Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  presso   cui   e'
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione Veneto in persona del presidente pro-tempore; 
    Per la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.
1, comma 1, della legge regionale 21 febbraio 2017, n. 6,  pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto del 24  febbraio  2017,
n. 21, nella parte in cui modifica l'art. 8,  comma  4,  della  legge
regionale 23 aprile 1990, n. 32, introducendovi la lettera b). 
 
                                Fatto 
 
    L'art.  8  della  legge  regionale  n.  32/1990,  dedicata   alla
«disciplina degli interventi regionali per i servizi  educativi  alla
prima  infanzia:  asili  nido  e  servizi  innovativi»,   nel   testo
originario prevedeva all'art. 8: 
    «Art. 8 (Ammissione e frequenza al servizio). - 1.  Sono  ammessi
all'asilo nido i bambini di eta' non  inferiore  a  tre  mesi  e  non
superiore a tre anni. 
    2. Al fine di perseguire il pieno utilizzo delle risorse attivate
nel servizio, il regolamento di cui all'art. 7, puo' prevedere, anche
in relazione alla presenza media dei bambini, un numero di ammissioni
superiore ai posti effettivamente attivati, in misura  non  superiore
al 20%. 
    3. In caso di gravi necessita' possono essere  ammessi  all'asilo
nido bambini di eta' inferiore a tre mesi o puo' essere consentita la
loro permanenza nell'asilo nido  fino  all'inserimento  nella  scuola
materna. 
    4. Hanno titolo di precedenza all'ammissione i bambini  menomati,
disabili o in situazioni di rischio e di svantaggio sociale.». 
    Il  21  febbraio  2017  il  consiglio  regionale  del  Veneto  ha
approvato  la  legge  in  epigrafe,  che  all'art.  1,  comma  1,  ha
modificato il comma 4 dell'art. 8 della legge  regionale  n.  32/1990
ora riportato, cosi' trasformandone il dispositivo: 
    «1. Il comma 4 dell'art. 8 della legge regionale 23 aprile  1990,
n. 32, e' sostituito dal seguente: 
    "4. Hanno titolo di precedenza per  l'ammissione  all'asilo  nido
nel seguente ordine di priorita': 
    a) i bambini portatori di disabilita'; 
    b) i figli di genitori residenti in  Veneto  anche  in  modo  non
continuativo  da  almeno  quindici  anni  o  che  prestino  attivita'
lavorativa in  Veneto  ininterrottamente  da  almeno  quindici  anni,
compresi eventuali periodi intermedi  di  cassa  integrazione,  o  di
mobilita' o di disoccupazione."». 
    Non forma oggetto della presente impugnativa la modifica relativa
alla precedenza riconosciuta ai «bambini portatori  di  disabilita'».
Tale previsione, infatti, non comporta (come a prima lettura potrebbe
apparire)  riduzioni  della  portata  soggettiva   della   precedenza
riconosciuta dal testo  originario  ai  «bambini  menomati,  disabili
...».  Questa  modifica  testuale  si  collega  infatti  al  comma  2
dell'art. 1 della legge regionale n. 6/2017, giusta il quale  «2.  Al
comma 4 dell'art. 15 della legge regionale 23 aprile 1990, n. 32,  le
parole:  "menomati  o  disabili"  sono   sostituite   dalle   parole:
"portatori di disabilita'" (il testo originario dell'art.  15,  comma
4, stabiliva: "4. L'ente gestore garantisce il personale di  sostegno
ai bambini menomati o disabili.")». 
    Pur nella scarsa perspicuita' della  tecnica  normativa  seguita,
deve quindi ritenersi che l'espressione  «portatori  di  disabilita'»
ora inserita nella legge  regionale  n.  32/1990  abbia  la  medesima
estensione  soggettiva  della   precedente   espressione   «menomati,
disabili» o «menomati o disabili». 
    Ha invece  indubbiamente  portata  sostanziale  la  (discutibile)
modifica consistente  nell'abolizione  della  precedenza  in  origine
riconosciuta  anche  ai  «bambini  in  situazioni  di  rischio  e  di
svantaggio sociale». Ma deve riconoscersi che equiparare  o  meno  il
rischio e  lo  svantaggio  sociale  alla  disabilita'  rientra  nella
discrezionalita' del legislatore regionale. 
    Forma invece oggetto della  presente  impugnativa  la  parte  del
comma 1 che introduce nell'art. 8, comma 4 della legge  regionale  n.
32/1990 la lettera b), secondo cui, come si e'  gia'  trascritto,  la
precedenza nell'ammissione agli asili nido  e'  ora  riconosciuta  ai
bambini «... figli di genitori residenti in Veneto anche in modo  non
continuativo  da  almeno  quindici  anni  o  che  prestino  attivita'
lavorativa in  Veneto  ininterrottamente  da  almeno  quindici  anni,
compresi eventuali periodi intermedi  di  cassa  integrazione,  o  di
mobilita' o di disoccupazione». 
    La  legge  regionale,  in  questa  parte,  e'  costituzionalmente
illegittima e, giusta delibera del  Consiglio  dei  ministri  del  13
aprile 2017 prodotta unitamente al presente ricorso, viene  impugnata
per i seguenti, 
 
                               Motivi 
 
1. Violazione dell'art. 3, commi 1 e 2, della Costituzione. 
    1.1. Nella relazione alla commissione consiliare  depositata  dai
presentatori della proposta normativa (consiglieri Conte e Negro), la
ratio di quest'ultima veniva cosi' spiegata (enfasi aggiunta): 
    «La presente proposta di legge - che consta di un solo articolo -
e' volta a favorire  i  cittadini  che  siano  residenti  o  svolgano
attivita' lavorativa in  Veneto  da  un  certo  lasso  di  tempo:  in
particolare mira a far si che per l'accesso ai servizi di asili  nido
possano presentare apposita domanda solamente quei cittadini che, per
l'appunto,  abbiano  la  residenza  o  svolgano  la  loro   attivita'
lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni. 
    La ratio della proposta di  legge  in  esame  e'  sostanzialmente
quella di circoscrivere la categoria di coloro che  sono  legittimati
ad effettuare la predetta domanda, in ragione della limitatezza delle
risorse finanziarie disponibili: in altri termini, riteniamo  che  si
debbano privilegiare quei cittadini che dimostrino di avere un "serio
legame" con il territorio  della  nostra  regione,  vuoi  perche'  vi
risiedono da almeno quindici anni, vuoi perche' vi lavorano da almeno
quindici anni.». 
    Il testo della proposta, sostanzialmente analogo a quello  infine
approvato, contraddiceva peraltro queste dichiarazioni. Esso era  del
seguente tenore: «1. Il comma 4 dell'art. 8 della legge regionale  23
aprile 1990, n. 32, e' sostituito dal seguente: 
    "4.  Hanno  titolo  di  precedenza  assoluta   per   l'ammissione
all'asilo  nido,  i  figli  di  genitori  residenti  o  che  prestino
attivita' lavorativa in Veneto, ininterrottamente da almeno  quindici
anni, nonche' i bambini menomati e disabili".». 
    Lungi dall'attribuire, come dichiarato dai proponenti, un diritto
esclusivo di usufruire delle prestazioni di asilo nido  ai  figli  di
residenti o lavoratori in Veneto da almeno quindici  anni,  anche  il
testo proposto disponeva in favore di tali  soggetti  un  diritto  di
precedenza  «assoluta»  sugli  altri  interessati,  che  dunque   non
venivano, almeno in diritto, esclusi dalle prestazioni. 
    Ed infatti nella relazione per il  passaggio  in  aula  la  ratio
della modifica legislativa venne cosi' spiegata dalla relatrice Negro
(enfasi aggiunta): «la presente proposta di legge - che consta di  un
solo articolo - e' volta a favorire i cittadini che siano residenti o
svolgano attivita' lavorativa in Veneto da un certo lasso  di  tempo:
in particolare mira a far si' che nell'accesso ai  servizi  di  asili
nido abbiano titolo di precedenza i bambini portatori di  disabilita'
e  i  figli  di  cittadini  che  abbiano  la  residenza   in   Veneto
ininterrottamente da almeno quindici anni  o  che  svolgano  la  loro
attivita' lavorativa in Veneto ininterrottamente da  almeno  quindici
anni. 
    Viene  inoltre  adeguata  la  dizione  originaria   della   legge
regionale  n.  32/1990  "bambini  menomati,  disabili"  con  "bambini
portatori di disabilita'", piu' consona con la normativa vigente. 
    La ratio della proposta di  legge  in  esame  e'  sostanzialmente
quella di  differenziare  i  soggetti  non  gia'  nel  momento  della
presentazione della domanda per l'accesso ai servizi di  asili  nido,
bensi' nella formazione delle relative graduatorie, in ragione  della
limitatezza dei posti disponibili: in altri termini, riteniamo che si
debbano privilegiare quei cittadini che dimostrino di avere un  serio
legame con il  territorio  della  nostra  regione,  vuoi  perche'  vi
risiedono da almeno quindici anni, vuoi perche' vi lavorano da almeno
quindici anni.». 
    Nell'introdurre  la  discussione,  la   relatrice   ulteriormente
preciso' il concetto dichiarando nella seduta del 14  febbraio  2017:
«Questa proposta di legge nasce dall'istanza di  molti  genitori  che
lavorando  ambedue  hanno  un  ISEE  alto   e   si   vedono   esclusi
continuamente da tutte le graduatorie degli  asili  nido  comunali  e
sono costretti a rivolgersi agli asili privati pagando ingenti somme,
a volte anche il triplo della retta comunale, per  poter  svolgere  e
mantenere il proprio posto di lavoro. 
    Chiediamo la piu'  ampia  condivisione  su  questo  progetto,  in
quanto l'obiettivo e' di preservare i genitori che hanno  la  fortuna
di avere un posto di lavoro e dare la possibilita' alle  mamme  e  ai
papa' di avere un posto negli asili nido  delle  strutture  pubbliche
che possa accogliere il proprio figlio.  Molto  spesso,  infatti,  vi
accedono bambini che hanno i genitori con un ISEE basso e uno dei due
genitori e' a casa senza un lavoro». 
    Il significato letterale e la  finalita'  della  norma  impugnata
sono  quindi  inequivocabili:  operare  una   discriminazione   nella
formazione delle graduatorie di accesso  agli  asili  nido  pubblici,
favorendo i figli di genitori entrambi residenti in Veneto da  almeno
quindici anni (anche non continuativi, cioe' «cumulando»  periodi  di
residenza veneta minori) e i figli di genitori entrambi  occupati  in
Veneto da almeno quindici anni; cio' allo  scopo  di  dare  a  questi
presupposti (prolungata residenza di entrambi i genitori;  prolungata
occupazione  di  entrambi  i  genitori)  la  prevalenza  rispetto  ai
requisiti di ridotta capacita' economica dei  genitori,  misurati  in
base all'ISEE, e di dare rilievo allo stato di non occupazione di uno
dei genitori, che la norma intende in pratica  «adibire»  tout  court
alla cura domestica dei bambini  (finalita',  quest'ultima,  peraltro
prontamente contraddetta dal  testo  della  norma  stessa,  allorche'
equipara allo stato di occupazione effettiva i periodi di  mobilita',
cassa  integrazione,  disoccupazione,  purche'  «intermedi»   e   non
originari). 
    Cio' e' sufficiente a dimostrare, in  primo  luogo,  la  evidente
violazione dell'art. 3, comma  1  della  Costituzione,  commessa  dal
legislatore regionale. 
    E' ben noto che il principio di  eguaglianza,  di  cui  al  primo
comma dell'art. 3, comporta innanzitutto il divieto costituzionale di
trattare   in   modo   differenziato   situazioni   che   non    sono
significativamente differenziabili. 
    Nella   specie,   e'   evidente   come   non   siano   seriamente
differenziabili la situazione, da un  lato,  dei  figli  di  genitori
residenti in Veneto da almeno quindici anni anche non continuativi, o
dei figli di genitori entrambi occupati in  Veneto  ininterrottamente
da almeno quindici anni; e, dall'altro, la situazione  dei  figli  di
genitori di cui uno solo sia residente in Veneto,  e  magari  sia  il
genitore con cui il figlio convive, o dei figli di  genitori  di  cui
uno solo sia occupato in Veneto, essendo l'altro genitore disoccupato
«originario» e non «intermedio», o occupato lontano dal Veneto. Cosi'
come non sono seriamente differenziabili la situazione dei  figli  di
genitori entrambi residenti o occupati in Veneto, e la situazione dei
figli su cui eserciti la responsabilita' genitoriale un solo genitore
residente o occupato in Veneto (essendo  l'altro  genitore  ignoto  o
deceduto  o  decaduto  dalla  responsabilita'  genitoriale).   O   la
situazione dei figli di genitori residenti o occupati  in  Veneto  da
almeno quindici anni, e la situazione dei figli di genitori residenti
o occupati in Veneto da meno di quindici  anni,  ma  comunque  da  un
periodo significativo (o  dei  figli  di  genitori  che  non  possono
accumulare periodi  cosi'  lunghi  di  lavoro  nella  stessa  regione
perche' occupati in attivita' che comportano frequenti  mutamenti  di
sede). O, per finire gli esempi, la situazione dei figli di  genitori
residenti o occupati in Veneto da almeno quindici anni quale che  sia
la loro capacita' economica (teoricamente anche molto elevata), e  la
situazione dei figli di  genitori  di  capacita'  economica  ridotta,
attestata  dall'ISEE  o  da  altri   indici,   come   lo   stato   di
disoccupazione. Per non parlare del caso estremo ma non  immaginario,
del bambino privo di entrambi i genitori. 
    In tutti i casi descritti, la mera circostanza che  lo  stato  di
residenza o di occupazione in Veneto si siano protratti, per entrambi
i genitori, per un dato periodo  di  tempo  (quindici  anni)  non  e'
idonea a dimostrare che  i  figli  di  tali  genitori  esprimano  una
necessita' di fruire del servizio degli asili nido pubblici  maggiore
della necessita' che esprimono i figli dei genitori che si trovino in
una situazione diversa, compresa per lo meno tra quelle descritte. 
    Nel caso in esame si deve porre a raffronto  una  prestazione  di
assistenza pubblica come e' il servizio degli  asili  nido  pubblici,
con gli interessi, innanzitutto, dei  bambini,  che  sono  i  diretti
destinatari  delle  prestazioni  pubbliche  di  asilo  nido,  e   dei
genitori, per i  quali  tali  prestazioni  costituiscono  un  ausilio
nell'esercizio della responsabilita' genitoriale, e che quindi  vanno
qualificati come destinatari indiretti delle prestazioni stesse. 
    Anche ad ammettere il presupposto che  non  sussista  un  diritto
costituzionale assoluto di tutti i bambini in eta' tra tre mesi e tre
anni a fruire delle prestazioni pubbliche in questione nel  luogo  in
cui sono  residenti  o  occupati  i  genitori  (e  l'analogo  diritto
«riflesso» dei genitori), poiche' e' comunque necessario tenere conto
della limitatezza delle risorse pubbliche, e quindi ad ammettere  che
occorra operare una selezione tra gli aspiranti  a  tali  servizi  di
assistenza pubblica, il criterio differenziatore non puo'  essere  la
durata  della  residenza  o  dell'occupazione  dei   genitori.   Tale
criterio, di  per  se',  non  presenta,  infatti,  alcun  percepibile
collegamento logico ne' con le esigenze formative  del  bambino,  ne'
con le esigenze educative ed economiche dei  genitori.  Differenziare
le situazioni in base ad un criterio (la  durata  della  residenza  o
dell'occupazione) che e' del tutto astratto rispetto alle  situazioni
e agli interessi concreti che la legge  deve  disciplinare  (qui,  in
primo luogo, gli interessi dei bambini in eta' tra  tre  mesi  e  tre
anni), significa quindi differenziare tali situazioni e interessi  in
modo arbitrario, perche' inidoneo a valorizzare differenze  realmente
significative in rapporto agli interessi in gioco, e  dunque  violare
l'art. 3, comma 1 della Costituzione. 
    Codesta Corte costituzionale gia' nella sentenza n.  432/2005  ha
avvertito in generale che «La circostanza che la regione abbia  nella
specie introdotto un regime di favore senz'altro eccedente  i  limiti
dell'"essenziale", sia sul versante del diritto alla salute,  sia  su
quello delle prestazioni concernenti "i diritti civili e sociali  che
devono essere  garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale",  non
esclude affatto che le  scelte  connesse  alla  individuazione  delle
categorie dei  beneficiari  -  necessariamente  da  circoscrivere  in
ragione della limitatezza delle risorse finanziarie - debbano  essere
operate,  sempre  e   comunque,   in   ossequio   al   principio   di
ragionevolezza; al legislatore  (statale  o  regionale  che  sia)  e'
consentito,  infatti,  introdurre  regimi  differenziati,  circa   il
trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in  presenza
di una "causa"  normativa  non  palesemente  irrazionale  o,  peggio,
arbitraria.». E che si deve quindi sempre ravvisare una  «ragionevole
correlabilita' tra quella condizione positiva  di  ammissibilita'  al
beneficio [qui, la residenza o l'occupazione protratte di entrambi  i
genitori] ... e gli altri peculiari requisiti ... che ne condizionano
il riconoscimento e ne definiscono  la  ratio  e  la  funzione  [qui,
l'esserci un bambino in eta' compresa tra tre mesi e tre anni]». 
    Non  varrebbe  obiettare  che  in  tale  sentenza  codesta  Corte
costituzionale  ha  affermato,  peraltro  incidentalmente,  che   «la
residenza, rispetto ad una provvidenza regionale, appare un  criterio
non irragionevole per  l'attribuzione  del  beneficio».  Qui  non  si
discute  del  fatto  (peraltro  dubbio)   se   la   residenza   possa
legittimamente  costituire   un   presupposto   per   richiedere   la
prestazione degli asili nido pubblici. La legge regionale di  settore
n. 32/1990, infatti, non prevede  tale  requisito  di  ammissione,  e
nell'art. 8, comma 1,  ammette  agli  asili  nido  pubblici  tutti  i
bambini che ne abbiano bisogno  (la  disposizione,  gia'  trascritta,
prevede semplicemente che «1. Sono ammessi all'asilo nido  i  bambini
di eta' non inferiore a tre mesi e non superiore a tre  anni.»),  del
tutto a prescindere dalla residenza dei genitori. 
    Qui si discute della legittimita' del  criterio  della  residenza
dei genitori protratta per almeno quindici anni,  o  dell'occupazione
parimenti protratta anche in difetto di residenza  (cioe',  comunque,
di un criterio che non ha nulla a  che  vedere  con  la  residenza  e
semmai attiene al domicilio), come criterio di  attribuzione  di  una
precedenza nel caso in cui i posti disponibili superino le richieste.
E  poiche'  la  precedenza  rispetto  ad  una  prestazione   pubblica
assistenziale caratterizzata da «scarsita'  relativa»  non  puo'  che
essere  stabilita  in  base  all'intensita'  del  bisogno   di   tale
prestazione, e' evidente che  la  sola  durata  della  residenza  dei
genitori o dell'occupazione di  essi  nel  territorio  regionale  non
differenziano l'intensita' del bisogno in questione, visto  sia  come
bisogno del beneficiario principale (il bambino),  che  come  bisogno
del destinatario «riflesso» (i genitori). 
    Nella sentenza n. 168/2014 (osserviamo  per  prevenire  obiezioni
fuorvianti), codesta Corte ha  affermato  (peraltro  incidentalmente)
che «la previsione dell'obbligo di residenza da almeno otto anni  nel
territorio regionale, quale  presupposto  necessario  per  la  stessa
ammissione  al  beneficio  dell'accesso   all'edilizia   residenziale
pubblica (e non, quindi, come mera regola di  preferenza),  determina
un'irragionevole discriminazione  sia  nei  confronti  dei  cittadini
dell'Unione, ai quali deve essere garantita la parita' di trattamento
rispetto ai cittadini degli Stati membri  (art.  24,  par.  1,  della
direttiva 2004/38/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi
che siano soggiornanti di lungo periodo, i quali, in virtu' dell'art.
11, paragrafo 1, lettera  f),  della  direttiva  2003/109/CE,  godono
dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto  riguarda
anche l'accesso alla procedura per  l'ottenimento  di  un  alloggio.»
(enfasi aggiunta). 
    Ma che l'obbligo di residenza minimo  possa  non  costituire  una
discriminazione se previsto come mera regola  di  preferenza  (e  non
come  requisito  di  ammissione),  e'  stato  affermato   (incidenter
tantum), in quella sentenza  innanzitutto  con  riferimento  ai  soli
cittadini stranieri di Stati membri dell'Unione europea  o  di  Paesi
terzi;  e  non  anche  con  riferimento  ai  rapporti  tra  cittadini
italiani, tutti residenti in Italia. 
    In  secondo  luogo,  quell'affermazione  e'   stata   fatta   con
riferimento ad un servizio, come  l'edilizia  residenziale  pubblica,
riguardo al quale la sentenza stessa ha cura di  precisare  che  «"le
politiche sociali delle regioni legate al soddisfacimento dei bisogni
abitativi ben  possono  prendere  in  considerazione  un  radicamento
territoriale ulteriore rispetto alla sola residenza" (sentenza n. 222
del  2013),  considerato  che  "L'accesso  a  un  bene  di   primaria
importanza e a godimento tendenzialmente duraturo, come l'abitazione,
[...]  puo'  richiedere  garanzie  di  stabilita',  che,  nell'ambito
dell'assegnazione  di  alloggi  pubblici  in  locazione,  scongiurino
avvicendamenti troppo ravvicinati tra conduttori, aggravando l'azione
amministrativa  e  riducendone  l'efficacia"  (sentenza  n.  222  del
2013)». 
    E' evidente come tali caratteri difettino del tutto  riguardo  ad
un servizio di assistenza pubblica quale quello degli asili nido, che
e' un servizio di natura personale erogato direttamente alla  persona
del bambino, e circoscritto al breve periodo di tempo compreso tra  i
tre mesi e i tre anni di eta'. Il che conferma che,  riguardo  ad  un
servizio di tal fatta, il riferimento alla  durata  della  residenza,
anche utilizzato come mero criterio di preferenza, non  e'  idoneo  a
dare conto di differenze reali tra gli interessati. 
    1.2. Ma la disposizione impugnata viola anche l'art. 3, commi 1 e
2  della  Costituzione,  inteso  come  canone  di  ragionevolezza   e
proporzionalita'  della  legislazione,  in  rapporto  agli  obiettivi
sociali che la legge persegue. 
    Come emerge da quanto gia' illustrato nel  paragrafo  precedente,
la norma impugnata e'  manifestamente  irragionevole  in  quanto,  in
primo luogo, dando valore decisivo alla durata  della  residenza  dei
genitori o della loro occupazione,  svincola  del  tutto  il  diritto
preferenziale cosi' attribuito dalle concrete esigenze  dei  bambini.
Eppure, come  gia'  ricordato  e  come  dovrebbe  essere  indiscusso,
l'interesse primario al cui soddisfacimento  mira  il  sistema  degli
asili nido pubblici non e' quello dei  genitori,  bensi'  quello  del
bambino. L'interesse dei genitori e' indubbiamente contemplato  dalla
legge, ma si pone su  un  piano,  come  gia'  osservato,  derivato  o
«riflesso». 
    Invero, gia' l'art. 1  della  legge  6  dicembre  1971,  n.  1044
(tuttora vigente) prevedeva che «1. L'assistenza negli asili-nido  ai
bambini di eta' fino a tre anni, nel quadro di una  politica  per  la
famiglia, costituisce un servizio sociale di interesse pubblico. 
    Gli asili-nido hanno  lo  scopo  di  provvedere  alla  temporanea
custodia dei bambini per  assicurare  una  adeguata  assistenza  alla
famiglia e anche per facilitare l'accesso della donna al  lavoro  nel
quadro di un completo sistema di sicurezza sociale.». 
    L'assistito e' il bambino, il cui bisogno  di  assistenza  emerge
proprio a causa del mutamento  dell'organizzazione  familiare  e  del
lavoro rispetto a modelli risalenti a fasi  sociali  ormai  concluse.
Nel momento in cui la famiglia diviene «nucleare»  e  si  afferma  la
parita' lavorativa (attuale o potenziale non interessa) di entrambi i
genitori, diviene necessario assistere il bambino nei primi tre  anni
anche attraverso l'intervento di  strutture  pubbliche.  E'  solo  di
riflesso che, in tal modo, si agevolano i genitori  ad  intraprendere
l'evoluzione ora descritta (evoluzione  che,  comunque,  la  dinamica
sociale  rende  di  per  se'  irreversibile  e  che  quindi   sarebbe
intrapresa  comunque).  Sicche'   e'   manifestamente   irragionevole
subordinare la precedenza nelle graduatorie ad una  condizione,  come
la durata per almeno quindici anni della residenza o dell'occupazione
nella regione,  che  puo'  riguardare  soltanto  i  genitori  ed  e',
ovviamente, del tutto estranea alla condizione specifica del bambino. 
    In secondo luogo, anche a voler  considerare  il  solo  interesse
«riflesso» dei genitori, e' manifestamente  irragionevole  svincolare
del tutto la selezione da criteri di natura  economica,  riferiti  al
reddito o al patrimonio della famiglia. Il criterio  della  protratta
residenza e, soprattutto, quello della protratta occupazione  stabile
nel  territorio   regionale,   manifestamente   possono   portare   a
privilegiare  situazioni  familiari  economicamente  migliori   e   a
discriminare situazioni familiari economicamente  piu'  precarie.  Il
che non e' razionalmente giustificabile, anche in considerazione  del
fatto  pacifico  (e,  come  visto  all'inizio,  presente  ai   lavori
preparatori della legge) che con gli  asili  nido  pubblici  concorre
l'offerta  delle  strutture  private,  senz'altro  accessibili   alle
famiglie con redditi piu' elevati. 
    Insomma, anche al caso qui in esame possono applicarsi le  parole
della citata sentenza n. 168/2014 di codesta Corte, secondo cui  deve
valere  «il  principio  che  "se  al  legislatore,  sia  statale  che
regionale (e provinciale), e' consentito  introdurre  una  disciplina
differenziata per l'accesso alle prestazioni assistenziali al fine di
conciliare la  massima  fruibilita'  dei  benefici  previsti  con  la
limitatezza delle risorse finanziarie disponibili" (sentenza  n.  133
del 2013), tuttavia "la legittimita' di una simile scelta non esclude
che i  canoni  selettivi  adottati  debbano  comunque  rispondere  al
principio di ragionevolezza"  (sentenza  n.  133  del  2013)  e  che,
quindi,  debbano  essere  in  ogni  caso  coerenti  ed   adeguati   a
fronteggiare le  situazioni  di  bisogno  o  di  disagio,  riferibili
direttamente alla  persona  in  quanto  tale,  che  costituiscono  il
presupposto principale di fruibilita' delle provvidenze in  questione
(sentenza n. 40 del 2011).». 
    1.3. Infine, anche a voler ammettere, in subordine, che la durata
della residenza o dell'occupazione  nel  territorio  regionale  possa
costituire (il che non e') un criterio selettivo logicamente  congruo
rispetto all'obiettivo di graduare gli aspiranti  al  servizio  degli
asili nido pubblici, appare palese come una durata pari addirittura a
quindici  anni  sia  eccessiva  e  comunque  fonte  di   applicazioni
irrazionali. 
    La legge neppure precisa se tale  periodo  debba  calcolarsi  con
riferimento a ciascun genitore considerato separatamente  o,  invece,
con riferimento ad entrambi i genitori, nel senso che non  i  singoli
componenti bensi' la «coppia» in quanto tale deve avere  risieduto  o
essere stata occupata in Veneto per almeno quindici anni. 
    Nella  prima  ipotesi,  e'  evidente  che  la  norma  favorirebbe
indebitamente i nati in Veneto, che  e'  plausibile  che  vi  abbiano
risieduto per i primi quindici armi di  vita,  attribuendo  loro  «de
futuro» un «diritto di  prelazione»  esercitabile  anche  molti  anni
dopo, semplicemente tornando a  risiedere  in  Veneto  per  un  breve
periodo, una volta divenuti genitori, magari dopo una  lunga  assenza
che non e' certo indice di radicamento territoriale. 
    Nella seconda ipotesi, l'irrazionalita' appare manifesta  perche'
la norma si rivelerebbe completamente inutile per  tutti  i  genitori
che, come e' statisticamente normale, siano divenuti tali  prima  che
siano decorsi quindici anni di  residenza  comune  o  di  occupazione
continuativa. 
    E' evidente, quindi, la  mancanza  di  qualsiasi  nesso  tra  una
durata cosi' protratta  della  residenza  o  dell'occupazione,  e  la
finalita' di ammettere con preferenza alla  prestazione  degli  asili
nido i soggetti che  presentino  un  maggiore  «radicamento»  con  il
territorio veneto. Il primo esempio dimostra come la  norma  consenta
di favorire soggetti niente affatto «radicati»;  il  secondo  esempio
dimostra come la norma possa tranquillamente escludere dal  beneficio
soggetti certamente «radicati», ma divenuti genitori in giovane eta'. 
    In entrambe  le  ipotesi  interpretative  (calcolo  «separato»  o
«congiunto» del periodo di quindici anni), poi, si vede bene come  il
requisito consistente nella durata dell'occupazione chiaramente venga
a costituire un disincentivo  a  divenire  genitori  prima  di  avere
accumulato una anzianita' lavorativa di almeno quindici anni, e cosi'
contraddice una delle finalita' proprie del sistema degli asili nido,
che e'  quella  di  favorire,  contemporaneamente,  il  lavoro  e  la
natalita'. 
    Anche  sotto  gli  aspetti  ora  illustrati  la  norma  impugnata
contrasta quindi con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3
della Costituzione. 
    1.4. A conclusione di questo motivo, si precisa che esso e' stato
svolto partendo dal  presupposto  interpretativo,  che  emerge  dalla
lettera della disposizione impugnata e dai  lavori  preparatori,  che
l'espressione «genitori» significhi «entrambi  i  genitori».  Con  la
conseguenza, gia' illustrata, che sarebbero  automaticamente  esclusi
dalla possibilita' di fruire della precedenza in questione i figli di
cui solo un genitore sia residente o sia occupato da almeno  quindici
anni in Veneto, nonche' i figli privi di entrambi i genitori. 
    Si e' gia' illustrata la evidente portata discriminatoria,  oltre
che  l'irrazionalita',  di  questo  specifico  aspetto  della   norma
impugnata. 
    Qui si osserva  che  tutte  le  censure  finora  svolte  valgono,
peraltro, anche  nell'ipotesi  subordinata  in  cui  si  proponga  ex
adverso, e  che  codesta  Corte  condivida,  un  diverso  presupposto
interpretativo, alla stregua del quale l'espressione «genitori»  vada
intesa come contenente un plurale meramente «di genere»; e quindi sia
idonea ad includere anche le situazioni in cui il  bambino  abbia  un
solo genitore esercente la responsabilita'  genitoriale  (per  essere
l'altro ignoto o deceduto o decaduto dalla suddetta responsabilita'),
e, in ipotesi, ad includere anche le situazioni  in  cui  entrambi  i
genitori  esercitino  la  responsabilita'  genitoriale  ma  solo  uno
possieda il requisito della residenza o dell'occupazione  per  almeno
quindici anni nel Veneto. 
    E'  sufficiente,  a  tale  proposito,  osservare  che   sarebbero
comunque  discriminati  i  bambini  privi  di  entrambi  i  genitori.
Inoltre,  al  di  fuori  di  questo  caso,  la  considerazione  della
condizione di  residenza  o  di  occupazione  di  un  solo  genitore,
trascurando quella dell'altro,  non  muterebbe  le  conclusioni  gia'
illustrate circa l'insussistenza di una valida  «ratio  distinguendi»
tra la situazione di tale genitore, e soprattutto del figlio di  tale
genitore, e la situazione dei genitori (e  relativi  figli)  che  non
versino in tale condizione di residenza o di  occupazione  protratte;
ne' circa la manifesta  irrazionalita'  del  criterio  di  preferenza
basato sulla durata della residenza o dell'occupazione nella  regione
del genitore, anziche' sulla condizione del bambino, e sulla completa
esclusione  di  qualsiasi  rilievo  della  situazione  economica  del
genitore; ne', infine, circa  la  eccessiva  durata  del  periodo  di
residenza o di occupazione richiesto. 
    Anzi, tali conclusioni si aggraverebbero nella misura in cui dare
rilievo alla posizione di un solo genitore,  ovviamente,  amplierebbe
l'area   delle   situazioni   indebitamente   privilegiate;   laddove
pretendere, almeno, che il requisito di residenza  o  di  occupazione
sia posseduto da entrambi i genitori, ferma  la  sua  illegittimita',
comporterebbe una restrizione dell'area dei soggetti privilegiati. 
2. Violazione dell'art. 31, comma 2 della Costituzione. 
    Sviluppando talune delle osservazioni contenute  nel  motivo  che
precede, emerge poi la contrarieta' della  norma  impugnata  all'art.
31, comma 2 della Costituzione. 
    Il meccanismo di formazione delle  graduatorie  per  accedere  al
servizio degli asili nido pubblici ideato dal  legislatore  regionale
frustra, infatti, i valori costituzionali ivi codificati della tutela
dell'infanzia  e  della  promozione  dei   necessari   istituti.   La
disposizione contenuta nell'art. 31, comma 2, implica che  l'infanzia
sia tutelata nei suoi bisogni specifici,  e  che  a  cio'  provvedano
«istituti» legislativi e  amministrativi  operanti  esclusivamente  a
tale scopo. 
    Gli asili nido, per  le  ragioni  illustrate  e  qui  richiamate,
debbono servire innanzitutto a soddisfare un  essenziale  bisogno  di
assistenza e di educazione, intesa anche come prima  socializzazione,
dei bambini nella prima infanzia. 
    Una disciplina che porta a formare le graduatorie  di  ammissione
agli asili nido basandosi sulle condizioni di residenza e  di  lavoro
dei genitori (per di  piu'  in  modo  «inversamente  proporzionale»),
mentre trascura del tutto di considerare la condizione  dei  bambini,
confligge con i valori suddetti. 
    Il solo modo conforme all'art. 31, comma 2 della Costituzione, di
regolare la formazione delle  graduatorie  in  questione  e'  infatti
quello che si basi su  criteri  atti  a  misurare,  innanzitutto,  il
bisogno di assistenza e di educazione del bambino, che e' il soggetto
della tutela  di  cui  all'art.  31,  comma  2,  dando  rilievo  alle
condizioni della famiglia in cui il bambino  e'  inserito  che  siano
concretamente atte ad influire su tale bisogno (si pensi al  caso  in
cui manchi o sia inabile un genitore, o addirittura  entrambi;  oltre
che al livello di reddito della famiglia). Solo in via  secondaria  e
integrativa,  conformemente   al   descritto   carattere   «riflesso»
dell'interesse  dei  genitori,  potra'  darsi  rilievo  a  condizioni
personali dei genitori stessi, quali la residenza o l'occupazione. 
    Diversamente,  gli  «istituti»  previsti  dalla  legge  a  tutela
dell'infanzia, come il sistema degli asili nido pubblici,  verrebbero
deviati dal loro «scopo» istituzionale, e trasformati  in  potenziali
fonti  di  discriminazione  tra  genitori  e,  correlativamente,  tra
bambini. 
3. Violazione degli articoli  16,  comma  1  e  120,  comma  1  della
Costituzione. 
    L'art. 16 della Costituzione, garantisce nel comma 1 la  liberta'
di  tutti  i  cittadini  di  spostarsi  nel   territorio   nazionale,
trasferendo liberamente in ogni sua parte la propria residenza  o  il
proprio luogo di lavoro (domicilio). Allo stesso  modo,  l'art.  120,
comma  1  della  Costituzione,  vieta  alle   regioni   di   adottare
provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione
delle persone, da intendere come comprensiva anche della liberta'  di
stabilire la propria residenza e il proprio luogo di lavoro. 
    Proprio ponendosi dal punto di  vista  dei  genitori  interessati
agli asili nido pubblici della regione Veneto, e'  evidente  come  la
disposizione impugnata, a causa della  irragionevole  discriminazione
che introduce, violi anche questi principi costituzionali. 
    La norma,  infatti,  palesemente  ostacola  il  trasferimento  in
Veneto di famiglie che nella propria regione di residenza o di lavoro
godano di provvidenze simili,  in  quanto  con  il  trasferimento  in
Veneto le perderebbero (non potendole riacquistare prima di  quindici
anni); e, reciprocamente,  costituisce  un  incentivo  indebito  (una
specie di «premio fedelta'» del  tipo  tante  volte  censurato  dalla
giurisprudenza europea: vedi sentenza Köbler e altre) a non  lasciare
il Veneto per coloro che gia' vi risiedano o vi lavorino, inducendoli
indirettamente a rimanervi almeno quindici anni con la prospettiva di
conseguire il requisito utile a questa precedenza, o con il timore di
perderla trasferendosi (cio' vale in particolare con  riferimento  al
requisito  dell'occupazione  protratta  per  almeno  quindici   anni,
poiche'  questa,  diversamente  dalla  residenza,  secondo  la  norma
impugnata deve essere ininterrotta). 
4. Violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione. 
    La  norma  impugnata  viola  poi  l'art.  117,  comma   1   della
Costituzione, nella parte in cui  assoggetta  anche  la  legislazione
regionale al rispetto del diritto dell'Unione europea. 
    4.1. In primo luogo va evidenziato il contrasto con la  normativa
europea in materia di libera circolazione dei cittadini dell'Unione e
dei loro familiari. La norma impugnata costituisce infatti, come gia'
rilevato nel terzo motivo, una misura restrittiva delle  liberta'  di
circolazione e di soggiorno. 
    In  tal  modo,  essa  contrasta  con  le  liberta'  garantite  ai
cittadini dell'Unione dall'art. 21, par. 1, del TFUE,  in  quanto  il
requisito preferenziale ivi previsto, richiedendo  un  periodo  cosi'
prolungato, eccede quanto necessario al raggiungimento del  legittimo
obiettivo  di  accertare  l'esistenza  di  un  nesso  reale  tra   il
richiedente una prestazione e lo Stato membro competente,  ovvero  di
preservare l'equilibrio finanziario del sistema locale di  assistenza
sociale mediante la previsione di un collegamento tra il  richiedente
il servizio e l'ente competente alla sua  erogazione  (vedi  sentenza
Stewart C-503/09, punti 89-95). 
    4.2. Inoltre, la previsione  regionale  in  oggetto  si  pone  in
contrasto con l'art. 19 del decreto legislativo 6 febbraio  2007,  n.
30,  di  recepimento  (dell'art.  24)  della  direttiva   2004/38/CE,
relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di
circolare e di soggiornare liberamente  nel  territorio  degli  Stati
membri. 
    L'art. 24 di tale direttiva garantisce parita' di trattamento  ai
cittadini di Stati membri che risiedano da piu' di  tre  mesi  in  un
diverso Stato membro, nonche' ai loro familiari anche non  residenti,
rispetto ai cittadini dello  Stato  ospitante,  senza  esigere  alcun
periodo pregresso di residenza a tal fine. Cio' implica che, nel caso
di specie, verrebbero discriminati dalla normativa regionale tutti  i
cittadini dell'Unione che soggiornino in Veneto da piu' di tre mesi o
comunque che abbiano ottenuto il diritto di soggiorno permanente, non
avendo pero' maturato 15 anni di residenza anche non  continuativa  o
di lavoro continuativo in Veneto. 
    4.3. Un'altra categoria di soggetti  che  e'  discriminata  dalla
previsione di un requisito di residenza o di svolgimento di attivita'
lavorativa sul territorio regionale per periodi cosi'  prolungati  e'
quella dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti  di  lungo
periodo, i quali, secondo quanto previsto dall'art. 11, paragrafo  1,
lettere d) e f), della direttiva 2003/109/CE,  recepita  con  decreto
legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, trascorsi cinque anni di  soggiorno
regolare sull'intero territorio nazionale (non necessariamente  tutti
in un'unica regione), dovrebbero godere dello stesso trattamento  dei
cittadini nazionali sia per quanto riguarda «le prestazioni  sociali,
l'assistenza  sociale  e  la  protezione  sociale  ai   sensi   della
legislazione nazionale», sia per quanto riguarda «l'accesso a beni  e
servizi a disposizione del pubblico e all'erogazione degli stessi». 
    Dalla suddetta  disposizione  regionale,  invece,  scaturisce  un
effetto discriminatorio  per  quei  soggiornanti  di  lungo  periodo,
residenti  in  Veneto,  che  abbiano  trascorso  parte  del   proprio
soggiorno regolare quinquennale anche in altre regioni italiane,  con
conseguente  violazione  del  principio  di  parita'  di  trattamento
previsto dalla direttiva 2003/109/CE tra questi soggiornanti di lungo
periodo e i cittadini nazionali. 
    Inoltre, e' evidente come la previsione di un requisito minimo di
residenza di quindici anni  vanifichi  il  requisito  previsto  dalla
direttiva ai fini del godimento delle  prestazioni  sociali,  che  e'
limitato ad un soggiorno di cinque anni. 
    4.4.  Nella  citata  sentenza  n.  168  del  2014  codesta  Corte
costituzionale,   trattando    una    questione    di    legittimita'
costituzionale  di  una  legge  valdostana  che  subordinava  ad  una
residenza minima di otto anni nella  regione  l'accesso  all'edilizia
residenziale pubblica, ravvisava la violazione  delle  norme  europee
citate nei paragrafi precedenti. 
    La sentenza ha infatti affermato che un requisito  di  residenza,
anche se previsto sia per gli italiani  che  per  gli  stranieri,  e'
idoneo a creare una discriminazione indiretta o «dissimulata» vietata
dal diritto UE sia nei confronti dei cittadini di altri Stati  membri
dell'Unione europea che  hanno  esercitato  il  diritto  alla  libera
circolazione, in quanto detto requisito  sarebbe  piu'  difficile  da
soddisfare  per  loro  rispetto  ai  cittadini  nazionali;  sia   nei
confronti dei cittadini di Stati terzi titolari dello status di lungo
soggiornante, in quanto per tali soggetti il requisito di  anzianita'
di residenza eccede temporalmente la durata di quello prescritto  per
l'accesso allo status. 
    Inoltre, la previsione della legge  veneta  e'  palesemente  piu'
grave di quella trattata  da  codesta  Corte  costituzionale  con  la
suddetta pronuncia n. 168 del 2014: in quel caso  si  prevedeva,  per
l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, indipendentemente dalla
nazionalita', il requisito della residenza nella  regione  da  almeno
otto  anni,  a  fronte  dei  quindici  anni  (ancorche'  come  titolo
preferenziale, che pero' di fatto si risolve in un  analogo  ostacolo
per la fruizione del servizio regionale)  di  pregressa  residenza  o
svolgimento di attivita' lavorativa sul territorio veneto.