CORTE D'APPELLO DI FIRENZE Seconda Sezione Civile Il Consigliere designato dr. Marco Modena, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 153/2014 V.G. promossa da Menelao Riccardo, rappresentato e difeso dagli avvocati Salvatore Coronas e Umberto Coronas, domiciliati presso l'avv. Andrea Ghelli, ricorrente, Contro Ministero della giustizia, non costituito. Letto il ricorso ex art. 3 legge n. 89/2001, come modificata dalla legge n. 134/2012, depositato il 19 marzo 2014, e la documentazione integrativa depositata il 30 aprile 2014; Rilevato che: 1) Menelao Riccardo ha chiesto equa riparazione per la eccessiva durata del procedimento (anch'esso per equa riparazione) promosso dinanzi alla Corte d'Appello di Roma, con ricorso r.g.v.g. n. 50406 del 29 gennaio 2007, poi riassunto dinanzi alla Corte d'Appello di Perugia, giusta ordinanza d'incompetenza della Corte d'Appello di Roma del 12 aprile 2010, con ricorso r.g.v.g n. 707 del 4 maggio 2010, e definito con decreto di accoglimento n. 46 dell'11 gennaio 2013, durato complessivamente anni 5 e mesi 10; 2) secondo l'art. 2, comma 2-ter, della citata legge n. 89 (introdotto dal D.L. n. 83/2012 conv. in l. n. 134/12) si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni; facendo applicazione di tale criterio, pertanto, il ricorso andrebbe respinto; 3) il ricorrente sostiene che la citata norma riguarderebbe soltanto i «giudizi presupposti» e non anche i particolari giudizi «equa su equa», la cui durata ragionevole sarebbe stata ravvisata dalla giurisprudenza in un anno; in subordine, propone di interpretare la norma nel senso che essa consenta solo di compensare la maggior durata di un grado con la minore durata di un altro quando il giudizio si sia svolto in piu' gradi (e quindi non, pare di capire, quando il giudizio si sia svolto in unico grado, come nella specie); ed in ulteriore subordine eccepisce l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 2-bis e 2-ter legge cit., richiamando l'ordinanza di questa Corte 1-14.20.2013, nel giudizio di cui la r.g.v.g. n. 176/2013; 4) la legge da applicarsi non puo' essere interpretata come chiede l'opponente: l'indicazione, da parte della legge, di termini di durata per ciascun tipo di procedimento giudiziario, civile o penale, ivi compreso quelli di esecuzione forzata, e le procedure concorsuali, rappresenta un sistema «chiuso», che non lascia spazio alcuno all'ipotesi che la individuazione della ragionevole durata possa, per altri procedimenti, essere lasciata alla liberta' dell'interprete, e cio' anche per i motivi di contenimento della spesa pubblica, che palesemente sottostanno (insieme a quelli di accelerazione dei procedimenti) alla novella del 2012; ne' si vede come si possano da un lato ritenere compensabili le durate dei diversi gradi di giudizio quando di tali ve n'e' piu' d'uno, ma, al contempo, ritenere inapplicabile, qualora sia stato esperito un solo grado di giudizio, il principio della ragionevolezza presunta in caso di definizione irrevocabile entro sei anni, ostando, a tale interpretazione, l'avverbio «comunque»; 5) tuttavia la normativa sopravvenuta si pone in contrasto con la giurisprudenza, sia della CEDU (in particolare la decisione in causa CE.DI.SA. Fortore s.n.c. Diagnostica Medica Chirurgica c. Italia 27 settembre 2011) che la Corte di Cassazione (in paricolare le sentenze nn. 4914/12 e 6824/12), formatasi anteriormente all'entrata in vigore del D.L. n. 83/2012, che ravvisava in soli due anni il termine ragionevole per i procedimenti ex lege n. 89; 6) risulta pertanto non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della normativa applicabile al caso di specie; l'individuazione del principio costituzionale della «ragionevole durata» di cui all'art. 111 secondo comma Cost. non puo' essere infatti avulsa la natura del procedimento stesso, e della sua «naturale» durata, che dipende in primo luogo dalla sua maggiore o minore complessita'; in questo quadro il procedimento per equa riparazione e' per sua natura destinato a durare assai meno di un giudizio ordinario di cognizione, data la semplicita' dei fatti che deve accertare (la durata di un procedimento, e le ragioni della sua protrazione, di regola evincibili dalla mera produzione degli atti processuali), e le finalita' cui tende (indennizzare la violazione di un diritto fondamentale leso proprio da una precedente eccessiva durata), oltre che per la mancanza di un doppio grado di merito; la previsione di una sua «ragionevole durata» pari a sei anni risulta pertanto incongrua, e lesiva del predetto art. 111 secondo comma Cost., oltre che dell'art. 117 primo comma, per violazione degli obblighi internazionali derivanti all'Italia dall'art. 6 (e 13, come meglio si specifichera' in seguito) della predetta Convenzione (la cui violazione comporta lesione dell'art. 117 primo comma Cost., come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, secondo le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007 e la successiva giurisprudenza ad esse conforme), che stabilisce l'analogo principio del «tempo ragionevole», e infine dell'art. 3 primo comma Cost. per uniforme trattamento di situazioni diverse; 7) non per caso, quindi, il «diritto vivente» (uniforme interpretazione di CEDU e Corte di Cassazione italiana, come recentemente consolidatasi) alla vigilia del D.L. n. 83/2012 affermava che la durata ragionevole di un procedimento ex lege 89 non dovesse superare i due anni; e tale interpretazione puo' trarre conforto degli stessi termini ordinatori piu' brevi indicati dalla legge fin dalla sua originaria formulazione per lo svolgimento della procedura di equa ripartizione (nel senso che, in presenza di tali, piu' ridotti termini, difficilmente sarebbe risultato giustificabile un termine ancor piu' ampio di quello ravvisato dalla giurisprudenza), che oggi, peraltro, proprio il D.L. n. 83/2012 conv. nella legge n. 134, ha ribadito, fissando un termine ancora piu' breve (trenta giorni) per l'emissione del decreto nella fase «monitoria» (art. 3, c. 4, legge n. 89 come modificata), e mantenendo il termine di quattro mesi per la eventuale fase di opposizione (art. 5-ter, comma 5); 8) ne' potrebbe dirsi irrilevante un'insufficiente riparazione ai sensi della legge n. 89/2001, ai fini della lesione dei diritti costituzionalmente garantiti sopra richiamati, sol perche' esiste la possibilita' di ottenere una «equa soddisfazione» dalla CEDU, ai sensi dell'art. 41 della Convenzione citata, anche oltre i rimedi apprestati dall'ordinamento interno; e cio' in quanto l'art. 13 della Convenzione impone comunque agli Stati di predisporre un rimedio interno davanti ad un giudice nazionale per la violazione dei diritti dalla stessa garantiti; 9) in ordine alla rilevanza, si richiama quanto sopra esposto, ai punti 1 e 2, da cui consegue che, ove si dovesse ritenere conforme a Costituzione, e conseguentemente applicare, la normativa vigente, il ricorso andrebbe respinto, risultando rispettato il termine ragionevole di sei anni complessivi ex art. 2, comma 2-ter, legge n. 89/2001 nel testo vigente; mentre invece, ove fosse accolta la questione di legittimita' costituzionale, nei termini sopra prospettati e che si vanno a precisare ulteriormente, il ricorso dovrebbe essere accolto, in quanto la durata del procedimento ha superato i due anni; 10) la questione deve investire l'art. 2, comma 2-ter, della legge n. 89, nella parte in cui si applica anche ai procedimenti previsti dalla stessa legge n. 89, e dunque riguardare il termine sessennale complessivo del procedimento, di cui ha fatto applicazione questa Corte nel decreto opposto; ma va estesa anche ai termini di cui al comma 2-bis (tre anni per il primo grado), che si renderebbe applicabili in mancanza del predetto termine complessivo; anche tale termine risulterebbe infatti superiore al termine complessivo di due anni individuato dalla citata giurisprudenza come limite di ragionevole durata di un procedimento per equa riparazione;