TRIBUNALE ORDINARIO DI NAPOLI 
           sezione del giudice per le indagini preliminari 
 
Questione di legittimita' costituzionale  (art.  23  della  legge  11
marzo 1953, n. 87). 
    Il giudice dell'esecuzione, dott. Saverio  Vertuccio,  letti  gli
atti del procedimento penale in epigrafe indicato, nei confronti  di:
P.V., nato a ... il ..., difeso di fiducia dall'avv. Carmine Ippolito
del Foro di Napoli,  con  studio  ivi  alla  via  A.  Poerio  n.  32;
attualmente   detenuto    presso    la    Casa    circondariale    di
Napoli-Poggioreale,  in  esecuzione  della   sentenza   del   giudice
dell'udienza preliminare presso il Tribunale  di  Napoli,  emessa  in
data 15 ottobre 2010, confermata dalla sentenza n. 407/2015 emessa in
data 20 gennaio 2015 dalla Corte d'appello  di  Napoli,  sezione  II,
divenuta  irrevocabile  in  data  1°  giugno  2018  a  seguito  della
decisione n. Reg. Gen. 23835/2017 della Corte di cassazione  con  cui
e' stato dichiarato inammissibile il ricorso; 
 
                               Osserva 
 
    Con istanza presentata ai  sensi  dell'art.  666  del  codice  di
procedura penale, depositata in data 11 marzo 2019, il difensore  del
condannato P.V., come sopra generalizzato, chiedeva a questo giudice,
in qualita' di giudice competente per  l'esecuzione,  l'invalidazione
dell'ordine di esecuzione per la carcerazione recante il n. 2953/2018
SIEP (art. 670 del codice di procedura  penale)  emesso  in  data  11
febbraio 2019 dalla Procura della Repubblica presso il  Tribunale  di
Napoli nei confronti del proprio assistito. 
    E'  opportuno  rappresentare  che  P.V.  e'  stato   riconosciuto
colpevole dei reati p. e p. ex articoli 110, 81, comma 2, 112  n.  1,
319, 320, 321 del codice penale, commessi  in  Napoli,  dal  novembre
2007 al febbraio 2008, e condannato ad anni uno di reclusione. 
    Preliminarmente, deve essere affermata la  competenza  di  questo
giudice ex art. 665,  comma  2°,  del  codice  di  procedura  penale,
perche' il provvedimento  divenuto  irrevocabile  per  ultimo  e'  la
sentenza n. 24455/2010 Reg. Sent., resa da questo ufficio in data  15
ottobre 2010, confermata  dalla  sentenza  n.  407/2015  della  Corte
d'appello di Napoli in data 20 gennaio 2015, divenuta irrevocabile in
data 1° giugno 2018. 
    Lo scrivente, pertanto, fissava  l'udienza  camerale  per  il  1°
aprile 2019. 
    Nel corso dell'udienza, l'avv. Carmine Ippolito, unico  presente,
reiterava  l'istanza,  riportandosi  integralmente  ai  motivi   gia'
esposti  per  iscritto,  ribandendo  in  particolare   la   manifesta
fondatezza  dei   motivi   di   illegittimita'   costituzionale   ivi
rappresentati, anche  alla  luce  della  sentenza  della  Cassazione,
sezione penale sesta, n. 12541/2019. 
    Per quanto riguarda il  merito  della  questione,  il  condannato
muove  doglianza  nei  confronti  dell'ordine  di  carcerazione,  sul
presupposto che erroneamente lo stesso non sia stato sospeso ai sensi
dell'art.  656  del  codice  di  procedura  penale,   invocando   una
illegittima  applicazione  retroattiva  della  legge  n.  3/2019   in
violazione dell'art. 2 del codice penale. 
    All'uopo, giova evidenziare  che  detta  riforma,  tra  le  varie
novita' introdotte, ha ampliato il novero delle fattispecie criminose
rientranti nella clausola  di  cui  all'art.  4-bis  della  legge  n.
354/1975, ostativa alla concessione dei benefici indicati dal comma 1
della norma, attraendo nel suo campo di applicazione  numerosi  reati
contro la pubblica amministrazione, tra cui quelli in ordine ai quali
P.V. e' stato riconosciuto colpevole. 
    Orbene, tenuto conto del fatto che la legge n. 3/2019 e'  entrata
in vigore il 31 gennaio 2019,  mentre  l'ordine  di  carcerazione  e'
stato emesso nei confronti del condannato in data 11  febbraio  2019,
nella fattispecie si pone un problema di  successione  nel  tempo  di
leggi, imponendosi un accertamento relativo natura delle norme  sulle
quali ha inciso la riforma e che  devono  essere  applicate  al  caso
concreto. 
    Difatti, dalla natura processuale o sostanziale  della  norma  in
esame, ne discende l'operativita' del principio «tempus regit  actum»
e, quindi, della nuova formulazione - piu'  restrittiva  -  dell'art.
4-bis della legge n. 354/1975, cosi' come modificato dalla  legge  n.
3/2019;  oppure  l'efficacia  del  principio  del  «favor  rei»,  con
conseguente applicazione della disciplina antecedente in  materia  di
accesso alle misure alternative, imponendosi la revoca dell'ordine di
carcerazione non sospeso oggetto dell'odierna richiesta. 
    Tanto premesso, in questa sede e' appena il caso  di  evidenziare
che, in ossequio ad una costante e pacifica giurisprudenza, le  norme
previste dalla legge n. 354/1975  rientrano  nell'alveo  delle  norme
aventi natura processuale, considerato  che  esse  non  attengono  al
profilo sostanziale della  pena,  ma  esclusivamente  alle  modalita'
della sua esecuzione. 
    Tale  conclusione  comporta  necessariamente  l'inapplicabilita',
nella materia de qua, delle disposizioni che regolano la  successione
nel tempo delle leggi penali di cui all'art. 2 del codice  penale  e,
piu' in generale, dell'art. 25 della Costituzione. 
    E' bene ricordare che la giurisprudenza  di  legittimita'  si  e'
piu' volte espressa in tal senso, ribadendo che «le regole dettate in
materia di successione di norme penali nel  tempo  non  si  applicano
alle disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e  le
misure  alternative  alla  detenzione,  giacche'   queste   attengono
all'esecuzione e  non  all'irrogazione  della  pena  e  sono  percio'
sottoposte al principio tempus regit actum»  (ex  multis  Cass.  Pen.
11580/2013). 
    Attesa la doverosa premessa sul  merito  che  si  e'  chiamati  a
decidere, con riferimento ai dubbi di  costituzionalita'  prospettati
dall'istante, si ritiene che sia degna  di  rilievo,  in  quanto  non
affetta da manifesta infondatezza, e vada  pertanto  in  questa  sede
sollevata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art.  6,
comma 1, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3, in particolare
con  riferimento  all'art.  117  della  Costituzione,  integrato  dal
parametro offerto  dall'art.  7  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
nella parte in cui, ampliando il novero dei reati «ostativi» ai sensi
dell'art. 4-bis della legge n. 354/1975, includendovi i reati  contro
la pubblica  amministrazione,  ha  mancato  di  prevedere  un  regime
intertemporale. 
    In proposito si fa rilevare che, dovendo aderire all'orientamento
giurisprudenziale prevalente, come sopra richiamato, circa la  natura
processuale della novella  peggiorativa,  si  determini  un'implicita
retroattivita' della stessa, a fronte della carente previsione di una
norma transitoria che ne imponga la vigenza solo per il  futuro,  con
conseguente applicabilita' immediata della nuova disciplina anche  ai
fatti commessi prima della entrata in vigore della  legge  n.  3  del
2019. 
    Non puo' revocarsi in dubbio  che  tale  impostazione  appare  in
stridente  contrasto  con  l'interpretazione   che   nel   tempo   la
Corte europea dei  diritti  dell'uomo ha  adottato  con  riguardo  ad
istituti implicanti,  come  nel  caso  di  specie,  variazioni  delle
modalita' esecutive della pena. 
    In particolare, si cita la decisione assunta dalla Grande  Camera
della Corte di Strasburgo in data 21 dicembre 2013, nel caso Del  Rio
Prada contro Spagna, con  la  quale  -  ravvisandosi  una  violazione
dell'art.  7,  seconda  parte,  della  Convenzione  europea  per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  ai
sensi del quale «...non puo' essere inflitta una pena piu'  grave  di
quella applicabile al momento in cui il reato e' stato commesso», con
riferimento alla misura della «redencion de penar por  trabajo»  (che
consentiva uno sconto di pena di un giorno ogni due giorni di  lavoro
intramurario) (abrogato con l'introduzione del  nuovo  codice  penale
del 1995 ma mantenuto in via transitoria per  i  soggetti  condannati
sulla  base  del  codice  previgente),   assimilabile   quindi   alla
liberazione anticipata prevista dal nostro ordinamento  -  concludeva
assoggettando  al  principio  di   irretroattivita'   i   trattamenti
esecutivi   sfavorevoli,   abdicando   a    qualsivoglia    approccio
esasperatamente formalistico. 
    A supportare il dato di non manifesta infondatezza della invocata
questione  soccorre  la  recentissima   sentenza   della   Corte   di
cassazione, sesta sezione penale, n. 12541 del 14 marzo 2019. 
    Sul punto la Suprema Corte, pronunciandosi su di un caso simile a
quello che  occupa  lo  scrivente,  vagliando  analoga  questione  di
costituzionalita' sollevata con  riferimento  all'art.  6,  comma  1,
lettera b), della legge n. 3/2019,  la'  dove  ha  inserito  i  reati
contro la pubblica amministrazione tra  quelli  «ostativi»  ai  sensi
dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354,  senza  prevedere
un regime intertemporale, ha sancito che «l'omessa previsione di  una
disciplina  transitoria  circa  l'applicabilita'  della  disposizione
(come novellata) possa suscitare fondati dubbi di incostituzionalita'
in relazione ai riverberi processuali sull'ordine di  esecuzione,  in
quanto non piu' suscettibile di sospensione in forza della previsione
dell'art. 656, comma 9, del codice di procedura penale. 
    Va difatti considerato come, secondo il disposto della lettera a)
del comma 9 dell'art. 656, la sospensione dell'ordine  di  esecuzione
della sentenza di condanna ad una  pena  detentiva  non  superiore  a
quattro anni (giusta anche la declaratoria d'incostituzionalita'  con
sentenza della Corte costituzionale 2  marzo  2018,  n.  41)  per  il
termine di trenta giorni al fine di consentire al condannato in stato
di liberta' di avanzare istanza di concessione di  una  delle  misure
alternative previste dalla  legge  n.  354  del  1975  -  sospensione
prevista dal comma  5  dello  stesso  articolo  -  non  possa  essere
disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui al  citato
art. 4-bis. 
    Orbene, avuto riguardo al "diritto  vivente",  quale  si  connota
alla luce del diritto positivo e della lettura giurisprudenziale fino
ad ora consolidata a seguito della decisione delle sezioni unite  del
2006, le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e
le misure alternative alla detenzione, non riguardando l'accertamento
del reato e  l'irrogazione  della  pena,  ma  soltanto  le  modalita'
esecutive della stessa, sono considerate norme penali  processuali  e
non sostanziali e, pertanto, ritenute soggette - in  assenza  di  una
specifica disciplina transitoria - al principio tempus regit actum  e
non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel
tempo dall'art. 2 del codice penale e dall'art. 25 della Costituzione
(sezione U, n. 24561 del 30  maggio  2006,  P.M.  in  proc.  A.,  Rv.
233976; sezione 1, n. 46649 dell'11 novembre 2009, Nazar, Rv. 245511;
sezione 1, n. 11580 del 5 febbraio 2013, Schirato,  Rv.  255310).  In
applicazione  di  tale  interpretazione,  con  riferimento  al  reati
ascritti al  ricorrente,  non  sarebbe  piu'  possibile  disporre  la
sospensione dell'esecuzione ai sensi del combinato disposto dell'art.
656, comma 9, del codice di procedura penale in base  all'art.  4-bis
dell'ordinamento penitenziario (come novellato nel gennaio 2019). 
    6.2. D'altra parte, non e' revocabile in dubbio che,  nella  piu'
recente giurisprudenza della Corte europea per i  diritti  dell'uomo,
ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali,  i  concetti
di illecito  penale  e  di  pena  abbiano  assunto  una  connotazione
"antiformalista"    e    "sostanzialista",    privilegiandosi    alla
qualificazione   formale   data   dall'ordinamento   (all'"etichetta"
assegnata), la valutazione in  ordine  al  tipo,  alla  durata,  agli
effetti nonche' alle modalita' di esecuzione della sanzione  o  della
misura imposta. 
    Significativa in tale senso e' la pronuncia resa nel caso Del Rio
Prada contro Spagna (del 21 ottobre 2013), la' dove la Grande  Camera
della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,  nel  ravvisare   una
violazione dell'art. 7 della Convenzione, ha  riconosciuto  rilevanza
anche  al  mutamento  giurisprudenziale  in  tema  di   un   istituto
riportabile  alla  liberazione   anticipata   prevista   dal   nostro
ordinamento   in   quanto   suscettibile   di   comportare    effetti
peggiorativi, giungendo dunque ad affermare che, ai fini del rispetto
del   "principio   dell'affidamento"   del   consociato   circa    la
"prevedibilita' della sanzione penale", occorre  avere  riguardo  non
solo alla pena irrogata, ma anche alla sua esecuzione (sebbene  -  in
quel caso - l'istituto avesse diretto riverbero  sulla  durata  della
pena da scontare). 
    6.3.  Alla  luce  di  tale  approdo   della   giurisprudenza   di
Strasburgo, non parrebbe manifestamente infondata  la  prospettazione
difensiva secondo la quale l'avere legislatore cambiato in itinere le
"carte in tavola" senza prevedere alcuna norma  transitoria  presenti
tratti di dubbia conformita' con l'art. 7 della  Convenzione  europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali e, quindi, con l'art. 117 della Costituzione,  la'  dove
si traduce, per il Ferraresi, nel passaggio - "a sorpresa"  e  dunque
non prevedibile - da una  sanzione  patteggiata  "senza  assaggio  di
pena" ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta  il  gia'
rilevato operare del combinato disposto degli articoli 656, comma  9,
lettera a), del codice di procedura penale, e 4-bis  dell'ordinamento
penitenziario. 
    D'altronde,  in  precedenza,  il   legislatore   aveva   adottato
disposizioni transitorie finalizzate  a  temperare  il  principio  di
immediata    applicazione    delle    modifiche    all'art.     4-bis
dell'ordinamento penitenziario, quali quelle  contenute  nell'art.  4
del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, e  nell'art.  4,  comma  1,
della legge 23 dicembre 2002, n. 279 (che inseriva  i  reati  di  cui
agli articoli 600, 601  e  602  del  codice  penale  nell'art.  4-bis
citato),  limitandone  l'applicabilita'  ai   soli   reati   commessi
successivamente all'entrata in vigore della legge». 
    Alla luce di tale recente assunto della Suprema Corte, si ritiene
che la questione sollevata dal  difensore  dell'istante,  nei  limiti
sopra   rappresentati,    suscitando    i    descritti    dubbi    di
costituzionalita' della novella legislativa, vada condivisa. 
    La sopra esposta  questione  di  legittimita'  costituzionale  si
ritiene, altresi', ai sensi dell'art. 23, comma 2°,  della  legge  n.
87/1953, che abbia una concreta influenza sul caso in esame. 
    Ed invero, se la  norma  impugnata  contenesse  una  disposizione
transitoria che - temperando il principio di  immediata  applicazione
delle   modifiche   introdotte   dall'art.   4-bis   dell'ordinamento
penitenziario - ne stabilisse la vigenza solo per  i  reati  commessi
successivamente alla sua  entrata  in  vigore,  imporrebbe  a  questo
giudice un automatico accoglimento del ricorso.