SENTENZA
     nei  giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt. 301
 e 305  del  Codice  di  procedura  civile,  promossi  con  le  seguenti
 ordinanze:
     1) ordinanza emessa il 17 gennaio 1966 dal Tribunale di Catania nel
 procedimento  civile vertente tra Rapisarda Placido e la Societa' Carlo
 Mattone e figli, iscritta al  n.  23  del  Registro  ordinanze  1966  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del 12 marzo
 1966;
     2)  ordinanza  emessa  il  16  febbraio 1966 dalla Corte suprema di
 cassazione - sezione prima civile - nel  procedimento  civile  vertente
 tra  la Societa' Ital. Coop.  Import-Esport Coltd e la Societa' Polskie
 Linje Oceanicze, iscritta al n.  122  del  Registro  ordinanze  1966  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n.   213 del 27
 agosto 1966;
     3) ordinanza emessa il 10 novembre 1966 dal Tribunale di  Roma  nel
 procedimento   civile  vertente  tra  Sabatucci  Fortunato  e  Primucci
 Annibale contro Benedini Romolo, Vincenzo e Vittorio,  iscritta  al  n.
 236  del  Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1967;
     4) ordinanza emessa il 28 novembre 1966 dalla  Corte  d'appello  di
 Bologna  nel  procedimento  civile vertente tra Grutti Carlo e Musolesi
 Lucia, iscritta al n. 64 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella
 Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n.  102 del 22 aprile 1967.
     Visti gli atti di costituzione della Societa' Carlo Mattone e figli
 e di Rapisarda Placido, Sabatucci Fortunato e Benedini Romolo, Vincenzo
 e Vittorio;
     udita  nell'udienza  pubblica  del 7 novembre 1967 la relazione del
 Giudice Michele Fragali;
     uditi gli avvocati Vincenzo Vacirca ed Enrico La  Pergola,  per  la
 Societa' Mattone, e l'avv. Corrado Noulian, per Sabatucci Fortunato.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  -  La Corte e' chiamata a giudicare, in riferimento all'art. 24
 della costituzione, sulla legittimita' costituzionale delle  norme  del
 Codice  di  procedura civile che dispongono l'interruzione del processo
 nel caso di morte o impedimento  del  procuratore  e  l'estinzione  del
 processo  medesimo  ove  esso  non  sia proseguito o riassunto entro il
 termine perentorio di sei mesi dall'interruzione. Il giudizio e'  stato
 promosso  con  ordinanze  17  gennaio 1966 del Tribunale di Catania, 16
 febbraio 1966 della Corte suprema di cassazione, 10 novembre  1966  del
 Tribunale  di Roma, 28 novembre 1966 della Corte di appello di Bologna.
 Dalla prima e dalla terza ordinanza  sono  denunciati  specificatamente
 gli  artt.   301, primo comma, e 305, primo comma, del Codice predetto;
 dalla seconda e dalla quarta vengono denunciati genericamente gli artt.
 301 e 305.
     Il Tribunale di Catania muove dalla giurisprudenza della  Corte  di
 cassazione  per cui la morte del procuratore di una delle parti produce
 senz'altro l'interruzione del processo, indipendentemente da  qualsiasi
 comunicazione  o  notificazione,  sicche'  dal  giorno  della morte del
 procuratore decorre il termine per la riassunzione  o  la  prosecuzione
 del  processo.    Codesto automatismo, se giova alla parte interessata,
 impedendo o invali dando l'attivita' processuale  eventualmente  svolta
 dopo  l'evento interruttivo, puo' tradursi in irreparabile danno per la
 stessa quando la  medesima  non  abbia  avuto  notizia  della  morte  o
 dell'impedimento  del  proprio difensore:   nell'ipotesi che essa abbia
 impugnato un  provvedimento  giurisdizionale,  l'ignoranza  dell'evento
 interruttivo  potrebbe,  decorsi i termini di durata dell'interruzione,
 con la estinzione del processo, provocare il passaggio in giudicato del
 provvedimento e menomare il diritto di difesa della stessa parte a  cui
 favore  e'  disposta  l'interruzione  del  processo. La parte non ha il
 dovere di mantenere frequenti contatti col  difensore,  e,  del  resto,
 circostanze  varie  possono  farli  diradare;  pertanto  diviene  assai
 discutibile la presunzione di conoscenza  dell'evento  interruttivo  su
 cui le norme impugnate si fondano.
     Le   altre   tre  ordinanze,  ritenuto  infondato  l'assunto    che
 l'interruzione del processo decorra dalla data in cui la parte ne  ebbe
 notizia,  osservato  che l'interruzione automatica del processo serve a
 tutelare la parte  a  danno  della  quale  si  e'  verificato  l'evento
 interruttivo  e  che,  in tempi in cui le cause civili si trascinano di
 rinvio in rinvio talora per  anni,  non  sembra  lecito  escludere  che
 l'evento  predetto  rimanga ignoto sia alla controparte che al cliente,
 rilevano che il concetto di difesa in  giudizio,  di  cui  all'art.  24
 della  costituzione,  implica, non soltanto la possibilita' di avere un
 difensore, ma anche il diritto di essere tempestivamente informato,  in
 regolare   contraddittorio,  delle  situazioni  di  fatto  obiettive  o
 subiettive cui la legge ricollega, condiziona o subordina  il  concreto
 esercizio della  difesa stessa.
     L'ordinanza del Tribunale di Catania e' stata notificata alle parti
 il 20 e 21 gennaio 1966, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 28
 successivo. E' stata comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati
 e  del  Senato  della Repubblica in data 21 e 22 gennaio 1966; e' stata
 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 12 marzo  1966
 n. 64.
     L'ordinanza  della  Corte  di  cassazione  e' stata notificata alle
 parti il 30  aprile  ed  il  successivo  2  maggio  1966,  al  pubblico
 ministero  lo  stesso giorno 2 maggio e al Presidente del Consiglio dei
 Ministri il 30 aprile 1966; e' stata comunicata ai Presidenti delle due
 Camere in data 2 maggio 1966  e  pubblicata  sulla  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica del 27 agosto 1966 n. 213.
     L'ordinanza del Tribunale di Roma e' stata notificata alle parti il
 3  e  6  dicembre  1966  ed  in  quest'ultima  data  anche  al pubblico
 ministero; e' stata notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri
 il 3 dicembre 1966 e comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  il
 successivo  7  dicembre;  e'  stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica del 28 gennaio 1967, n. 25.
     L'ordinanza della Corte d'appello di Bologna  e'  stata  notificata
 alle  parti  e al pubblico ministero il 20 febbraio 1967, al Presidente
 del Consiglio dei Ministri il giorno 23 successivo; e' stata comunicata
 ai Presidenti delle due Camere il 18 febbraio 1967 e  pubblicata  sulla
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 22 aprile 1967, n. 102.
     Nella  causa  promossa dal Tribunale di Catania e da quello di Roma
 sono comparse le parti private, rispettivamente,  Placido  Rapisarda  e
 Carlo  Mattone e figli, Fortunato Sabatucci e Benedini Romolo, Vincenzo
 e Vittorio; nessuna parte privata e' comparsa per le altre  cause.  Non
 e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.
     2.  -  Placido  Rapisarda  esclude che la norma dell'art. 301 possa
 ricondursi ad una presunzione di conoscenza  degli  eventi  considerati
 interruttivi,  e comunque ad una presunzione iuris et de iure e ritiene
 invece che essa ha riguardo all'esigenza di tutela della parte a carico
 della quale si e'  determinato  l'evento,  e  quindi  e'  rigorosamente
 informata  ai  principi  che  regolano  la  difesa. E' l'art.   305 che
 contrasta con tali principi perche' accomuna i  due  ordini  di  eventi
 previsti dagli artt. 300 e 301, e cioe' quelli che riguardano la parte,
 i quali producono l'interruzione a decorrere dalla comunicazione che se
 ne  da',  e  quelli  che  riguardano il procuratore, per i quali non e'
 richiesta  alcuna  comunicazione;  cosicche',  mentre  l'art.  300   ha
 concesso  alla  parte  il  diritto di conoscere l'evento  interruttivo,
 l'art.  301  non  glielo   ha   consentito,   e   pertanto   l'istituto
 dell'interruzione,   ideato   per  il  rispetto     del  principio  del
 contraddittorio, e' suscettibile di subire   uno  sviluppo  decisamente
 contrario  a  quello  scopo.  La    Corte  costituzionale ha sancito la
 necessita' di una  difesa effettiva e adeguata, e deve ritenersi che la
 difesa    non  e'  garantita  tutte  le  volte   che   la   parte   sia
 nell'impossibilita' di condurre il processo alla decisione del giudice,
 non   solo  per  assoluta  ignoranza,  ma  anche  solo  per  imperfetta
 conoscenza  delle    circostanze  che  nel  processo  giuocano  a   suo
 svantaggio.    La  parte  che  non  ha notizia degli eventi considerati
 nell'art. 301 non ha modo e ragione  per  impedire  che  si  compia  il
 periodo  di  tempo  previsto  per  l'estinzione  del  processo e che si
 producano  a  suo  danno,  sempre  se  attrice,  ma  eventualmente   se
 convenuta,  effetti  irreparabili  sul  piano del diritto processuale e
 sostanziale. Non e' in pratica improbabile che la parte resti priva  di
 contatti  con  il  suo  difensore  per  lunghi periodi di tempo ed anzi
 questa lunga mancanza di contatti e' l'id quod  plerumque  accidit;  il
 principio    dell'interruzione   puo'   rientrare   nell'ambito   della
 costituzionalita' se si fa decorrere il termine per l'estinzione  dalla
 notificazione  ad  opera  della  parte  interessata,  del giudice e del
 cancelliere.
     Sabatucci Fortunato si riporta  alle  ordinanze  del  Tribunale  di
 Catania  e  di  quello  di  Roma,  e  contrasta  la  razionalita' della
 presunzione iuris et de iure di  conoscenza  dell'evento,  sia  per  la
 parte  al  cui  difensore  si  riferisce  l'evento  stesso,  sia per la
 controparte.
     3. - Mattone e figli si richiamano ad una dottrina secondo la quale
 esiste un onere di informazione reciproco, quanto ai rispettivi status,
 tra  le  parti  e  tra  questi  e  i  difensori  e  la   questione   di
 costituzionalita'  si  riducono  ad  un  giudizio  di  congruita' dello
 spatium deliberandi, che rientra nella sfera  di  discrezionalita'  del
 legislatore.  L'evento interruttivo si presume noto e l'inerzia diventa
 un  fatto  volontario  della  parte,  a  lei  solo  imputabile.  Se  si
 dichiarasse  incostituzionale  l'art.  301  verrebbe   meno   l'effetto
 interruttivo  automatico,  con  pregiudizio  della  parte rimasta senza
 procuratore e se si dichiarasse  l'incostituzionalita'  dell'art.  305,
 cadrebbe  l'istituto dell'estinzione del processo. Se poi l'art. 305 si
 dichiarasse incostituzionale per la parte  che  si  riferisce  all'art.
 301,  si  sacrificherebbe  all'interesse  di chi non si cura dei propri
 affari l'interesse pubblico alla speditezza dei processi: la  parte  e'
 in grado di sostituire il suo procuratore, purche' sia diligente, e non
 si  puo'  parlare  percio' di violazione del diritto di difesa. Vengono
 infine richiamate alcune sentenze di questa Corte sulla congruita'  dei
 termini processuali.
     Romolo, Vincenzo e Vittorio Benedini escludono che l'art. 301 ponga
 in  discussione  il diritto di difesa, essendo posto proprio a tutelare
 gli interessi della parte rimasta priva di  difensore;  la  controparte
 pero'    puo'    benissimo   accertarsi   circa   l'evento   produttivo
 dell'interruzione.
     4. - Mattone  e  Benedini  hanno  depositato  memorie  nelle  quali
 ribadiscono i loro assunti.
     All'udienza  del  7  novembre  1967  le  difese  delle  parti hanno
 illustrato le rispettive tesi.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  Le  cause  vanno  riunite  perche'  riguardano  la  medesima
 questione.
     2.  -  Essa e' piu' logicamente impostata dalla Corte di cassazione
 sotto il profilo,  non  tanto  dell'illegittimita'  dell'art.  301  del
 Codice  di  procedura  civile che dispone l'interruzione automatica del
 processo nei casi ivi previsti, quanto dell'illegittimita' della  norma
 dell'art.  305  dello  stesso Codice che fa decorrere il termine per la
 prosecuzione o la riassunzione del  processo,  non  dalla  notizia  che
 dell'evento  interruttivo  abbia  avuto  la parte, ma dalla data in cui
 questo evento si e' verificato.
     L'automaticita' dell'interruzione e' posta  proprio  a  tutela  del
 diritto  di  difesa  della parte, che resta priva delle ius postulandi:
 resta immediatamente impedito lo  svolgimento  di  qualsiasi  attivita'
 processuale,   alla   quale  la  parte  non  potrebbe  convenientemente
 provvedere e  contro  la  quale  non  potrebbe  reagire.  Far  risalire
 l'effetto interruttivo alla data dell'evento, com'e' disposto nell'art.
 301,  risulta pertanto del tutto coerente al dettato dell'art. 24 della
 costituzione; e non si puo' far richiamo al  diverso  sistema  previsto
 nell'art.  300,  che  fa  iniziare l'interruzione causata dalla morte e
 dall'incapacita' della parte  dalla  dichiarazione  che  se  ne  fa  in
 giudizio o dalla sua notificazione, perche' in questo secondo caso v'e'
 continuita'  di  assistenza  tecnica,  per  cui  resta  assicurata  una
 sufficiente difesa agli interessi dedotti in giudizio, in attesa  della
 dichiarazione o della notificazione, dato il carattere fondamentale del
 principio  per  cui  e'  il  procuratore  costituito che rende la parte
 presente in giudizio a tutti gli effetti.
     Cio'  che  non  concorda  con  il  precetto  dell'art.   24   della
 costituzione  e'  invece  la  regola dell'art. 305 dello stesso Codice,
 perche' fa decorrere dalla  data  dell'evento  ivi  previsto,  anziche'
 dalla  dichiarazione  o  dalla  notificazione  del medesimo, il termine
 stabilito per la prosecuzione o la riassunzione del processo.
     Questo sistema acquista speciale rilievo quando la parte colpita e'
 attrice  nei  procedimenti  d'impugnazione:   l'ignoranza   del   fatto
 interruttivo   puo'   determinare   il   passaggio   in   giudicato   o
 l'esecutivita',   rispettivamente,   della   sentenza    impugnata    e
 dell'ingiunzione opposta. La giurisprudenza infatti ha giudicato che il
 termine  dell'art.  305 decorre dal giorno del fatto interruttivo anche
 nei giudizi d'impugnazione, facendo  cosi'  prevalere  la  formulazione
 generica   della  normativa  alla  sua  ratio,  che  si  esaurisce  nel
 predisporre la protezione della parte cui viene a mancare  l'assistenza
 del procuratore.
     La  difesa deve essere garantita in ogni grado del processo; ma non
 la si protegge in tal estensione  quando  la  disposizione  di  tutela,
 utile  per  un  grado,  e'  causa di pregiudizio se applicata nel grado
 successivo.   La  difesa  deve  essere  garantita  in  ogni  stato  del
 processo,   ma   non   la  si  garantisce  in  relazione  alla  vicenda
 interruttiva se l'interruzione e' ordinata  in  maniera  produttiva  di
 svantaggi  ad alcune dei contendenti.  Il modo di tale ordinamento deve
 essere apprezzato in senso integrale, vale a dire, non  solo  per  cio'
 che  giova  a chi e' rimasto privo del procuratore, ma altresi' percio'
 che gli  nuoce.  E  percio'  non  basta  che,  mediante  l'interruzione
 automatica,  la  parte  sia  preservata  dal  rischio  di  un'attivita'
 processuale compiuta in danno  di  lei,  ma  occorre,  perche'  le  sia
 assicurato  il  diritto di difesa, che sia altresi' posta al riparo dal
 pericolo che, persistendo tale inscientia, maturino preclusioni in  suo
 danno.
     Non  convince  assumere  che la parte deve presumersi  a conoscenza
 della vicenda che colpisce il suo procuratore  o  ha  l'onere  di  tale
 conoscenza, perche' cio' e' in contrasto col fatto che l'evento produce
 e  deve  produrre l'interruzione del processo, e cioe' un vantaggio per
 colui contro il quale si  indirizzerebbe  la  presunzione  o  al  quale
 sarebbe imposto l'onere.
     Non  e'  persuasivo nemmeno ridurre la questione ad un argomento di
 congruita' dello spatium deliberandi concesso nell'art. 305.
     Il problema dell'adeguatezza di un termine legale di  deliberazione
 sorge  in  quanto  sia certo che la norma ponga il soggetto in grado di
 utilizzare nella sua interezza il tempo  da  essa  assegnato;  e  nella
 specie  invece,  per  quel  che  si  e'  detto,  deve escludersi questa
 utilizzabilita'.  Una  cosa,   vale   a   dire,   e'   la   valutazione
 dell'opportunita'  di fissare un termine per il compimento di un atto e
 della discrezionalita' usata nel fissarne i limiti, altra  cosa  e'  la
 questione  della  legittimita'  del criterio adottato per la decorrenza
 del termine, ove questo cominci dalla data  di  un  evento  di  cui  il
 soggetto non e' messo in condizione di conoscere l'avverarsi.
     Questo  secondo  problema  tocca  il  diritto  di  difesa quando il
 termine e' di natura processuale, in quanto quel  diritto,  secondo  la
 giurisprudenza   di  questa  Corte,  deve  essere  assicurato  in  modo
 effettivo ed adeguato, indipendentemente dal fatto che la parte  voglia
 valersene.  In  tal  caso puo' venire in giuoco anche l'esigenza di non
 rendere impossibile il contraddittorio, che non si puo' svolgere,  come
 esattamente   si  rileva  nell'ordinanza  della  Cassazione,  senza  la
 conoscenza delle situazioni di fatto  obiettive  e  subiettive  cui  la
 legge   ricollega,   condiziona   e  subordina,  in  virtu'  di  oneri,
 preclusioni e decadenze, il concreto esercizio del diritto di difesa.
     3.  -  Deve  dichiararsi  percio'  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  305  del Codice di procedura civile per cio' che riguarda la
 decorrenza del termine, con riferimento alle ipotesi di interruzione ex
 art. 301 dello stesso Codice.