ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  55,  comma
2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle
disposizioni in materia  di  intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n.  52),  promosso
dal Tribunale amministrativo regionale  del  Lazio  nel  procedimento
vertente tra E. B. e la Commissione nazionale per le  societa'  e  la
borsa (CONSOB), con ordinanza del 29 gennaio 2018, iscritta al n.  56
del registro ordinanze 2018 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti gli atti di costituzione  di  E.  B.  e  della  Commissione
nazionale per le societa' e la  borsa  (CONSOB),  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica del  20  novembre  2018  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini e Ulisse Corea per E.
B., Paolo Palmisano per la Commissione nazionale per le societa' e la
borsa, e l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ordinanza   del   29   gennaio   2018,   il   Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio  ha  sollevato   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  55,  comma  2,  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico  delle  disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8
e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), in riferimento agli artt. 3
e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e  reso
esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98. 
    1.2.- Il rimettente ha premesso di essere investito  del  ricorso
presentato da E. B. per l'annullamento della delibera con la quale la
CONSOB l'ha sospesa per  un  anno  dall'esercizio  dell'attivita'  di
consulente finanziario, ai sensi dell'art.  55,  comma  2,  del  t.u.
finanza. 
    All'epoca dei fatti, tale disposizione prevedeva che «[l]a CONSOB
puo' disporre in via cautelare, per un periodo massimo di un anno, la
sospensione  dall'esercizio  dell'attivita'  qualora  il   consulente
finanziario abilitato all'offerta fuori sede  sia  sottoposto  a  una
delle misure cautelari personali del libro IV, titolo I, capo II, del
codice di procedura penale o assuma la qualita' di imputato ai  sensi
dell'articolo 60 dello stesso codice in relazione ai seguenti  reati:
a) delitti previsti nel titolo XI del libro V  del  codice  civile  e
nella   legge   fallimentare;   b)   delitti   contro   la   pubblica
amministrazione, contro  la  fede  pubblica,  contro  il  patrimonio,
contro l'ordine pubblico, contro l'economia pubblica, ovvero  delitti
in materia tributaria; c) reati previsti dal  titolo  VIII  del  T.U.
bancario; d) reati previsti dal presente decreto». 
    L'ordinanza  riferisce  che  la  ricorrente  e'  imputata  in  un
procedimento penale per il reato di cui all'art. 166,  comma  1,  del
t.u. finanza, per avere abusivamente  promosso  strumenti  finanziari
per conto e nell'interesse di un  gruppo  criminale.  Nell'ambito  di
tale  procedimento  il  giudice  per  le  indagini  preliminari   del
Tribunale   ordinario   di   Firenze   ha   disposto   l'interdizione
dall'esercizio dell'attivita' di promozione finanziaria per la durata
di un mese, con ordinanza cautelare del 27 marzo 2015. 
    Peraltro, in data 9 marzo 2016 e in relazione agli  stessi  fatti
oggetto del procedimento penale, la CONSOB ha  altresi'  adottato  un
provvedimento sanzionatorio che  ha  disposto  la  sospensione  della
ricorrente dall'attivita' di promotore finanziario per un periodo  di
quattro mesi, in applicazione dell'art. 196 del t.u. finanza, recante
la disciplina delle sanzioni applicabili ai consulenti finanziari che
violano le norme del medesimo t.u. finanza o le disposizioni generali
o particolari emanate in forza di esso. 
    In seguito alla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal  GIP
del Tribunale di Firenze nell'ambito del  procedimento  penale  sopra
richiamato,  in  data  12  aprile  2017  la  CONSOB  ha  disposto  la
sospensione cautelare della ricorrente dall'esercizio dell'attivita',
per un periodo  di  un  anno,  in  applicazione  dei  poteri  a  essa
conferiti dal censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza. 
    L'ordinanza riferisce che la ricorrente ritiene che il potere  di
sospensione cautelare, previsto dal citato art. 55, comma 2, del t.u.
finanza, debba ritenersi esaurito al momento del suo  esercizio,  per
avere la CONSOB gia' irrogato la sanzione della sospensione ai  sensi
dell'art. 196 del t.u. finanza  per  i  medesimi  fatti;  sicche'  la
successiva ordinanza di sospensione emessa  ai  sensi  dell'art.  55,
comma 2, del t.u. finanza sarebbe viziata di illegittimita'. 
    In  subordine,  la  stessa  ricorrente   solleva   questioni   di
illegittimita' costituzionale della menzionata disposizione (art. 55,
comma 2, del t.u. finanza), in quanto la  misura  cautelare  da  esso
prevista, letta congiuntamente con  quella  dell'art.  196  del  t.u.
finanza, sarebbe del tutto illogica e sproporzionata e, quindi,  tale
da contrastare con i principi di ragionevolezza e di proporzionalita'
di cui all'art. 3 Cost. Sarebbe altresi' violato il divieto di bis in
idem stabilito dall'art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7, come precisato
dalla giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,
nonche' «l'identico principio  affermato  dall'art.  50  della  Carta
Europea dei Diritti dell'Uomo»: in proposito  la  ricorrente  afferma
che, letta alla luce della giurisprudenza europea di  Strasburgo,  la
«sospensione di un anno irrogata con il provvedimento impugnato [...]
concreterebbe una nuova e  ulteriore  sanzione  afflittiva  e  quindi
"punitiva", a prescindere dalla sua qualificazione formale». 
    1.3.- Il TAR riferisce che, secondo la difesa  della  CONSOB,  le
misure di cui al  censurato  art.  55,  comma  2,  del  t.u.  finanza
sarebbero prive di carattere sanzionatorio, trattandosi  di  atti  di
«amministrazione attiva  a  contenuto  "cautelativo"»;  nondimeno  lo
stesso  TAR  ritiene  non  praticabile  una   interpretazione   della
disposizione censurata  «conforme  alla  Costituzione  e  al  diritto
eurounitario», essendo la medesima impedita  dalla  lettera  e  dalla
ratio della disposizione come ricostruita  dalla  giurisprudenza.  In
particolare il giudice a quo ritiene che il potere cautelare  di  cui
al citato art. 55, comma 2, del t.u. finanza non sia  assimilabile  a
quello sanzionatorio di cui all'art. 196 del t.u. finanza, posto  che
il primo e' finalizzato a evitare che lo strepitus fori derivante dal
coinvolgimento  del  promotore  in   gravi   vicende   penali   possa
compromettere la fiducia degli investitori  nella  correttezza  degli
operatori del mercato finanziario (sono citate Corte  di  cassazione,
sezioni unite, ordinanza 12 febbraio 2014, n.  3202  e  Consiglio  di
Stato, sezione sesta,  sentenza  10  settembre  2015,  n.  4226);  il
secondo, invece, esprime un potere  sanzionatorio  riconosciuto  alla
CONSOB in relazione a violazioni accertate e considerate  nella  loro
obiettiva gravita'. 
    1.4.- Il rimettente ritiene  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale siano rilevanti, in quanto nel  giudizio  a  quo  deve
farsi applicazione del menzionato art. 55, comma 2, del t.u.  finanza
e  l'eventuale  esito   positivo   del   giudizio   di   legittimita'
costituzionale determinerebbe  l'annullamento  della  misura  fondata
sulla disposizione censurata. 
    1.5.- Le  questioni  sono  inoltre  ritenute  non  manifestamente
infondate in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto la norma oggetto
di  censura  determinerebbe,  in  primo  luogo,  una   «irragionevole
disparita' di  trattamento»,  essendo  parificate  le  situazioni  di
coloro che subiscono solo la sospensione di cui all'art. 55, comma 2,
del  t.u.  finanza  e  quella  di  coloro  che  subiscono  anche   la
sospensione in applicazione dell'art. 196 del t.u. finanza, posto che
non si prevede che, nel disporre la  misura  cautelare  ex  art.  55,
comma  2,   si   tenga   in   considerazione   l'eventuale   sanzione
amministrativa gia' irrogata in applicazione dell'art. 196  del  t.u.
finanza. 
    1.6.- Il TAR  rimettente  ritiene  inoltre  che  sia  violato  il
divieto di bis in idem di cui all'art. 4 del Prot. addiz. CEDU  n.  7
(citato come «analogo» a quello previsto dall'art. 50 della Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata  a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007),  in
ragione del fatto che la sospensione di  un  anno,  irrogata  con  il
provvedimento impugnato nel giudizio principale, «concreta in  ultima
analisi  una  nuova  e  ulteriore  sanzione   afflittiva   e   quindi
"punitiva", a prescindere dalla relativa qualificazione formale» alla
luce dei criteri stabiliti dalla sentenza della Corte EDU,  8  giugno
1976,  Engel  e  altri  contro  Paesi  Bassi,  e   richiamati   dalla
giurisprudenza successiva (viene citata in  particolare  la  sentenza
della Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia).
Ne' la violazione del divieto di bis in idem  potrebbe  escludersi  a
seguito dei principi indicati nella sentenza della Corte EDU,  Grande
Camera, 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia, dato che mancherebbe
anche qualsiasi «connessione sostanziale e temporale sufficientemente
stretta» che consentirebbe ai due procedimenti di essere  considerati
«parti di un'unica reazione sanzionatoria». Da cio' deriverebbe anche
la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. per il tramite  della
norma interposta di cui all'art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7. 
    1.7.-  In  conclusione,  il   giudice   rimettente   chiede,   in
principalita',  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale
«integrale» della disposizione denunciata  e,  in  subordine,  «nella
parte in cui non impone alla CONSOB di  tenere  conto  dell'eventuale
pregressa  irrogazione  di  provvedimenti   sanzionatori   a   carico
dell'interessato». 
    2.- Con atto depositato il 10 aprile 2018  si  e'  costituita  la
ricorrente E. B. insistendo perche' sia  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale del censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza. 
    In particolare, la ricorrente nel giudizio  a  quo  ribadisce  di
aver  subito  per  gli  stessi  fatti  una  pluralita'  di  sanzioni,
nell'ambito di  procedimenti  tra  loro  distinti  «uno  penale,  uno
amministrativo "definitivo" e uno  amministrativo  "cautelare"»,  che
hanno condotto all'adozione di tre misure gravemente  afflittive  nei
confronti della medesima persona per le medesime condotte. In  questo
contesto, il censurato art. 55, comma 2, -  la  cui  applicazione  ha
determinato   «una   nuova   e   ulteriore    sanzione    afflittiva,
particolarmente  grave  e   pregiudizievole»,   qualificabile   quale
sanzione  di   natura   sostanzialmente   penale   ai   sensi   della
giurisprudenza della Corte europea di  Strasburgo  -  deve  ritenersi
lesivo del principio del ne bis in idem di cui all'art. 4  del  Prot.
addiz. CEDU n. 7 e percio' anche dell'art. 117,  primo  comma,  Cost.
Tale  disposizione,  infatti,  consente  alla  CONSOB   di   irrogare
un'ulteriore sanzione, oltre a quella prevista dall'art. 196 del t.u.
finanza, in assenza di qualunque forma di  coordinamento  tra  i  due
procedimenti,   capace   di    «ingenerare    paradossali    "spirali
sanzionatorie"» (si cita la sentenza  di  questa  Corte,  n.  50  del
1995), come richiesto dalla piu' recente giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo (si richiama la sentenza  della  Grande
Camera, 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia): cio'  comporta  che
la disposizione censurata e' idonea a determinare un'imprevedibile  e
sproporzionata duplicazione (se  non  triplicazione)  della  risposta
punitiva dell'ordinamento rispetto all'idem  factum,  non  rispettosa
del ne bis in idem. 
    La stessa disposizione determinerebbe poi anche una  lesione  dei
principi di uguaglianza, ragionevolezza  e  proporzionalita'  di  cui
all'art. 3 Cost., in quanto - prescindendo da ogni valutazione  circa
la pregressa irrogazione di sanzioni amministrative o altre misure di
natura penale nei riguardi dello stesso soggetto per i medesimi fatti
- comporterebbe un'arbitraria parificazione tra chi,  per  lo  stesso
fatto,   abbia   gia'   subito   una    sospensione    dall'esercizio
dell'attivita' di promotore finanziaria a titolo di sanzione ex  art.
196 del t.u. finanza e chi non sia stato  colpito  in  precedenza  da
alcuna sospensione. 
    Sotto un altro profilo, la misura di cui all'art.  55,  comma  2,
del t.u. finanza sarebbe viziata da irragionevolezza intrinseca,  per
assenza di proporzionalita', in quanto, pur essendo irrogata a titolo
cautelare, determinerebbe effetti definitivi  e  irreversibili  sullo
svolgimento  dell'attivita'  professionale  del  consulente,  con  un
contenuto addirittura piu' afflittivo del provvedimento sanzionatorio
ex art. 196 del t.u. finanza. 
    Le   conclusioni   raggiunte   non   sarebbero   smentite   dalla
giurisprudenza della Corte di cassazione e  del  Consiglio  di  Stato
citata nell'ordinanza di  rimessione,  che  distingue  nettamente  le
funzioni delle due  misure,  sottolineando  che  quella  oggetto  del
giudizio non ha finalita' sanzionatorie, ma risponde a un'esigenza di
tutela  generale  del   mercato;   cio'   che,   secondo   la   parte
interveniente,  non  eliderebbe  il  suo  carattere  afflittivo,  ne'
sanerebbe la sua irragionevolezza,  posto  che  l'interesse  generale
sarebbe realizzato a totale discapito della garanzia della  posizione
del singolo. 
    3.- Con atto depositato il 4 aprile 2018,  si  e'  costituita  la
CONSOB, resistente nel giudizio a quo,  chiedendo  che  le  questioni
sollevate siano dichiarate inammissibili o non fondate. 
    La manifesta infondatezza deriverebbe dalla considerazione che la
misura cautelare di cui all'art. 55, comma 2, del t.u. finanza non ha
natura e finalita' sanzionatorie, bensi' di  vigilanza  attiva,  come
riconosciuto dalla piu' volte citata giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione (in particolare,  sezioni  unite,  ordinanza  12  febbraio
2014, n. 3202) e del Consiglio  di  Stato  (in  particolare,  sezione
sesta, sentenza 10 settembre 2015, n. 4226 e sezione sesta,  sentenza
5 dicembre 2017, n. 5734). La sospensione prevista dalla disposizione
censurata sarebbe percio' volta alla protezione del mercato  e  della
fiducia  del  pubblico  dei  risparmiatori  nella  correttezza  degli
operatori finanziari, non  avrebbe  carattere  «pre-sanzionatorio»  e
sarebbe espressione di una discrezionalita' dell'amministrazione,  la
quale dovrebbe sempre ponderare comparativamente i vari interessi  in
gioco: l'interesse  generale  citato  e  l'interesse  del  consulente
finanziario imputato alla prosecuzione dell'attivita' professionale. 
    Inoltre, l'esigenza di cautela di cui all'art. 55, comma  2,  del
t.u.  finanza  e'  collegata  a  fattispecie  di  reato  che  possono
determinare un particolare allarme sociale, essendo idonei a denotare
un'attitudine, se non  addirittura  una  propensione  del  consulente
finanziario all'inosservanza delle regole di condotta  nei  confronti
della propria clientela, che ne  impone  l'allontanamento  temporaneo
dall'attivita' professionale. 
    La lamentata violazione dell'art. 3 Cost. non sussisterebbe,  non
essendo ravvisabile alcuna identita' di situazione tra il  consulente
finanziario accusato di aver violato le norme primarie  o  secondarie
del  settore  finanziario  -  per  cui  e'  prevista  la  sospensione
dall'attivita' di promozione finanziaria a titolo di sanzione per  il
corrispondente e ulteriore illecito amministrativo ex  art.  196  del
t.u. finanza - e quello che invece e' imputato  di  uno  degli  altri
reati previsti dall'art. 55 del medesimo t.u. finanza. 
    Ne' la sospensione cautelare di cui all'art.  55,  comma  2,  del
t.u. finanza, prevista per il reato, ne' la sospensione sanzionatoria
amministrativa per l'illecito di cui all'art. 196 del  medesimo  t.u.
avrebbero natura sostanzialmente penale secondo  i  criteri  indicati
dalla giurisprudenza di Strasburgo: del resto, le predette misure non
risultano paragonabili per gravita' a quelle previste per  il  market
abuse,  in  relazione  alle  quali  la   Corte   EDU   ha   ravvisato
effettivamente la loro natura penale, come rilevato anche dalla Corte
di cassazione, sezione prima, sentenza  30  giugno  2016,  n.  13433;
sezione prima, sentenza 2 marzo 2016, n.  4114;  e  sezione  seconda,
sentenza 24 febbraio 2016, n. 3656). 
    Da  cio'   deriverebbe,   quindi,   anche   l'impossibilita'   di
configurare alcuna violazione del ne bis in idem. 
    4.- Con atto depositato il 24 aprile  2018,  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  ha  chiesto  di
dichiarare inammissibili  o  manifestamente  infondate  le  questioni
sollevate. 
    In primo luogo, infatti, non sarebbe stata adeguatamente motivata
la rilevanza della questione, giacche' lo stesso  rimettente  non  ha
chiarito se la sospensione sanzionatoria e la  sospensione  cautelare
siano state adottate in base ai medesimi fatti. Infatti,  l'ordinanza
afferma che  i  due  provvedimenti  hanno  avuto  per  presupposto  i
medesimi  fatti  «sia  pure  con  proiezioni  temporali  parzialmente
diverse», sicche'  non  si  comprende  come  potrebbero  ritenersi  i
medesimi. D'altra parte il procedimento  penale  si  baserebbe  sulla
promozione per conto di una  finanziaria  svizzera  non  abilitata  a
operare sul mercato italiano e configurerebbe  esercizio  abusivo  di
promozione finanziaria, mentre l'illecito  amministrativo  contestato
consisterebbe nell'avere agito in violazione del dovere di  esclusiva
in favore dell'istituto di appartenenza della promotrice. 
    In  secondo  luogo,  l'ordinanza  di   rimessione   non   sarebbe
adeguatamente motivata neppure in ordine alla manifesta infondatezza.
L'argomentazione del rimettente sarebbe  contraddittoria,  in  quanto
mentre  da  un  lato  attribuisce  natura  penale  ad   entrambe   le
sospensioni, cautelare e sanzionatoria,  dall'altro  cita  ed  espone
diffusamente la  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione  e  del
Consiglio di Stato che ne evidenzia l'assoluta diversita' di  natura,
cio' che escluderebbe una violazione del  divieto  di  bis  in  idem.
Inoltre, il rimettente non si sarebbe soffermato  ad  argomentare  la
natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa  prevista
dall'art. 196 del t.u. finanza, essendosi limitato a motivare solo la
natura sostanzialmente penale  della  sospensione  cautelare  di  cui
all'art. 55, comma 2, del medesimo t.u. finanza. 
    Ulteriore  profilo  di  inammissibilita'  viene   poi   ravvisato
nell'erronea  individuazione  del   parametro   in   relazione   alla
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.: posto che la  normativa
censurata e' attuativa della  normativa  comunitaria  in  materia  di
cosiddetto  "agente  collegato",  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ritiene che parametro corretto doveva individuarsi nell'art.
50 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea  e  non
nell'art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7. 
    Anche nel merito, le questioni sarebbero infondate, in quanto  la
misura cautelare prevista dalla disposizione denunciata non avrebbe i
connotati di una sanzione penale. L'Avvocatura generale  dello  Stato
richiama  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  (in  particolare  la
sentenza n. 276 del 2016) che avrebbe gia'  chiarito  che  l'istituto
della sospensione cautelare da  una  carica  non  rientrerebbe  nella
nozione convenzionale di pena, non essendo qualificata come tale  dal
legislatore  nazionale,  non  perseguendo  finalita'   punitiva,   ma
cautelare, e non determinando conseguenze gravi, in ragione  del  suo
carattere provvisorio e limitato nel tempo. 
    La difesa prosegue osservando  che  la  sospensione  cautelare  e
quella sanzionatoria amministrativa perseguono  finalita'  diverse  e
che e'  del  tutto  prevedibile  che  l'applicazione  della  sanzione
amministrativa non  inibisca  la  successiva  adozione  della  misura
cautelare. Da cio' si comprende anche la ragione per cui la pregressa
inflizione della sospensione sanzionatoria non abbia alcuna rilevanza
al  fine  di  valutare  la  proporzionalita'   della   durata   della
sospensione cautelare. La diversita' di presupposti su cui si fondano
la sospensione cautelare e quella sanzionatoria non consentirebbe  di
configurare alcuna violazione del principio di uguaglianza, oltre che
di quello di ragionevolezza, ex art. 3 Cost. 
    5.- Con memoria depositata il 29 ottobre 2018, E. B. ha insistito
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale  del  censurato
art. 55, comma 2, del t.u. finanza. 
    In particolare, la ricorrente ritiene non fondate le eccezioni di
inammissibilita' prospettate dall'Avvocatura generale dello Stato, in
quanto  l'ordinanza  risulta  avere  adeguatamente   motivato   sulla
rilevanza e sull'identita' del fatto. 
    Neppure fondata sarebbe l'eccezione di  inammissibilita'  fondata
sull'errata individuazione del  parametro  invocato,  per  essere  la
materia regolata dal diritto dell'Unione europea: invero, i  principi
della Convenzione devono essere rispettati  nell'ordinamento  interno
senza  limiti  di  ambito  di  applicazione,  senza  considerare   la
sostanziale coincidenza  delle  garanzie  previste  dalla  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea in  materia  di  ne  bis  in
idem. 
    La parte ribadisce la natura sostanzialmente penale delle  misure
in discussione, da cui consegue la violazione del divieto di  bis  in
idem come inteso dalla Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  mentre
non sarebbe conferente il richiamo alla sentenza n. 276 del  2016  di
questa Corte. 
    Parimenti   e'   ribadita   la   violazione   dei   principi   di
ragionevolezza  e  di  uguaglianza  ex  art.  3   Cost.,   anche   in
considerazione   dell'effetto    «devastante»    della    sospensione
dall'attivita' sulla posizione del consulente  finanziario  nei  suoi
rapporti con il mandante e con la clientela. 
    6.- Con memoria depositata il  30  ottobre  2018,  la  CONSOB  ha
insistito perche' le questioni di legittimita'  costituzionale  siano
dichiarate inammissibili o infondate. 
    In particolare, la parte segnala che  il  decreto  legislativo  3
agosto 2017, n. 129, recante «Attuazione della  direttiva  2014/65/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014,  relativa
ai mercati degli strumenti finanziari e  che  modifica  la  direttiva
2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, cosi',  come  modificata  dalla
direttiva 2016/1034/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23
giugno  2016,  e  di  adeguamento  della  normativa  nazionale   alle
disposizioni del regolamento (UE) n. 600/2014 del Parlamento  europeo
e del Consiglio, del 15 maggio  2014,  sui  mercati  degli  strumenti
finanziari e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012, cosi' come
modificato dal regolamento (UE) 2016/1033 del  Parlamento  europeo  e
del Consiglio, del 23 giugno 2016», ha disposto (con l'art. 2,  comma
44) l'abrogazione del censurato art. 55, comma 2, e ha previsto  (con
l'art. 10, comma 2) che «[l]e disposizioni del decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58, modificate dal presente decreto,  si  applicano
dal  3  gennaio  2018,  fatto  salvo  quanto  diversamente   previsto
dall'articolo  93  della  direttiva   2014/65/UE,   con   riferimento
dell'articolo 65, paragrafo  2,  della  direttiva  medesima,  le  cui
disposizioni  attuative  si  applicano  dal  3  settembre   2019,   e
dall'articolo 55 del  regolamento  (UE)  n.  600/2014,  e  successive
modificazioni, nonche' dal  comma  3.  [...]  Fermo  restando  quanto
previsto  dalle   disposizioni   dell'Unione   europea   direttamente
applicabili, le disposizioni emanate dalla  Banca  d'Italia  e  dalla
Consob, anche congiuntamente, ai sensi di  disposizioni  del  decreto
legislativo 24 febbraio  1998,  n.  58,  abrogate  o  modificate  dal
presente decreto, continuano a essere applicate  fino  alla  data  di
entrata in vigore dei provvedimenti emanati dalla  Banca  d'Italia  o
dalla Consob nelle corrispondenti materie». 
    Inoltre, la CONSOB evidenzia  l'introduzione  di  analogo  potere
cautelare in capo ad altro soggetto  -  l'Organismo  di  vigilanza  e
tenuta dell'albo unico dei consulenti finanziari  -  nel  nuovo  art.
7-septies  del  t.u.  finanza,  a  seguito  della  novella   disposta
dall'art. 2 del decreto legislativo n. 129 del  2017.  La  resistente
nel giudizio a quo ribadisce,  tuttavia,  la  permanenza  di  un  suo
interesse alla decisione, sia in relazione ai giudizi pendenti presso
i tribunali  amministrativi  riguardanti  il  passato  esercizio  del
potere cautelare ex art. 55, comma 2, del t.u. finanza, sia in  vista
di una precisazione del quadro di principi applicabili al  potere  di
controllo  che  la  medesima  Consob  oggi  esercita   sull'Organismo
titolare del potere cautelare ex art. 7-septies del t.u. finanza. 
    La difesa della resistente ha quindi  ulteriormente  ribadito  la
finalita' cautelare e non sanzionatoria della misura in  esame  e  la
sua  prevedibilita'.  A  conferma  la  CONSOB   richiama   anche   la
collocazione sistematica della disposizione denunciata,  che  non  e'
situata nel Titolo  relativo  alle  sanzioni  amministrative,  ma  in
quello concernente i provvedimenti ingiuntivi: cio' che  conferma  la
riconducibilita' della misura in discussione ai poteri  di  vigilanza
attiva della medesima CONSOB. Esclusa la natura  sanzionatoria  della
misura prevista dall'art. 55, comma 2, sopra  citato  e  ribadita  la
natura non penale della sanzione amministrativa di cui  all'art.  196
del  t.u.  finanza,  ne  consegue  l'impossibilita'  di  invocare  le
garanzie del ne bis in idem, con conseguente conclusione per  la  non
fondatezza delle questioni di legittimita'  costituzionale  sollevate
dal TAR Lazio, tanto in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost.,
quanto con riguardo all'art. 3 Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 55, comma  2,  del
decreto legislativo 24  febbraio  1998,  n.  58  (Testo  unico  delle
disposizioni in materia  di  intermediazione  finanziaria,  ai  sensi
degli articoli 8 e 21  della  legge  6  febbraio  1996,  n.  52),  in
riferimento agli artt. 3 e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 4, del Protocollo addizionale n. 7
alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), adottato a Strasburgo  il  22  novembre
1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98. 
    La  disposizione  censurata  prevedeva  che  «[l]a  CONSOB   puo'
disporre in via cautelare, per un periodo  massimo  di  un  anno,  la
sospensione  dall'esercizio  dell'attivita'  qualora  il   consulente
finanziario abilitato all'offerta fuori sede  sia  sottoposto  a  una
delle misure cautelari personali del libro IV, titolo I, capo II, del
codice di procedura penale o assuma la qualita' di imputato ai  sensi
dell'articolo 60 dello stesso codice in relazione ai seguenti  reati:
a) delitti previsti nel titolo XI del libro V  del  codice  civile  e
nella   legge   fallimentare;   b)   delitti   contro   la   pubblica
amministrazione, contro  la  fede  pubblica,  contro  il  patrimonio,
contro l'ordine pubblico, contro l'economia pubblica, ovvero  delitti
in materia tributaria; c) reati previsti dal  titolo  VIII  del  T.U.
bancario; d) reati previsti dal presente decreto». 
    Il ricorrente lamenta che la misura cautelare  della  sospensione
dall'attivita' professionale  ivi  prevista  possa  essere  cumulata,
senza alcuna forma di coordinamento processuale e sostanziale, con le
sanzioni amministrative indicate dall'art. 196 del t.u. finanza,  che
possono essere inflitte dalla Commissione nazionale per le societa' e
la borsa (CONSOB) nei confronti dei consulenti finanziari che violano
le disposizioni del medesimo testo unico, tra le  quali  sanzioni  si
annovera anche la sospensione dall'attivita' professionale. 
    Il cumulo delle diverse misure, a cui si puo' assommare, come nel
caso posto all'esame del giudice a  quo,  anche  la  sanzione  penale
disposta dall'art. 166 del t.u. finanza  per  i  reati  di  esercizio
abusivo della professione, farebbe emergere una pluralita' di profili
di illegittimita' costituzionale della disposizione denunciata. 
    L'art. 55, comma 2, del t.u. finanza contrasterebbe anzitutto con
l'art. 3 Cost., per violazione dei principi di  ragionevolezza  e  di
proporzionalita' e per  «irragionevole  disparita'  di  trattamento»,
essendo parificate la situazione di  coloro  che  subiscono  solo  la
sospensione di cui alla  norma  censurata  e  quella  di  coloro  che
patiscono anche  la  sospensione  prevista  dall'art.  196  del  t.u.
finanza, in assenza di qualsiasi forma di coordinamento  tra  le  due
misure, applicabili ai medesimi soggetti, per i medesimi fatti. 
    Sarebbe altresi' violato il divieto  di  bis  in  idem  stabilito
dall'art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7, posto che,  letta  alla  luce
della giurisprudenza della Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  la
sospensione  comminata  dall'art.  55,  comma  2,  del  t.u.  finanza
concreterebbe  una  «sanzione  afflittiva  e  quindi  "punitiva",   a
prescindere dalla sua qualificazione formale», cumulabile con  quelle
disposte dall'art. 196 del t.u. finanza, senza  che  sia  ravvisabile
quella «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta»
che consentirebbe ai due procedimenti di essere considerati «parti di
un'unica reazione sanzionatoria», che  escluderebbe  ogni  violazione
del principio del ne bis in  idem,  come  risulta  dal  piu'  recente
orientamento della Corte EDU, (Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B
contro Norvegia). Di qui la violazione  anche  dell'art.  117,  primo
comma, Cost. 
    2.- Occorre anzitutto esaminare le eccezioni di  inammissibilita'
sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    2.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la carente
motivazione sulla rilevanza, in quanto l'ordinanza di rimessione  non
avrebbe chiarito se la sospensione sanzionatoria di cui all'art.  196
del t.u. finanza e la sospensione cautelare di cui all'art. 55, comma
2, del t.u. finanza siano state adottate in riferimento  ai  medesimi
fatti, posto che lo stesso rimettente afferma  che  i  fatti  oggetto
della misura cautelare  e  della  sanzione  amministrativa  avrebbero
«proiezioni temporali parzialmente diverse». 
    L'eccezione e' superata da una lettura complessiva dell'ordinanza
di rimessione, che consente di rilevare che  essa  da'  espressamente
atto  della  sussistenza  dell'idem  factum.   Invero,   il   giudice
rimettente  riferisce  di  essere  investito  di   un   ricorso   per
l'annullamento della delibera con la quale la CONSOB ha  disposto  la
sospensione per un anno dall'esercizio dell'attivita'  di  consulente
finanziario, ai sensi dell'art. 55, comma 2, del t.u.  finanza,  dopo
aver gia' inflitto la sanzione della sospensione dall'esercizio della
professione per un periodo di quattro mesi, in relazione ai  medesimi
fatti, in applicazione dell'art. 196 del t.u.  finanza.  Inoltre,  il
giudice a quo afferma espressamente che la vicenda dalla quale  hanno
preso  origine  i  due  procedimenti  amministrativi  partono   dalla
medesima «base storica costituita da un  procedimento  penale  ancora
non concluso» ex art. 166 del t.u. finanza,  «attinente  a  specifici
comportamenti  posti  in   essere   nella   gestione   dell'attivita'
consulenziale». Non puo', quindi, ravvisarsi la lamentata carenza  di
motivazione sulla rilevanza, capace di risolversi  in  una  causa  di
inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale. 
    2.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  lamenta  altresi'
la contraddittorieta' della motivazione per il fatto che  il  giudice
rimettente, mentre da un lato attribuisce natura "penale" ad entrambe
le misure previste dagli artt. 55, comma 2, e 196 del  t.u.  finanza,
dall'altro   riferisce   diffusamente    gli    orientamenti    della
giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato che
ne evidenziano l'assoluta diversita' di natura: cio' che escluderebbe
una violazione del divieto di bis in idem. Inoltre, il rimettente non
avrebbe adeguatamente argomentato la  natura  sostanzialmente  penale
della  sanzione  amministrativa  prevista  dall'art.  196  del   t.u.
finanza,  essendosi  limitato  a  motivare  solo  su   quella   della
sospensione cautelare di cui all'art. 55, comma 2, del medesimo  t.u.
finanza. 
    Anche tale eccezione non e' meritevole di accoglimento. 
    Infatti, a una lettura complessiva dell'ordinanza di  rimessione,
puo' ritenersi che le argomentazioni volte  a  dimostrare  la  natura
sostanzialmente penale della misura cautelare prevista dall'art.  55,
comma 2, del t.u. finanza siano riferite, pur  implicitamente,  anche
alla misura sanzionatoria amministrativa di cui al  citato  art.  196
del  t.u.  finanza.   In   vero,   l'ordinanza   di   rimessione   e'
inequivocabilmente orientata  a  sostenere  che  entrambe  le  misure
previste  dagli  artt.  55,  comma  2,  e  196   del   t.u.   finanza
costituiscono sanzioni di natura "sostanzialmente penale"  alla  luce
della giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo,  che
viene adeguatamente esaminata anche nei suoi sviluppi piu' recenti. 
    Quanto alle pronunce della Corte di cassazione e del Consiglio di
Stato che escludono che la sospensione prevista  dall'impugnato  art.
55, comma 2, del t.u. finanza persegua finalita' sanzionatorie (Corte
di cassazione, sezioni unite, ordinanza 12 febbraio 2014, n.  3202  e
Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza  10  settembre  2015,  n.
4226), esse sono richiamate dall'ordinanza di rimessione  allo  scopo
di esperire un tentativo di interpretazione «conforme a  Costituzione
e  al  diritto  eurounitario»,   per   poi   escluderne   l'effettiva
praticabilita'. Neppure sotto questo profilo  si  ravvisa  dunque  la
carenza   e   la   contraddittorieta'   di   motivazione    lamentata
dall'Avvocatura  generale   dello   Stato.   Le   cui   osservazioni,
prospettate  in  riferimento  alla  giurisprudenza  della  Corte   di
cassazione e del Consiglio di Stato, rilevano,  semmai,  per  l'esame
del merito della questione sollevata, come si dira' tra breve. 
    2.3.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  lamenta  ancora
l'erronea individuazione del parametro interposto, in relazione  alla
violazione dell'art. 117, primo  comma,  Cost.:  in  particolare,  si
sostiene  che,  trattandosi  di  materia  rientrante  nell'ambito  di
competenza comunitaria, l'eventuale contrasto avrebbe  dovuto  essere
denunciato con  riferimento  all'art.  50  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (da ora: CDFUE), proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 e  non
gia' con riguardo all'art. 4 del Prot. addiz. CEDU n. 7. 
    Non v'e' dubbio che la normativa  che  regola  le  attivita'  dei
consulenti finanziari tragga origine dalla direttiva  2004/39/CE  del
Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile  2004  (relativa  ai
mercati  degli  strumenti  finanziari,  che  modifica  le   direttive
85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e  la  direttiva  2000/12/CE  del
Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  e  che  abroga  la  direttiva
93/22/CEE del Consiglio, cui e' poi succeduta la direttiva 2014/65/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014,  relativa
ai mercati degli strumenti finanziari e  che  modifica  la  direttiva
2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE), in particolare  dall'art.  23,
che prevede la  figura  dell'"agente  collegato".  Meno  chiare  sono
piuttosto  l'ampiezza  dell'armonizzazione  disposta   dalla   citata
direttiva   e   l'individuazione   dei    profili    lasciati    alla
discrezionalita' degli Stati membri in tale ambito. Merita sul  punto
di  essere  segnalato  il  rinvio  pregiudiziale  disposto  ai  sensi
dell'art. 267 del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea
(TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di  Lisbona  del  13
dicembre 2007, ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130  dal  TAR
Lazio, (ordinanza 10 gennaio 2018, n. 230), che rivolge alla Corte di
giustizia  dell'Unione  europea  un   duplice   quesito:   il   primo
riguardante la portata e i limiti della  disciplina  contenuta  nella
direttiva 2004/39/CE in  materia  di  agenti  collegati;  il  secondo
riguardante la compatibilita' dell'art. 55, comma 2, del t.u. finanza
con la citata direttiva 2004/39/CE. Quale che sia il rapporto tra  la
disposizione denunciata e il diritto dell'Unione europea,  sul  quale
si pronuncera' la Corte di Giustizia UE - questione che resta esterna
al presente giudizio e percio' impregiudicata dal suo esito  -  resta
fermo,  che,  in  ossequio  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  il
denunciato art. 55, comma 2, del t.u. finanza, al pari di ogni  altra
norma dell'ordinamento giuridico nazionale, deve rispettare i diritti
e  i  principi   garantiti   dalla   CEDU   come   sviluppati   dalla
giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo: diritti e  principi
che non soffrono limitazioni per ambiti di competenza. D'altra  parte
e' altresi' indiscusso che sul  rispetto  di  detti  principi  questa
Corte sia chiamata a giudicare (sin dalle sentenze n. 348  e  n.  349
del 2007), trattandosi di questioni che  configurano  una  potenziale
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    Anche questa eccezione di inammissibilita' e', dunque, destituita
di fondamento. 
    3.- Occorre  ancora  preliminarmente  osservare  che  il  decreto
legislativo  3  agosto  2017,  n.  129,  recante  «Attuazione   della
direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  15
maggio 2014, relativa ai mercati degli  strumenti  finanziari  e  che
modifica la direttiva 2002/92/CE e la  direttiva  2011/61/UE,  cosi',
come modificata dalla direttiva 2016/1034/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 23 giugno 2016, e di adeguamento  della  normativa
nazionale alle disposizioni del  regolamento  (UE)  n.  600/2014  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014,  sui  mercati
degli strumenti finanziari e che  modifica  il  regolamento  (UE)  n.
648/2012, cosi' come modificato dal regolamento  (UE)  2016/1033  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 giugno 2016», all'art.  2,
comma 44, ha disposto l'abrogazione del censurato art. 55,  comma  2,
del t.u. finanza. 
    L'ordinanza di rimessione non menziona tale  modifica  normativa.
Tuttavia,   tale   omissione   non   determina   alcun    vizio    di
inammissibilita'. 
    Deve escludersi,  infatti,  che  lo  ius  superveniens  determini
effetti   sulla   rilevanza   della   questione    di    legittimita'
costituzionale posta all'esame della Corte,  atteso  che  l'art.  10,
comma 2, del  sopravvenuto  d.lgs.  n.  129  del  2017,  quale  norma
transitoria,  ha  previsto  che  le  norme  abrogate   o   modificate
continuano ad applicarsi fino all'entrata in vigore  di  disposizioni
che dovranno essere adottate, secondo le rispettive competenze, dalla
Banca d'Italia e dalla CONSOB. Il che, nella specie, e' avvenuto solo
il 15 febbraio 2018, con l'approvazione da  parte  della  CONSOB  del
Regolamento intermediari, adottato con delibera n. 20307, che, giusta
la previsione di cui all'art. 4 di  detta  delibera,  e'  entrata  in
vigore il giorno successivo alla sua  pubblicazione  nel  supplemento
ordinario alla «Gazzetta Ufficiale» della Repubblica italiana  (serie
generale) n. 41 del 19 febbraio 2018. 
    Peraltro occorre osservare che, con  l'art.  7-septies  del  t.u.
finanza  aggiunto  dall'art.  2,  comma  7,  del   medesimo   decreto
legislativo n. 129 del 2017, ha attribuito il potere  di  sospensione
cautelare, gia' previsto dall'abrogato art. 55,  comma  2,  del  t.u.
finanza in capo alla CONSOB,  all'Organismo  di  vigilanza  e  tenuta
dell'albo unico dei consulenti finanziari, a sua volta sottoposto  al
controllo della CONSOB. 
    Le sopravvenute modifiche normative non determinano il venir meno
della rilevanza della questione di legittimita'  costituzionale,  per
un duplice ordine di ragioni: sia perche'  esse  non  avevano  ancora
effetto al momento della pubblicazione dell'ordinanza di  rimessione;
sia perche' il giudice amministrativo e', comunque, tenuto a valutare
la legittimita' dell'atto amministrativo in base alle  norme  vigenti
al momento della sua adozione  (ex  plurimis,  sentenza  n.  245  del
2016). Pertanto, atteso che la disposizione censurata era  certamente
vigente  al  momento  dell'adozione  della  misura  cautelare,   deve
ritenersi che  il  giudice  rimettente  non  avesse  ulteriori  oneri
motivazionali sull'applicabilita' della  disposizione  oggetto  della
questione in esame nel giudizio a quo. 
    4.- Nel merito la questione non e' fondata. 
    4.1.- Il t.u. finanza prevede  un  complesso  di  misure  che  in
diverso  modo  presidiano  l'attivita'  dei   consulenti   finanziari
abilitati all'offerta fuori sede, di cui agli artt. 30 e seguenti del
t.u. finanza. 
    Si tratta, in primo luogo, dell'art. 166 del  t.u.  finanza,  che
punisce con la reclusione da uno a otto anni e con la multa  da  euro
quattromila a euro diecimila, commesso da  «chiunque,  senza  esservi
abilitato, [...] offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante
tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari, servizi  o
attivita' di investimento». Inoltre, come per tutti i delitti  puniti
con la pena superiore nel massimo a tre anni e in ogni caso quando si
tratta di delitti contro l'economia pubblica (artt. 287 e 290  codice
di procedura penale) sono applicabili, a titolo di  misure  cautelari
penali, le misure interdittive previste dal codice di  rito,  tra  le
quali l'interdizione dall'attivita' per un periodo massimo di  dodici
mesi, ai sensi dell'art. 308, comma 2, cod. proc. pen. 
    In secondo luogo, l'art. 196 del t.u. finanza prevede un illecito
amministrativo per i soggetti iscritti all'albo di cui  all'art.  31,
comma  4  (che  comprende  anche  l'albo  dei  consulenti  finanziari
abilitati all'offerta fuori sede), che violano le norme dello  stesso
t.u. finanza o le disposizioni  generali  o  particolari  emanate  in
forza di esso: le sanzioni previste, che comprendono per i casi  piu'
gravi anche la sospensione da uno a  quattro  mesi  e  la  radiazione
dall'albo, erano applicate dalla CONSOB all'epoca dei  fatti  oggetto
del giudizio a quo, mentre oggi, dopo la sostituzione del comma 2 del
citato art. 196 operata dall'art. 5, comma 31,  d.lgs.,  n.  129  del
2017 sono applicate dall'Organismo di vigilanza e  tenuta  dell'albo,
la cui decisione e' ricorribile davanti alla Corte di  appello  (art.
196, comma 4 bis, aggiunto dall'art. 5, comma 31, lettera c,  del  d.
lgs. n. 129 del 2017). 
    Sotto altro profilo, l'art. 55, comma 2, del  t.u.  finanza  oggi
all'esame della Corte, prevedeva che la CONSOB potesse  disporre,  in
via cautelare, per un periodo massimo di un anno, la sospensione  del
consulente finanziario abilitato all'offerta  fuori  sede  che  fosse
sottoposto a una delle  misure  cautelari  personali  del  libro  IV,
titolo I, capo II, cod. proc. pen. (cioe' le misure  coercitive,  che
non comprendono quelle  interdittive)  o  assumesse  la  qualita'  di
imputato ai sensi dell'art. 60 dello stesso  codice  in  relazione  a
determinati reati, tra i quali quelli previsti dal  t.u.  finanza  e,
quindi, anche il delitto di cui al citato art. 166 del t.u.  finanza.
Come sopra anticipato, l'art. 55, comma 2, del t.u. finanza e'  stato
abrogato dall'art. 2, comma 44, del d.lgs. n. 129 del 2017, mentre il
potere cautelare  da  esso  regolato  e'  stato  trasferito  in  capo
all'Organismo di vigilanza e tenuta dell'albo,  secondo  quanto  oggi
previsto dall'art. 7-septies del t.u. finanza. 
    A  fronte  di  tale  articolato  sistema  normativo,  il  giudice
rimettente lamenta la violazione dell'art. 3 Cost., per irragionevole
disparita'  di  trattamento  e  per  violazione  del   principio   di
proporzionalita' del sistema sanzionatorio, oltre che dell'art.  117,
primo comma, Cost., in riferimento all'art. 4 del Prot.  addiz.  CEDU
n. 7, per violazione del principio del ne bis in idem. 
    4.2.-  Le  censure  si  fondano   su   un   erroneo   presupposto
interpretativo. 
    Il rimettente  attribuisce  impropriamente  natura  sanzionatoria
alle misure adottate dalla  CONSOB  in  forza  del  potere  all'epoca
conferitole dal cennato art. 55, comma 2, del t.u. finanza, a  fronte
di un diritto vivente che induce  a  conclusioni  di  segno  opposto.
L'orientamento concorde delle supreme magistrature civili  (Corte  di
cassazione, sezioni unite, ordinanza 12 febbraio  2014,  n.  3202)  e
amministrative  (Consiglio  di  Stato,  sezione  sesta,  sentenza   5
dicembre 2017, n. 5734; Consiglio di Stato, sezione  sesta,  sentenza
10  settembre  2015,  n.  4226)  e',  infatti,  nel  senso   che   la
disposizione  censurata  conferisce  un  potere  avente   natura   di
vigilanza attiva e non sanzionatoria. 
    Questo  condivisibile  approdo,  costante  e  univoco,   cui   e'
pervenuta la giurisprudenza non ancora la ratio del provvedimento  di
sospensione ex art. 55, comma 2, del  t.u.  finanza  a  una  funzione
servente  o  anticipatoria  rispetto   ad   eventuali   provvedimenti
sanzionatori o al possibile esito di un procedimento penale in cui e'
coinvolto il consulente finanziario. La  sospensione  prevista  dalla
disposizione denunciata si radica piuttosto nell'esigenza di  evitare
il rischio che l'allarme sociale  derivante  dal  coinvolgimento  del
consulente finanziario in gravi vicende penali possa compromettere la
fiducia di risparmiatori e investitori  nel  buon  funzionamento  del
mercato e nella correttezza degli operatori del mercato. Si tratta di
un'espressione della  funzione  di  vigilanza  che,  conformemente  a
quanto previsto dalle direttive UE, ha per obiettivi, tra gli  altri:
a) la salvaguardia della  fiducia  nel  sistema  finanziario;  b)  la
tutela degli investitori; c) la stabilita' e  il  buon  funzionamento
del sistema finanziario (art. 5 del t.u. finanza).  Trattasi  percio'
di una misura di natura cautelare, non sanzionatoria, posta a  tutela
di un interesse pubblico, che presenta aspetti di analogia con la pur
diversa ipotesi della sospensione dalle cariche elettive, che  questa
Corte ha qualificato come «misura sicuramente cautelare»  rispondente
a esigenze proprie della funzione pubblica, non  assimilabile  a  una
sanzione di natura penale (sentenze n. 276 del  2016  e  n.  236  del
2015). 
    Cio'  consente  di  cogliere  agevolmente  che  il  provvedimento
cautelare  in  discussione  esprime  un  potere  discrezionale  della
CONSOB, che implica una ponderazione dei vari interessi in gioco:  da
un lato l'interesse generale a che  un  soggetto  accusato  di  gravi
reati non continui  a  esercitare  un'attivita'  delicata,  quale  e'
quella di promozione finanziaria;  dall'altro  quello  personale  del
consulente imputato alla prosecuzione  dell'attivita'  professionale.
Nel bilanciamento degli interessi coinvolti,  l'autorita'  procedente
deve  necessariamente  tenere  conto  del  sacrificio  imposto   agli
interessi individuali del professionista e assicurarsi che  esso  sia
necessario e proporzionato alle finalita' pubbliche perseguite. 
    4.3.- Dalle considerazioni che precedono, risulta chiaro che  non
puo' condividersi il presupposto interpretativo dal quale muove tutta
l'argomentazione dell'ordinanza di  rimessione,  che  si  basa  sulla
natura  di  sanzione   sostanzialmente   penale   della   sospensione
dall'esercizio dell'attivita' del promotore finanziario, prevista dal
censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza. 
    L'erroneita' del presupposto interpretativo finisce per infirmare
le conclusioni del giudice remittente circa la violazione del ne  bis
in idem, come interpretato dalla giurisprudenza della  Corte  europea
di Strasburgo, principio che presuppone  un  cumulo  di  procedimenti
sanzionatori di natura sostanzialmente penale: una evenienza che  nel
presente giudizio di legittimita' costituzionale non ricorre. 
    D'altra parte, una volta esclusa la natura di sanzione penale, la
sospensione prevista dal censurato art. 55, comma 2, del t.u. finanza
non incorre neppure nei vizi formulati con riguardo all'art. 3  Cost.
L'alterita' di funzione della misura cautelare oggetto  del  presente
giudizio rispetto a quella delle misure sanzionatorie di cui all'art.
196 del t.u. finanza non consente di porre validamente a raffronto la
situazione dei consulenti che hanno  subito  la  sospensione  solo  a
titolo cautelativo e quella di coloro  che  l'hanno  patita  anche  a
titolo sanzionatorio. D'altra parte, la diversita'  di  funzione  dei
vari istituti non consente  neppure  di  giudicare  sproporzionato  o
irragionevole l'eventuale cumulo dei periodi di sospensione  inflitti
al medesimo soggetto. Naturalmente  nelle  valutazioni  discrezionali
che sottendono l'applicazione della misura cautelare di cui  all'art.
55, comma 2, del t.u. finanza, l'autorita' procedente  non  puo'  non
tener conto  degli  effetti  dell'eventuale  sospensione  subita  dal
consulente finanziario a titolo  di  sanzione  amministrativa  e  del
periodo di interdizione gia' disposto dal  giudice  penale  ai  sensi
dell'art. 308, comma 2, cod. proc. pen., per verificare se  residuino
ancora ulteriori esigenze di tutela del mercato da salvaguardare.