ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  4,  commi
5-quater e 5-sexies, lettera a), del decreto-legge 2 marzo  2012,  n.
16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di
efficientamento e potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),
convertito, con modificazioni, nella legge 26  aprile  2012,  n.  44,
promosso dalla  Commissione  tributaria  provinciale  di  Novara  nel
procedimento vertente tra F.V. e l'Agenzia delle entrate -  Direzione
provinciale di Novara, con ordinanza del 1° dicembre  2015,  iscritta
al n. 29 del registro ordinanze  2016  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.  8,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2016. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  F.V.,  nonche'   l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  6  febbraio  2018  il  Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi l'avvocato Marco Cuniberti  per  F.V.  e  l'avvocato  dello
Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  l'ordinanza  indicata  in   epigrafe   la   Commissione
tributaria provinciale (CTP) di  Novara  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 5-quater  e  5-sexies,
lettera a), del decreto-legge  2  marzo  2012,  n.  16  (Disposizioni
urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di  efficientamento
e potenziamento delle procedure  di  accertamento),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44, in riferimento agli
artt. 3, 9, secondo comma, e 53 della Costituzione. 
    Il giudice a quo riferisce di essere  stato  adito  da  F.V.,  il
quale - dopo essersi vanamente rivolto all'Agenzia  delle  entrate  -
Direzione provinciale di Novara per ottenere il rimborso delle somme,
asseritamente non dovute, versate per l'anno d'imposta 2013 a  titolo
di  imposta  sul  reddito  delle  persone  fisiche   (IRPEF)   e   di
addizionale, tutte relative al reddito derivante dalla  locazione  di
un immobile di interesse storico-artistico di sua proprieta'  ubicato
a Verona - ha  impugnato  il  silenzio  rifiuto  formatosi  su  detta
istanza. In particolare,  il  ricorrente  lamentava  l'illegittimita'
costituzionale delle norme censurate,  che  avrebbero  ricondotto  al
regime impositivo ordinario  anche  gli  immobili  appartenenti  alla
menzionata categoria. 
    Il rimettente - dopo aver dato atto del fatto che la  stessa  CTP
di Novara, su analogo  ricorso  del  medesimo  contribuente  relativo
all'annualita'  2012,  aveva  sollevato  questione  di   legittimita'
costituzionale della stessa normativa  in  riferimento  all'art.  77,
secondo comma, Cost., questione dichiarata non fondata dalla sentenza
n. 145 del 2015 di questa Corte - evidenzia come  i  commi  censurati
modifichino profondamente, e in senso deteriore per il  contribuente,
il precedente regime fiscale dettato per gli  immobili  di  interesse
storico o artistico dall'art. 11, comma 2, della  legge  30  dicembre
1991, n. 413 (Disposizioni  per  ampliare  le  basi  imponibili,  per
razionalizzare, facilitare e potenziare l'attivita' di  accertamento;
disposizioni per la  rivalutazione  obbligatoria  dei  beni  immobili
delle  imprese,  nonche'  per  riformare  il  contenzioso  e  per  la
definizione agevolata dei  rapporti  tributari  pendenti;  delega  al
Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per  reati
tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e  del  conto
fiscale), secondo cui «[i]n ogni  caso,  il  reddito  degli  immobili
riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell'articolo
3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive  modificazioni  e
integrazioni, e' determinato mediante l'applicazione della minore tra
le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della  zona  censuaria
nella quale  e'  collocato  il  fabbricato».  Tale  regime,  abrogato
dall'art. 4, comma 5-quater, del  d.l.  n.  16  del  2012,  e'  stato
sostituito da quello dettato dal successivo comma  5-sexies,  lettera
a), secondo cui, ai fini del calcolo  del  reddito  imponibile  degli
immobili di interesse storico o artistico, il canone di locazione  da
prendere in considerazione  subisce  una  riduzione  forfettaria  del
trentacinque per cento a fronte di quella ordinaria  del  cinque  per
cento. 
    Ad avviso del rimettente, la sostituzione del  precedente  regime
speciale con uno meramente agevolato, dettata dalla sola finalita' di
aumentare  il  gettito  tributario,   eliminerebbe   la   distinzione
sostanziale tra gli immobili  di  interesse  storico  o  artistico  e
quelli che non lo sono, violando  l'art.  9,  secondo  comma,  Cost.,
espressivo del principio di tutela del patrimonio storico e artistico
nazionale. 
    Inoltre, l'agevolazione fiscale  violerebbe  l'art.  3  Cost.  in
quanto, omettendo di prevedere adeguate misure compensative a  fronte
della forte incidenza  dei  costi  di  conservazione  e  dei  vincoli
limitanti  la   libera   disponibilita'   di   tali   beni,   sarebbe
irragionevole e discriminatoria. 
    Infine, la tassazione del sessantacinque per  cento  del  reddito
non troverebbe giustificazione in indici  reddituali  effettivi,  con
conseguente violazione del principio di capacita' contributiva di cui
all'art. 53 Cost. 
    2.- Con atto depositato  il  15  marzo  2016  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  sia  dichiarata
manifestamente infondata. 
    Ad   avviso   dell'intervenuto,   le   disposizioni    censurate,
sostituendo il precedente regime fiscale speciale per gli immobili di
interesse storico o artistico con uno  omogeneo  a  quello  generale,
avrebbero dato luogo a una semplificazione e razionalizzazione  della
tassazione, al contempo tenendo conto, da un lato, della  particolare
natura degli immobili e, dall'altro, delle esigenze di  bilancio,  il
tutto nell'esercizio  della  discrezionalita'  del  legislatore,  ora
maggiormente  ancorata  alla  capacita'  contributiva  rispetto  alla
normativa precedente, che prescindeva dal reddito locativo. 
    3.- Si e' costituito il ricorrente nel giudizio a quo,  chiedendo
che la questione sollevata sia dichiarata  fondata.  Successivamente,
con  memoria  depositata  il  16  gennaio  2018,   il   medesimo   ha
diffusamente argomentato in ordine alla rilevanza e  alla  fondatezza
delle questioni sollevate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Con  l'ordinanza  indicata  in   epigrafe   la   Commissione
tributaria  provinciale  di  Novara   ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 5-quater  e  5-sexies,
lettera a), del decreto-legge  2  marzo  2012,  n.  16  (Disposizioni
urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di  efficientamento
e potenziamento delle procedure  di  accertamento),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44, in riferimento agli
artt. 3, 9, secondo comma, e 53 della Costituzione. 
    Il giudice a quo e' stato adito da un contribuente,  il  quale  -
dopo essersi vanamente rivolto all'Agenzia delle entrate per ottenere
il rimborso delle somme, asseritamente non dovute, versate per l'anno
d'imposta 2013 a titolo di imposta sul reddito delle persone  fisiche
(IRPEF) e di addizionale, tutte relative al reddito  derivante  dalla
locazione di  un  immobile  di  interesse  storico-artistico  di  sua
proprieta' - ha impugnato il  silenzio  rifiuto  formatosi  su  detta
istanza,  lamentando  l'illegittimita'  costituzionale  delle   norme
censurate, che avrebbero ricondotto al  regime  impositivo  ordinario
anche gli immobili appartenenti alla menzionata categoria. 
    Il rimettente evidenzia come la  normativa  denunciata  modifichi
profondamente,  e  in  senso  deteriore  per  il   contribuente,   il
precedente  regime  fiscale  dettato  per  gli   immobili   vincolati
dall'art.  11,  comma  2,  della  legge  30  dicembre  1991,  n.  413
(Disposizioni per ampliare le basi  imponibili,  per  razionalizzare,
facilitare e potenziare l'attivita' di accertamento; disposizioni per
la  rivalutazione  obbligatoria  dei  beni  immobili  delle  imprese,
nonche' per riformare il contenzioso e per la  definizione  agevolata
dei  rapporti  tributari  pendenti;  delega   al   Presidente   della
Repubblica per  la  concessione  di  amnistia  per  reati  tributari;
istituzioni dei centri di assistenza fiscale e  del  conto  fiscale),
secondo cui «[i]n ogni caso, il reddito degli  immobili  riconosciuti
di interesse  storico  o  artistico  [...]  e'  determinato  mediante
l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste  per  le
abitazioni  della  zona  censuaria  nella  quale  e'   collocato   il
fabbricato». Tale regime, abrogato dall'art. 4, comma  5-quater,  del
d.l. n. 16 del 2012,  e'  stato  sostituito  da  quello  dettato  dal
successivo comma 5-sexies, lettera a), del medesimo articolo, secondo
cui, ai fini del calcolo del reddito  imponibile  degli  immobili  di
interesse storico o artistico, il canone di locazione da prendere  in
considerazione subisce una riduzione forfettaria del trentacinque per
cento a fronte di quella ordinaria del cinque per cento. 
    Ad avviso del rimettente, la sostituzione del  precedente  regime
speciale con uno  meramente  agevolato  eliminerebbe  la  distinzione
sostanziale tra gli immobili vincolati e  quelli  che  non  lo  sono,
violando l'art. 9, secondo comma, Cost., espressivo del principio  di
tutela del patrimonio storico e artistico nazionale. 
    Inoltre, l'agevolazione fiscale violerebbe  l'art.  3  Cost.,  in
quanto, omettendo di prevedere adeguate misure compensative a  fronte
della forte incidenza  dei  costi  di  conservazione  e  dei  vincoli
limitanti  la   libera   disponibilita'   di   tali   beni,   sarebbe
irragionevole e discriminatoria. 
    Infine, la tassazione del sessantacinque per  cento  del  reddito
locativo  non  troverebbe  giustificazione   in   indici   reddituali
effettivi, con conseguente  violazione  del  principio  di  capacita'
contributiva di cui all'art. 53 Cost. 
    2.- Prima di affrontare  il  merito  delle  questioni  sollevate,
occorre  rammentare  che,  come  gia'  evidenziato  da  questa  Corte
(sentenza n. 145 del 2015), sino al periodo d'imposta in corso al  31
dicembre  2011,  per  tutti  gli  immobili  di  interesse  storico  o
artistico ai sensi dell'art. 10 del decreto  legislativo  22  gennaio
2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio,  ai  sensi
dell'articolo  10  della  legge  6  luglio  2002,  n.  137)  -  senza
distinzione  di  destinazione  o  di  classificazione   catastale   e
indipendentemente dal loro concreto utilizzo (locati o  meno)  e  con
l'eccezione  di  quelli  che  costituiscono  beni   strumentali   per
l'esercizio  dell'attivita'  d'impresa  o  di  produzione  o  scambio
finalizzati a  tale  attivita'  -  il  regime  d'imposizione  fiscale
risultava completamente scollegato dal valore  locativo  o  fondiario
dell'immobile, in quanto il reddito derivante dal suo possesso veniva
determinato sulla base della minore tra le tariffe d'estimo  previste
per le abitazioni della zona  censuaria  di  appartenenza  (art.  11,
comma 2, del d.lgs. n. 413 del 1991), in  relazione  alla  cosiddetta
rendita figurativa. 
    L'art. 4 del d.l. n. 16 del 2012 -  come  integrato  in  sede  di
conversione -  ha  ridisegnato  il  peculiare  regime  fiscale  degli
immobili vincolati. Tale disposizione, abrogando l'art. 11, comma  2,
del d.lgs. n. 413 del 1991 (art. 4, comma 5-quater), ha eliminato  la
possibilita' di determinare il reddito imponibile secondo il criterio
della rendita  figurativa,  in  cui  era  irrilevante  il  canone  di
locazione, e ha al contempo statuito, con riferimento  agli  immobili
di interesse storico o artistico non posseduti in regime di impresa e
locati (art. 4, comma 5-sexies, lettera a), che il reddito imponibile
ai fini IRPEF  sia  rappresentato  dal  maggiore  fra  il  canone  di
locazione ridotto del trentacinque per cento e la  rendita  catastale
rivalutata del cinque  per  cento  calcolata  applicando  la  tariffa
d'estimo propria  dell'immobile,  ridotta  della  meta'  (secondo  le
indicazioni fornite dall'Agenzia delle entrate nella risoluzione  del
31 dicembre 2012, n. 114/E). 
    Alla luce della ricostruzione normativa che  precede,  si  evince
come le norme censurate abbiano sostituito il regime fiscale speciale
antecedentemente previsto per gli immobili riconosciuti di  interesse
storico o artistico  con  uno  meramente  agevolato,  ridimensionando
tendenzialmente sotto il profilo quantitativo il beneficio accordato. 
    3.- Tanto premesso, la questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 4, commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del  d.l.  n.  16
del 2012, in riferimento all'art. 9, secondo  comma,  Cost.,  non  e'
fondata. 
    La sostituzione del regime fiscale  speciale  con  uno  meramente
agevolato non ha sottratto il trattamento tributario  degli  immobili
di interesse storico-artistico alla peculiare finalita' reclamata dal
rimettente,  continuando  a  giustificarsi  «in  considerazione   del
complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla  proprieta'
di siffatti beni quale  riflesso  della  tutela  costituzionale  loro
garantita dall'art. 9, secondo comma, della  Costituzione»  (sentenze
n. 111 del 2016 e n. 346 del 2003). 
    Alla permanenza della diversita' di trattamento legale, correlata
al pregio storico o artistico  del  bene,  continua  a  corrispondere
quella del regime tributario - proprio come ritenuto da questa  Corte
a proposito del  precedente  criterio  di  tassazione  fondato  sulla
rendita figurativa (sentenza n. 346 del 2003) - seppure in un diverso
rapporto  sistematico  con  la  disciplina  complessiva  del  tributo
interessato, prevedendosi una maggior riduzione del reddito  locativo
da prendere in considerazione rispetto agli altri beni. 
    Risulta cosi' smentito l'assunto del rimettente  secondo  cui  la
normativa  censurata  avrebbe  determinato  l'omologazione  giuridica
degli immobili di interesse storico-artistico a  quelli  che  non  lo
sono, atteso che, in ragione della tutela da accordare  ai  primi  in
virtu' dell'art. 9, secondo comma, Cost., la distinzione tra di  essi
permane integra. 
    4.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,
commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del d.l. n. 16  del  2012,  in
riferimento all'art. 3 Cost., non e' fondata. 
    Anche  a  prescindere   dalla   considerazione   che   tutte   le
agevolazioni fiscali afferenti alla categoria dei beni culturali - il
cui  novero  non  si  esaurisce  in  quella  in  esame  -  rispondono
essenzialmente alla finalita' di compensare obblighi e vincoli a essi
inerenti,  va  rilevato,  con   specifico   riferimento   alla   loro
redditivita', come la riduzione  forfettaria  (del  trentacinque  per
cento a fronte di quella ordinaria del cinque per cento)  del  canone
locativo  ai  fini  della  determinazione   dell'imponibile   risulti
ulteriormente incrementabile del trenta per cento, ai sensi dell'art.
8, comma 1, della legge 9 dicembre 1998,  n.  431  (Disciplina  delle
locazioni e del rilascio degli immobili adibiti  ad  uso  abitativo).
Tale possibilita' dipende dal fatto che, in  virtu'  delle  modifiche
intervenute, le modalita'  di  determinazione  del  reddito  locativo
degli immobili vincolati sono divenute analoghe a quelle previste per
gli altri e soddisfa cosi' l'esigenza di  armonizzazione  evidenziata
da questa Corte in occasione dello scrutinio  del  regime  precedente
(sentenza n. 346 del 2003). 
    Inoltre, ai fini IRPEF, l'art.  15,  comma  1,  lettera  g),  del
decreto del Presidente della Repubblica  22  dicembre  1986,  n.  917
(Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), prevede una
detrazione del  diciannove  per  cento  delle  spese  «sostenute  dai
soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro» dei beni
vincolati, agevolazione cumulabile - seppur in ragione della meta'  -
con quelle previste per gli interventi  di  recupero  del  patrimonio
edilizio (art. 16-bis, comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986). 
    Tali  agevolazioni,  peraltro,  coesistono  con  la   previsione,
contenuta nel d.lgs. n. 42 del 2004, che lo  Stato  possa  concorrere
alle spese di restauro e conservazione dei beni vincolati  fino  alla
meta' dell'importo o, in caso di interventi di particolare rilevanza,
per  l'intero  (art.  35)  e  possa  concedere  contributi  in  conto
interessi su  mutui  o  altre  forme  di  finanziamento  accordati  a
proprietari, possessori o detentori da istituti  di  credito  per  la
realizzazione degli interventi conservativi (art. 37). 
    Alla stregua dei rilievi che precedono, si deve dunque escludere,
anche in virtu' di una valutazione sistematica, che il  nuovo  regime
fiscale non tenga adeguatamente conto di vincoli  e  oneri  correlati
agli immobili di interesse  storico-artistico,  riservando  invece  a
essi un trattamento  significativamente  diverso  rispetto  a  quello
dettato per gli immobili che non appartengono a detta categoria. 
    Il fatto che la nuova disciplina si discosti da quella precedente
- considerata piu' favorevole - e che quest'ultima sia stata ritenuta
costituzionalmente conforme (sentenza n. 346 del 2003)  non  comporta
di per se' che il nuovo regime sia in contrasto con il  principio  di
ragionevolezza. Non  e'  affatto  implausibile  che  le  disposizioni
impugnate - anziche' prescindere completamente dal reddito locativo -
applichino allo stesso una riduzione  forfettariamente  quantificata,
in tal modo armonizzandone la disciplina con quella  delle  ulteriori
agevolazioni. 
    Peraltro, ai  fini  del  positivo  scrutinio  delle  disposizioni
impugnate in  termini  sistematici  e  di  proporzionalita',  non  e'
indifferente che il nuovo regime dettato  per  i  beni  di  interesse
storico-artistico  si  accompagni  alla  quasi   coeva   introduzione
dell'imposta municipale propria (IMU).  Quest'ultima  ha  sostituito,
«per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito  delle  persone
fisiche e le relative addizionali  dovute  in  relazione  ai  redditi
fondiari relativi ai beni non locati» (art. 8, comma 1,  del  decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante «Disposizioni in materia di
federalismo Fiscale Municipale»). Cio'  comporta  che  coerentemente,
per effetto del sopravvenuto assetto  tributario,  i  beni  vincolati
subiscano un'imposizione patrimoniale essenzialmente sulla  base  dei
parametri catastali (ai sensi dell'art. 13, comma 3, lettera  a,  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni  urgenti
per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei  conti  pubblici»,
convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214),
mentre l'imposizione  sul  reddito  da  essi  eventualmente  ritratto
avvenga  in  base  a  parametri   analitici   (il   canone   locativo
forfettariamente  diminuito,  di  regola   superiore   alla   rendita
catastale rivalutata ridotta della meta'). 
    5.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,
commi 5-quater e 5-sexies, lettera a), del d.l. n. 16  del  2012,  in
riferimento all'art. 53 Cost., non e' fondata. 
    Nel giudizio inerente al precedente regime speciale questa  Corte
ha gia' avuto modo di escludere la violazione del  citato  parametro,
in ragione dell'obiettiva difficolta' di ricavare  per  gli  immobili
vincolati il reddito effettivo  da  quello  locativo,  per  la  forte
incidenza dei costi di manutenzione  e  conservazione  di  tali  beni
(sentenza n. 346 del 2003). 
    Tale considerazione vale anche per la  normativa  censurata  che,
senza prescinderne completamente, determina - a fini impositivi - una
riduzione forfettaria di circa un terzo del reddito locativo rispetto
a quella ordinaria prevista per gli altri immobili. 
    6.-  Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono,  si  deve
concludere che l'introduzione  del  regime  tributario  in  questione
rientra nel potere discrezionale del  legislatore  «di  decidere  non
solo in ordine all'an, ma anche in ordine al quantum e ad ogni  altra
modalita' e condizione» afferente alla determinazione di agevolazioni
e benefici fiscali (sentenza n. 108 del 1983). Nell'esercizio di tale
potere egli «non e' obbligato  a  mantenere  il  regime  derogatorio,
qualora [...] siano diversamente valutate le condizioni per le  quali
il detto regime era stato disposto, purche' cio' avvenga  nei  limiti
della non arbitrarieta' e della ragionevolezza  e  nel  rispetto  dei
principi costituzionali in materia»  (ordinanza  n.  174  del  2001),
cosi' come accaduto nella fattispecie in esame.