LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        SEZIONI UNITE CIVILI 
 
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
    Dott. Luigi Antonio Rovelli - Primo Pres.te f.f.; 
    Dott. Renato Rordorf - Presidente Sezione; 
    Dott. Salvatore Di Palma - Consigliere; 
    Dott. Renato Bernabai - Consigliere; 
    Dott. Gianfranco Bandini - Consigliere; 
    Dott. Pietro Curzio - Consigliere; 
    Dott. Annamaria Ambrosio - Consigliere; 
    Dott. Biagio Virgilio - Consigliere; 
    Dott. Alberto Giusti - Rel. Consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
22220-2013 proposto da: 
        Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  in  persona   del
Presidente del Consiglio pro tempore,  elettivamente  domiciliata  in
Roma, Via dei  Portoghesi  12,  presso  l'Avvocatura  Generale  dello
Stato, che la rappresenta e difende ope legis; ricorrente; 
        Contro:    ASGI    -     Associazione     Studi     Giuridici
sull'Immigrazione, APN - Avvocati per Niente Onlus,  in  persona  dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore,  Tanwir  Syed  Shahzad,
elettivamente domiciliati in Roma, Via di Pietralata 320,  presso  lo
studio dell'avvocato Gigliola  Mazza  Ricci,  che  li  rappresenta  e
difende  unitamente  all'avvocato  Alberto  Guariso,  per  deleghe  a
margine del controricorso; controricorrenti; 
    Avverso la sentenza n. 2183/2012 della Corte d'Appello di Milano,
depositata il 22/03/2013. 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
16/09/2014 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti; 
    Uditi l'Avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio  e  l'Avvocato
Alberto Guariso; 
    Udito il P.M., in persona del Procuratore Generale aggiunto Dott.
Pasquale Paolo Maria Ciccolo, che ha concluso, ai sensi dell'art. 363
c.p.c., affinche'  la  Corte  voglia  esaminare  anche  d'ufficio  la
questione giuridica sollevata dalle parti rimettendo la  stessa  alla
Corte costituzionale, in subordine dichiararsi la cessata materia del
contendere. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il 20 settembre 2011  e'  stato  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale (n. 75, IV serie speciale) il bando  per  la  selezione  di
10.481 volontari da impiegare  in  progetti  di  servizio  civile  in
Italia  e  all'estero  presentati  dagli  enti   inseriti   nell'albo
nazionale. 
    L'art. 3 del bando prevede  tra  i  requisiti  di  ammissione  la
cittadinanza italiana. Esso recita: «Ad eccezione degli  appartenenti
ai corpi militari e alle forze di polizia, possono  partecipare  alla
selezione i cittadini italiani, senza distinzione di sesso, che, alla
data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo
e non superato il ventottesimo anno di eta', in possesso dei seguenti
requisiti: - essere cittadini italiani [...]». 
    La clausola del bando riproduce la previsione contenuta nell'art.
3, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77  (Disciplina
del servizio civile nazionale a norma dell'art. 2 della legge 6 marzo
2001, n. 64), il quale ammette «a svolgere il servizio civile, a loro
domanda, senza distinzioni di sesso i cittadini  italiani  che,  alla
data di presentazione della domanda, abbiano compiuto il diciottesimo
anno di eta' e non superato il ventottesimo». 
    2. - Il signor Syed Shahzad Tanwyr e' un cittadino  pakistano  di
venticinque anni  che  da  quindici  anni  vive  in  Italia:  qui  ha
completato la scuola secondaria, di  primo  e  di  secondo  grado,  e
attualmente frequenta l'universita'. Egli ha presentato la domanda di
ammissione al servizio civile presso la Caritas ambrosiana  rimanendo
in attesa di risposta ma venendo a sapere dai responsabili  dell'ente
che non avrebbe potuto essere  inserito  nella  graduatoria  ai  fini
della selezione in quanto privo della cittadinanza italiana. 
    3. - In data 21 ottobre  2011  il  signor  Syed  Shahzad  Tanwyr,
l'ASGI -Associazione studi  giuridici  sull'immigrazione  e  l'APN  -
Avvocati per niente onlus hanno presentato dinanzi  al  Tribunale  di
Milano, sezione lavoro, un ricorso ai sensi dell'art. 44 del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
giuridica dello straniero),  denunciando  la  natura  discriminatoria
della clausola n. 3 del predetto bando, nella parte  in  cui  ammette
alla selezione i soli cittadini italiani. 
    Si e'  costituita  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,
resistendo. 
    Con ordinanza depositata il 12 gennaio 2012,  la  sezione  lavoro
del Tribunale di Milano ha dichiarato  il  carattere  discriminatorio
dell'art. 3 del bando,  la'  dove  richiede  tra  i  requisiti  e  le
condizioni di ammissione il possesso della cittadinanza  italiana,  e
ha ordinato  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  (a)  di
sospendere le procedure di selezione,  (b)  di  modificare  il  bando
nella parte in cui richiede il requisito della cittadinanza italiana,
consentendo l'accesso anche agli stranieri soggiornanti  regolarmente
in Italia, e (c) di fissare un nuovo  termine  per  la  presentazione
delle domande. 
    4. - L'Amministrazione ha proposto appello deducendo: 
    il difetto di giurisdizione con riferimento all'ordine, impartito
dal giudice ordinario, di sospendere la procedura e  di  emettere  un
nuovo  bando  di  selezione  con  riapertura  dei  termini   per   la
presentazione delle domande da parte degli stranieri; 
    l'illegittimita'  della   decisione   nel   merito,   in   quanto
l'esclusione degli stranieri e' imposta dall'art. 3 del d.lgs. n.  77
del  2002,  il  quale  espressamente  prevede  tra  i  requisiti   di
ammissione al servizio civile la cittadinanza  italiana,  sicche'  il
Tribunale   avrebbe   potuto,   al   piu',   rimettere   alla   Corte
costituzionale la  questione  di  legittimita'  costituzionale  della
norma stessa; 
    la  manifesta  infondatezza,  in  ogni  caso,   del   dubbio   di
legittimita' costituzionale, essendo il servizio civile una forma  di
adempimento volontario del  dovere  di  difesa  della  Patria  (Corte
cost., sentenza n. 228 del 2004), riservato ai soli cittadini. 
    Il gravame e' stato resistito dagli appellati. 
    5. - Dopo avere sospeso, ai sensi degli art. 431 e 283 cod. proc.
civ., «l'ordine di sospensione delle procedure di selezione» e  «ogni
conseguente pronuncia ordinatoria derivante», la sezione lavoro della
Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata in cancelleria  il
22 marzo  2013,  ha  respinto  l'impugnazione  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri. 
    5.1. - La Corte di  Milano  ha  in  primo  luogo  osservato  che,
poiche' rientra nella giurisdizione del giudice  ordinario  anche  la
cognizione    del    comportamento    discriminatorio     consistente
nell'emanazione di un atto amministrativo, il giudice e' abilitato  a
decidere la controversia valutando  il  provvedimento  amministrativo
denunciato,  disattendendolo,  tamquam  non  esset,  e  adottando   i
conseguenti provvedimenti idonei a  rimuoverne  gli  effetti.  Questa
opzione interpretativa - hanno soggiunto i giudici del gravame  -  e'
stata confermata dall'art. 28 del d.lgs. 1° settembre  2011,  n.  150
(Disposizioni complementari al codice di procedura civile in  materia
di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione,
ai sensi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), applicabile
dal 6 ottobre  2011,  il  quale  prevede  che,  con  l'ordinanza  che
definisce il giudizio, il giudice puo' adottare, anche nei  confronti
della pubblica amministrazione, ogni provvedimento idoneo a rimuovere
gli   effetti   della   condotta    o    dell'atto    discriminatorio
pregiudizievole. 
    Nel merito, la Corte d'appello sostiene che  il  servizio  civile
nazionale  ha  assunto  una  propria  fisionomia  a   seguito   della
sospensione dell'obbligatorieta' del servizio di  leva.  Il  servizio
civile risponde infatti ad  una  idea  di  difesa  della  Patria  che
ricomprende attivita' aventi natura  solidaristica,  di  cooperazione
internazionale, di  protezione  del  patrimonio  storico,  culturale,
ambientale ed artistico, di promozione della  cultura  e  della  pace
trai popoli. Dalla lettura dell'art. 52 Cost. alla luce  dell'art.  2
Cost. discende una interpretazione evolutiva della nozione di «difesa
della Patria», suscettibile di essere estesa al campo dei  doveri  di
solidarieta' economica e sociale, e  di  tradursi  in  una  sorta  di
«collaborazione civica» promossa e organizzata dallo Stato ai fine di
concorrere al progresso materiale e  spirituale  della  societa',  ai
sensi dell'art. 4, secondo comma, Cost. 
    La conclusione che ne trae  la  Corte  territoriale  e'  che  non
sussiste alcuna ragionevole correlazione «tra  l'esclusione  dei  non
cittadini stabilmente residenti  nel  territorio  dello  Stato  e  la
finalita' perseguita dal legislatore». Secondo la Corte territoriale,
l'«irragionevolezza» ed il «carattere discriminatorio»  della  scelta
di  escludere  gli  stranieri  residenti  nel  nostro   Paese   dalla
possibilita' di  accedere  su  base  volontaria  al  servizio  civile
emergono  dalla  considerazione  che  l'adempimento  dei  doveri   di
solidarieta' cui fa riferimento l'art. 2 Cost. si riferisce a tutti i
consociati: tutti coloro che in Italia  hanno  stabilito  la  propria
permanente residenza sono «parti di una comunita'  di  diritti  e  di
doveri, piu' ampia e comprensiva di quella fondata sul criterio della
cittadinanza in senso stretto». 
    6. - Per la cassazione della sentenza della  Corte  d'appello  la
Presidenza del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso,  con  atto
notificato il 26 settembre 2013, sulla base di tre motivi. 
    Il signor  Syed  Shahzad  Tanwyr,  l'ASGI  -  Associazione  studi
giuridici sull'immigrazione e l'APN - Avvocati per niente onlus hanno
resistito con controricorso. 
    7.  -  Con  il  primo  motivo  (rubricato  «illegittimita'  della
sentenza  per  motivi  attinenti  alla  giurisdizione,  in  relazione
all'art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ.») si deduce  che  il
giudice  ordinario  avrebbe  dovuto  pronunciarsi  esclusivamente  in
ordine alle questioni di interesse del ricorrente nei  confronti  del
quale soltanto  si  e'  realizzata  l'effettiva  discriminazione.  La
sentenza della Corte d'appello, invece,  confermando  la  sospensione
delle procedure di selezione e l'ordine di modifica del  bando  e  di
riapertura dei termini,  avrebbe  di  fatto  esteso  erga  omnes  gli
effetti della pronuncia, incorrendo in uno straripamento del  proprio
ambito cognitorio, e non avrebbe considerato che la  possibilita'  di
conoscere  e   disattendere   l'atto   amministrativo   asseritamente
discriminatorio  e'  riconosciuta  entro  i  consueti  limiti   della
disapplicazione incidentale. 
    Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell'art. 3
del d.lgs. n. 77 del 2002, dell'art. 1. della legge n. 64  del  2001,
nonche' dell'art. 52 Cost., in relazione all'art. 360,  primo  comma,
n. 3, cod. proc. civ.)  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri
contesta l'assunto, su cui poggia  la  pronuncia  impugnata,  che  il
servizio civile costituirebbe una realta' del tutto scollegata  dalla
difesa della Patria. Richiamata la sentenza n.  228  del  2004  della
Corte  costituzionale,  la  ricorrente   ritiene   che   la   stretta
correlazione tra il servizio civile e  quello  militare,  non  venuta
meno per il solo fatto che servizio militare ha perso il carattere di
obbligatorieta', confermerebbe l'asservimento di entrambi  al  comune
obiettivo della difesa della Patria, obiettivo rispetto al  quale  il
primo   si   pone   come   alternativo   al   secondo.   Ad    avviso
dell'Amministrazione, il perseguimento  di  finalita'  solidaristiche
non  sarebbe  rilevante  per  condurre  il  servizio   civile   fuori
dall'ambito di legittimazione dell'art.  52  Cost.  La  difesa  della
Patria comprenderebbe infatti anche attivita' di impegno sociale  non
armato: accanto alla difesa militare, che rappresenta una delle forme
di difesa della Patria, puo' ben collocarsi un'altra forma di difesa,
per cosi' dire «civile». Cio'  che  rileva  ai  fini  della  corretta
individuazione  del  titolo  di  legittimazione  costituzionale   del
servizio  civile  non  sarebbe   tanto   la   natura   oggettivamente
solidaristica degli obiettivi tutelati mediante il  servizio  civile,
quanto piuttosto il fatto  che  detti  obiettivi  sono  assunti  come
propri dallo Stato in  quanto  espressione  di  interessi  unitari  e
nazionali rilevanti per la difesa della Patria. La ricorrente esclude
che la connotazione non militare degli enti presso  cui  puo'  essere
espletato il servizio civile rilevi  al  fine  della  identificazione
della natura del  servizio  e  sottolinea  l'autonomia  del  servizio
civile  nazionale  rispetto  al  servizio  civile  che  puo'   essere
istituito  dalle  Regioni.  La  Presidenza  del  Consiglio   ritiene,
inoltre, che la riserva di  cittadinanza  in  relazione  al  servizio
civile nazionale sia oggetto di una scelta politica non  illegittima:
la difesa della Patria presuppone, infatti, uno stretto  rapporto  di
lealta' tra i cittadini e le istituzioni  repubblicane,  che,  al  di
fuori di condizioni particolari, non  puo'  essere  richiesta  ad  un
cittadino  straniero.  La  ricorrente  chiede,  pertanto,   che   sia
affermato  il  principio  secondo  cui  l'allargamento  del  servizio
civile, ormai non piu' obbligatorio, a finalita' solidaristiche,  non
ha  determinato  la  «traslazione»   del   parametro   costituzionale
dell'istituto dall'alveo dell'art. 52  Cost,  a  quello  dell'art.  2
Cost., sicche' sarebbe giustificata l'esclusione  dei  non  cittadini
dal servizio civile, prevista dal  bando  di  selezione  per  cui  e'
causa, in conformita' dell'art. 3 del d.lgs. n. 77  del  2002,  norma
questa in vigore ed efficace e  non  in  contrasto  con  i  parametri
costituzionali. 
    Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art.  1
della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, nonche' della legge
11 marzo 1953, n. 87, in relazione all'art. 360, primo comma,  n.  3,
cod. proc. civ.) la ricorrente censura che la sentenza impugnata -  a
prescindere dal parametro costituzionale riferibile alla  materia  in
esame, erroneamente identificato nell'art. 2 Cost. - abbia operato un
travalicamento dei  limiti  propri  della  potesta'  giurisdizionale,
avendo direttamente disapplicato una norma di  legge,  l'art.  3  del
d.lgs. n. 77 del 2002, anziche'  rimettere  la  questione  al  vaglio
della Corte costituzionale. 
    8. - La difesa dei controricorrenti ha  chiesto  il  rigetto  del
ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri,  previa
eventuale sotto-posizione alla Corte costituzionale  della  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77
del 2002, nella parte in cui prevede il requisito della  cittadinanza
italiana al fine  di  accedere  al  servizio  civile  nazionale,  per
supposto contrasto con gli artt. 2, 3 e  76  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione al criterio  direttivo  contenuto  nell'art.  2,  comma  3,
lettera a), della legge delega per l'istituzione del servizio civile. 
    9.  -  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica,  la  difesa   dei
controricorrenti ha depositato una memoria illustrativa con la  quale
ha chiesto che in  via  principale  sia  dichiarata  la  sopravvenuta
cessazione materia  del  contendere:  (a)  per  avere  il  sig.  Syed
acquisito  medio  tempore  la  cittadinanza  italiana  e   raggiunto,
comunque, l'eta' massima per  essere  ammesso  allo  svolgimento  del
servizio civile  nazionale;  (b)  per  avere  il  bando  da  cui  era
originato il contenzioso esaurito i propri effetti secondo le  regole
invocate dalla Amministrazione ricorrente, essendo dispositivo  della
sentenza della Corte d'appello intervenuto allorche' tutti i  giovani
cittadini italiani selezionati  avevano  gia'  concluso  il  servizio
(che, in base all'art. 5, comma 4, della legge n. 64 del 2001, ha  la
durata di dodici mesi). La difesa dei controricorrenti ha  depositato
documenti comprovanti l'intervenuto mutamento dello stato di fatto. 
    All'udienza di discussione,  l'Avvocatura  erariale,  concordando
sull'intervenuto mutamento dello stato di fatto nei termini  indicati
dalla difesa dei controricorrenti, ha concluso,  in  via  principale,
per  l'accoglimento  del  ricorso  e,  in  via  incidentale,  per  la
rimessione della questione alla Corte costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Occorre  preliminarmente  rilevare  che  il   sopravvenuto
acquisto da parte della persona fisica  ricorrente  nel  giudizio  di
merito della cittadinanza italiana e  l'integrale  svolgimento  degli
effetti dell'impugnato bando del 2011 secondo le regole originarie (i
giovani italiani selezionati hanno preso servizio nel febbraio  2012,
ultimandolo nel febbraio  2013)  hanno  determinato  la  sopravvenuta
perdita   di   ogni   utilita'   concreta   derivabile   alle   parti
dall'accoglimento o dal rigetto del ricorso per cassazione. 
    La  vicenda  concreta  che  la  clausola  del  bando  oggetto  di
contestazione era destinata a regolare  appare  -  come  risulta  dai
documenti prodotti dai controricorrenti - del tutto esaurita  con  la
prestazione del  servizio  civile  da  parte  dei  giovani  volontari
selezionati; ne' vi e' spazio per un accertamento dell'illegittimita'
del bando a fini risarcitori, non avendo i ricorrenti nel giudizio di
merito avanzato domanda in tal senso. 
    In una situazione siffatta, ritiene il Collegio che siano  venute
meno  le  condizioni  per  pronunciare  sul  fondo  del  ricorso  per
cassazione, il  quale  appare  destinato  alla  definizione  con  una
pronuncia in rito di inammissibilita'  per  sopravvenuto  difetto  di
interesse (cfr, Sez. un., 18  maggio  2000,  n.  368;  Sez,  un.,  15
novembre 2002, n. 16160; Sez. un., 21 giugno  2007,  n.  14385;  Sez.
un., 4 agosto 2010, n. 18047; Sez. I, 28 maggio 2012, n. 8448). 
    2. - E tuttavia, la particolare importanza del  thema  decidendum
induce il Collegio, stante la ravvisata inammissibilita' del  ricorso
per sopravvenuto difetto di  interesse,  a  ritenere  sussistenti  le
condizioni per una pronuncia d'ufficio ai sensi dell'art. 363,  terzo
comma, cod., proc. civ., con l'enunciazione  -  nell'esercizio  della
funzione  nomofilattica  assegnata  a  questa  Corte   dalla   citata
disposizione  del  codice  di  rito  -  del  principio   di   diritto
nell'interesse della legge sulla questione di diritto trattata  nella
causa di merito e che il ricorso divenuto inammissibile propone. 
    Sussistono, ad avviso del Collegio, entrambe  le  condizioni  per
l'esercizio del potere d'ufficio della Corte: (a)  l'inammissibilita'
del ricorso; e (b) la connotazione di «particolare importanza»  della
questione. 
    2.1. - Quanto al presupposto che il ricorso proposto dalle  parti
sia dichiarato inammissibile, la giurisprudenza di  questa  Corte  ha
infatti chiarito che l'art. 363, terzo comma, cod. proc.  civ.  trova
applicazione   non   soltanto   nell'ipotesi   di    inammissibilita'
determinata dalla non impugnabilita' del provvedimento, ma in tutti i
casi  di  ricorso  inammissibile,  quale   che   sia   l'ipotesi   di
inammissibilita' (Sez. un., 6 settembre 2010,  n.  19051),  e  quindi
anche  quando  l'inammissibilita'  derivi,  come  nella  specie,  dal
difetto sopravvenuto di  interesse  all'impugnazione  (Sez.  III,  10
maggio 2013, n. 11113). 
    2.2.  -  In  ordine,  poi,  alla  particolare  importanza   della
questione se, alla luce del disposto dell'art. 3, comma 1, del d.lgs.
n. 77 del 2002,  sia  o  meno  giustificato  riservare  l'accesso  al
servizio civile  nazionale  ai  soli  cittadini  italiani  e  se,  di
conseguenza, abbia o meno carattere discriminatorio il bando  per  la
selezione dei volontari che escluda dalla possibilita' di avanzare la
domanda di partecipazione alla  selezione  i  cittadini  stranieri  i
quali abbiano un collegamento legittimo e regolare con il  territorio
italiano, essa sussiste in base alle seguenti considerazioni. 
    Innanzitutto, sulla questione si  registra  un  contrasto  tra  i
giudici di merito. Mentre il Tribunale di Brescia, con  ordinanza  in
data 9 maggio 2012, ha escluso la natura discriminatoria dell'art.  3
del  bando  in  data   20   settembre   2011,   ritenendo   che   «la
differenziazione tra cives e stranieri operata  dal  legislatore  nel
regolamentare   l'accesso   al   servizio   civile   nazionale»   sia
«ragionevole, perche' coerente con l'ordinamento nel suo complesso e,
in particolare, con  i  principi  costituzionali»,  nel  giudizio  di
merito che ha occasionato  il  presente  ricorso  per  cassazione  il
Tribunale di Milano, prima, e la  Corte  d'appello  di  Milano,  poi,
hanno dichiarato il carattere discriminatorio del bando. 
    Inoltre, la questione e' nuova per la  giurisprudenza  di  questa
Corte,  ossia  per  l'organo   chiamato,   per   specifica   funzione
ordinamentale, ad assicurare l'esatta osservanza della legge, la  sua
uniforme interpretazione e l'unita' del diritto oggettivo  nazionale,
e  quindi  a  garantire  certezza  del  diritto  ed  eguaglianza  dei
cittadini dinanzi alla legge. L'esercizio di questa funzione e' tanto
piu' rilevante quando, come nella specie, la mancanza di un principio
di diritto suscettibile di porsi, per il suo  valore  di  precedente,
con  capacita'  coerenziatrice  e  sistematica  investe  un   settore
nevralgico della vita sociale,  nel  quale  sono  coinvolti  numerosi
giovani, operatori  ed  enti  e  dove  vengono  in  gioco  i  diritti
fondamentali della persona umana e il suo modo di essere  nell'ambito
del rapporto con gli altri. 
    D'altra parte, la questione ha l'attitudine  a  ripresentarsi  in
casi futuri, nei nuovi bandi per il  servizio  civile  nazionale  che
l'Amministrazione procedente  intenda  pubblicare,  sempre  in  forza
della legge n. 64 del 2001 e del  d.lgs.  n.  77  del  2002.  Proprio
l'esperienza  successiva  -  ed  in  particolare  la  vicenda   della
correzione, da parte dell'Amministrazione, del bando  del  4  ottobre
2013, con riapertura dei termini in favore degli  stranieri  titolari
di permesso di soggiorno o di  permesso  per  protezione  sussidiaria
soltanto a seguito della nuova ordinanza del Tribunale di  Milano  in
data 19 novembre 2013 emessa in un ulteriore e diverso  procedimento,
ma  «con  riserva  dell'esito  del  relativo  giudizio»,  -  dimostra
l'esigenza di una risposta chiarificatrice proveniente dalla Corte di
cassazione: la quale, se non ha piu', a causa della  inammissibilita'
del ricorso, la possibilita' di pronunciarsi sul fondo delle  censure
con effetti sul concreto diritto dedotto in giudizio  (essendo  ormai
lo ius litigatoris superato dai  fatti  e  dalle  cose),  ha  tra  le
proprie attribuzioni quella di enunciare, nell'interesse della legge,
un principio capace di proiettarsi sui  nuovi  casi  e  sulle  future
istanze di giustizia dei soggetti che versano nella stessa situazione
originaria del sig. Syed, e  di  orientare  cosi'  le  determinazioni
della stessa Amministrazione procedente. 
    3.  -  Ad  avviso  del  Collegio,  la  questione   della   natura
discriminatoria o  meno  dell'esclusione  degli  stranieri  residenti
nello Stato italiano dall'accesso al servizio  civile  nazionale  non
puo' essere risolta attraverso un'interpretazione  costituzionalmente
orientata dell'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002. 
    Il giudice comune ha il potere ed  il  dovere  di  uniformare  il
diritto  di  cui  e'  chiamato  a  dare  applicazione  al   contenuto
precettivo  di  fonti  prevalenti  su  quelle  interpretate:  rientra
pertanto  tra  i  suoi  compiti  ricercare  gia'  sul   piano   della
applicazione della legge soluzioni ermeneutiche suscettibili  di  far
penetrare  la  Costituzione  in  profondita'  nell'ordinamento  e  di
armonizzare  cosi'  le  sfere  della  legalita'  ordinaria  e   della
legalita' costituzionale.  E'  infatti  insegnamento  costante  della
Corte costituzionale che «in linea di  principio,  le  leggi  non  si
dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile  darne
interpretazioni  incostituzionali  (e  qualche  giudice  ritenga   di
darne),   ma   perche'   e'   impossibile    darne    interpretazioni
costituzionali» (cosi' la sentenza n. 356 del 1996; piu' di  recente,
la sentenza n. 21 del 2013). 
    Ma l'interpretazione adeguatrice deve muoversi nel rispetto delle
potenzialita' obiettive del  dato  testuale.  Essa  non  puo'  essere
condotta oltre i limiti estremi  segnati  dall'univoco  tenore  della
norma interpretata: tale circostanza segna il «confine», «in presenza
del quale  il  tentativo  interpretativo  deve  cedere  il  passo  al
sindacato di legittimita' costituzionale» (Corte cost.,  sentenze  n.
219 del 2008, n. 78 del 2012, n. 232 del 2013). 
    Nel caso in esame, il dettato normativo dell'art. 3, comma 1, del
d.lgs. n. 77 del 2002 e', per l'appunto, univoco, e si muove  in  una
direzione opposta a quella - inclusiva, aperta e non  discriminatoria
- ritenuta possibile dal giudice del merito con la sua esegesi. 
    Esso infatti, nel prevedere i requisiti di ammissione al servizio
civile nazionale, stabilisce che possono accedere ad esso, a domanda,
«i cittadini italiani», e  quindi  si  riferisce  ai  titolari  dello
status civitatis secondo l'apposita legge  disciplinatrice  (legge  5
febbraio 1992, n. 91, recante «Nuove norme sulla  cittadinanza»),  la
quale definisce chi formalmente «appartiene» allo Stato  italiano  in
base ad un insieme di  norme  sul  possesso,  sull'acquisto  e  sulla
perdita dello status di cittadino. 
    In altri termini, il legislatore delegato ha fatto ricorso ad una
nozione  giuridico-formale  di  «cittadino  italiano»:   sicche'   lo
stabilire se il soggetto rientri in quella categoria - e  sia  quindi
legittimato a presentare domanda di svolgimento delle prestazioni  di
servizio civile - dipende dall'accertamento dei presupposti stabiliti
dal diritto positivo per l'ottenimento di quella qualifica. 
    Il testo della disposizione del decreto legislativo non  consente
di ritenere che il  legislatore  delegato,  adoperando  la  locuzione
«cittadini italiani» in un contesto tecnico quale  quello  rivolto  a
fissare i requisiti di ammissione e  di  partecipazione  al  servizio
civile nazionale, abbia inteso riferirsi  ad  una  nozione,  ampia  e
deformalizzata, di «cittadinanza di residenza», capace di  accogliere
nel suo ambito tutti i  soggetti,  ivi  inclusi  gli  stranieri,  che
appartengono in maniera stabile e regolare alla comunita'. 
    4. - Assodata l'impraticabilita' di una reductio ad legitimitatem
mediante l'interpretazione costituzionalmente conforme,  il  Collegio
ritiene di dover sollevare, in riferimento  agli  artt.  2,  3  e  76
Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma
1, del d.lgs. n. 77 del 2002,  nella  parte  in  cui,  prevedendo  il
requisito della cittadinanza italiana, esclude i cittadini  stranieri
regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilita'  di
essere ammessi a prestare il servizio civile nazionale. 
    Il  dubbio  di   costituzionalita'   appare   rilevante   e   non
manifestamente infondato. 
    5.  -  Il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  si  appalesa
rilevante  perche'  la  norma  denunciata  e'  destinata  a   trovare
applicazione in sede di legittimita' ai fini della  formulazione  del
principio di diritto che queste  Sezioni  unite  ritengono  di  dover
enunciare ai sensi dell'art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., ossia
ai fini della pronuncia di una regola di giudizio  che,  sebbene  non
influente nella concreta vicenda  processuale,  serva  tuttavia  come
criterio di decisione di casi analoghi o simili. 
    Tra il quesito di costituzionalita' e la  definizione  di  questo
giudizio a quo con l'esercizio, da parte della Corte  di  cassazione,
della funzione nomofilattica  nell'interesse  della  legge,  sussiste
pertanto un rapporto di pregiudizialita'. 
    La questione di diritto di particolare importanza e', infatti, se
abbia natura  discriminatoria,  o  se  al  contrario  sia  legittima,
l'esclusione  degli  stranieri  regolarmente  soggiornati  in  Italia
dall'ammissione al servizio civile nazionale. 
    Ove  la  questione   di   legittimita'   costituzionale   venisse
dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale, in  base  all'art.
3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002  dovrebbe  ritenersi  legittima
l'esclusione  degli  stranieri  dal  servizio   civile,   attesa   la
conformita' dei bandi per la selezione di  volontari  contenenti  una
simile clausola alla  citata  norma  del  decreto  delegato,  non  in
contrasto, a sua volta, con i parametri  costituzionali  evocati  la'
dove, appunto,  preclude  ai  non-cittadini,  ancorche'  regolarmente
soggiornanti, l'accesso al servizio. 
    Se, invece, il dubbio di costituzionalita' dovesse essere accolto
e l'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002 fosse  dichiarato,  in
parte   qua,   costituzionalmente   illegittimo,   ne   discenderebbe
l'enunciazione, ad opera di queste Sezioni unite, di un principio  di
diritto  di  segno  opposto,  nel  senso  della   sussistenza   della
discriminazione derivante  dalla  riserva  in  favore  dei  cittadini
prevista  nei  bandi,  discriminazione  discendente  dalla  accertata
illegittimita' costituzionale della norma del decreto legislativo che
prevedeva   il   medesimo   requisito,   poi   caduto   per   effetto
dell'intervento della Corte costituzionale. 
    5.1. - E' d'altra parte da escludere, ad avviso del Collegio, che
la funzione nomofilattica esercitabile dalla Corte di cassazione  con
l'enunciazione d'ufficio  del  principio  di  diritto  nell'interesse
della legge sia  da  cogliere  in  una  dimensione  statica  e  debba
esaurirsi sul piano  della  legalita'  ordinaria.  Il  primato  della
Costituzione rigida, assistito  dal  controllo  di  costituzionalita'
delle leggi affidato alla Corte  costituzionale,  implica  che  anche
nell'esercizio della  funzione  giurisdizionale  cui  il  giudice  di
legittimita' puo' essere chiamato a norma dell'art. 363, terzo comma,
cod. proc. civ. vi sia il potere-dovere di provocare  l'incidente  di
costituzionalita'. 
    6. - In  punto  di  non  manifesta  infondatezza  del  dubbio  di
legittimita' costituzionale, il  Collegio  osserva  che  il  servizio
civile nazionale - con la definitiva  emancipazione  dal  riferimento
necessario, per il tramite dell'obiezione di coscienza,  al  servizio
militare obbligatorio - si configura, secondo la giurisprudenza della
Corte costituzionale, come «l'oggetto di una  scelta  volontaria  che
costituisce adempimento del dovere  di  solidarieta'  (art.  2  della
Costituzione), nonche' di quello di concorrere al progresso materiale
e  spirituale  della  societa'  (art.   4,   secondo   comma,   della
Costituzione» (sentenza n. 228 del 2004). 
    Il dovere  di  difesa  della  Patria,  letto  nell'ambito  ed  in
connessione con  l'art.  2  Cost.,  ha  assunto  nuove  potenzialita'
semantiche:  esso  non  si  risolve  in   attivita'   finalizzate   a
contrastare o prevenire un'aggressione esterna  al  territorio  dello
Stato e dei suoi confini, ma si e' esteso sino a ricomprendere  forme
spontanee di impegno sociale non armato  volte  alla  salvaguardia  e
alla promozione dei valori comuni e fondanti il  nostro  ordinamento.
Le virtualita' dell'art. 2 Cost., d'altra parte, trascendono  «l'area
degli "obblighi normativamente  imposti",  chiamando  la  persona  ad
agire non solo per imposizione di una autorita', ma anche per  libera
e spontanea espressione della profonda socialita' che caratterizza la
persona stessa» (sentenza n. 228 del 2004, cit.). 
    Il servizio civile nazionale, «forma spontanea di adempimento del
dovere costituzionale di difesa della Patria» (sentenza  n.  228  del
2004, cit.), si colloca a pieno in questo contesto. 
    Secondo le finalita' il cui perseguimento e'  stato  al  servizio
affidato dalla legge istitutiva (art. 1 della legge 6 marzo 2001,  n.
64), esso permette di partecipare in modo attivo alla costruzione  di
una democrazia sana e di nuove forme  di  cittadinanza;  consente  di
colmare il divario creatosi tra i bisogni collettivi  e  le  risposte
pubbliche, in un'ottica  di  promozione  e  di  tutela  dei  diritti,
soprattutto dei soggetti piu' vulnerabili e svantaggiati; costituisce
un istituto di integrazione, di inclusione e di coesione sociale e di
diffusione di una cultura, vissuta e sperimentata, di  partecipazione
alla vita delle comunita',  favorendo  la  costruzione  di  una  piu'
matura coscienza civile delle giovani  generazioni;  rappresenta  una
forma di salvaguardia e di tutela del  patrimonio  comune,  sia  esso
ambientale,  paesaggistico  o  monumentale,  con   azioni   volte   a
promuovere un senso di responsabilita' e di rispetto nell'uso e nella
valorizzazione dei beni comuni. 
    6.1. - Con riguardo alla condizione giuridica dello straniero, la
Corte costituzionale ha anche di recente ribadito  (sentenza  n.  245
del 2011) che «la basilare differenza esistente tra il cittadino e lo
straniero - consistente nella circostanza che, mentre il primo ha con
lo Stato un rapporto di solito originario e comunque  permanente,  il
secondo  ne  ha  uno  acquisito  e  generalmente  temporaneo  -  puo'
giustificare un loro  diverso  trattamento  nel  godimento  di  certi
diritti», e che, tuttavia,  «resta  pur  sempre  fermo  [...]  che  i
diritti inviolabili, di cui all'art. 2 Cost., spettano ai singoli non
in quanto partecipi di una  determinata  comunita'  politica,  ma  in
quanto  esseri  umani,  di  talche'  la  condizione  giuridica  dello
straniero non deve essere considerata - per quanto riguarda la tutela
di tali diritti - come causa ammissibile di trattamenti diversificati
e peggiorativi». 
    In questo contesto si colloca la sentenza n. 309  del  2013,  con
cui la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
15, comma 1, lettera b) , della legge  della  Provincia  autonoma  di
Bolzano 19 novembre 2012, n. 19 (Disposizioni per  la  valorizzazione
dei servizi volontari in provincia di Bolzano e modifiche delle leggi
provinciali in materia di attivita' di' cooperazione allo sviluppo  e
personale), nella  parte  in  cui  escludeva  i  cittadini  stranieri
regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilita'  di
prestare servizio sociale  volontario  (che  e'  svolto  «da  persone
adulte a partire dall'eta' di 29 anni, per una durata massima  di  32
mesi, presso organizzazioni ed enti di diritto pubblico  e  privato»:
art. 3, comma 1, lettera b, della legge  provinciale).  La  Corte  ha
censurato  come  irragionevole   la   scelta   di   «subordinare   la
possibilita' di accedere al servizio sociale volontario  al  possesso
della cittadinanza italiana o di altro Stato dell'Unione europea,  in
quanto si tratta di prestazioni personali effettuate spontaneamente a
favore di altri individui o della collettivita'»,  sottolineando  che
anche  agli  stranieri  regolarmente  soggiornanti   nel   territorio
italiano  «deve  essere  riconosciuta  [...]   la   possibilita'   di
partecipare al servizio sociale  volontario,  quale  espressione  del
principio solidaristico». 
    6.2. - Tanto premesso, ad avviso del Collegio, l'art. 3, comma 1,
del d.lgs. n. 77 del 2002, in parte qua, contrasta, in  primo  luogo,
con gli artt. 2 e 3 Cost. 
    Infatti, poiche' le attivita' svolte nell'ambito dei progetti  di
servizio civile nazionale  rappresentano  diretta  realizzazione  del
principio di solidarieta', per il quale «la persona  e'  chiamata  ad
agire  non  per  calcolo  utilitaristico   o   per   imposizione   di
un'autorita', ma per libera e spontanea  espressione  della  profonda
socialita' che caratterizza la persona stessa» (Corte cost., sentenza
n. 75 del 1992), l'esclusione dei  cittadini  stranieri  regolarmente
soggiornanti  nello  Stato  italiano  dalla  possibilita'  di  essere
ammessi  a  prestare  il  servizio  civile  nazionale  preclude  allo
straniero il pieno sviluppo della sua persona e l'integrazione  nella
comunita' di accoglienza, impedendogli  di  concorrere  a  realizzare
progetti di utilita' sociale nell'ambito di un istituto  giuridico  a
cio'  deputato  con  una  sua  dimensione  pubblica,   oggettiva   ed
organizzativa e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio
a favore degli altri e del bene comune come componente essenziale  di
vita e come forma di educazione ai valori della Repubblica. 
    Si tratta, secondo queste Sezioni unite, di  una  esclusione  non
proporzionata ne' ragionevole: posto che, per un  verso,  l'attivita'
di impegno sociale che la persona e' chiamata a svolgere  nell'ambito
del servizio civile nazionale, mentre «deve essere ricompresa  tra  i
valori fondanti dell'ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme  ai
diritti inviolabili dell'uomo, come  base  della  convivenza  sociale
normativamente prefigurata dal  Costituente»  (sentenza  n.  309  del
2013, cit.), non implica in alcun modo, nemmeno in  via  occasionale,
la partecipazione all'esercizio di pubblici poteri;  e,  per  l'altro
verso, agli «stranier[i] regolarmente soggiornant[i]  nel  territorio
dello Stato» - per espressa previsione contenuta nell'art.  2,  comma
2, del d.lgs. n. 286 del 1998 - e'  riconosciuto  il  godimento  «dei
diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano». 
    A  questo  giudice  rimettente  la  norma  censurata  appare   in
contrasto anche con l'art. 76  Cost.,  per  violazione  del  criterio
direttivo della legge delega di cui all'art. 2, comma 3, lettera  a),
della legge n. 64 del 2001. Infatti, mentre l'art. 2 della  legge  n.
64 del 2001, nel delegare il Governo ad emanare uno  o  piu'  decreti
legislativi aventi ad  oggetto,  tra  l'altro,  l'individuazione  dei
soggetti ammessi a prestare volontariamente servizio civile, indicava
tra i criteri direttivi - al comma 3, lettera a) - la «ammissione  al
servizio civile volontario di uomini e donne sulla base di  requisiti
oggettivi e non discriminatori»,  l'art.  3,  comma  1,  del  decreto
delegato, fissando il requisito  della  cittadinanza  italiana  nella
disciplina per l'accesso al servizio civile nazionale,  introduce  un
requisito   di   ammissione   discriminatorio,   che   preclude    al
non-cittadino regolarmente soggiornante in Italia la possibilita'  di
un  pieno  dispiegamento  della  liberta'  e   dell'eguaglianza,   da
intendersi anche quale veicolo di apprendimento del senso etico dello
stare insieme nella nostra comunita' di accoglienza e di  costruzione
dei rapporti sociali e dei legami tra le persone in  una  prospettiva
di solidarieta', di pace e di apertura al  confronto  nell'ambito  di
una convivenza pluralistica. Appare significativo, al  riguardo,  che
la citata legge delega n. 64 del 2001 conteneva  il  requisito  della
cittadinanza soltanto nel periodo transitorio,  «fino  alla  data  di
efficacia dei decreti legislativi di cui all'art.  2»  (cosi'  l'art.
4), prevedendosi che, in detto periodo, «sono soggetti all'obbligo di
prestare  servizio  civile  [...]  i  cittadini,  abili  al  servizio
militare di leva, che dichiarino la loro  preferenza  a  prestare  il
servizio civile piuttosto  che  il  servizio  militare,  purche'  non
risultino necessari al soddisfacimento delle esigenze  qualitative  e
quantitative delle Forze  armate»:  il  che  rafforza,  a  contrario,
l'interpretazione che assegna all'art. 2, comma 3, lettera a),  della
legge una portata che, a regime, non ammette distinzioni  sulla  base
del criterio della nazionalita'. 
    6.2.1. - Ne', ad avviso del Collegio, la scelta  del  legislatore
delegato appare giustificata dalla  previsione  contenuta  nel  primo
comma dell'art. 52 Cost., che configura la difesa della  Patria,  nel
cui  orizzonte  si  collocano  le  attivita'  del   servizio   civile
nazionale, come «sacro dovere del cittadino». 
    Infatti, la portata normativa della  disposizione  costituzionale
e' - come gia' riconosciuto dalla Corte costituzionale  (sentenza  n.
172 del 1999) -  «quella  di  stabilire  in  positivo,  non  gia'  di
circoscrivere  in   negativo   i   limiti   soggettivi   del   dovere
costituzionale». L'art. 52 Cost. e' una norma di garanzia, nel  senso
che garantisce che a  nessun  cittadino  possa  essere  riservato  il
privilegio di una esenzione immotivata dall'obbligo di leva. 
    Per l'altro  verso,  poiche'  il  servizio  civile  nazionale  si
propone come una realta', caratterizzata da liberta' e  spontaneita',
in cui si esprime la vocazione sociale  e  solidaristica  di  chi  vi
accede, sembra escluso in radice il rischio del sorgere di situazioni
di conflitto potenziale tra opposte lealta': la partecipazione  dello
straniero regolarmente soggiornante in Italia  ad  una  comunita'  di
diritti,  piu'  ampia  e  comprensiva   di   quella   fondata   sulla
cittadinanza  in  senso  stretto,  postula   che   anch'egli,   senza
discriminazioni in  ragione  del  criterio  della  nazionalita',  sia
legittimato, su base volontaria, a restituire un impegno di  servizio
a favore di quella stessa comunita', sperimentando  le  potenzialita'
inclusive  che  nascono  dalla  dimensione  solidale  e  responsabile
dell'azione a favore degli altri e  a  difesa  dei  valori  inscritti
nella Carta Repubblicana.