ai fini  di  confisca  (sul  punto
richiamando i principi fissati da Corte Cost.,  sentenza  n.  85  del
2006 e sentenze n. 29 del 1961 e 46 del  1964)  deve  convenirsi  con
Sez. 1, n. 2453 del 4/12/2008 che al giudice non puo'  essere  negato
il potere di acquisire i necessari elementi di conoscenza; 
    - tale potere, che il giudice dell'esecuzione deve esercitare nei
limiti  della  procedura  e  dell'accertamento  cui  mira,  e'  stato
puntualmente  esercitato  in  concreto  dal  Giudice  delle  indagini
preliminari  sia  nel  contesto  della   procedura   conclusasi   con
l'ordinanza  del  febbraio  2010  sia  nel  contesto  della  presente
procedura di opposizione (si veda l'ordinanza 28 novembre 2011); 
    -  sussiste  (pag.  17  della   motivazione)   la   giurisdizione
dell'autorita'  giudiziaria  italiana  ex  art.  6  cod.  pen.,  come
correttamente affermato dal Giudice delle  indagini  preliminari  con
l'ordinanza del 12 giugno 2009, posto  che  la  statua  fu  rinvenuta
verosimilmente  al  di  fuori  delle  acque  territoriali,  importata
clandestinamente e quindi illegalmente esportata, cosi' che  i  reati
ipotizzati ai capi b), c), e d) risultano commessi  in  Italia  cosi'
come una parte della condotta di illecita esportazione; 
    -  non  rileva  rispetto  ai  "terzi",   quali   gli   acquirenti
statunitensi, che il contratto di  acquisto  sia  stato  perfezionato
all'estero, posto che la presenza della statua all'estero costituisce
elemento integrante il reato contestato e che  la  valutazione  della
titolarita' del bene deve essere compiuta - con riguardo  al  momento
della commissione del reato e non a un momento successivo; 
    - la confiscabilita' del bene discende  dal  testo  dell'art.  66
della legge n. 1089 del 1939, che opera un rinvio alla disciplina  in
tema di contrabbando, e trova conferma nel testo dei successivi  art.
123 del d.lgs. n. 490 del 1999 e art. 174 del d.lgs. n. 42 del  2004,
che prevedono "la confisca delle cose, salvo che queste  appartengano
a persona estranea al reato"; 
    - i principi interpretativi invocati dalla difesa (come  da  Sez.
2, n. 1809 e n. 1386 del 2009) concernono le diverse ipotesi ex artt.
67 e 68 della legge n. 1089 del 1939, mentre In  relazione  al  reato
che qui interessa va richiamata la ordinanza di Sez. 3, n. 49438  del
23/12/2009, che ribadisce l'applicabilita' della  confisca  anche  in
ipotesi di proscioglimento che  non  escludano  la  materialita'  dei
fatti e in ipotesi di estinzione del reato per prescrizione; 
    - nessun  dubbio  sussiste  sulla  natura  del  bene  oggetto  di
esportazione, trattandosi di bene per legge appartenente  allo  Stato
(art. 826 cod. civ.) e non suscettibile  di  proprieta'  in  capo  al
privato se non nei limitati casi previsti,  cosi'  non  operando  gli
istituti civilistici ex artt. 1153 o 1161 cod.  civ.  (sul  punto  si
vedano Sez. 1, civile, n. 2995 dei 10/2/2006  e  con  riferimento  al
reato ex art,176 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Sez. 3, n.  41070
del 11/11/2011 e Sez. 4, n. 12618 del 5/4/2005); principi che operano
con riguardo ai beni archeologici  che  fanno  parte  del  patrimonio
indisponibile dello Stato (Sez. Un. civili, n. 898 del 6/4/1966; Sez.
1, civile, n. 4260 del 7/4/1992); 
    -  quanto  ai  diritti  del  possessore  o  titolare   del   bene
illegalmente esportato, la sentenza della Corte costituzionale  n.  2
del 14/1/1987 e la successiva legge n. 88 del 1988 hanno  fissato  la
regola di tutela che esclude la confiscabilita' nella ipotesi che  la
persona "non sia l'autore del reato o non ne abbia  tratto  in  alcun
modo profitto". L'interpretazione del concetto di "terzo estraneo  al
reato" e' stata fissata con la sentenza  di  Sez.  3,  n.  22030  del
12/2/2003, Pludwinski con riferimento  ai  limiti  ex  art.  127  del
d.lgs. n. 490 del 1999 (ora art. 178 del d.lgs. 22 gennaio  2004,  n.
42), operando una lettura  restrittiva  dei  limiti  comportanti  una
deroga alla regola di obbligatorieta' della confisca, cosi' che per i
beni  intrinsecamente  non  commerciabili  la   proprieta'   non   e'
acquisibile da privati neppure in ipotesi di acquistoin "buona fede"; 
    - in ogni caso, nella condotta dei titolari dei Getty Museum  non
puo' ravvisarsi alcuna buona fede, essendo emerso con  chiarezza  che
l'acquisto e' stato effettuato  nonostante  i  dubbi  sulla  liceita'
dell'esportazione manifestati dal sig. Paul Getty Sr.,  nonostante  -
l'assenza di vailda  documentazione,  nonostante  si  sia  omesso  di
interessare le autorita' italiane al fine di  verificare  l'esistenza
di autorizzazioni, mai prodotte dal venditore (sul punto si veda pag.
15 dell'ordinanza 10 febbraio 2010 e l'ampia disamina  dell'ordinanza
3 maggio 2012 alle pagine 29 e ss.); 
    - non sussistono quindi ragioni per prospettare alla Corte EDU la
questione pregiudiziale sollecitata dalla difesa. 
    5. Avverso tale decisione gli  avv.  Emanuele  Rimini  e  Alfredo
Gaito  nell'interesse  del   sig.   Stephen   Clark,   quale   legale
rappresentante del J. P. Getty Trust, hanno  depositato  in  data  30
maggio  2012  atto  di  ricorso  col  quale,   dopo   una   "premessa
ricostruttiva necessaria" (pagg. 2-5) in sintesi lamentano: 
    a. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod.  proc.
pen.  a  causia   dell'illegittimita'   della   procedura   svoltasi,
nonostante l'espressa richiesta di celebrazione in pubblica  udienza,
con rito camerate, cosi' incorrendo il giudice nella  violazione  del
principi fissati dalla  Corte  EDU,  tra  l'altro,  con  le  sentenze
13/11/2007, Bocellari e Rizza c/ Italia e  13/7/2012,  Lorenzetti  c/
Italia; 
    b. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod.  proc.
pen. per avere il giudice omesso di pronunciare la propria  decisione
"subito" dopo la discussione dell'ultimo  difensore,  cosi'  violando
l'art. 424 in relazione all'art. 525 cod. proc. pen. ; 
    c. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod.  proc.
pen. con  riguardo  al  mancato  riconoscimento  di  una  preclusione
processuale invocata anche in sede di memoria per  avere  il  Giudice
delle indagini preliminari con l'ordinanza del febbraio 2010  accolto
la richiesta di confisca avanzata  dal  Pubblico  ministero  in  sede
esecutiva dopo che il  giudice  del  merito  aveva  respinto  analoga
richiesta; tale ultima decisione avrebbe dovuto impedire  ai  giudice
dell'esecuzione di tornare a  pronunciare  sul  punto.  Il  principio
fissato  da  Sezioni  Unite  con  la  sentenza  n.   5307/2008,   ud.
20/12/2007, Battistella, con riferimento all'art. 240, comma 2,  cod.
pena non puo' non operare anche per  le  altre  ipotesi  di  confisca
obbligatoria e comporta che il giudice dell'esecuzione possa ordinare
la misura ablativa solo nella ipotesi che il giudice  del  merito  (e
tale va qualificato il giudice dell'archiviazione)  abbia  omesso  di
pronunciare. Nel caso, in esame, avendo Pubblico ministero omesso  di
impugnare il  provvedimento  di  archiviazione  nella  parte  in  cui
rigettava motivatamente la richiesta di confisca del bene, si  e'  in
presenza di provvedimento non piu' impugnabile e non modificabile  in
sede esecutiva; 
    d. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod.  proc.
pen. con riguardo alla  mancata  ammissione  e  assunzione  di  prove
"richieste dalla difesa (memoria 13/7/2011) e non accolte dal Giudice
delle  indagini  preliminari  (ordinanza  28/11/2011)  in  violazione
dell'art. 111, comma  4,  Costituzione  e  dell'art.  &  CEDU  e  dei
principi in tema di riforma della decisione in senso sfavorevole alla
parte privata (Corte EDU, sentenza 5/7/2011,  Dan  c/  Moldavia).  Si
osservi, poi, che gli elementi di prova introdotti  con  memorie  del
Pubblico ministero e dell'Avvocatura generale dello Stato sono  stati
assunti in procedimenti diversi e comunque in sedi cui la difesa  del
ricorrente non ha potuto partecipare ne' interloquire; 
    e. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod.  proc.
pen.  per  avere  il  giudice  omesso  di   avanzare   la   questione
pregiudiziale richiesta  dalla  difesa  (memoria  del  28/2/2012)  in
ordine alla possibilita' di disporre la confisca  nei  confronti  del
terzo a fronte di una  ipotesi  di  reato  prospettata  dal  Pubblico
ministero ma non verificata nel contraddittorio; 
    f. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod.  proc.
pen. per avere  il  Giudice  delle  indagini  preliminari  esteso  il
contraddittorio a parti estranee al procedimento penale, e cioe' alla
associazione "Le Cento Citta'" e alla  Avvocatura  dello  Stato,  che
sono portatori di interessi non tutelabili in sede esecutiva; 
    g. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod.  proc.
pen. e vizio di motivazione ai sensi dell'art.  606,  lett.  e)  cod.
proc.  pen.  con  riferimento  alla  sussistenza   di   giurisdizione
dell'autorita' giudiziaria italiana e con riferimento alla competenza
dell'aurtorita' giudiziaria  di  Pesaro:  il  rinvenimento  in  acque
internazionali rendeva il possesso legittimo in capo a chi lo  opero'
e sollevo' non un profilo di  appartenenza  del  bene  al  patrimonio
indisponibile dello Stato (che avrebbe  operato  se  il  rinvenimento
fosse avvenuto nel sottosuolo o  su  fondali  di  acque  territoriali
italiane), bensi' un profilo di comunicazione del  rinvenimento  alle
autorita' italiane ai fini previsti dall'art. 42 della legge n.  1089
del  1938.  Il  diverso  approccio  a   questi   profili   da   parte
dell'ordinanza del 10/2/2010 (che ipotizzo' il rinvenimento in  acque
territoriali italiane) e  dell'ordinanza  del  3/5/2012  (che  sembra
accogliere l'ipotesi opposta) e  l'assoluta  carenza  di  motivazione
della seconda ordinanza in ordine ai rilievi formulati  dalla  difesa
sulla natura del bene e la sua commerciabilita' comportano  un  vizio
radicale del provvedimento impugnato (si vedano le pagine 24-30 anche
con riferimento alla acquisizione del bene al Getty Museum a  seguito
di usucapione ventennale); 
    h. vizio di motivazione ai sensi dell'art.  606,  lett.  e)  cod.
proc.  pen.   con   riferimento   all'elemento   della   legittimita'
dell'acquisto  anche  sotto  il  profilo  soggettivo,  posto  che  la
motivazione nella sostanza rinvia alle argomentazioni contenute nella
ordinanza del febbraio 2010 e non esamina l'ampia  allegazione  della
difesa del ricorrente concernente la legittimita' della procedure  di
acquisto dai titolari tedeschi della statua, anche  alla  luce  della
decisione delle autorita' giudiziarie di Germania che restituirono il
bene   all'avente   diritto   a   dimostrazione   della   sua   piena
commerciabilita' e alla luce  della  circostanza  che  l'acquisto  da
parte del  museo  avvenne  quattro  anni  dopo  il  provvedimento  di
archiviazione e restituzione emesso dalle autorita' di  Monaco  senza
che nel frattempo le autorita' italiane  avessero  intrapreso  azioni
formali di rivendicazione di diritti sul bene; 
    i. errata applicazione di legge ex art. 606, lett. b) cod.  proc.
pen. e questione di legittimita'  costituzionale  in  relazione  alla
disciplina in tema di confisca, e cio' sottoplurimi profili: 
    1) la decisione di disporre la confisca in  sede  esecutiva  dopo
che  in  sede  di  merito  l'autorita'  giudiziaria  ha   pronunciato
assoluzione  per  alcuni  imputati  e  ordinato  l'archiviazione  del
procedimento aperto nei confronti di altri rappresenta una  decisione
che viola gli  standard  minimi  del  processo  equo.  Richiamata  la
sentenza 20/1/2009 della Corte EDU nella causa Sud Fondi ci Italia  e
richiamata la qualificazione della confisca come "pena" anche per  le
ipotesi che il diritto interno le attribuisca  natura  amministrativa
(sul punto si veda anche Sez. Un., n. 19/1/2012,  Volkswagen  Leasing
Gbmh); richiamati, altresi',  l'art.  1  del  Protocollo  n.  1  alla
Convenzione e l'art. 6 della  Convenzione,  il  ricorrente  evidenzia
come in assenza dell'esercizio dell'azione penale difettino In radice
i presupposti che autorizzano la confisca del bene: il  provvedimento
di   archiviazione   rappresenta   una    decisione    di    rinuncia
all'accertamento (Corte Cost., sent. n. 88 del  1991  e  n.  319  del
1993), inibisce il  formarsi  del  contraddittorio  fra  le  parti  e
risulta incompatibile con la  confisca  anche  nell'ipotesi  prevista
dall'art. 240, comma 2, cod. pen. (Sez. Un. 15/10/2008, De Maio; Sez.
3 19/5/2009, Costanza; 6/10/2010, Grova e altri). Del resto, che  per
i beni  archeologici  non  possa  parlarsi  di  cose  intrinsecamente
illecite e non possa ipotizzarsi l'applicazione dell'art. 240,  comma
2,   cod.   pen.   e'   principio   costantemente   affermato   dalla
giurisprudenza (Sez.  2,  24/4/2009,  Cicchetti  e  altri;  7/4/2009,
Crescenzi); 
    2) vizio di motivazione con riferimento alla condizione del Getty
Museum con soggetto estraneo al reato (art. 174, comma 3, del  d.lgs.
22 gennaio 2004, n. 42) e alla  mancanza  dell'elemento  della  buona
fede. Ora, se puo' accogliersi il concetto di estraneita' fissato  da
Sez. 3, 12/2/2003, Pludwinski (si veda anche Corte Cost.,  n.  2  del
1987), non vi e' dubbio che nessun collegamento e nessun vantaggio il
Getty Museum ha tratto dai reati asseritamente commessi in  Italia  e
in  sede  di  esportazione,  altri  essendo  i  beneficiari  di  tali
condotte, cosi' che il successivo acquisto  non  puo'  connotarsi  di
rimproverabilita', in tal senso deponendo la convincente  motivazione
resa  dal  Giudice  delle  indagini  preliminari  nel  respingere  la
richiesta di confisca avanzata dal  Pubblico  ministero  in  sede  di
archiviazione; 
    3)  vizio  dl  motivazione  con  riferimento   al   concetto   di
"appartenenza"   come   affrontato   dal   Giudice   delle   indagini
preliminari, posto  che  il  requisito  della  "buona  fede"  non  e'
richiesto  dalla  legge  e  che   risulta   errata   la   motivazione
dell'ordinanza allorche' afferma che in assenza di tale requisito non
puo' aversi legittima titolarita' di un bene che il giudice qualifica
come  "assolutamente  non  commerciabile".  Tale  impostazione   erra
nell'escludere che un bene Inalienabile" possa appartenere al privato
acquirente: il concetto di "appartenenza" si lega alla situazione  di
fatto e non alle forme di acquisizione.  Quanto  al  requisito  della
"buona fede", il ricorrente non ignora l'approdo cui le Sezioni Unite
sono giunte con  la  sentenza  Bacherotti  (n.  9  del  28/4/1999)  e
l'esigenza ivi affermata che il possessore del bene non  abbia  alcun
collegamento con i fatti di reato o, se tale  collegamento  sussiste,
possa far  valere  un  "affidamento  incolpevole  ingenerato  da  una
situazione di apparenza che rende scusabile l'ignoranza o il  difetto
di diligenza"; 
    4) sussistenza, ove tate impostazione non venga  accolto,  di  un
contrasto delle disposizioni contenute negli  artt.  676  cod.  proc.
pen. e 174 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42  con  quelle  contenute
negli artt. 3, 25, 27, 42, 111 e 117 Cost. in  relazione  all'art.  7
CEDU e all'art. 1 del Protocollo n. 1, citato. 
    6. Con atto depositato in data  30/7/2012  l'Avvocatura  generale
dello Stato nell'interesse del Ministero per i beni  e  le  attivita'
culturali ha presentato "controricorso", con li quale, contestate  le
censure in rito avanzate dal ricorrente, ha prospettato una questione
di inammissibilita' del  ricorso  e  questioni  di  infondatezza  dei
motivi processuali e sostanziali. 
    7. Le argomentazioni prospettate dall'Avvocatura  generale  dello
Stato sono state oggetto di critica da parte del ricorrente  mediante
il deposito di "Note illustrative", Lo stesso  ricorrente  ha  quindi
depositato "Note di replica alla requisitoria del  P.  G.  "  con  le
quali ha censurato gli argomenti prospettati dalla  Procura  generale
della Repubblica presso questa Corte con la richiesta di rigetto  del
ricorso formulata in data 7/8/2013. 
    8. Il ricorso, assegnato per la trattazione nelle forme dell'art.
611 cod. proc. pen. alla udienza del 7/5/2014 e' stato  rinviato  per
la decisione alla odierna udienza con ordinanza redatta a verbale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. La complessa vicenda processuale,  che  occupa  nelle  diverse
forme un arco temporale di oltre quaranta anni, viene  all'attenzione
di questo collegio per valutare la assoggettabilita' a confisca di un
bene che, rinvenuto sui  fondali  marini  nell'estate  del  1964,  fu
esportato in epoca  anteriore  al  1972  in  territorio  tedesco  con
modalita' che i giudici del merito e dell'esecuzione  hanno  ritenuto
chiaramente illecite e quindi oggetto di ulteriori trasferimenti fino
all'odierna destinazione  presso  il  "Getty  Museum"  in  territorio
statunitense. 
    2. Le modalita' di esportazione  dal  territorio  italiano  vanno
considerate illecite,  secondo  quei  giudici,  sia  che  il  reperto
archeologico sia stato rinvenuto e tratto a bordo del pescherecci  in
acque territoriali italiane (ipotesi  fatta  propria  negli  iniziali
giudizi)  sia  che,  invece,   cio'   risulti   avvenuto   in   acque
internazionali e il reperto sia stato successivamente  introdotto  in
territorio italiano con  modalita'  contrarie  alle  disposizioni  di
legge vigenti (ipotesi ritenuta verosimile con  il  provvedimento  di
archiviazione dell'anno 2007).  E  la  consapevole  illiceita'  della
condotta dei privati coinvolti nel rinvenimento, nell'occultamento  e
nella esportazione clandestina della statua risulta  accertata  dalle
decisioni successive a quella della Corte di appello di Roma che  con
la sentenza dell'8 novembre 1970, ritenne non  sufficienti  le  prove
sulla natura effettiva del reperto e sulla coincidenza  fra  il  bene
rinvenuto in mare e quello presente presso la sede di  un  antiquario
di Monaco di Baviera. 
    3. Cio' che oggi si chiede a  questa  Corte  e'  di  valutare  la
legittimita' della  decisione  con  cui  il  Giudice  delle  indagini
preliminari del Tribunale di Pesaro, quale  giudice  dell'esecuzione,
ha ordinato la confisca  della  statua  accogliendo  la  domanda  del
Pubblico ministero che chiedeva di modificare  la  diversa  decisione
adottata dal Giudice delle indagini preliminari in sede di decreto di
archiviazione. 
    4. Il ricorso proposto dal sig. Clark in data 30 maggio  2012  si
dirige avverso l'ordinanza adottata  -  in  sede  di  reclamo  contro
l'ordinanza del 15 gennaio 2010 - dal giudice dell'esecuzione in data
del 28 febbraio 2012 e depositata in data del 3 maggio 2012,  nonche'
nei confronti della precedente ordinanza depositata  il  28  novembre
2011 con  la  quale  lo  stesso  giudice  ha  respinto  le  questioni
preliminari anche di nullita' che erano state proposte  dalla  difesa
in data 13 luglio 2011. 
    5. Prima di passare  all'esame  del  motivi  di  ricorso  occorre
rilevare che il giudizio svoltosi in sede di esecuzione-  secondo  le
forme camerali previste dagli artt. 665 e seguenti  cod.  proc.  pen.
costituisce  l'unica  sede  nelle  quali  le  persone  e  i  soggetti
interessati dalla destinazione del bene  in  sequestro  hanno  potuto
esporre  le  proprie  ragioni.  Infatti,  e'  solo  nel  corso  della
procedura esecutiva che l'Avvocatura generale dello Stato  nella  sua
funzione di rappresentanza dei Ministero competente e il  sig.  Clark
nella sua veste di legale rappresentante  del  "J.  P.  Getty  Trust"
hanno assunto la veste di parti del giudizio. E' pacifico,  poi,  che
il sig. Clark e' rimasto dei tutto estraneo alla fase delle  indagini
preliminari conclusasi con il provvedimento di archiviazione  del  19
novembre 2007 emesso nel procedimento penale avviato contro  altri  e
nel  cui  ambito  il  giudice  respinse  la  richiesta  dei  Pubblico
ministero In ordine alla confisca del bene. 
    6. Il ricorso proposto nell'interesse del sig. Clark, le  memorie
presentate  dall'Avvocatura  dello  Stato  e   le   conclusioni   del
Procuratore generale  propongono  alcune  questioni  processuali  che
devono essere affrontate in via preliminare. 
    6. 1. La prima questione riguarda la ritualita' del ricorso Clark
che si assume essere stato proposto in proprio  e  non  quale  legale
rappresentante della societa' statunitense detentrice della statua in
oggetto. La Corte ritiene che la questione sollevata  dall'Avvocatura
dello Stato non meriti accoglimento. Il ricorso proposto dall'odierno
ricorrente avverso l'ordinanza del  giudice  dell'esecuzione  del  15
gennaio 2010, fu  ritenuto  legittimamente  presentato  da  parte  di
questa Corte allorche' con sentenza del 18 gennaio 2011,  n.  6558/11
qualifico' l'impugnazione quale opposizione ai sensi  dell'art.  667,
comma 4, cod. proc. pen. e dispose restituirsi gli atti al  Tribunale
di Pesaro per li  giudizio  che  si  e'  concluso  col  provvedimento
oggetto  del  presente  giudizio.  Osserva,  poi,  che   il   ricorso
presentato dagli avv. ti Rimini e Gaito, muniti di procura  speciale,
in data 30 maggio 2012 e' stato  proposto  "nell'interesse  dei  sig.
Stephen Clark, legate rappresentante del J. P. Getty Trust" e che  il
tema  ha  formato  oggetto  di  convincenti  decisioni  del   giudice
dell'esecuzione. 
    6. 2. Le difese del ricorrente hanno eccepito la  non  ritualita'
della partecipazione  ai  giudizio  esecutivo  dell'Avvocatura  dello
Stato, che il giudice avrebbe erroneamente ammesso. Il tema  si  lega
alla natura  dell'accertamento  che  il  giudice  dell'esecuzione  e'
chiamato a effettuare allorche' vengono in  gioco  provvedimenti  che
incidono su diritti che in sede di  accertamento  hanno  trovato  una
soluzione che deve essere ripensata o corretta. Soccorre sul punto la
ricostruzione operata da questa Corte con la sentenza  n.  28508  del
2009 (Sez. 3, ud. 4/6/2009, Vedani) che ha ritenuto  che  l'incidente
di esecuzione e il giudizio di opposizione ex artt. 676 e 667,  comma
. 4, cod. proc, pen. siano la sede che garantisce il  contraddittorio
fra le parti e, dunque, "sedi processuali  adeguate  a  fronte  della
"fluidita'" e della provvisorieta' che caratterizzano i provvedimenti
di archiviazione - per  contestare  a  possibilita'  di  disporre  la
confisca obbligatoria, essendo possibile  in  tale  sede  dare  prova
dell'inesistenza del nesso materiale fra la  cosa  di  cui  e'  stata
disposta la confisca e il reato ovvero  della  estraneita'  al  reato
medesimo, nei limiti previsti dalla legge, del soggetto cui  la  cosa
appartiene".  La  circostanza  che   la   procedura   di   esecuzione
costituisca la sede ove puo' essere operato ogni accertamento  resosi
necessario per valutare la  domanda  introdotta  con  l'incidente  di
esecuzione va esaminata alla luce dei principi che  questa  Corte  ha
fissato con riferimento all'ampiezza dell'accertamento che li giudice
puo' compiere allorche' deve valutare l'eventualita' di  confisca  in
presenza di una sentenza di proscioglimento o di un provvedimento  di
archiviazione. Con sentenza  n.  2453/2009,  udienza  del  4/12/2008,
Squillante  e  altro,  la  Sez.  1  ha  statuito  che,   "considerata
l'evoluzione della legislazione in materia e  la  sempre  piu'  ampia
utilizzazione dell'Istituto della confisca al fine di  contrastare  i
piu' diffusi fenomeni di criminalita', si puo' affermare che, in caso
di estinzione del reato, il riconoscimento al giudice  di  poteri  di
accertamento al fine dell'applicazione della  confisca  medesima  non
possono dirsi necessariamente legati alla facilita' dell'accertamento
medesimo"  e  puo'  quindi  riguardare  anche  le  cose   "che   sono
considerate (criminose) per il loro collegamento  con  uno  specifico
fatto criminoso". 
    Cosi' fissata l'estensione della procedura di  esecuzione  e  del
relativo accertamento, non vi e' dubbio che in caso di  deliberazione
in tema di confisca di cose non appartenenti  all'autore  o  presunto
autore dell'illecito il giudice debba consentire la partecipazione di
tutti i soggetti interessati a lui  noti.  Depone  in  tal  senso  la
previsione del comma 1 dell'art. 127 cod.  proc.  pen.,  disposizione
che fissa le regole generali del procedimento camerale e che risponde
in modo perfetto alle esigenze dell'accertamento cui e'  chiamato  il
giudice dell'esecuzione che deve trattare ex art. 676 cod. proc. pen.
materia diversa dall'esecuzione  della  sentenza  nei  confronti  del
condannato. L'art. 127, comma 1, citato prevede che  il  giudice  dia
avviso dell'udienza "alle parti, alle altre persone interessate e  ai
difensori"; tutti costoro hanno quindi diritto alla  comunicazione  o
notificazione  del  provvedimento  e  possono  proporre  ricorso  per
cassazione. 
    Sulla base dei principi che precedono appare  incontestabile  che
il rappresentante del Ministero competente avesse diritto  di  essere
considerato parte o soggetto  interessato.  La  questione  posta  dal
Pubblico ministero con l'incidente di  esecuzione,  infatti,  mira  a
confiscare un bene che si sa essere in possesso dei detentore  estero
e che viene rivendicato dallo Stato in quanto bene  indisponibile  o,
comunque, in quanto  bene  illegalmente  esportato  e  meritevole  di
essere  reintegrato  nel  patrimonio  statale.  Ed  e'   proprio   la
complessiva disciplina in tema di esportazione e commercio  di  opere
d'arte  o  di  valore  archeologico  che  individua  nel   competente
Ministero l'autorita' che puo' agire anche in sede internazionale per
la restituzione dell'opera. 
    6. 3 La terza questione, sollevata dalla difesa  del  ricorrente,
riguarda la esistenza di una preclusione processuale che  deriverebbe
dalla  decisione  adottata  in  tema  di  confisca   da   parte   del
provvedimento  di  archiviazione.  La  questione  e'  infondata.   Va
rilevato, sotto un primo  profilo,  che  l'accertamento  operato  dal
giudice in sede di archiviazione e'  per  sua  natura  adottato  allo
stato degli atti, non definito ma suscettibile di cedere a fronte  di
motivata istanza di riapertura delle indagini. Va rilevato, poi,  che
eventuali vizi o problematicita' del  contenuto  della  decisione  di
archiviazione come quelli  che  hanno  condotto  alla  decisione  qui
impugnata non sono correggibili  con  lo  strumento  del  ricorso  ai
giudice di legittimita', bensi' con richiesta inoltrata  dalla  parte
legittimata  ai  giudice   dell'esecuzione.   Il   provvedimento   di
archiviazione, infatti, e' ricorribile in  cassazione  esclusivamente
nel casi di abnormita' del contenuto (per tutte si veda  la  sentenza
della Sez. 2, n. 29936 del 4/7/2013, P. O. In proc. Loffredo)  oppure
di nullita' procedurale al sensi dell'art. 127, comma 5,  cod.  proc.
pen. (per tutte si veda la sentenza Sez. 6, n. 30775  dei  28/5/2007,
P.  O.  in  proc.  Grimaldi).  L'insieme  delle  considerazioni   che
precedono impediscono  di  condividere  l'assunto  del  ricorrente  e
portano ad  affermare  che  nessuna  preclusione  processuale  esiste
rispetto alla domanda che  il  pubblico  ministero  ha  formulato  al
giudice dell'esecuzione con riguardo  alla  correzione  del  presunto
errore commesso in  tema  di  confisca  dal  giudice  delle  indagini
preliminari. 
    6. 4. L'ultima  e  decisiva  questione  preliminare  concerne  la
ritualita' della procedura camerale seguita ai sensi degli artt.  666
e ss. e 127 cod. proc. pen. Il ricorrente lamenta l'esistenza  di  un
contrasto della disciplina domestica con i principi del processo equo
e segnatamente con il diritto della  persona  a  sollecitare  e,  ove
possibile, ottenere la pubblicita'  dell'udienza  avanti  il  giudice
(art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Edu). Il  ricorrente  censura
pertanto la decisione del giudice dell'esecuzione di  non  accogliere
la richiesta avanzata in tal senso e di non ritenere  sussistente  la
compressione del diritto della parte privata che pure la difesa aveva
chiesto  fosse  riconosciuta.  La  Corte  ritiene  che  la  questione
prospettata dal ricorrente sia fondata. 
    7. Il rispetto dell'art. 6, par. 1 della Convenzione Edu. 
    L'art. 6, par. 1, della Convenzione citata recita: "Ogni  persona
ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente,  pubblicamente
ed entro un  termine  ragionevole  da  un  tribunale  indipendente  e
imparziale . . . La  sentenza  deve  essere  resa  pubblicamente,  ma
l'accesso alla sala d'udienza puo' essere vietato alla  stampa  e  al
pubblico durante tutto o  parte  del  processo  nell'interesse  della
morale, dell'ordine pubblico  o  della  sicurezza  nazionale  in  una
societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la
protezione della vita privata delle parti In causa,  o  nella  misura
giudicata  strettamente   necessaria   dal   tribunale,   quando   in
circostanze speciali la pubblicita' puo' pregiudicare  gli  interesse
della giustizia". 
    Il tema proposto  dal  ricorrente  non  riguarda  la  pubblicita'
dell'udienza Intesa come possibilita' per le parti di' essere sentite
personalmente (la procedura ex art. 127 cod. proc. pen. e',  infatti,
rispettosa del principio della "oralita'" della causa nel senso  piu'
volte fissato dalla Corte Edu,  ad  esempio  con  la  sentenza  della
Grande Camera  del  26  novembre  2006  nella  causa  Jussila  contro
Finlandia, punti 40-44); riguarda, invece, la previsione  che  limita
la partecipazione e  la  presenza  alle  sole  parti  senza  che  sia
consentito l'accesso del pubblico e degli organi di informazione.  E'
questo un tema che sia la Corte Edu sia la Corte costituzionale hanno
avuto modo di affrontare in precedenti occasioni e  che  puo'  essere
oggi affrontato, sulla scia  di  tali  decisioni,  nei  soli  aspetti
essenziali. 
    Questo  collegio  puo'  cosi'  prendere  le  mosse  dalle  chiare
affermazioni   contenute   nella   recente   sentenza   della   Corte
costituzionale, n. 135 del 2014, che al punto  8  ha  concluso:  "Gli
artt. 666, comma 3, 678, comma 1, e 679, comma  1,  cod.  proc.  pen.
vanno dichiarati,  pertanto,  costituzionalmente  illegittimi,  nella
parte in cui non consentono che, su  istanza  degli  interessati,  il
procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza si  svolga,
davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza,
nelle  forme  dell'udienza  pubblica.  "Tale  conclusione  e'   stata
raggiunta al termine di una ricognizione, a cui si puo' fare  rinvio,
della giurisprudenza con cui la Corte Edu  ha  dato  applicazione  al
citato art. 6, par. 1, nonche' delle pronunce che la stessa  Consulta
ha gia' adottato sul tema. 
    A questi riferimenti non puo' non essere aggiunto il rinvio  alla
recente decisione che la Corte Edu  ha  assunto  nella  causa  Grande
Stevens e altri contro Italia (Sez. Seconda,  sentenza  del  4  marzo
2014). Nell'esaminare i molteplici profili di doglianza contenuti nel
ricorso, la Corte ha esaminato anche la questione  della  oralita'  e
pubblicita' delle udienze in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della
Convenzione citata, affermando. principi che qui si riportano: 
    ". . . 119. Tuttavia, e' vero che l'obbligo di tenere  un'udienza
pubblica non  e'  assoluto  (Håkansson  e  Sturesson  c.  Svezia,  21
febbraio 1990, § 66, serie A n. 171-A) e che l'articolo 6  non  esige
necessariamente lo svolgimento di una udienza in tutte le  procedure,
soprattutto nelle cause che non sollevano questioni di credibilita' o
non  suscitano  controversie  su  fatti  che  rendono  necessario  un
confronto  orale,  e  nell'ambito  delle  quali  i  giudici   possono
pronunciarsi  in  maniera  equa  e  ragionevole  sulla   base   delle
conclusioni scritte delle parti e degli altri documenti contenuti nel
fascicolo (si vedano, ad esempio, Döry c, Svezia, n. 28394/95, §  37,
12 novembre 2002; Pursiheimo c. Finlandia  (dec.),  n.  57795/00,  25
novembre 2003; Jussila, sopra citata, § 41;  e  Suhadok  c.  Slovenia
(dec.), n. 57655/08, 17 maggio 2011, dove la Corte ha ritenuto che la
mancanza di udienza orale e pubblica non  creasse  alcuna  violazione
dell'articolo 6  della  Convenzione  in  una  causa  per  eccesso  di
velocita' e di guida in stato di ebbrezza nella quale gli elementi  a
carico dell'accusato erano stati ottenuti grazie ad alcuni apparecchi
tecnici). 
    "120. Anche se le esigenze del processo equo sono  piu'  rigorose
in materia penale, la Corte non esclude che,  nell'ambito  di  alcune
procedure penali, i giudici aditi possano, in  ragione  della  natura
delle  questioni  che  si  pongono,  sentirsi  esonerati  dal  tenere
un'udienza. Se bisogna tenere presente che i procedimenti penali, che
hanno ad oggetto la determinazione  della  responsabilita'  penale  e
l'imposizione di misure a carattere repressivo e dissuasivo, assumono
una certa gravita', va da se' che alcuni di essi non comportano alcun
carattere infamante per le persone che  ne  sono  oggetto  e  che  le
«accuse in materia penale» non hanno tutte lo stesso  peso  (Jussila,
sopra citata, § 43). 
    "121. E' opportuno anche precisare che l'importanza considerevole
che la posta in gioco del procedimento in questione puo' avere per la
situazione personale di un ricorrente non e' decisiva  per  stabilire
se sia necessario tenere una udienza(Pirinen c. Finlandia (dec.),  n.
32447/02, 16 maggio 2006). Resta comunque il  fatto  che  il  rigetto
della richiesta di tenere una udienza puo' giustificarsi soltanto  in
rare occasioni (Miller c. Svezia, n. 55853/00, § 29, 8 febbraio 2005,
e Jussila, sopra citata, § 42). 
    "122. Per quanto riguarda la presente causa, secondo la Corte era
necessaria una udienza pubblica, orale e accessibile ai ricorrenti. A
tale proposito, la Corte osserva che  vi  era  una  controversia  sui
fatti, soprattutto per cio' che riguardava Io  stato  di  avanzamento
delle negoziazioni con la Merrill Lynch International Ltd, e che,  al
di la' della loro  gravita'  da  un  punto  di  vista  economico,  le
sanzioni in  cui  rischiavano  di  incorrere  alcuni  dei  ricorrenti
avevano, come  notato  prima  (paragrafi  74,  97  e  98  sopra),  un
carattere infamante, potendo  arrecare  pregiudizio  all'onorabilita'
professionale e al credito delle persone interessate. 
    123.  Per  quanto  sopra  esposto,  la  Corte   reputa   che   il
procedimento dinanzi alla CONSOLI non soddisfacesse tutte le esigenze
dell'articolo 6 della Convenzione, soprattutto per quanto riguarda la
parita' delle armi tra accusa e difesa e il  mancato  svolgimento  di
una udienza pubblica che permettesse un confronto orale," 
    Alla luce di quanto esposto merita evidenziare che un particolare
rilievo  assumono  nella  ricognizione  operata   nel   corso   della
motivazione della citata sentenza n. 135 del 2014 gli  argomenti  con
cui la Corte Edu (Sezione  Seconda,  sentenza  del  10  aprile  2012,
Lorenzetti contro Italia) ha riconosciuto come contrarie alla  citata
disposizione   convenzionale   le   procedure   non   pubbliche   che
l'ordinamento  italiano  prevede  per  la  riparazione  dell'ingiusta
detenzione e, in particolare, il fatto che il giudizio di  merito  in
unico grado venga svolto davanti alla Corte  di  appello  secondo  la
procedura ex art. 127 cod. proc. pen., giusto il  rinvio  che  l'art.
315, comma 3, cod. proc. pen. opera all'art. 646, comma 1, cod. proc.
pen. 
    Si legge a tal proposito al punto 5 della sentenza  n.  135/2014,
citata: 
    "Anche in  questo  caso,  la  Corte  di  Strasburgo  ha  ritenuto
essenziale che i singoli coinvolti nella procedura  fruiscano  almeno
della  facolta'  di  richiedere  la  trattazione  in  forma  pubblica
dell'udienza innanzi la corte d'appello  (competente  nel  merito  in
unico grado), non ravvisando alcuna circostanza eccezionale che valga
a giustificare  una  deroga  generale  e  assoluta  al  principio  di
pubblicita' dei giudizi.  Nell'ambito  della  procedura  considerata,
infatti, i giudici interni sono chiamati essenzialmente a valutare se
l'interessato  abbia  contribuito  a  provocare  la  sua   detenzione
intenzionalmente o  per  colpa  grave:  sicche'  non  si  discute  di
«questioni di natura tecnica che possono essere regolate  in  maniera
soddisfacente unicamente in base al fascicolo»." 
    Per comprendere  le  ragioni  che  rendono  le  citate  decisioni
rilevanti e, addirittura, decisive nella  soluzione  della  questione
posta  dal  ricorrente  Clark  appare  utile  riportare  i   passaggi
essenziali della sentenza Lorenzetti che la Corte  costituzionale  ha
richiamato con giudizio adesivo: 
    "26. Il ricorrente  sostiene  che  la  mancanza  di  una  udienza
pubblica non era giustificata nel caso di specie tanto  piu'  che  la
procedura in cassazione si svolge ugualmente in camera di consiglio. 
    "27. Il Governo spiega che una  procedura  con  udienza  pubblica
porrebbe problemi di sovraccarico  di  procedimenti  e  di  tempi  di
attesa. 
    "28. Ricorda inoltre che si tratta di  una  procedura  di  natura
civile e che le parti hanno la facolta' di intervenire personalmente.
Ad ogni modo, il Governo afferma che la corte  d'appello  di  Catania
per prassi tratta le cause nel corso di una udienza pubblica e che in
concreto non vi e' alcuna lesione del diritto alla pubblicita'  della
procedura. 
    "29.  La  Corte  ricorda  che  la  pubblicita'  del  dibattimento
costituisce un principio fondamentale sancito  dall'articolo  6  §  1
della Convenzione. Tale pubblicita' tutela i singoli da una giustizia
che sfugge al controllo del pubblico e rappresenta  cosi'  uno  degli
strumenti  per  contribuire  al  mantenimento   della   fiducia   nei
tribunali. Attraverso la trasparenza che fornisce all'amministrazione
della  giustizia,  essa  contribuisce   a   raggiungere   l'obiettivo
dell'articolo 6 § 1, ossia il processo equo, la cui garanzia fa parte
dei principi di ogni  societa'  democratica  (vedi,  fondamentali  in
particolare, Diennet c. Francia,  sentenza  del  26  settembre  1995,
serie A n 325-A, § 33, Gautrin e altri c. Francia,  sentenza  del  20
maggio 1998, §  42,  Recueil  1998-111,  e  Hurter  c.  Svizzera,  n°
53146/99, § 26, 15 dicembre 2005). 
    "30. L'articolo 6 § 1 tuttavia non impedisce che i giudici, viste
le particolarita' della causa sottoposta al loro esame,  decidano  di
derogare a questo principio: ai sensi di questa disposizione,  "(.  .
.) l'accesso alla sala d'udienza puo' essere vietato alla stampa e al
pubblico durante tutto o  parte  del  processo  nell'interesse  della
morale, dell'ordine pubblico  o  della  sicurezza  nazionale  in  una
societa' democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la
protezione della vita privata delle parti in causa, o,  nella  misura
giudicata  strettamente   necessaria   dal   tribunale,   quando   in
circostanze speciali la pubblicita' possa  portare  pregiudizio  agli
interessi  della  giustizia";  l'assenza  del  pubblico,   totale   o
parziale, deve essere rigorosamente dettata dalle  circostanze  della
causa (mutatis mutandis, Diennet, prima citata, § 34). 
    "31. Nel  presente  caso,  la  corte  d'appello  e  la  Corte  di
cassazione hanno trattato le cause secondo la procedura in camera  di
consiglio, a porte chiuse, come e' espressamente previsto dalla legge
interna e le parti non hanno avuto  la  possibilita'  di  chiedere  e
ottenere una udienza pubblica. A tale proposito la Corte osserva  che
il  Governo  non  ha  invocato  nessuna  delle   eccezioni   previste
dall'articolo 6 § 1 (paragrafo 30 supra) e che queste  eccezioni  non
sono applicabili alla fattispecie. 
    "32. La Corte ricorda inoltre che una udienza pubblica  puo'  non
essere  necessaria  date  le  circostanze  eccezionali  della  causa,
soprattutto quando quest'ultima non solleva questioni di fatto  o  di
diritto che non possono essere risolte in base al  fascicolo  e  alle
osservazioni  presentate  dalle  parti  (Schlumpf  c.  Svizzera,   no
29002/06, § 64, 8 gennaio 2009; Döry c. De via, no 28394/95, § 37, 12
novembre 2002, Lundevall c Svezia, no 38629/97,  §  34,  12  novembre
2002, Salomonsson c. Svezia, no 38978/97, §  34,  12  novembre  2002;
vedi anche, mutatis mutandis, Fredin c. Svezia (no 2),  sentenza  del
23 febbraio 1994, serie A no 283-A, pp. 10-11, §§ 21 22, e Fischer c.
Austria, sentenza del 26 aprile 1995, serie A no 312,  pp.  20-21,  §
44). Cio' avviene soprattutto quando  si  tratta  di  situazioni  che
hanno  ad  oggetto  questioni  altamente  tecniche  (per  esempio  il
contenzioso in materia di sicurezza  so-da  le;  Schuler-Zgraggen  c.
Svizzera, 24 giugno 1993, § 58, serie A, e Döry, prima citata, § 41).
La   Corte   osserva   che   questa   giurisprudenza   si   riferisce
essenzialmente allo svolgimento di  una  udienza  in  quanto  tale  e
riguarda soprattutto il diritto ad esprimersi  innanzi  al  tribunale
previsto dall'articolo  6  §  1.  Ritiene  pero'  che  considerazioni
analoghe possono essere applicate per quanto riguarda  l'esigenza  di
pubblicita'. Quando, come nel caso  di  specie,  una  udienza  si  e'
svolta in virtu' del diritto nazionale, benche'  la  Convenzione  non
esiga il diritto ad esprimersi oralmente,  questa  udienza  deve  per
principio  essere  pubblica.  Tuttavia,  in  tali  casi,  circostanze
eccezionali - e soprattutto  il  carattere  altamente  tecnico  delle
questioni  da  esaminare  -  possono  giustificare  la  mancanza   dl
pubblicita', purche' la  specificita'  della  materia  non  esiga  il
controllo del pubblico. 
    "33. Nella fattispecie  la  Corte  nota  che,  nell'ambito  della
procedura  in  causa,  a'  giudici   interni   devono   valutare   se
l'interessato  ha  contribuito  a   provocare   la   sua   detenzione
intenzionalmente o per colpa grave. Secondo la Corte non si tratta di
questioni di natura tecnica. Richiama la sua giurisprudenza in  forza
della quale (ag c. Turchia [GC], no 36590/97, CEDU 2002 V), quando si
tratta  di  una  domanda  di  indennizzo   per   custodia   cautelare
"ingiusta", nessuna circostanza eccezionale giustifica l'esimersi dal
tenere una udienza sotto il controllo del pubblico,  non  trattandosi
di questioni di natura tecnica che possono essere regolate in maniera
soddisfacente unicamente in base al fascicolo. Per le stesse ragioni,
in queste circostanze, si imponeva  la  pubblicita'  dell'udienza  in
mancanza di circostanze particolari che giustificassero  l'esclusione
del pubblico. 
    "34. Riassumendo, la  Corte  ritiene  essenziale  che  i  singoli
coinvolti in una procedura  di  riparazione  per  custodia  cautelare
"ingiusta"  si  vedano  quanto  meno  offrire  la   possibilita'   di
richiedere una udienza pubblica innanzi alla corte d'appello. 
    "35. Nella fattispecie,  il  ricorrente  non  ha  beneficiato  di
questa possibilita'. Pertanto vi e' stata violazione dell'articolo  6
§ 1 della Convenzione." 
    Evidenti appaiono a questo  collegio  le  corrispondenze  fra  la
situazione di fatto e  le  valutazioni  in  diritto  contenute  nella
sentenza  a  Lorenzetti  e  quelle  che  concernono  i  provvedimenti
giudiziali adottati nel presente  procedimento.  In  sintesi:  a)  il
ricorso ha per  oggetto  una  ordinanza  emessa  al  termine  di  una
procedura  camerale  che  interviene  dopo  un  accertamento   penale
compiuto dal giudice del merito (ancorche' contenuto nel nostro  caso
in provvedimento di archiviazione) e concerne l'applicazione  di  una
misura  ulteriore  rispetto  a  detto  accertamento;  b)  la   misura
applicata o  applicabile  incide  su  diritti  della  persona  o  del
soggetto giuridico  destinatario  della  stessa  (si  tratta  qui  di
diritto contemplato all'articolo 1 dell'Annesso  1,  citato);  c)  la
procedura camerale rappresenta il luogo in cui  vengono  esaminati  e
accertati i fatti che fondano la decisione e, nel caso in  esame,  la
cosa assume specifica e maggiore rilevanza per essere  il  ricorrente
rimasto estraneo all'accertamento del giudice di merito  e  messo  in
condizione di difendersi soltanto in sede di procedura esecutiva  che
si svolge con rito camerate non  pubblico;  d)  la  materia  trattata
(confisca di cosa oggetto di reato o pertinente a reato) non presenta
profili di complessita' tecnica che possano richiedere o giustificare
una deroga alla regola della pubblicita'. 
    Questi elementi appaiono da soli sufficienti per  concludere  che
anche nel caso in esame non si ravvedono ragioni  per  derogare  alla
regola della pubblicita' dell'udienza. Sussistono, peraltro, elementi
ulteriori  e  peculiari  che  concorrono  al   medesimo   esito.   Il
riferimento e', da un lato, alla  partecipazione  di  un  organo  del
Governo alla  procedura  di  esecuzione  quale  parte  necessaria  e,
dall'altro, alla natura e alle caratteristiche del  bene  oggetto  di
confisca. L'ordine di confisca ha per oggetto una  statua  di  grande
valore  artistico  e  archeologico  che  il  Pubblico   ministero   e
l'Avvocatura  dello  Stato  sostengono  far  parte   del   patrimonio
indisponibile dello Stato e che lo stesso giudice dell'esecuzione  ha
giudicato sottratta all'ordinario regime in tema di proprieta'  e  di
trasferibilita'. 
    Va cosi'  concluso  che,  impregiudicata  la  compatibilita'  con
l'art. 6, par. 1, citato, della celebrazione di un rito camerale  non
pubblico avanti la Corte di Cassazione (si vedano le  sentenze  della
Corte costituzionale n. 93 del 12 gennaio 2010 e n. 80 del 25 gennaio
2011), le disposizioni contenute negli artt. 666 e 676, in  relazione
all'art. 667, comma 4, cod. proc, pen. contrastano  con  la  medesima
disposizione della Convenzione Edu nella parte in cui disciplinano la
procedura  di  incidente  di  esecuzione  per  l'applicazione   della
confisca. 
    Spetta adesso a questo giudice individuare  quali  ricadute  tale
conclusione abbia sul procedimento in esame che  quelle  disposizioni
del codice di procedura penale ha seguito. 
    La Corte ritiene che le citate disposizioni del  codice  di  rito
non consentano alcuna  interpretazione  adeguatrice.  Esse,  infatti,
sono inequivoche nel disciplinare  la  procedura  avanti  il  giudice
dell'esecuzione come rito camerale caratterizzato da oralita' ma  non
aperto ai pubblico. Da cio' discende che l'applicazione  diretta  dei
principi   convenzionali   come   interpretati   dalla   Corte   Edu,
comporterebbe una lettura di portata abrogatrice  delle  disposizioni
interne,  non  consentita  dall'ordinamento.  Occorre,  allora,   nel
rispetto delle indicazioni che la Corte costituzionale ha fornito  al
giudicante a far data dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007, investire
quella stessa Corte del giudizio di legittimita'  delle  disposizioni
interne con riguardo ai parametri forniti dagli artt. 117, comma 1, e
111, comma 1, della Costituzione. 
    In conclusione, questa Corte ritiene che  la  questione  relativa
alla conformita' a Costituzione degli artt. 666, 667, comma 4, e  676
cod, proc, pen., nella parte in cui non consentono che la parte possa
richiedere al giudice dell'esecuzione lo svolgimento dell'udienza  in
forma pubblica, sia rilevante per la decisione del  ricorso  proposto
dal sig. Clark e non manifestamente infondata. 
    A tale proposito si evidenzia che  la  richiesta  di  svolgimento
dell'udienza in  forma  pubblica  ha  formato  oggetto  di  specifica
istanza della difesa del sig. Clark e di questione di  illegittimita'
costituzionale   delle   norme   di   rito   seguite   dai    giudice
dell'esecuzione, come si ricava dal verbale dell'udienza svoltasi  in
data 21 dicembre 2009 davanti al Giudice delle  indagini  preliminari
del Tribunale di Pesaro e dall'ordinanza che  lo  stesso  giudice  ha
adottato  in  pari  data  con  la  quale  ha  respinto  la  questione
propostagli.  Va  evidenziato,  ancora,  che   la   questione   della
illegittimita' della "procedura segreta a porte  chiuse"  ha  formato
oggetto  di  specifico  motivo  di   ricorso   della   difesa   Clark
nell'impugnazione proposta avverso la  prima  ordinanza  del  giudice
dell'esecuzione adottata nel 2010 e avverso la  precedente  ordinanza
interlocutoria del 21 dicembre 2009, sopra citata. Con il che risulta
rispettata nel caso in  esame  la  condizione,  fissata  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 214  del  5  giugno  2013,  che  il
ricorrente abbia effettivamente mostrato interesse  allo  svolgimento
dell'udienza in sede di merito secondo la forma pubblica. 
    Sulla  base  delle  considerazioni  che  precedono  il   presente
procedimento deve essere sospeso con  trasmissione  degli  atti  alla
Corte costituzionale.