ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  della
legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del  Trattato  di
Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea  e  il  Trattato
che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, con  atto
finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona  il  13  dicembre
2007), promossi dal Tribunale ordinario di Siracusa e dalla Corte  di
Cassazione, con ordinanze del 25 maggio 2016, del 1°  agosto  2016  e
del 2  febbraio  2017,  iscritte,  rispettivamente,  al  n.  228  del
registro ordinanze 2016 e ai numeri 2 e 179  del  registro  ordinanze
2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  46,
prima serie speciale, dell'anno 2016, e numeri 6 e  50,  prima  serie
speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 21 novembre 2018  il  Giudice
relatore Franco Modugno. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Siracusa  in  composizione
monocratica, con ordinanza del 25 maggio 2016 (r.o. n. 228 del 2016),
la Corte di cassazione, sezione terza penale, con  ordinanza  del  1°
agosto 2016 (r.o. n. 2 del 2017), nonche' il Tribunale  ordinario  di
Siracusa, quale giudice di appello  cautelare  ex  art.  322-bis  del
codice di procedura penale, con ordinanza del 2 febbraio  2017  (r.o.
n. 179 del 2017), hanno sollevato, in riferimento agli artt.  3,  11,
24, 25, secondo comma, 27, terzo comma, 101,  secondo  comma,  e  111
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione
del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione  europea
e il Trattato che istituisce  la  Comunita'  europea  e  alcuni  atti
connessi, con  atto  finale,  protocolli  e  dichiarazioni,  fatto  a
Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui impone di  applicare
la disposizione dell'art. 325, paragrafi 1  e  2,  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea (TFUE), dalla quale  -  secondo  la
interpretazione fornita dalla Grande sezione della Corte di giustizia
dell'Unione  europea  nella  sentenza  8  settembre  2015,  in  causa
C-105/14, Taricco - discende l'obbligo per il  giudice  nazionale  di
disapplicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo  comma,  del
codice penale in presenza delle circostanze indicate  nella  predetta
sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunita' delle  gravi
frodi in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA), anche se dalla
disapplicazione, e  dal  conseguente  prolungamento  del  termine  di
prescrizione, discendono effetti sfavorevoli; 
    che, secondo i giudici rimettenti, la "regola Taricco" sarebbe in
contrasto con gli artt. 25, secondo comma, 24 e 111 Cost., in  quanto
la sopravvenuta modifica del regime della prescrizione, operando  nei
giudizi in corso, inciderebbe sulla punibilita' dei reati con effetto
retroattivo, «vulnerando la legittima aspettativa dell'imputato,  che
non intenda rinunciare alla prescrizione, ad ottenere  una  pronuncia
di proscioglimento sulla base della legge regolativa del fatto»; 
    che sarebbe violato anche l'art. 25,  secondo  comma,  Cost.,  in
riferimento al  principio  di  tassativita'  e  determinatezza  delle
disposizioni  penali,  perche'  la   Corte   di   giustizia   avrebbe
individuato i presupposti dell'obbligo di disapplicazione delle norme
sull'interruzione   della   prescrizione   in   concetti   vaghi    e
indeterminati, quali "la frode e  le  altre  attivita'  illegali  che
ledono gli interessi finanziari dell'Unione  europea"  e  il  "numero
considerevole di casi di frode grave"; 
    che risulterebbero violati altresi'  gli  artt.  24  e  3  Cost.,
perche' un'applicazione retroattiva (ai fatti  commessi  prima  della
sentenza  Taricco)  del  prolungamento   dei   termini   massimi   di
prescrizione,   da   un   lato,   comprometterebbe    la    posizione
dell'imputato, che, legittimamente e sulla  base  delle  informazioni
sui presupposti della punibilita' vigenti  al  momento  della  scelta
processuale, abbia deciso di non beneficiare  dei  vantaggi  premiali
connessi alla scelta dei riti alternativi, e, sulla  base  dei  nuovi
presupposti,  piu'  sfavorevoli,  non  potrebbe  piu'  esercitare  le
facolta'  difensive  riconosciutegli   nella   competente   scansione
procedimentale;  e,  d'altro  lato,  determinerebbe   disparita'   di
trattamento rispetto a chi,  in  analoga  situazione  processuale,  e
nella consapevolezza dei nuovi presupposti della  punibilita'  legati
al prolungamento dei termini di prescrizione, e' ancora in tempo  per
esercitare le  facolta'  difensive  connesse  alla  scelta  dei  riti
alternativi e ai conseguenti trattamenti sanzionatori premiali; 
    che la disciplina censurata violerebbe anche l'art. 101,  secondo
comma, Cost., sotto il profilo della separazione dei poteri  e  della
sottoposizione   del   giudice   soltanto   alla    legge,    perche'
l'individuazione  dei  presupposti  dell'obbligo  di  disapplicazione
delle norme sull'interruzione  della  prescrizione  secondo  concetti
vaghi e indeterminati avrebbe l'effetto di affidare  al  giudice  una
valutazione di  natura  politico  criminale,  relativa  all'efficacia
general-preventiva della complessiva disciplina penale a tutela degli
interessi finanziari dell'UE, che spetta, invece, al legislatore; 
    che parimente violati risulterebbero gli artt. 27, terzo comma, e
3  Cost.,  quanto  alla  finalita'  rieducativa  della  pena  e  alla
ragionevolezza  nella  determinazione  della   stessa,   perche'   il
prolungamento  dei  termini   di   prescrizione,   e   quindi   della
punibilita', in  ragione  della  tutela  degli  interessi  finanziari
dell'UE, comporta una funzionalizzazione della  pena  non  piu'  alla
rieducazione  del  condannato,  ma  alla  tutela  di  tali  interessi
finanziari, senza il necessario  collegamento  con  la  gravita'  del
reato,  e  con  ingiustificabili  sperequazioni  di  trattamento  nei
confronti di chi commetta analoghi reati  con  esclusiva  lesione  di
interessi finanziari domestici; 
    che vulnerato sarebbe, infine, anche l'art. 11 Cost.,  il  quale,
come rileva la Corte di cassazione, «prevede il  rispetto,  da  parte
dell'Unione  europea,  dei  controlimiti   alle   limitazioni   della
sovranita' degli Stati membri, perche' i  principi  espressi  con  la
richiamata sentenza Taricco travalicano i confini delle  attribuzioni
riconosciute dal Trattato alle istituzioni  dell'Unione,  utilizzando
come "base legale" per la tutela penale  degli  interessi  finanziari
dell'U.E. l'art. 325  TFUE,  che  non  e'  una  norma  penale  e  non
attribuisce una competenza penale diretta all'Unione»; 
    che nei giudizi e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, la quale  ha  chiesto  dichiararsi  inammissibili  o  comunque
infondate le proposte questioni; 
    che,  successivamente,  l'Avvocatura   ha   depositato   memoria,
chiedendo dichiararsi manifestamente  infondate  le  questioni,  alla
luce di quanto puntualizzato da questa Corte nella  sentenza  n.  115
del 2018. 
    Considerato che le ordinanze sollevano questioni analoghe e  che,
pertanto, i relativi giudizi vanno  riuniti  per  essere  decisi  con
unico provvedimento; 
    che le  ordinanze  di  rimessione  sono  tutte  antecedenti  alla
pronuncia della Grande sezione della Corte di  giustizia  dell'Unione
europea del 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, M. A. S. e M. B., resa
a seguito di rinvio pregiudiziale, effettuato  da  questa  Corte  con
ordinanza n. 24 del 2017, per l'interpretazione relativa al  corretto
significato da attribuire all'art. 325 del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea (TFUE) e alla sentenza  Taricco  (Grande  sezione
della Corte di giustizia dell'Unione europea  8  settembre  2015,  in
causa C-105/14); 
    che la richiamata decisione della Grande sezione del  5  dicembre
2017 ha dissolto il dubbio interpretativo, affermando  che  l'obbligo
per il giudice nazionale di  disapplicare  la  normativa  interna  in
materia di prescrizione, sulla base  della  "regola  Taricco",  viene
meno quando cio' comporta una violazione del principio  di  legalita'
dei reati e delle pene,  a  causa  dell'insufficiente  determinatezza
della  legge  applicabile  o  dell'applicazione  retroattiva  di  una
normativa che prevede un regime di punibilita' piu' severo di  quello
vigente al momento della commissione del reato; 
    che di conseguenza  questa  Corte,  chiamata  a  pronunciarsi  su
questioni del tutto analoghe a quelle odierne, con la sentenza n. 115
del 2018  ha  osservato  che,  indipendentemente  dalla  collocazione
temporale dei fatti rispetto alla data in cui e' stata pronunciata la
sentenza Taricco, il giudice comune non puo'  applicare  la  "regola"
ivi enunciata perche' essa  e'  in  contrasto  con  il  principio  di
determinatezza in materia penale, consacrato  dall'art.  25,  secondo
comma, della Costituzione; 
    che, infatti,  tale  principio  assume  «una  duplice  direzione,
perche' non si limita a  garantire,  nei  riguardi  del  giudice,  la
conformita' alla legge  dell'attivita'  giurisdizionale  mediante  la
produzione di regole adeguatamente definite per essere applicate,  ma
assicura  a  chiunque  "una  percezione  sufficientemente  chiara  ed
immediata" dei possibili profili di illiceita' penale  della  propria
condotta (sentenze n. 327 del 2008 e n.  5  del  2004;  nello  stesso
senso, sentenza n. 185 del 1992)» (sentenza n. 115 del 2018); 
    che, inoltre, questa  Corte  ha  soggiunto  che  «quand'anche  la
"regola Taricco" potesse assumere, grazie al progressivo  affinamento
della giurisprudenza europea e nazionale, un contorno  meno  sfocato,
cio' non  varrebbe  a  "colmare  l'eventuale  originaria  carenza  di
precisione del precetto penale" (sentenza n. 327 del 2008)» (sentenza
n. 115 del 2018); 
    che da cio' si e'  dunque  desunta  l'infondatezza  di  tutte  le
questioni  allora  sollevate,  in  quanto,  versandosi  in  tema   di
prescrizione e, dunque, di istituto  che  appartiene  alla  legalita'
penale  sostanziale  «a  prescindere  dagli  ulteriori   profili   di
illegittimita' costituzionale dedotti, la violazione del principio di
determinatezza in materia penale sbarra  la  strada  senza  eccezioni
all'ingresso della "regola Taricco" nel nostro ordinamento»; 
    che, pertanto, le questioni ora proposte devono essere dichiarate
manifestamente infondate. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.