TRIBUNALE DI VENEZIA Sezione seconda civile Il Tribunale, composto dai seguenti magistrati: dott. Roberto Simone, Presidente; dott.ssa Silvia Barison, giudice relatore; dott.ssa Silvia Franzoso, giudice; nel procedimento ex art. 95 decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 iscritto al n.r.g. 3938/2018 v.g. promosso da S.S. e B.A. ricorrenti con l'intervento del pubblico ministero visto il parere favorevole del pubblico ministero ha pronunciato la seguente Ordinanza 1. Svolgimento del processo Le ricorrenti, unitesi civilmente il ..., deducono che precedentemente, con il consenso espresso della sig.ra S. , la sig.ra B. si era sottoposta, all'estero, a procreazione medicalmente assistita da donatore esterno, in esito alla quale, in data ..., ella ha dato alla luce, a ..., il piccolo A. ; che, nonostante la loro congiunta richiesta di essere indicate entrambe quali genitori nell'atto di nascita del bambino, l'ufficiale di stato civile del Comune di ... lo ha indicato come «nato dall'unione naturale [di B.A., n.d.r.] con un uomo non parente ne' affine con lei nei gradi che ostano al riconoscimento ai sensi dell'art. 251 del codice civile» e gli ha attribuito il solo cognome della partoriente, senza alcun riferimento alla sig.ra S. Tanto premesso, ed argomentando, per un verso, l'illegittimita', finanche sul piano dei principi costituzionali, dell'omessa indicazione di quest'ultima quale genitore di A.B. e della mancata attribuzione allo stesso anche del cognome S.; per altro verso, la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 95 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 per la rettificazione di un atto non conforme ne' alla volonta' delle parti, ne' all'interesse del minore, le ricorrenti hanno chiesto - previa declaratoria dell'illegittimita' del rifiuto di rettifica dell'atto di nascita formalizzato dell'ufficiale di stato civile di ... con atto ... - ordinare la predetta rettifica, indicando che A. e' nato a seguito di tecniche di procreazione medicalmente assistita da A.B. unita civilmente con S.S. che vi ha prestato espresso consenso e che al nato e' attribuito il cognome «B.S.». Il pubblico ministero ha concluso per l'accoglimento del ricorso. 2. Le questioni sottoposte al Tribunale In punto di fatto, emerge per tabulas che le ricorrenti - unite civilmente dal ... - si sono rivolte ad una clinica ... ove nel ... la sig.ra B. si e' sottoposta, con l'espresso consenso della sig.ra S. , a procreazione medicalmente assistita (docc. 1 e 5). La sig.ra B ha portato a termine la gravidanza ed il ... e' nato a ... A. (doc. 4). In esito al rifiuto dell'ufficiale di stato civile, formalizzato con comunicazione scritta (doc. 10), le ricorrenti - invocando l'art. 95 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, cit. - chiedono a questo Tribunale che nell'atto di nascita di A. sia indicata la genitorialita' di entrambe, con attribuzione del doppio cognome: a tal fine, esse rilevano la carenza di potere di accertamento della verita' biologica da parte dell'ufficiale di stato civile, tenuto a recepire le dichiarazioni delle istanti ed argomentano sul diritto delle partner omosessuali unite civilmente a suggellare la loro scelta di diventare genitori, con indicazione corrispondente nell'atto di nascita. Il dilemma posto dal ricorso in esame si sostanzia, per un verso, nella possibilita' - anche per le coppie di donne omosessuali - di dare alla luce figli che non hanno generato insieme, in quanto naturalmente sterili, ma che insieme hanno voluto, per appagare un desiderio di diventare genitori proprio di molti esseri umani, a prescindere dalle loro inclinazioni sessuali; per altro verso, la possibilita' che il nato in Italia da fecondazione eterologa all'estero sia giuridicamente figlio delle donne che l'hanno voluto nella loro unione civile. (1) La fattispecie s'iscrive tra l'art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (2) , che regola la filiazione da procreazione medicalmente assistita eterologa disciplinata nei requisiti soggettivi dall'art. 5, legge n. 40, cit. e l'art. 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, il quale disciplina il contenuto dell'atto di nascita (3) , saldati dall'art. 1, comma 20 della legge 20 maggio 2016, n. 76 sull'estensione alle unioni civili delle disposizioni sul «matrimonio» e riferite ai «coniugi» recate dalle leggi speciali (fatta salva la legge 22 maggio 1983, n. 184) e dalle fonti subordinate (4) . Tali norme, negando l'accoglimento delle domande attoree, suscitano insuperabili dubbi di legittimita' costituzionale. 2.I La via ermeneutica alla tutela Ed infatti, sebbene il collegio non ignori la giurisprudenza di merito favorevole ad accordare in via ermeneutica la tutela chiesta in ipotesi identiche alla presente (cfr. in part. Tribunale Bologna, decreto 6 luglio 2018 e Tribunale Pistoia, decreto 3 luglio 2018), esso non ne condivide ne' le premesse, in aperto contrasto con il tenore letterale delle norme; ne' il risultato, sistematicamente incoerente. In primo luogo, tali le pronunce trascurano l'incipit dell'art. 1, comma 20 legge n. 76, cit., che espressamente circoscrive l'applicazione estensiva della normativa speciale riferita al matrimonio e/o contenente le parole coniuge/i o equivalenti «ai soli fini di assicurare... diritti e ... doveri nascenti dall'unione civile» (enfasi aggiunta), ossia quelli che avvincono i partner, senza possibilita' di alcun riferimento alla prole e/o alla filiazione. In secondo luogo, l'opzione ermeneutica che superi l'inapplicabilita' della tutela della filiazione da procreazione medicalmente assistita eterologa alle unioni civili tra donne contrasta apertamente con la ratio sottesa sia all'art. 5 della stessa legge che preclude alle coppie same sex di farvi ricorso, sia alla sanzione amministrativa per chi la applichi a persone dello stesso sesso (art. 12 legge n. 40/2004, cit.). Dovendosi ritenere esclusa la possibilita' di accogliere le domande attoree in via di applicazione estensiva della disciplina dell'art. 8 legge 19 febbraio 2004, n. 40, per i limiti letterali e teleologici posti dagli articoli 1, comma 20 legge n. 76/2016 e 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, citt., si deve scrutinare la possibilita' di ricorrere a tal fine all'interpretazione analogica. 2. I. In particolare, i dubbi sulla possibilita' di ... A) ... una decisione basata sull'analogia iuris ... a) ... con la legge sull'interruzione volontaria gravidanza (legge 22 maggio 1978, n. 194) Una pur sommaria ricognizione delle regole di diritto interno sulle vicende del rapporto di filiazione non puo' che muovere dalla disciplina dell'interruzione volontaria di gravidanza, la quale tuttavia, subordinato la liceita' della scelta di non proseguire la gestazione (legge n. 194/1978, art. 4) alla sussistenza di un serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna, afferma l'assoluta primazia di tale principio senza concessioni alla liberta' riproduttiva, peraltro esclusa anche dal riferimento, in apertura della legge (art. 1 legge n. 194/1978, cit.) alla tutela della vita umana sin dal suo inizio. Per contro, in relazione alla genitorialita' omossessuale, rispetto alla quale un'esigenza di tutela della salute non si da' ne', in concreto, per il singolo partner - quantomeno ove questi sia fertile per eta' e condizioni di salute - ne', gia' in astratto, per la coppia, la cui sterilita' e' fisiologica, ogni riferimento analogico a norme primarie attuative dell'art. 32 della Costituzione si rivela improprio. b) ... con la disciplina dell'adozione dei minori (legge 4 maggio 1983, n. 184) Una netta soluzione di continuita' si avverte anche tra la procreazione medicalmente assistita delle donne omosessuali e la disciplina dell'adozione dei minori: ed invero, mentre questa esprime anche un principio di solidarieta', la prima risponde unicamente al desiderio di mettere al mondo e crescere una progenie. La disciplina dalla c.d. genitorialita' sociale e' invero geneticamente connotata da un'aspirazione solidaristica che coesiste con il desiderio degli adottanti di diventare genitori, mentre e' assente in chi, come le ricorrenti, voglia avere un figlio proprio. Non sarebbe pertanto sistematicamente corretto prescrivere gli stessi requisiti dell'aspirante famiglia adottiva per l'accesso delle donne omosessuali unite civilmente alla procreazione medicalmente assistita e, piu' in generale, invocare per l'una la disciplina positiva dell'altra. Al contrario, la disciplina della filiazione nelle coppie di donne omosessuali deve muovere dalla consapevolezza che la procreazione medicalmente assistita e' praticata in tali ipotesi per appagare un istinto materno, suscettibile di rilevare - finanche sul piano normativo - in se' e per se', svincolato dalle inclinazioni sessuali, non riferibile alla tutela della salute (anche psichica), ne' - infine - confuso con vaghe finalita' solidaristiche. B) ...una decisione per principi La scelta legislativa contraria alla genitorialita' omosessuale femminile nitidamente espressa dal combinato disposto degli articoli 1, comma 20 della legge n. 76/2016 e 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 non si presta neppure a temperamenti in via interpretativa, che facciano diretta applicazione dei principi come l'interesse del minore alla bigenitorialita', che nella prospettazione delle ricorrenti e della citata giurisprudenza di merito rappresenta il cardine della tutela, o la salute delle partner. In primo luogo, non lo richiede la struttura delle norme - la cui specificita' e assenza di clausole generali scoraggia anzi l'approccio ermeneutico e tende a confinare l'interprete al ruolo di' mero esegeta. Inoltre, il principio della bigenitorialita' incide molto limitatamente - e sempre su presupposti rigorosamente disciplinati ex lege (5) - sulla fase genetica del rapporto di filiazione o comunque nell'ipotesi della sua costituzione (6) , esprimendosi piu' decisamente su quello funzionale, quando cioe' si tratti di valorizzare nell'attuazione del rapporto le prerogative di coloro che per legge abbiano potuto e voluto prenderne le parti (7) . Peraltro, se davanti al giudice l'apprezzamento del concreto interesse del minore potrebbe precedere la costituzione del rapporto di filiazione (come nell'ipotesi disciplinata dall'art. 250, comma codice civile), altrettanto non si verifica innanzi all'ufficiale di stato civile, per il carattere tassativo dell'elenco di coloro che, in base al codice civile od alle leggi speciali, ex art. 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 possono essere indicati nell'atto di nascita quali genitori, ossia i genitori legittimi, naturali o adottivi, la madre che ha dato il consenso ad essere nominata e chi ha espresso il consenso alla procreazione medicalmente assistita (attualmente, il solo coniuge o convivente della madre che dovendo ex articoli 6 e 8 della legge n. 40/2004, cit. essere di sesso di verso da lei non puo' che essere maschio) (8) . Conclusivamente, neppure l'argomento della tutela della bigenitorialita' consente di scardinare l'addentellato normativo degli articoli 1, comma 20 della legge n. 76/2016 e 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 per aprirlo alla genitorialita' omosessuale femminile. A maggior fortuna sembra destinato l'altro principio invocabile per annoverare le coppie di donne unite civilmente tra i soggetti legittimati a fare ricorso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. La Corte costituzionale ha infatti da tempo ha riconosciuto il diritto dei partner eterosessuali a diventare genitori superando la sterilita', mediante ricorso alla fecondazione da donatore esterno (Corte costituzionale sentenza 162 del 10 giugno 2014). La pronuncia non si limita tuttavia a valorizzare la «sola» tutela della salute, ma ne proietta la realizzazione in una nuova dimensione, dove il diritto di «essere» genitori riceve una protezione cosi' intensa da riconoscere piena legittimita' alle scelte che consentano di «diventarlo» senza giudizi assiologici sulle possibilita' offerte a tal fine dal progresso scientifico. Di qui il dubbio, corroborato anche dalle domande delle odierne ricorrenti, in ordine alla possibilita' di riconoscere - anche nell'ordinamento interno ed alla luce dei principi di dignita' ed uguaglianza sostanziale, piu' che di privacy e diritto alla felicita' - un diritto umano inviolabile ed universale a diventare genitore, a prescindere dal proprio orientamento sessuale, sullo sfondo del superamento culturale, prima ancora che giuridico, della tradizionale «giustificazione» della sessualita' con la procreazione e della sua sublimazione nella funzione genitoriale. Quelle stesse persone a cui recentemente anche nell'ordinamento italiano e' stata riconosciuta la possibilita' di fondare unioni civili quali formazioni sociali ove si svolge la loro personalita' (la legge n. 76/2016 affonda le sue radici nella giurisprudenza di legittimita' che fin dai primi anni duemila inquadrava la famiglia omosessuale nell'art. 2 della Costituzione) si vedono, infatti, negare sia la possibilita' di accedere in Italia alla procreazione medicalmente assistita (9) , sia - come nel nostro caso - di costituire il rapporto parentale col nato da procreazione medicalmente assistita eseguita all'estero su una delle partner con l'espresso «consenso» dell'altra, unita civilmente. Sennonche', l'adeguamento ai principi fondamentali, interni ed internazionali, di un sistema di regole che preclude l'esperienza genitoriale alle coppie di donne unite civilmente, con l'ineludibile bilanciamento - in generale ed a priori - degli interessi coinvolti, non puo' essere lasciato all'approccio casistico di un interprete. Le pur pregevoli ed articolate interpretazioni adeguatrici espresse in tempi recenti anche dalla giurisprudenza di legittimita' sono infatti limitate sia - strutturalmente - dalle prerogative costituzionali dell'organo da cui promanano, sia - funzionalmente - dalla specificita' del caso concreto da cui trae origine anche l'operazione nomofilattica. Un chiaro esempio in tal senso proviene dalla sentenza n. 19599 del 30 settembre 2016, con la quale la prima sezione civile della Suprema Corte di cassazione - richiamata anche dalle ricorrenti odierne - ha ritenuto trascrivibile in Italia l'atto di nascita formato all'estero e dal quale risulti che il minore e' figlio di due madri, escludendone la contrarieta' all'ordine pubblico internazionale. La Suprema Corte ha ricordato dapprima che «il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilita' con l'ordine pubblico» dell'atto di nascita straniero, «deve verificare non gia' se l'atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto ad una o piu' norme interne (seppure imperative o inderogabili), ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonche' dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo», basando su tale premessa il doveroso bilanciamento tra l'interesse del minore ed i principi, apparentemente di pari rango, desumibili dalla legge n. 40/2004 in tema di procreazione medicalmente assistita, dall'art. 269 del codice civile che associa la maternita' al parto e dall'art. 1, comma 20, legge n. 76/2016 che esclude dalla tutela accordata alle coppie omosessuali civilmente unite la realizzazione del diritto alla genitorialita'. Sulla legge n. 40, cit., ribadendo quanto gia' affermato in tema di portata (e limiti) del giudizio di non contrarieta' all'ordine pubblico, la Corte esclude che la relativa disciplina possa rappresentare un utile parametro di valutazione sub specie di ordine pubblico, non essendo espressione di valori costituzionali primari di preminente applicazione, anche per l'ampia discrezionalita' del legislatore in materia (10) . La Corte affronta anche la questione dell'orientamento sessuale della coppia esprimente il progetto genitoriale di cui si chiede il riconoscimento, escludendo che la contrarieta' dell'atto di nascita straniero all'ordine pubblico possa desumersi dalla preclusione - per le coppie dello stesso sesso - di accedere e realizzare progetti di genitorialita', che pur restano non riconosciuti ne', in ipotesi, riconoscibili dall'ordinamento italiano (11) . Dunque, la meritevolezza di tutela del vincolo familiare, anche omogenitoriale, fondata sulla «fondamentale e generale liberta' delle persone di autodeterminarsi e formare una famiglia, a condizioni non discriminatorie», pur valendo ad affermare la riconoscibilita' nel nostro ordinamento di atti di nascita stranieri, non assurge a criterio su cui fondare - in positivo - l'esistenza, nell'ordinamento interno, della corrispondente «possibilita' giuridica». In altri termini, altro e' considerare l'atto di nascita straniero non contrario ai principi che informano l'ordine pubblico internazionale in materia (genitorialita' intenzionale, libero svolgimento della vita affettiva e familiare, bigenitorialita', etc.), cosi' da poter essere trascritto in Italia; altro ritenerne la Drittwirkug, vuoi con disapplicazione del diritto interno contrastante, vuoi con interpretazione sistematica o costituzionalmente orientata del diritto interno, idonea ad incidere sulle modalita' di formazione e sul contenuto, nel diritto interno, dell'atto di nascita. 3. I. Dubbi di legittimita' costituzionale della disciplina applicabile Il combinato disposto dell'art. 1, comma 20, legge n. 76/2016, ove limita «ai soli fini dell'esercizio dei diritti e dell'adempimento dei doveri nascenti dall'unione civile» l'applicabilita' alle parti dell'unione civile omosessuale le disposizioni che si riferiscono al matrimonio, ai «coniugi» o termini equivalenti, con l'art. 29 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, che disciplina il contenuto dell'atto di nascita, non solo contrasta con la giurisprudenza costituzionale che fin dall'inizio degli anni 2000 ha riconosciuto la dignita' costituzionale alle unioni omossessuali, quali formazioni sociali ove si svolge la personalita' umana (cfr. e pluribus Corte costituzionale sentenza n. 138/2010 e sentenza n. 170/2014); ma rischia anche di ridursi a rigida espressione di positivismo giuridico se scrutinato alla luce dei principi fondamentali a tutela del nato (12) . Al fine di decidere sul ricorso si impone dunque la rimessione alla Corte costituzionale della valutazione in ordine alla legittimita' costituzionale sub articoli 2, 3, primo e secondo comma, 30 della Costituzione e 117 della Costituzione in relazione alle norme interposte di cui all'art. 24, paragrafo 3, della Carta dei diritti Fondamentali dell'Unione europea (siglata a Nizza il 7 dicembre 2000), agli articoli 8 e 14 Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848) e 2 della Convenzione di New York sui Diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 196) dell'art. 1, comma 20, legge n. 76/2016 nella parte in cui limita la tutela ... delle coppie di donne omosessuali unite civilmente ai «soli diritti e ... doveri nascenti dall'unione civile» e dell'art. 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 che limita la possibilita' di indicare il solo genitore «legittimo, nonche' di quelli che rendono ... o che hanno dato il consenso ad essere nominati» e non anche alle donne tra loro unite civilmente e che abbiano fatto ricorso (all'estero) alla procreazione medicalmente assistita. Da quanto precede e' emerso che nel nostro ordinamento l'apertura alla centralita' individuale, con riconoscimento e regolamentazione di pluralita' di modelli familiari oltre/a prescindere dal matrimonio (unione civile), non trova corrispondenza su quello della filiazione, dove permane una forte tensione tra diritto del minore ad essere educato nella propria famiglia e assiologia delle scelte degli adulti sulla composizione di quella famiglia. In altri termini, il percorso che ha riconosciuto rilevanti ex art. 2 della Costituizione le famiglie omosessuali, quando si tratti di tutelare le scelte «procreate» di quelle formazioni sociali assume una direzione incoerente con le sue stesse premesse. Tuttavia, come anticipato, la necessaria correzione di rotta non puo' essere demandata all'interprete, ma spetta al legislatore (o del Giudice delle leggi che ne rappresenta il continuum istituzionale), che deve plasmare in regole principi, di per se' anodini - come quello della tutela della vita privata e familiare dell'art. 8 CEDU, senza sconfinamenti nel «diritto alla felicita' individuale» di stampo nordamericano (lst Amendement of the Constitution of the United States of America), fondamento della procreative liberty, ma rimanendo ancorato alla prospettiva dell'art. 3 della Costituzione italiana che mira al «pieno sviluppo della persona umana». Soltanto il formante legislativo (cui senza dubbio appartiene anche la Corte costituzionale) puo', in altri termini, esprimere opzioni di fondo che contemperino i principi costituzionali interni - al cui vertice permane il principio di dignita' e libero sviluppo della personalita' - con quelli internazionali, individuando equilibri normativi che pur rifuggendo la tirannia dei valori (o, peggio, di un «valore»), tuttavia non scadano a mero compromesso delle possibilita'. § 3. II. Il riferimento agli articoli 2, 3, 30 e 117 della Costituzione a) Il contrasto con l'art. 2 della Costituzione. Ai fini della prospettata valutazione incidentale di legittimita' costituzionale va in primo luogo rilevato che l'inapplicabilita' delle regole sulla genitorialita' intenzionale alle coppie di donne unite civilmente contrasta con l'art. 2 della Costituzione, in quanto non realizza il diritto fondamentale alla genitorialita' dell'individuo, sia come soggetto singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalita'. Diritto alla genitorialita', inteso come aspirazione giuridicamente qualificata a mettere al mondo e crescere dei figli, a fortiori avendo costituito un legame di coppia formalizzato, che per la sua almeno tendenziale stabilita' si presenta piu' adatto a crescere la prole. La nozione di formazione sociale (di cui al citato art. 2 della Costituzione) viene, infatti, intesa come «ogni forma di comunita', semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico» (cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 138/2010). Ed in tale nozione va oggi annoverata anche l'unione tra le ricorrenti, avendo la legge 20 maggio 2016, n. 76, al suo art. 1, espressamente istituito «l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione». Con siffatta previsione normativa il legislatore italiano ha superato la impostazione tradizionale, che individuava la coppia (fondata su matrimonio o su convivenza di fatto) come formata da soli soggetti di sesso diverso, intraprendendo la strada dell'unificazione delle discipline familiari, sia omosessuali che eterosessuali. b) La contrarieta' all'art. 3, primo e secondo comma della Costituzione Negare la tutela richiesta dalle odierne ricorrenti contrasta, in secondo luogo, con l'art. 3 della Costituzione, comportando una disparita' di trattamento basata sull'orientamento sessuale e sul reddito, laddove privilegia chi dispone dei mezzi economici non solo per concepire, ma anche per far nascere il figlio all'estero e richiedere, con ormai sicuro successo, la trascrizione in Italia dell'atto di nascita straniero. Risulta, invero, irragionevole e logicamente contraddittoria la mancata inclusione delle coppie formate da persone dello stesso sesso nell'elenco dei soggetti legittimati a giovarsi delle tecniche di procreazione assistita, contenuta in una legge che, fra le sue finalita', si pone l'obiettivo di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilita' o dalla infertilita' umana (requisiti questi ultimi indiscutibili in una coppia omosessuale: cfr. Corte costituzionale sentenza n. 19599/2016, cit.). Peraltro, il mancato riconoscimento delle donne omossessuali civilmente unite quali genitori del nato da fecondazione eterologa praticata dall'una con il consenso dell'altra si risolve anche in una violazione del secondo comma dell'art. 3 della Costituzione che assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine «sociale», qual e' lo stigma tradizionalmente subito dagli omosessuali, al pieno sviluppo della loro personalita' consentendo - in particolare, alle donne - di realizzare il desiderio di maternita', senza che cio' sia giustificato dalla tutela di interessi di rango almeno pari. Quanto al nato, il rispetto del principio di uguaglianza impone che egli non sia discriminato dalla legge (art. 3, primo comma della Cost.), e dunque sotto - tutelato sul piano sia morale che materiale, in considerazione delle caratteristiche della relazione tra i genitori, ed in particolare se questa sia omosessuale. c) La non conformita' all'art. 30 della Costituzione Inoltre, sia per gli adulti che per il nato, l'attuale impossibilita' di indicare due madri unite civilmente nell'atto di nascita formato in Italia non rispetta il principio di tutela della filiazione di cui all'art. 30 della Costituzione. Una concezione progressiva di tale principio indurrebbe, infatti, ad affrancarne la realizzazione dalla tradizionale dimensione naturalistico - fattuale, tutelandola come diritto pretensivo che, ove il progresso scientifico la consenta, non puo' essere escluso o limitato, se non in funzione di interessi che il legislatore consideri, legittimamente, pari - ordinati. 3. III. Il contrasto con i principi internazionali recepiti ex art. 117 della Costituzione Il riferimento alla tutela costituzionale della filiazione conduce, infine, alla dimensione sovrannazionale dei principi, compendiati - in particolare - nel c.d. diritto alla bigenitorialita'. Negare al minore la relazione giuridica con entrambe le madri integra, infatti, anche una violazione dell'art. 24, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (siglata a Nizza il 7 dicembre 2000), degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848 (13) e con la Convenzione di New York sui Diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 196. In base a tale complesso di fonti, puo' considerarsi un principio internazionale definitivamente acquisito, quello per cui il matrimonio non costituisce piu' il discrimen nei rapporti tra genitori e figli, ne' per gli uni - che hanno visto riconosciuto il diritto non solo a formarsi una famiglia, ma altresi' a diventare genitori, anche oltre i limiti imposti dalla natura (sterilita', identita' di sesso dei partner) e comunque per effetto di una manifestazione di volonta' svincolata dal dato biologico; ne' per gli altri, che debbono godere della medesima tutela indipendentemente dalla forma del legame tra coloro che ne assumo la genitorialita'. La Grundnorm in materia e' ricavabile da numerose fonti internazionali, tra cui spiccano in primo luogo l'art. 2 della Convenzione di New York sui Diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 resa esecutiva in Italia con legge n. 176/1991 (14) e l'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Nizza, 2000). Quest'ultima, in particolare, stabilisce che «in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorita' pubbliche o istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente» e si declina, nello specifico, come diritto del minore «a crescere nella propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione» (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 31/2012; in senso analogo, cfr. Corte di cassazione, sezione I civ. sentenza n. 19599/2016). L'acquisto dello status di figlio di entrambe le parti dell'unione civile omosessuale tra donne va dunque riguardato come ineludibile presupposto per l'accesso del minore alla massima tutela spettantegli. Questo giudice, peraltro, non puo' disapplicare la norma di diritto nazionale che si ponga in conflitto con le previsioni della CEDU, ma deve, invece, previamente sollevare questione di costituzionalita' dinanzi alla Corte costituzionale. Invero, a questo giudice e' preclusa l'applicazione «in via diretta delle norme convenzionali in luogo di quelle nazionali, in tesi con esse non compatibili, atteso che, diversamente dal diritto comunitario, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo non crea un ordinamento giuridico sovranazionale ma costituisce un modello di diritto internazionale pattizio, idoneo a vincolare lo Stato, ma improduttivo di effetti diretti nell'ordinamento interno (sentenze n. 349 e n. 348 del 2007, e successive conformi). Collocazione, questa, delle disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali che, nel sistema delle fonti, resta immutata anche dopo il richiamo operatone dall'art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008, n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009» (cfr., per tutte, la sentenza della Corte costituzionale n. 96/2015). I giudici di' codesta Corte hanno, infatti, gia' avuto occasione di chiarire che «dalla qualificazione dei diritti fondamentali oggetto di disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali come principi generali del diritto comunitario non puo' farsi discendere la riferibilita' alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali del parametro di cui all'art. 11 della Costituzione, ne', correlativamente, la spettanza al giudice comune del potere-dovere di non applicare le norme interne contrastanti con la predetta Convenzione» (sentenze n. 303 del 2011 e n. 349 del 2007). Ragione per cui «i principi in questione rilevano unicamente in rapporto alle fattispecie cui il diritto comunitario (oggi, il diritto dell'Unione) e' applicabile» (sentenze n. 210 del 2013, n. 303 e n. 80 del 2011) e, poiche' le fattispecie, oggetto dei giudizi a quibus, non sono riconducibili al diritto comunitario, non vi e' possibilita' per il Tribunale rimettente di disapplicazione della normativa nazionale, peraltro limitata alle ipotesi in cui il diritto comunitario rilevante sia dotato di effetti diretti (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 96/201, cit.). Ancor piu' recentemente il giudice delle leggi ha ribadito che, anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, «quando una disposizione di diritto interno diverge da norme dell'Unione europea prive di effetti diretti, occorre sollevare una questione di legittimita' costituzionale, riservata alla esclusiva competenza di questa Corte, senza delibare preventivamente i profili di incompatibilita' con il diritto europeo. In tali ipotesi spetta a questa Corte giudicare la legge, sia in riferimento ai parametri europei (con riguardo alle priorita', nei giudizi in via di azione, si veda ad esempio la sentenza n. 197 del 2014, ove si afferma che "la verifica della conformita' della norma impugnata alle regole di competenza interna e' preliminare al controllo del rispetto dei principi comunitari (sentenze n. 245 del 2013, n. 127 e n. 120 del 2010)"» (Corte costituzionale sentenza n. 269 del 14 dicembre 2017). Di fronte, dunque, a casi di c.d. doppia pregiudizialita', la Corte costituzionale ha ritenuto che, «laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimita' tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimita' costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidita' del diritto dell'Unione, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea» (cfr. la sopra citata sentenza n. 269/2017 della Corte costituzionale). 4. Considerazioni di chiusura Riassumendo quanto finora esposto, la questione di legittimita' appare rilevante nel caso di specie, ponendosi in rapporto di strumentalita' rispetto alla concreta definizione della presente controversia, oltre che non manifestamente infondata. Al fine di decidere sul ricorso si impone, dunque, la rimessione a codesta Corte della valutazione di legittimita' costituzionale sub articoli 2, 3 primo e secondo comma, 30 e 117 della Costituzione - in rel. ai richiamati principi internazionali - dell'art. 1, comma 20 della legge 76/2016 perche', limitando l'applicabilita' delle leggi speciali alle coppie di donne omosessuali unite civilmente ai «soli diritti e ... doveri nascenti dall'unione civile», nel combinato disposto con l'art. 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 preclude loro la possibilita' di essere indicate, entrambe, quali genitori nell'atto di nascita quantunque siano unite civilmente ed che abbiano fatto ricorso (all'estero) alla procreazione medicalmente assistita. Il predetto combinato disposto, infatti, pregiudica i diritti inviolabili della persona, quali sono il diritto alla genitorialita' ed il diritto alla procreazione, nell'ambito di una unione civile legalmente riconosciuta dall'ordinamento italiano; discrimina i cittadini per il loro orientamento sessuale ed in considerazione delle condizioni patrimoniali delle coppie; introduce, anche avuto riguardo al panorama della legislazione europea, un irragionevole divieto basato su discriminazioni per mere ragioni legate all'orientamento sessuale dei componenti la coppia. Ne' appare possibile conferire alle norme sopra riportate un significato assoggettabile ad una interpretazione costituzionalmente orientata o «adeguatrice» propugnata dalla richiamata giurisprudenza di merito. Nonostante, infatti, la «apertura» verso le coppie formate da persone dello stesso sesso dimostrata negli ultimi tempi dal legislatore e dalla giurisprudenza (di merito e di legittimita'), l'univoco tenore lessicale delle specifiche norme qui in questione segna il confine in presenza del quale il tentativo di interpretazione esperito dal giudice deve cedere il passo al sindacato di legittimita' costituzionale (cfr., in tal senso, le sentenze numeri 270 e 315 del 2010 della Corte costituzionale). Va, altresi', escluso che le norme oggetto di censura possano essere direttamente non applicate da questo giudice, per contrasto con gli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (c.d. Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libera' fondamentali). In ragione di quanto sopra, al fine di provvedere sulla domanda di rettifica dell'atto di nascita del minore A., nato a ... il ..., con indicazione quale genitore anche di S.S. nt. a ... il ... - oltre ad A.B. nt. a ... il ... - ed aggiunta del cognome S. dopo il cognome B., con ordine all'ufficiale di stato civile di ... a provvedere in conformita' ai sensi dell'art. 95 decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, il procedimento va sospeso con rimessione degli atti alla Corte costituzionale. In esito andra' valutata la richiesta di attribuzione al bambino del cognome di entrambe le ricorrenti, a tutela del diritto del minore all'identita' personale nel rispetto del principio di pari dignita' dei genitori (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 286/2016), a prescindere dal loro orientamento sessuale (15) . (1) Problemi in larga parte diversi si pongono qualora i partner siano entrambi di sesso maschile ed abbiamo fatto ricorso alla c.d. gestazione per altri. (2) L'art. 8 della legge n. 40/2004, cit. stabilisce, in particolare, che «i nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli ... riconosciuti della coppia che ha espresso la volonta' di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'art. 6». L'art. 5 legge 40, cit. sancisce che «Fermo restando quanto stabilito dall'art. 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in eta' potenzialmente fertile, entrambi viventi». (3) L'art. 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, cit. stabilisce, per quanto qui rileva, che «Nell'atto di nascita sono indicati ... le generalita', la cittadinanza, la residenza dei genitori e di quelli che hanno espresso con atto pubblico il proprio consenso ad essere nominati...» (4) L'art. 1, comma 20 legge n. 76/2016, cit. contiene una «clausola di equivalenza» inestensibile oltre i diritti e i doveri che trovano titolo nell'unione civile, posto che la norma recita: «Al solo fine di assicurare l'effettivita' della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonche' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonche' alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti» (enfasi aggiunta). (5) Favorendola per il figlio nell'ipotesi dell'azione di accertamento della paternita' naturale imprescrittibile riguardo al figlio e - limitandola - nell'anonimato del donatore esterno alla coppia eterosessuale che acceda alla fecondazione eterologa. (6) L'ipotesi in cui esso svolge un ruolo attivo di orientamento dell'interprete nella costituzione del rapporto e' rappresentata dell'art. 250, comma 4 del codice civile. (7) La dimensione negoziale della genitorialita' non e' estranea al nostro ordinamento, come ricorda la disciplina codicistica del riconoscimento/accertamento di paternita' e maternita' naturale e la stessa facolta' per la partoriente di non essere nominata, prevista nell'ordinamento di stato civile (art. 30, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000); solo apparentemente, dunque, la genitorialita' intenzionale rappresenta una novita'; tuttavia, mentre nella filiazione naturale il riconoscimento dovrebbe almeno in linea tendenziale saldare natura e diritto, qui sicuramente tale saldatura e' impossibile - sostituendosi l'elemento naturale a quello biologico, sempre ontologicamente assente. (8) Con la conseguenza che anche un ipotetico provvedimento giudiziale di riconoscimento ex art. 250, comma 4 del codice civile della seconda madre, unita civilmente alla partoriente non potrebbe essere trascritto nell'atto di nascita. (9) E' il caso affrontato dall'ordinanza con cui il Tribunale di Pordenone, ord. 2 luglio 2018 ha rimesso a codesta Corte il giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, legge n. 40/2004. (10) Ulteriore principio di diritto e', pertanto, il seguente: «l'atto di nascita straniero [...] da cui risulti la nascita di un figlio da due madri [...] non contrasta di per se' con l'ordine pubblico per il fatto che la tecnica procreativa utilizzata non sia riconosciuta in Italia dalla legge n. 40/2004, la quale rappresenta una delle possibili modalita' di attuazione del potere regolatorio attribuito al legislatore su una materia, pur eticamente sensibile e di rilevanza costituzionale, sulla quale le scelte legislative non sono costituzionalmente obbligate». (11) In particolare, il Supremo collegio - ai fini del giudizio di non contrarieta' all'ordine pubblico - afferma che «non e' possibile sostenere l'esistenza di un principio costituzionale fondamentale [...] idoneo ad impedire l'ingresso in Italia dell'atto di nascita [...] in ragione di una asserita preclusione ontologica per le coppie formate da persone dello stesso sesso (unite da uno stabile legame affettivo) di accogliere, di allevare e anche di generare figli». Tale asserzione e' fondata su quattro elementi fondamentali, puntualmente enunciati dalla Corte: a) l'inerenza della scelta di diventare genitori e formare una famiglia alla «fondamentale e generale liberta' di autodeterminarsi», come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 162/14; b) l'indifferenza della cornice giuridica del rapporto tra i genitori - dunque, del matrimonio - rispetto alle vicende relative allo status di figlio (Corte costituzionale, n. 166/98), da cui consegue che «l'elemento di discrimine rappresentato dalla diversita' di sesso tra i genitori - che e' tipico dell'istituto matrimoniale - non puo' giustificare una condizione deteriore per i figli ne' incidere negativamente sul loro status»; c) il principio, confermato dalla Corte stessa a partire dalla sentenza n. 601/13, secondo cui l'orientamento sessuale di una persona non incide sulla sua idoneita' ad assumere la responsabilita' genitoriale e, di conseguenza, «l'asserita dannosita'» dell'inserimento del figlio «in una famiglia formata da una coppia omosessuale [...] va dimostrata in concreto e non puo' essere fondata sul mero pregiudizio»; d) la circostanza che, a partire da Cassazione, sez. I civ., n. 12962/16, e' consentito il ricorso all'adozione in casi particolari, in coppie omosessuali, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184/1983: cio' conferma «che le coppie omosessuali ben possano adeguatamente accogliere figli e accudirli». (12) Per contro, una volta rimosso il limite dell'art. 1 comma 20 cit. in rel. art. 29, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 all'omogenitorialita' femminile, non sembrano residuarne altri: non lo e', in particolare, l'art. 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, che si riferisce ai «genitori» e non usa mai il termine «padre», mentre qui non rileva l'art. 269 del codice civile. In relazione a tale ultima norma va peraltro ricordato che l'ermeneutica costituzionalmente orientata proposta da C. Cass. 19599/2016, cit. ha escluso che debba essere assunto a principio inderogabile di ordine pubblico quello secondo cui, nel nostro ordinamento, madre e' colei che partorisce, enunciato all'art. 269 del codice civile. Afferma la Corte, enunciando un principio di diritto, che «la regola secondo cui e' madre colei che ha partorito, a norma del terzo comma dell'art. 269 del codice civile, non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, sicche' e' riconoscibile in Italia l'atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato da un progetto genitoriale di coppia e' figlio di due madri (una che lo ha partorito, e l'altra che ha donato l'ovulo), non essendo opponibile principio di ordine pubblico desumibile dalla suddetta regola» (C. Cass. 19599/2016, cit.) (13) Il cui art. 8 stabilisce che «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non puo' esservi ingerenza di una autorita' pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una societa' democratica, e' necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle liberta' altrui» ed il successivo art. 14 ribadisce che «Il godimento dei diritti e delle liberta' riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione» (14) A mente della quale «1. Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacita', dalla loro nascita o da ogni altra circostanza; 2. Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinche' il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attivita', opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari» (enfasi aggiunta). (15) Peraltro la stessa legge n. 76/2016 all'art. 1, comma 19 estende alle unioni civili l'art. 146 in rel. art. 147 del codice civile che legittima l'intervento giudiziale in ipotesi di mancato adempimento parentale dei doveri verso i figli, cosi' come l'art. 1, comma 25 disciplina lo scioglimento dell'unione civile anche in relazione alla presenza di figli. Anche la legge n. 4/2018 sulla tutela degli orfani dei crimini domestici ha confermato questa impostazione, proteggendo i figli indipendentemente dalla forma giuridica del rapporto tra i genitori e dalla fonte, naturale o giuridica (sociale, volontaria, intenzionale) della relazione parentale. Le considerazioni sopra formulate non consentono tuttavia di cogliere un'opzione di fondo unitaria del Legislatore positivo rispetto ai dilemmi bioetici suscitati dall'esigenza di contemperare la libera espressione della personalita' e della sessualita' di ciascun individuo con il rispetto della dignita' umana, ma sono confinati in singoli ambiti di protezione per la patologia funzionale di un rapporto gia' sorto e non forniscono spunti per la disciplina della sua fase genetica.