LA CORTE D'APPELLO DI MILANO 
                       (Sezione Prima Civile) 
 
    Nelle persone dei seguenti magistrati: 
      dott. Alberto Massimo Vigorelli - Presidente; 
      dott. Maria Iole Fontanella - Consigliere; 
      dott. Francesca Fiecconi - Consigliere-relatore; 
    ex art. 23, legge  11  marzo  1953,  n.  87,  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza di rimessione  della  Corte  costituzionale  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,
lettera m) n. 1), della legge 7 ottobre 2014, n. 154 e  dell'art.  6,
comma 3, del decreto legislativo n. 72/2015, nel procedimento  R.N.G.
4809/2016 promosso dal sig. Palermo Giuliano  contro  la  Commissione
nazionale per le Societa' e la Borsa. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. A  seguito  del  procedimento  amministrativo  n.  36074/2015,
avviato dalla Consob con atto  di  contestazione  datato  28  ottobre
2015, e concluso in data 26 settembre 2016, e' emerso che in  data  6
febbraio 2014 il sig. Giuliano Palermo aveva inoltrato  alla  coniuge
Ilaria Laureti, una e-mail concernente  il  «Piano  di  rafforzamento
patrimoniale  e  di  semplificazione  della  struttura   del   Gruppo
Italcementi», poi reso noto il successivo 6 marzo 2014 con comunicato
congiunto di Italcementi S.p.A. e Italmobiliare S.p.A. 
    2.  La  Consob  notificava  quindi  al  ricorrente,  in  data  26
settembre  2016,  la  delibera  n.  19659  e  il  relativo  atto   di
accertamento della violazione dell'art. 187-bis, comma  1,  lett.  b)
TUF. congiuntamente al provvedimento sanzionatorio, irrogando al sig.
Palermo una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad  €  100.000,00
della quale veniva contestualmente ingiunto il  pagamento,  integrata
dalla  misura  interdittiva  accessoria,   come   prevista   all'art.
187-quater,  comma  1  del  TUF,   di   due   mesi   di   sospensione
dall'esercizio  dell'attivita',  disponendo  la  pubblicazione,   per
estratto, della delibera, nel Bollettino della Consob. 
    3.  Nel  provvedimento  impugnato   l'Autorita'   osservava   che
l'informazione  privilegiata,  della  quale  il  ricorrente  era   in
possesso per aver partecipato alla ideazione del Progetto del  Gruppo
Italcementi in qualita' di responsabile dell'Ufficio  Evaluation  and
Coordination  of  M&A  and  Development  Projects  nell'ambito  della
Direzione  Piano  Strategico  di  Italcementi,   riguardava   notizie
positive del processo decisionale che aveva condotto all'approvazione
del piano in data 6 marzo 2014 ed era stata comunicata ad un soggetto
con specifiche competenze in materia finanziaria e al  di  fuori  del
normale esercizio del  lavoro,  della  professione,  della  funzione,
dell'ufficio. 
    4.  Con  ricorso  ex  art.  187-septies,  commi  4  e  ss.,  TUF,
notificato a mezzo PEC, in data 26 ottobre  2016,  il  sig.  Giuliano
Palermo ha proposto opposizione avverso la delibera n.  19659  del  6
luglio 2016 ed il connesso atto  di  accertamento  congiuntamente  al
provvedimento sanzionatorio. 
    5. Il ricorrente ha dedotto, in via  preliminare,  la  violazione
del termine di durata del procedimento sanzionatorio e,  nel  merito,
l'infondatezza dell'addebito. 
    6. Sotto il profilo del quantum sanzionatorio, il  ricorrente  ha
dedotto la violazione dell'art. 6, comma 3, del  decreto  legislativo
n. 72/2015, che esclude l'applicazione dell'art. 39, comma  3,  della
legge 28 dicembre 2005, n. 262, la quale a sua volta  prevede(va)  la
quintuplicazione delle sanzioni contemplate dal  TUF.  L'applicazione
dell'art. 6, comma 3, del  decreto  legislativo  n.  72/2015  infatti
avrebbe condotto all'irrogazione della sanzione di € 20.000,00,  come
previsto testualmente dall'art. 187-bis. comma 1, TUF, in luogo della
sanzione quintuplicata di €  100.000,00,  irrogata  dalla  Consob  ai
sensi dell'art. 39, comma 3, legge 28 dicembre 2005, n. 262. 
    7. Ad avviso della Consob, tuttavia, all'applicazione  del  comma
3, dell'art. 6, del decreto  legislativo  n.  72/2015,  osterebbe  il
disposto del precedente comma 2 del  medesimo  articolo,  laddove  si
nega l'applicazione retroattiva in mitius delle modifiche  introdotte
dal medesimo decreto legislativo n. 72/2015 alla Parte V del TUF.  II
decreto legislativo n. 72/2015 infatti, in  attuazione  della  delega
conferita dall'art. 3, comma 1, lettera  m),  n.  1)  della  legge  7
ottobre 2014, n. 154, che ha  attribuito  al  Governo  il  potere  di
«valutare l'estensione  del  principio  del  favor  rei  ai  casi  di
modifica della disciplina vigente al momento in cui stata commessa la
violazione».   Quest'ultimo,   tuttavia,   ha   scelto,   nella   sua
discrezionalita', di negare la retroattivita' in mitius ai fini delle
modifiche alla parte V del TUF. 
    8. Alle medesime  conclusioni  condurrebbe  inoltre  la  generale
disposizione  contraria  alla  retroattivita'  in  mitius  dello  ius
superveniens in materia di sanzioni amministrative, di  cui  all'art.
1, della legge n. 689/1981. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    9. Questa Corte ritiene che sia rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,
comma 2, decreto legislativo n.  72/2015,  ai  sensi  del  quale  «Le
modifiche apportate alla parte V del decreto legislativo 24  febbraio
1998, n. 58, si applicano alle violazioni commesse dopo l'entrata  in
vigore  delle  disposizioni  adottate  dalla  Consob  e  dalla  Banca
d'Italia secondo le rispettive competenze ai sensi dell'art.  196-bis
del decreto legislativo 24 febbraio  1998,  n.  58.  Alle  violazioni
commesse prima della data di entrata  in  vigore  delle  disposizioni
adottate dalla Consob e dalla Banca d'Italia continuano ad applicarsi
le norme della parte V del decreto legislativo 24 febbraio  1998,  n.
58 vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto
legislativo». 
    10. Tale norma costituisce l'attuazione della legge delega n. 154
del 2014 con cui  il  legislatore  ha  delegato  il  Governo  per  il
recepimento delle direttive europee  e  l'attuazione  di  altri  atti
dell'Unione europea. In particolare, l'art.  3,  comma  1,  lett.  m)
dispone che  il  Governo  debba:  «con  riferimento  alla  disciplina
sanzionatoria adottata in attuazione delle lettere i) e l):  valutare
l'estensione del principio del favor rei ai casi  di  modifica  della
disciplina  vigente  al  momento  in  cui  e'   stata   commessa   la
violazione». 
    11. Si sottolinea preliminarmente che  le  suddette  disposizioni
sopra letteralmente riportate non menzionano l'art. 187-bis  TUF  tra
le norme da riformulare sotto il profilo delle sanzioni. Si  profila,
pertanto, in tal senso, un possibile eccesso di delega in  violazione
dell'art. 77 Cost. 
    12. A parte il rilievo formale di cui sopra, a questa Corte  pare
che il Governo, dando attuazione  alla  legge  delega  sopra  citata,
avrebbe  dovuto  meglio  valutare  l'opportunita'  di  estendere   il
principio del favor rei con riguardo  alla  disciplina  sanzionatoria
della  fattispecie  di  «abuso  di  informazioni   privilegiate»   in
questione, esercitando discrezionalmente  un  potere  che  era  stato
conferito dal legislatore delegante. Pertanto, quanto al merito della
questione oggetto di discussione tra le parti del giudizio e inerente
alla mancata previsione di una norma che applichi il principio  della
retroattivita' della lex mitior, si osserva quanto segue. 
    13. In primo luogo, la rilevanza della questione in relazione  al
caso in esame emerge sotto il profilo del quantum sanzionatorio,  dal
momento che l'eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale
dell'art. 6, comma 2, decreto legislativo n.  72/2015,  comporterebbe
la possibilita' di irrogare, nei confronti del sig. Palermo Giuliano,
ove sia ritenuto responsabile dell'illecito,  la  sanzione  minore  e
piu' mite di € 20.000.00, in luogo  di  quella  maggiore,  pari  a  €
100.000,00. determinata dalla Consob, oltre le sanzioni interdittive. 
    14.  In  secondo  luogo,  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione discende  dal  rilievo  che  nella  fattispecie  in  esame,
secondo un orientamento consolidato della Corte europea  dei  diritti
dell'uomo, le garanzie di cui alla Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo (CEDU)  si  applicano  a  tutti  i  precetti  di  carattere
afflittivo a prescindere  dalla  loro  qualificazione  come  sanzioni
penali nell'ordinamento di provenienza. 
    15. Il riferimento e' in primis  alla  sentenza  Engel  c.  Paesi
Bassi dell'8 giugno 1976, ove si legge che «se gli  Stati  contraenti
fossero nella piena discrezionalita'  nel  classificare  un  illecito
penale quale disciplinare invece che penale, o di perseguire l'autore
di un reato misto sul piano disciplinare,  piuttosto  che  sul  piano
penale, il funzionamento delle  clausole  fondamentali  di  cui  agli
articoli 6 e 7 sarebbe subordinato alla loro  sovrana  volonta'.  Una
discrezionalita'  cosi'  estesa   potrebbe   condurre   a   risultati
incompatibili con le finalita' e con  l'oggetto  della  Convenzione».
Con la sentenza Engel, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo  ha  in
particolare individuato tre  criteri  ai  fini  della  qualificazione
penale   di   una   sanzione:   la   classificazione    dell'illecito
nell'ordinamento nazionale, l'intrinseca natura  dell'illecito  e  la
severita' della sanzione applicabile, utilizzati in via alternativa o
cumulativa dalla Corte di Strasburgo  allo  scopo  di  assicurare  la
uniforme applicazione di uno standard minimo di garanzie in tutti gli
Stati-parte. 
    16.  Nell'ambito  dei  suddetti  criteri,  il   parametro   della
classificazione dell'illecito nell'ordinamento nazionale  rappresenta
soltanto un punto di partenza  per  l'analisi  condotta  dalla  Corte
europea. Il criterio della natura dell'illecito  e'  invece  il  piu'
elastico, in quanto fa leva su una pluralita' di indici come: 
      a) la cerchia dei destinatari del precetto, che deve rivolgersi
alla generalita' dei cittadini, e non inserirsi esclusivamente  nella
disciplina  interna  di  un  gruppo  contrassegnato  da  uno   status
speciale; 
      b)  la  finalita'  della   sanzione   comminata   dalla   norma
incriminatrice, che deve avere carattere deterrente e punitivo; 
      c) la qualificazione penalistica prevalente nel panorama  degli
ordinamenti nazionali; 
      d) il collegamento della sanzione  con  l'accertamento  di  una
infrazione (con esclusione, quindi, delle mere misure preventive). 
    Infine, il criterio della severita' della sanzione fa riferimento
alla gravita' delle conseguenze previste dalla legge; puo' trattarsi,
in particolare, di pene detentive, o  pene  pecuniarie  di  rilevante
entita'. 
    17. In applicazione dei suddetti criteri, sono  state  ricondotte
alla  materia  penale  alcune  significative  ipotesi   di   sanzioni
qualificate nell'ordinamento interno conte  sanzioni  amministrative.
All'uopo e' opportuno richiamare la sentenza del 27  settembre  2011,
Menarini contro Italia, e  la  sentenza  del  4  marzo  2014,  Grande
Stevens ed altri contro Italia, nelle  quali  la  Corte  Europea  dei
Diritti dell'Uomo ha ritenuto di natura «penale», ai sensi  dell'art.
6 della CEDU, rispettivamente le sanzioni amministrative  in  materia
di concorrenza (art. 15, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 -  Norme
per la  tutela  della  concorrenza  e  del  mercato)  e  le  sanzioni
amministrative in materia di manipolazione del mercato (art.  187-ter
del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 - Testo  unico  delle
disposizioni in materia  di  intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52). Si  tratta
quindi di stabilire se  la  sanzione  di  cui  all'art.  187-bis  del
decreto legislativo  24  febbraio  1998,  n.  58  (TUF),  concernente
l'illecito   di   «abuso   di   informazioni   privilegiate»,   possa
qualificarsi  anch'essa  come  «penale»   alla   luce   dei   criteri
individuati dalla giurisprudenza  della  Corte  Europea  dei  diritti
dell'Uomo. Non e' in proposito dirimente il fatto che la  fattispecie
in esame sia  qualificata  dal  nostro  ordinamento  quale  «sanzione
amministrativa», dal momento che i criteri  individuati  dalla  Corte
Europea  dei  Diritti  dell'Uomo  possono   essere   utilizzati   sia
cumulativamente che alternativamente e che, come sopra precisato,  le
indicazioni fornite dal diritto interno  hanno  un  valore  meramente
relativo (Sentenza Corte europea dei diritti dell'uomo, 4 marzo  2014
causa Grande Stevens e altri c. Italia). 
    18. Sotto  il  profilo  della  natura  della  sanzione,  si  puo'
osservare  che  essa  e'  certamente  rivolta  alla  generalita'  dei
consociati, in chiave di protezione dell'interesse fondamentale  alla
tutela dei mercati finanziari. La  Consob,  autorita'  amministrativa
indipendente,  ha  lo  scopo  di  garantire   la   protezione   degli
investitori e l'efficacia, la trasparenza e lo sviluppo  dei  mercati
azionari. Si tratta quindi  di  interessi  generali  della  societa',
normalmente tutelati  dal  diritto  penale.  La  sanzione  in  esame,
peraltro, persegue prevalentemente scopi deterrenti e punitivi,  come
si ricava dalla circostanza che, ai fini della consumazione del fatto
illecito di cui alle lettere  b)  e  c)  del  primo  comma  dell'art.
187-bis,  e'  sufficiente  rispettivamente  che  vi  sia   stata   la
comunicazione ad altri di informazioni privilegiate al di  fuori  del
normale esercizio del lavoro, della  professione,  della  funzione  o
dell'ufficio ovvero che vi sia stata la raccomandazione  o  induzione
di altri, sulla base di tali informazioni, al  compimento  di  taluna
delle operazioni indicate nella  lettera  a),  senza  che  rilevi  in
proposito  un'eventuale  successiva  operativita'   sugli   strumenti
finanziari cui inerivano dette informazioni. 
    19. Per quanto riguarda l'aspetto della gravita'  della  sanzione
suscettibile   di   essere   inflitta,   il   quantum   sanzionatorio
astrattamente applicabile risulta dal  combinato  disposto  dell'art.
187-bis, che prevede l'irrogazione di una sanzione pecuniaria che  va
da € 20.000.00 a € 3.000.000,00, e dell'art. 39, comma 3, della legge
n. 262 del 2005, ai sensi  del  quale:  «le  sanzioni  amministrative
pecuniarie previste dal testo unico di cui al decreto legislativo  1°
settembre 1993, n. 385, dal testo unico di cui al decreto legislativo
24 febbraio 1998, n. 58, dalla legge 12 agosto 1982, n.  576,  e  dal
decreto legislativo 21 aprile  1993,  n.  124,  che  non  sono  state
modificate dalla presente legge, sono quintuplicate». Il comma quinto
dell'art. 187-bis prevede inoltre che:  «le  sanzioni  amministrative
pecuniarie previste dai commi 1, 2 e 4 sono aumentate fino al  triplo
o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o  il  profitto
conseguito  dall'illecito  quando,  per  le  qualita'  personali  del
colpevole ovvero per l'entita' del prodotto o del profitto conseguito
dall'illecito,  esse  appaiono  inadeguate  anche  se  applicate  nel
massimo». La comminazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di
cui sopra comporta, per i  soggetti  cui  sono  applicate,  anche  la
perdita temporanea del requisito  della  onorabilita'  richiesto  per
l'esercizio di funzioni apicali  e  di  controllo  all'interno  delle
societa' di capitali e, ove queste ultime  siano  quotate  in  borsa,
essi vengono colpiti da un'incapacita' temporanea di amministrare, di
dirigere o di controllare societa' quotate in borsa per una durata da
due mesi a tre anni. La Consob puo'  anche  interdire  alle  societa'
quotate, alle societa' di gestione e alle societa'  di  revisione  di
avvalersi della collaborazione dell'autore  dell'infrazione  per  una
durata massima di tre anni e richiedere agli ordini professionali  la
sospensione  temporanea  dell'interessato  dall'esercizio  della  sua
attivita' professionale. 
    20. Sebbene nel caso in esame la sanzione sia stata applicata nel
suo ammontare minimo (€ 100.000,00), l'aspetto penale di una sanzione
va valutato con riguardo alla pena massima prevista  in  astratto,  a
prescindere dalla sanzione inflitta in concreto  (sentenza  Engel  c.
Paesi Bassi dell'8 giugno 1976. § 82 e sentenza Dubus S.A. c. Francia
dell'11 giugno 2009, § 37). Dalla natura  «penale»,  ai  sensi  della
CEDU, della sanzione in esame discende, ad  avviso  di  questa  Corte
d'Appello, l'applicabilita' alla stessa del  principio  di  legalita'
penale  di  cui  all'art.  7  della  CEDU.   Detta   norma,   secondo
l'interpretazione  della  Corte  di  Strasburgo,  rinvenibile   nelle
sentenze 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, e del 24  gennaio
2012, Mihai Toma contro Romania, il carattere penale  della  sanzione
non implica che debba vigere solo il principio della irretroattivita'
delle leggi penali  piu'  severe,  ma  anche,  e  implicitamente,  il
principio della retroattivita' della legge penale meno severa.  Detto
principio si  traduce  nella  regola  dell'applicazione  della  legge
penale che contempla una pena piu' mite,  anche  se  posteriore  alla
commissione del reato. 
    21. Tanto considerato, ad avviso del giudice  a  quo  si  profila
un'ipotesi di contrasto fra l'art. 6, comma 2, decreto legislativo n.
70/2015 e l'art. 117 della Costituzione, in  relazione  al  parametro
interposto dell'art. 7 CEDU. 
    22. In particolare, si ritiene che la scelta di non ricorrere  al
principio della retroattivita'  del  trattamento  sanzionatorio  piu'
favorevole con riferimento alle sanzioni previste dall'art.  187-bis.
del TUE, di  natura  sostanzialmente  penale,  ponga  un  consistente
dubbio sulla compatibilita' di detto regime con l'art. 3 Cost. e  con
i principi uguaglianza e di ragionevolezza. Si richiama in  proposito
la sentenza n. 393 del  2006,  in  cui  la  Corte  costituzionale  ha
chiarito che «il livello di rilevanza dell'interesse  preservato  dal
principio retroattivita' della lex mitior - quale emerge dal grado di
protezione accordatogli dal diritto interno, oltre  che  dal  diritto
internazionale convenzionale e dal diritto comunitario  -  impone  di
ritenere che il valore da esso tutelato puo'  essere  sacrificato  da
una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo». 
    23. In tale pronuncia la Corte  costituzionale,  in  sintesi,  ha
affermato che, sebbene  il  principio  dell'applicazione  retroattiva
della lex mitior non sia assoluto, tuttavia la sua deroga deve essere
giustificata da gravi motivi di interesse generale (sentenze  n.  236
del 2011 e n. 393 del 2006 Corte cost.), superando a questi  fini  un
vaglio positivo di ragionevolezza, e non un mero vaglio  negativo  di
non manifesta irragionevolezza.  Devono  cioe'  essere  positivamente
individuati gli interessi superiori, di rango almeno  pari  a  quello
del principio in discussione, che ne giustifichino il sacrificio. 
    24. Orbene, nel caso in esame,  non  sarebbe  ravvisabile  alcuna
giustificazione, men  che  meno  di  rango  costituzionale,  tale  da
legittimare il sacrificio del trattamento  piu'  favorevole  previsto
dall'art. 6, comma 3, del decreto legislativo  n.  72/2015.  Difatti,
nonostante nella legge delega fosse indicata detta possibilita' nella
materia de qua, risulta alquanto difficile ravvisare una  ratio  alla
scelta fatta in senso opposto dal legislatore delegato. 
    25. In materia di  sanzioni  amministrative,  difatti,  non  sono
isolati i casi in cui il legislatore  ha  previsto  la  regola  della
retroattivita' della lex mitior, in  deroga  al  regime  generale  di
irretroattivita' della sanzione amministrativa previsto  dall'art.  1
della legge n. 689 del  1981.  Si  puo'  all'uopo  richiamare  l'art.
23-bis del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988,  n.
148 (Approvazione del testo unico delle norme  di  legge  in  materia
valutaria), come  inserito  dall'art.  1,  comma  2,  della  legge  7
novembre 2000, n. 326 (Modifiche al testo unico approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, in materia  di
sanzioni  per  le  violazioni  valutarie);  l'art.  3   del   decreto
legislativo 18  dicembre  1997,  n.  472  (Disposizioni  generali  in
materia  di  sanzioni  amministrative  per  le  violazioni  di  norme
tributarie, a norma dell'art. 3, comma 133, della legge  23  dicembre
1996, n. 662); l'art. 46 del decreto legislativo 13 aprile  1999,  n.
112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione
della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337);  l'art.
3 del decreto legislativo 8 giugno 2001,  n.  231  (Disciplina  della
responsabilita'  amministrativa  delle  persone   giuridiche,   delle
societa' e delle associazioni anche prive di personalita'  giuridica.
a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300). 
    26. Nel  caso  di  specie,  invero,  non  puo'  nondimeno  essere
trascurato  l'orientamento  della  giurisprudenza  della   Corte   di
Cassazione, ribadito nella recente sentenza n. 4114/2016, nella quale
e' stata espressamente dichiarata l'inapplicabilita' del nuovo regime
introdotto dal decreto  legislativo  n.  72/2015  (sia  in  punto  di
fattispecie di illecito  che  di  apparato  sanzionatorio)  ai  fatti
commessi antecedentemente alla sua  entrata  in  vigore.  La  Suprema
Corte ha affermato in particolare che: «in materia di intermediazione
finanziaria, le modifiche alla parte V del decreto legislativo n.  58
del 1998  apportate  dal  decreto  legislativo  n.  72  del  2015  si
applicano alle violazioni commesse dopo  l'entrata  in  vigore  delle
disposizioni di  attuazione  adottate  dalla  Consob,  in  tal  senso
disponendo l'art. 6  del  medesimo  decreto  legislativo,  e  non  e'
possibile  ritenere  l'applicazione  immediata   della   legge   piu'
favorevole, atteso che il principio cd. del  favor  rei,  di  matrice
penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione
normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che  risponde,
invece, al distinto  principio  del  tempus  regit  actum.  Ne'  tale
impostazione viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU
nella sentenza 4 marzo 2014 (Grande Stevens  ed  altri  c/o  Italia),
secondo la quale l'avvio di un procedimento penale  a  seguito  delle
sanzioni amministrative comminate dalla  Consob  sui  medesimi  fatti
violerebbe il principio del ne bis in idem, atteso che tali  principi
vanno considerati nell'ottica del giusto  processo,  che  costituisce
l'ambito di specifico intervento della Corte, ma non possono  portare
a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata
come amministrativa dal diritto interno, con conseguente  irrilevanza
di un'eventuale questione di costituzionalita' ai sensi dell'art. 117
Cost. 
    27.  Occorre,  d'altra  parte  rammentare  che  la  stessa  Corte
costituzionale  qui  adita  e'  stata  recentemente  investita  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della  legge  24
novembre  1981,  n.  689,  nella  parte  in  cui   non   prevede   la
retroattivita' in  mitius  nella  generale  disciplina  dell'illecito
amministrativo, in relazione agli articoli 3 e 117, primo comma della
Costituzione, quest'ultimo con riferimento agli articoli 6 e 7  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. In  tale
occasione, la Corte  costituzionale  ha  dichiarato  non  fondata  la
questione di  legittimita'  costituzionale,  statuendo  che  «non  si
rinviene nel  quadro  delle  garanzie  apprestate  dalla  CEDU,  come
interpretate dalla Corte di Strasburgo, l'affermazione di un  vincolo
di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata,, da
parte degli ordinamenti  interni  dei  singoli  Stati  aderenti,  del
principio  della  retroattivita'  della  legge  piu'  favorevole,  da
trasporre  nel  sistema  delle  sanzioni  amministrative».  La  Corte
costituzionale ha anche precisato che  l'applicazione  del  principio
della retroattivita' della lex mitior e' subordinato alla «preventiva
valutazione della singola sanzione (qualificala  "amministrativa  dal
diritto interno)  come  «convenzionalmente  penale»,  alla  luce  dei
cosiddetti criteri Engel (cosi' denominali a partire  dalla  sentenza
della Corte EDU, Grande Camera - 8 giugno 1976, Engel e altri  contro
Paesi Bassi e costantemente  ripresi  dalle  successive  sentenze  in
argomento)». Il motivo del rigetto, secondo  la  medesima  Corte,  si
ricollega  alla  circostanza  che  non  sia  possibile  desumere  dai
principi  affermati  dalla  Corte  Europea  dei   Diritti   dell'Uomo
un'estensione generalizzata del principio della retroattivita'  della
legge piu' favorevole con riguardo all'intero sistema delle  sanzioni
amministrative. 
    28. Va rimarcato, tuttavia, che la questione qui prospettata  non
si riferisce  alla  generalita'  delle  sanzioni  amministrative,  ma
unicamente  a  una  previsione  normativa  di  carattere   certamente
afflittivo (secondo i criteri Engel  sopra  citati),  atteso  che  il
presente  giudizio   ha   per   oggetto   una   sanzione   pecuniaria
qualificabile come penale alla luce  dei  criteri  individuati  dalla
giurisprudenza   della   Corte   Europea   dei   Diritti   dell'Uomo.
Profilandosi, in tal senso, un contrasto tra  la  previsione  di  cui
all'art. 6, comma 2, decreto legislativo n. 72/2015, che  esclude  la
retroattivita'  della  normativa   piu'   favorevole   prevista   dal
successivo comma 3 del medesimo articolo, con gli articoli  3  e  117
della Costituzione, quest'ultima in relazione al parametro interposto
dell'art. 7 della CEDU, si ritiene pertanto necessario rimettere alla
Corte costituzionale la valutazione della compatibilita' dell'art. 6,
comma  2,  decreto  legislativo  n.  72/2015  con  le   norme   della
Costituzione sopra richiamate,  atteso  che  la  scelta  operata  dal
legislatore non appare ragionevole, se solo si  fa  riferimento  alle
norme fiscali sopra  menzionate.  Difatti  l'insider  trading  e'  un
illecito civile che ha anche rilievo penale: pertanto,  non  vi  sono
ragioni per escludere l'applicazione della legge piu'  favorevole  in
tale specifico campo, come e' avvenuto per le violazioni tributarie. 
    29.  E'  opportuno  rilevare  che  il  denunciato  contrasto  non
potrebbe essere risolto ricorrendo a un'interpretazione conforme alla
Convenzione  EDU  e  ai  parametri  costituzionali,  in   quanto   e'
riscontrabile una consolidata giurisprudenza di legittimita'  che  in
piu' occasioni ha ribadito la non applicabilita' del principio  della
retroattivita'  della  lex   mitior   al   settore   degli   illeciti
amministrativi. Tale impostazione si fonda sul rifiuto  generalizzato
di un'applicazione  analogica  dell'art.  2,  secondo  comma,  codice
penale, anche alla luce dell'art. 14 delle disposizioni  sulla  legge
in generale, e sulla considerazione  dei  casi  nei  quali  opera  il
principio della retroattivita' della lex mitior come casi settoriali,
non estensibili oltre il loro ristretto ambito  di  applicazione.  Si
aggiunge, inoltre, che la norma,  una  volta  affermatane  la  natura
sostanzialmente  penale,  pare  in  netto  contrasto  anche  con   il
principio di cui all'art. 49 della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea, il quale  stabilisce  che  «se,  successivamente
alla commissione del reato, la legge prevede  l'applicazione  di  una
pena piu' lieve, occorre applicare quest'ultima». 
    30. Nel caso in esame, pertanto, appare opportuno  verificare  se
una disposizione normativa che, in questa particolare fattispecie, di
sicuro rilievo penale, non abbia previsto tale  effetto  retroattivo,
nonostante nella legge delega fosse stata espressamente prevista tale
opzione normativa, si ponga  o  meno  in  contrasto  con  i  principi
costituzionali sopra richiamati e gia' previsti  dal  legislatore  in
materie affini.