TRIBUNALE DI CAGLIARI 
           Sezione dei Giudici per le indagini preliminari 
                     e dell'udienza preliminare 
 
Questione di legittimita' costituzionale (art.  23,  legge  11  marzo
1953, n. 87). 
    Il Giudice dell'esecuzione, dott.ssa Lucia Perra, 
    letti gli atti del procedimento penale nei confronti  di  D.  A.,
nato a.... il... - difeso dall'avv. Pierluigi  Concas  di  fiducia  -
attualmente detenuto presso il  carcere  di  Alghero,  in  esecuzione
della sentenza n. 1791/2016, emessa in data 11 maggio 2016,  dal  GUP
presso  il  Tribunale  di  Cagliari,  confermata  dalla  sentenza  n.
810/2018 del 20 settembre 2018, della Corte  D'Appello  di  Cagliari,
definitiva il 30 aprile 2019, a seguito della decisione  della  Corte
di Cassazione, Reg. Gen. 49949/2018,  con  cui  e'  stato  dichiarato
inammissibile il ricorso; 
    ritenuta la propria competenza; 
    sentite le parti all'udienza del 5 giugno 2019 e  sciogliendo  la
riserva formulata, ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    con sentenza in data 11 maggio 2016, il GUP presso  il  Tribunale
di Cagliari, condanno' D. A. alla pena di tre anni e quattro mesi  di
reclusione, per il reato di  cui  all'art.  314  del  codice  penale,
commesso in Cagliari fino al 16 novembre 2011. 
    Con sentenza in data 20 settembre 2018,  la  Corte  D'Appello  di
Cagliari confermava la pronuncia di primo grado, riducendo la pena  a
anni due e mesi otto di reclusione. 
    La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il  ricorso  e
la sentenza e divenuta irrevocabile in data 30 aprile 2019. 
    Il difensore di D. A. ha  depositato,  in  data  3  giugno  2019,
incidente  di  esecuzione  chiedendo  che   venisse   dichiarata   la
temporanea inefficacia dell'ordine di esecuzione  della  pena  emesso
dal Procuratore della Repubblica nei confronti del D. stesso  per  la
durata di giorni trenta, si da consentirgli di formulare richiesta di
misura alternativa. 
    Le motivazioni poste a sostegno della domanda sono le seguenti: 
      1) la pena infitta al D. (pari  a  due  anni  e  otto  mesi  di
reclusione) consente, sotto il profilo quantitativo,  la  sospensione
dell'ordine di esecuzione e l'accesso ai benefici penitenziari di cui
alla legge n 354/1975; 
      2) l'art. 1, comma 6, della legge 9  gennaio  2019,  n.  3,  ha
modificato l'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354/1975, includendo
tra reati ostativi alla sospensione dell'esecuzione di  cui  all'art.
656, comma 5 del codice penale anche il reato disciplinato  dall'art.
314, primo comma, del codice penale; 
      3) i  fatti  per  cui  e'  stata  pronunciata  la  condanna  in
esecuzione sono stati commessi fino al 16  novembre  2011,  ossia  in
epoca antecedente alla modifica introdotta con  la  citata  legge  n.
3/2019; 
      4) una lettura costituzionalmente orientata, anche in  ossequio
alla natura sostanziale attribuita dalla Corte Europea per i  diritti
dell'uomo al concetto di illecito penale  e  di  pena,  non  consente
l'applicazione retroattiva della disposizione introdotta dalla  legge
menzionata; 
      5) le misure alternative alla detenzione sono istituti relativi
a  modalita'  del  punire  e  non  del  procedere,  costruiti   nella
prospettiva dell'art. 27 Cost. e concorrono a  modellare  il  sistema
delle risposte al reato, determinandone i contenuti afflittivi, tanto
sotto il  profilo  quantitativo  che  sotto  quello  qualitativo,  su
presupposti valutativi vincolati  alla  gravita'  del  fatto  e  alla
personalita' del condannato; 
      6) la Corte costituzionale, con sentenze n. 196 del 2010  e  n.
223 del 2018,  ha  aderito  all'impostazione  sostanzialistica  della
Grande Camera, superando il riferimento formalistico al  nomen  iuris
«confisca», valutando in concreto se le misure introdotte abbiano  un
contenuto afflittivo e punitivo, concludendo per la  inapplicabilita'
retroattiva delle disposizioni censurate; 
      7) la comparazione tra le due discipline  sanzionatone,  quella
vigente al momento del fatto e quella successivamente introdotta,  e'
ben  possibile,  oltre  che  doverosa,  per  evitare   l'applicazione
retroattiva all'autore dell'illecito di una disciplina punitiva  piu'
gravosa di quella in vigore al momento del fatto; 
      8) l'art. 1, comma 6, legge 9 gennaio 2019 n. 3,  nel  disporre
l'inderogabile  applicazione  retroattiva  della   nuova   disciplina
sanzionatoria a fatti pregressi e' in contrasto con gli  articoli  3,
25, secondo comma, 27 e  117,  primo  comma,  Cost.  quest'ultimo  in
relazione all'art. 7 Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nella parte  in  cui
impone di applicare la nuova disciplina anche qualora essa risulti in
concreto piu' sfavorevole di quella precedentemente in vigore; 
      9) la Corte di Cassazione, con sentenza  del  14  maggio  2019,
numero  12541,  pronunciandosi  incidentalmente  sull'argomento,   ha
ritenuto   non   manifestamente   inammissibile   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6 b), della  legge  n.
3/2019; 
      10)  il  legislatore  non  ha  adottato   alcuna   disposizione
transitoria,  atta  a  temperare   l'immediata   applicazione   delle
modifiche introdotte nell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario e
nell'art. 656,  comma  9  codice  di  procedura  penale,  mentre,  in
precedenza, tanto l'art. 4 del decreto-legge n. 152/1991  (che  aveva
introdotto delle modifiche all'art. 4-bis o.p.) che  l'art.  4  della
legge n. 279/2002 (che aveva inserito i reati di  cui  agli  articoli
600, 601 e 602 del codice  penale  nell'art.  4-bis  citato)  avevano
limitato l'applicazione  delle  modifiche  apportate  all'art.  4-bis
dell'ordinamento penitenziario ai soli reati commessi successivamente
alla loro entrata in vigore. 
    L'interpretazione giurisprudenziale consolidata e' nel  senso  di
ritenere che le  disposizioni  concernenti  l'esecuzione  delle  pene
detentive  e  le   misure   alternative   alla   detenzione   esulino
dall'accertamento del reato e  dall'irrogazione  della  pena  perche'
riguardano, esclusivamente, la modalita'  di  esecuzione  delle  pene
stesse. Dette disposizioni hanno,  quindi,  natura  di  nonne  penali
processuali e non sostanziali; come tali sono soggette, in assenza di
una disciplina transitoria, al  principio  tempus  regit  actum.  Una
norma siffatta si sottrae, insomma, alle regole dettate,  in  materia
di successione di norme penali nel  tempo,  dall'art.  2  del  codice
penale e dall'art. 25 Cost. (S.U. 30 maggio 2006, n 24561). 
    E',  infatti,  al  momento  del  passaggio   in   giudicato   del
provvedimento da eseguire che si innesta il rapporto  processuale  di
esecuzione e si cristallizza il contesto normativo che  definisce  le
modalita' di esecuzione della pena. E' in tale momento, inoltre,  che
il condannato viene a conoscenza del fatto che la pena a lui inflitta
dovra' essere eseguita con le modalita' previste dalla  legge  allora
vigente. 
    Detto principio deve essere ribadito nel caso  concreto,  sicche'
l'articolo 1, comma 6, della legge 9  gennaio  2019,  n.  3,  che  ha
modificato l'art. 4-bis, comma 1 della legge n. 354/1975,  includendo
tra reati ostativi alla sospensione dell'esecuzione di  cui  all'art.
656, comma 5 del codice penale il reato disciplinato  dall'art.  314,
1° comma, del codice penale, e' applicabile anche ai  fatti  commessi
prima della entrata in vigore della legge n. 3/2019 menzionata. 
    Tuttavia, si osserva che tale impostazione  appare  in  contrasto
con l'interpretazione offerta dalla Corte EDU con riguardo  ad  altri
istituti implicanti modifiche della modalita' esecutiva  della  pena,
rapportabili al caso concreto, posto che la natura processuale  della
novella  determina,  inevitabilmente,  in  assenza   di   una   norma
transitoria che  ne  disponga  la  vigenza  per  il  futuro,  la  sua
applicabilita', con conseguenti effetti sfavorevoli  sul  condannato.
Norma transitoria prevista, viceversa, nel caso dell'introduzione dei
reati di cui  agli  articoli  600,  601  e  602  del  codice  penale,
nell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario,  con  l'obiettivo  di
limitare l'applicazione della  modifica  legislativa  ai  soli  reati
commessi successivamente all'entrata in vigore della legge  (art.  4,
legge 23 dicembre 2002, n. 279). 
    In tal senso si e' espressa la Corte di Cassazione, sesta sezione
penale, con sentenza del 14 marzo 2019, n. 12541 in cui ha  affermato
che «... l'omessa previsione  di  una  disciplina  transitoria  circa
l'applicabilita' della disposizione (come novellata) possa  suscitare
fondati  dubbi  di  incostituzionalita'  in  relazione  ai  riverberi
processuali  sull'ordine  di   esecuzione,   in   quanto   non   piu'
suscettibile di sospensione in forza della previsione  dell'art.  656
codice di procedura penale, comma 9.  Va  difatti  considerato  come,
secondo il disposto dell'art. 656, comma 9, lett. a), la  sospensione
dell'ordine di esecuzione della sentenza  di  condanna  ad  una  pena
detentiva non superiore a quattro anni (giusta anche la  declaratoria
d'incostituzionalita' con sentenza della Corte costituzionale 2 marzo
2018, n. 41) per il termine di trenta giorni al fine di consentire al
condannato in stato di liberta' di avanzare istanza di concessione di
una delle misure alternative previste dalla legge n. 354 del  1975  -
sospensione prevista dal comma 5 dello stesso articolo  -  non  possa
essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui  al
citato art. 4-bis. Orbene, avuto riguardo al "diritto vivente", quale
si  connota  alla  luce  del  diritto  positivo   e   della   lettura
giurisprudenziale fino ad ora consolidata a seguito  della  decisione
delle  Sezioni  Unite   del   2006,   le   disposizioni   concernenti
l'esecuzione delle  pene  detentive  e  le  misure  alternative  alla
detenzione, non riguardando l'accertamento del reato e  l'irrogazione
della pena, ma soltanto le modalita'  esecutive  della  stessa,  sono
considerate norme penali processuali e non sostanziali  e,  pertanto,
ritenute  soggette  -  in  assenza  di   una   specifica   disciplina
transitoria - al principio tempus  regit  actum  e  non  alle  regole
dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art.
2 del codice penale e dall'art. 25  Cost.  (Sez.  U.,  n.  24561  del
30/05/2006, P.M. in proc. A.,  Rv.  233976;  Sez.  1,  n.  46649  del
11/11/2009, Nazar, Rv. 245511;  Sez.  1,  n.  11580  del  05/02/2013,
Schirato, Rv. 255310). In applicazione di tale  interpretazione,  con
riferimento  ai  reati  ascritti  al  ricorrente,  non  sarebbe  piu'
possibile  disporre  la  sospensione  dell'esecuzione  ai  sensi  del
combinato disposto dell'art. 656 codice di procedura penale, comma 9,
in base all'art. 4-bis ord. pen. (come novellato nel gennaio 2019). 
    D'altra parte, non  e'  revocabile  in  dubbio  che,  nella  piu'
recente giurisprudenza della Corte Europea per i  Diritti  dell'Uomo,
ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali,  i  concetti
di illecito  penale  e  di  pena  abbiano  assunto  una  connotazione
"antiformalista"    e    "sostanzialista",    privilegiandosi    alla
qualificazione   formale   data   dall'ordinamento    (all'etichetta"
assegnata), la valutazione in  ordine  al  tipo,  alla  durata,  agli
effetti nonche' alle modalita' di esecuzione della sanzione  o  della
misura imposta. 
    Significativa in tale senso e' la pronuncia resa nel caso Del Rio
Prada contro Spagna (del 21 ottobre 2013), la' dove la Grande  Camera
della Corte EDU, nel  ravvisare  una  violazione  dell'art.  7  della
Convenzione,   ha   riconosciuto   rilevanza   anche   al   mutamento
giurisprudenziale  in  tema  di   un   istituto   assimilabile   alla
liberazione  anticipata  prevista  dal  nostro  ordinamento   poiche'
suscettibile di comportare effetti peggiorativi, giungendo dunque  ad
affermare che, ai fini del rispetto del "principio  dell'affidamento"
del consociato  circa  la  "prevedibilita'  della  sanzione  penale",
occorre avere riguardo non solo alla pena irrogata, ma anche alla sua
esecuzione (sebbene -  in  quel  caso  -  l'istituto  avesse  diretto
riverbero sulla durata della pena da scontare). 
    Alla luce di tale approdo della giurisprudenza di Strasburgo, non
parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo
la quale l'avere il legislatore cambiato  in  itinere  le  "carte  in
tavola" senza prevedere alcuna norma transitoria presenti  tratti  di
dubbia  conformita'  con  l'art.  7  Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  e,
quindi, con l'art. 117 Cost., la' dove si traduce,  per  il  F.,  nel
passaggio - "a sorpresa" e dunque non prevedibile - da  una  sanzione
patteggiata "senza assaggio di pena" ad una sanzione  con  necessaria
incarcerazione,  giusta  il  gia'  rilevato  operare  del   combinato
disposto dell'art. 656 codice di procedura penale, comma 9, lett. a),
e art. 4-bis ord. pen. 
    D'altronde,  in  precedenza,  il   legislatore   aveva   adottato
disposizioni transitorie finalizzate  a  temperare  il  principio  di
immediata applicazione delle  modifiche  all'art.  4-bis  ord.  pen.,
quali quelle contenute nel decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, art.
4, e nella legge 23 dicembre 2002, n. 279,  art.  4,  comma  1,  (che
inseriva i reati di cui agli articoli  600,  601  e  602  del  codice
penale nell'art. 4-bis cit.), limitandone  l'applicabilita'  ai  soli
reati commessi successivamente all'entrata in vigore della legge». 
    L'assunto della Corte di Cassazione e' ampiamente condivisibile e
riguarda, come  nel  caso  concreto,  la  disciplina  applicabile  al
momento della esecuzione della pena; sulla base del predetto  assunto
appare fonte di ingiustificata disparita' di trattamento, ex  art.  3
Cost., la novella del 2019, laddove non distingue tra  colui  che  ha
commesso il reato quando era ancora possibile ottenere la sospensione
dell'esecuzione della pena se inferiore ai quattro anni, e colui  che
ha commesso il reato dopo la modifica normativa  che  ha  escluso  la
suddetta sospensione. Ancora, e' ravvisabile un contrasto con  l'art.
117 Cost. (con riferimento all'art. 7 della Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali),
perche' il legislatore ha  modificato  le  norme  che  sovraintendono
all'esecuzione  della   pena   per   alcuni   reati,   omettendo   di
disciplinare,  con  una   norma   transitoria,   i   fatti   commessi
precedentemente   alla   modifica    normativa    avente    carattere
peggiorativo. 
    In definitiva, il consolidato orientamento  giurisprudenziale  in
ordine alla natura processuale della norma in questione,  anche  alla
luce dell'assunto della Corte  di  Cassazione  sopra  riportato,  non
consente  una  lettura  costituzionalmente  orientata  della  stessa,
mentre appare sostenibile  un  profilo  di  dubbia  costituzionalita'
della norma, adombrato anche dalla Suprema Corte, nella parte in  cui
l'art. 6, comma 1, lett. b), della legge 9 gennaio  2019,  n.  3,  ha
introdotto i reati contro la pubblica  amministrazione,  ivi  incluso
l'art. 314, comma 1°, del codice penale,  tra  quelli  ostativi  alla
concessione di alcuni benefici penitenziari ai sensi dell'art.  4-bis
legge 26 luglio 1975, n. 354, per contrasto con gli articoli  3,  25,
comma 2 e 117 Cost., con riferimento  all'art.  7  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, senza prevedere  un  regime  transitorio  per  i  reati
commessi precedentemente alla sua entrata in vigore. 
    La questione ha,  ai  sensi  dell'art.  23,  comma  2,  legge  n.
787/1953 concreta influenza nel caso in esame atteso che, in caso  di
dichiarata  incostituzionalita'  della   norma,   potrebbe   ottenere
l'immediata sospensione dell'ordine di esecuzione.