SENTENZA
     nei giudizi riuniti di legittimita'  costituzionale  dell'art.  305
 del  codice di procedura civile, in relazione all'art. 299 dello stesso
 codice, promossi con le seguenti ordinanze:
     1) ordinanza emessa l'8  ottobre  1969  dalla  Corte  d'appello  di
 Potenza  nel  procedimento  civile  vertente tra De Cillis Francesco ed
 Errico Giovanni ed altri, iscritta al n.  462  del  registro  ordinanze
 1969  e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del
 28 gennaio 1970;
     2) ordinanza emessa il 27 gennaio 1970  dalla  Corte  d'appello  di
 Roma  nel  procedimento  civile  vertente tra Moschella Giulia Fausta e
 Fubelli Alessandro, iscritta al n. 107 del registro  ordinanze  1970  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 102 del 22
 aprile 1970.
     Udito nella camera di consiglio  del  19  maggio  1971  il  Giudice
 relatore Vincenzo Michele Trimarchi.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  - Avverso la sentenza del 20 aprile 1966 del tribunale di Melfi
 con cui  erano  state  accolte  parzialmente  le  domande  proposte  da
 Giovanni   Errico  contro  Francesco  De  Cillis  e  nei  confronti  di
 Margherita Araneo e di Enrico Errico che avevano spiegato intervento  a
 sostegno  delle  richieste  dell'attore,  proponeva  impugnazione il De
 Cillis, con atto dell'8 luglio 1966, davanti alla  Corte  d'appello  di
 Potenza.
     All'udienza  di  comparizione  si  costituivano  tutte  le parti ad
 esclusione della Araneo.
     All'udienza del 25 giugno 1968, costituitasi volontariamente, Maria
 Errico, quale erede della Araneo, premesso che questa era morta  il  25
 agosto  1966,  chiedeva che fosse dichiarata l'estinzione del processo,
 non essendo stato lo stesso  riassunto  dall'appellante  nei  confronti
 degli  eredi  di essa Araneo nel termine di mesi sei dall'indicata data
 del 25 agosto 1966, e cioe' dal momento in  cui  del  processo  si  era
 verificata l'automatica interruzione.
     Con  ricorso  del  9  dicembre  1968 il procuratore dell'appellante
 chiedeva la fissazione dell'udienza per la prosecuzione  del  giudizio.
 Il  decreto,  con  il  ricorso,  veniva notificato al procuratore delle
 parti gia' costituite ed agli altri eredi della de cuius.
     All'udienza del 28  gennaio  1969,  presenti  solo  le  parti  gia'
 costituite, Maria Errico insisteva nella precedente richiesta mentre il
 De Cillis vi si opponeva, eccependo l'illegittimita' costituzionale del
 disposto  degli  artt.  299  e  305 del codice di procedura civile, per
 violazione dell'art. 24 della Costituzione.
     La Corte d'appello di Potenza, con ordinanza dell'8  ottobre  1969,
 riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione.
     Premesso  che,  se  una  delle  parti  muore  dopo la notificazione
 dell'atto di  citazione  o  di  impugnazione  e  prima  della  data  di
 costituzione   in  giudizio,  si  verifica  con  effetto  immediato  ed
 automatico l'interruzione del processo (art. 299 c.p.c.) e che, per  il
 caso  di  mancata  prosecuzione  o riassunzione nel termine di sei mesi
 dalla data in cui si e' verificato l'evento interruttivo (e  non  dalla
 notizia  -  a  mezzo  di  dichiarazione  o notificazione - che di detto
 evento abbia avuto la parte) e'  comminata  l'estinzione  del  processo
 (art.  305  dello  stesso  codice),  la  Corte  di appello si poneva il
 quesito se questa ultima norma fosse aderente allo spirito  informatore
 del  dettato  costituzionale che garantisce e vuole inviolabile in ogni
 stato e grado del processo la difesa in contraddittorio del cittadino.
     A suo avviso, la "difesa" del precetto costituzionale non  e'  solo
 possibilita' di essere presenti nel giudizio o addirittura di avvalersi
 dell'assistenza e rappresentanza del difensore, ma altresi' "diritto di
 conoscere,  anche al di la' del momento iniziale del processo, le varie
 situazioni  del  processo  medesimo,  specie  in  quanto  la  legge  vi
 ricolleghi  oneri e preclusioni tali da incidere sul concreto esercizio
 del diritto di difesa" ed in particolare,  "quelle  situazioni  da  cui
 scaturiscono  oneri  come  quello  della  tempestiva  riassunzione  del
 processo interrotto".
     Per altro,  nell'art.  24  trova  la  sua  base  costituzionale  il
 principio  del  contraddittorio,  e per questo ha riscontro, secondo la
 giurisprudenza di questa Corte, il principio di eguaglianza.
     Stante cio', il giudice a  quo  concludeva  per  la  non  manifesta
 infondatezza della questione.
     Davanti a questa Corte, non si costituiva nessuna delle parti e non
 spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
     2.  -  Avverso  la  sentenza  del tribunale di Roma, del 24 gennaio
 1966, con cui veniva dichiarata la separazione  personale  dei  coniugi
 Giovanni  Bonomini  e  Giulia  Fausta  Moschella per colpa di entrambi,
 proponeva appello con atto del 14 dicembre 1966 la Moschella  chiedendo
 che  la  separazione  fosse pronunziata per colpa esclusiva del marito.
 Costituitasi l'appellante, alla  prima  udienza  del  23  gennaio  1967
 compariva  il  procuratore del Bonomini nel giudizio di primo grado, il
 quale dichiarava che il suo cliente era deceduto il 9  agosto  1966  (e
 cioe' prima della notificazione dell'atto di appello).
     Dopo  che  l'istruttore  aveva  dichiarato interrotto il processo e
 l'appellante  aveva  provveduto  alla  riassunzione,  sulle   contrarie
 conclusioni  delle  parti che rispettivamente chiedevano l'annullamento
 della sentenza di primo grado e la dichiarazione della cessazione della
 materia del contendere, e la dichiarazione di estinzione del processo e
 in subordine quella di  improcedibilita'  dell'appello  per  cessazione
 della materia del contendere, la causa passava in decisione.
     La  Corte  d'appello  di Roma, sulla questione preliminare relativa
 all'estinzione del procedimento, riteneva che a seguito della morte del
 Bonomini (9 agosto 1966) il processo era  rimasto  interrotto  per  non
 essere  stato  proseguito  o  riassunto  entro  il termine utile per la
 costituzione delle  parti  nel  giudizio  di  appello  e  che  a  sensi
 dell'art. 305 avrebbe dovuto essere dichiarato estinto (in accoglimento
 dell'eccezione   sollevata   dalla   parte   interessata).   Senonche',
 prescindendo  il  decorso  del  termine  perentorio   dall'accertamento
 dell'effettiva   conoscenza   della   vicenda   interruttiva  da  parte
 dell'interessato, si doveva  rilevare  che  l'art.  305  c.p.c.,  nelle
 ipotesi di cui all'art. 299, alla stregua delle considerazioni fatte da
 questa  Corte,  "viola non solo e non tanto il diritto (strumentale) di
 difesa, ma vulnera in radice il  potere  (primario)  del  cittadino  di
 agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei  propri  diritti ed interessi
 legittimi".
     E pertanto con ordinanza del 27 gennaio 1970  sollevava  la  stessa
 questione come sopra prospettata dalla Corte d'appello di Potenza.
     Davanti  a questa Corte non si costituiva nessuna delle parti e non
 spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
                         Considerato in diritto:
     1. - In relazione a due specie che non erano  identiche  (dato  che
 per una di esse - quella considerata dalla Corte d'appello di Roma - la
 morte  della  parte era intervenuta prima della notificazione dell'atto
 di appello), ma che sono  state  ricondotte,  nelle  due  ordinanze  di
 rimessione  indicate  in  epigrafe, alla previsione di cui all'art. 299
 del codice di procedura civile,  e'  stata  sollevata,  in  riferimento
 all'art.   24   della   Costituzione,   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 305 dello stesso codice nella parte in cui  la
 norma,  nelle ipotesi di morte o di perdita della capacita' di stare in
 giudizio di una delle parti  o  del  suo  rappresentante  legale  o  di
 cessazione  di  tale rappresentanza, e qualora l'evento interruttivo si
 verifichi prima della costituzione in cancelleria o all'udienza davanti
 al giudice istruttore, fa  decorrere  il  termine  perentorio,  per  la
 prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto, dal momento
 dell'interruzione  e  non  dalla  data in cui la parte interessata alla
 prosecuzione o alla riassunzione ne abbia avuto conoscenza.
     2. - La questione - dalla cui unicita' deriva  che  i  due  giudizi
 debbano essere riuniti e decisi con una sola sentenza - appare fondata.
     Questa  Corte,  con  la  sentenza  n.  139  del 1967, ha dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale del detto art. 305,  perche'  la  norma
 denunciata  faceva  decorrere dalla data dell'interruzione del processo
 il termine per la prosecuzione e per la riassunzione dello stesso anche
 nei casi regolati dal precedente art. 301.
     Ora,  con  le  sopradette  ordinanze,  e'  prospettata  una   nuova
 violazione  dell'art.  24  della Costituzione: in particolare, il vizio
 dell'art. 305 e' visto la' ove la norma dispone circa la decorrenza del
 termine nelle ipotesi di interruzione del processo di cui all'art. 299.
     Questo  articolo  stabilisce  che  "se  prima della costituzione in
 cancelleria o all'udienza davanti al giudice istruttore, sopravviene la
 morte oppure la perdita della capacita di  stare  in  giudizio  di  una
 delle  parti  o  del  suo rappresentante legale o la cessazione di tale
 rappresentanza, il processo e' interrotto, salvo che  coloro  ai  quali
 spetta  di proseguirlo si costituiscano volontariamente, oppure l'altra
 parte provveda a citarli in riassunzione, osservati i  termini  di  cui
 all'articolo 163 bis".
     L'interruzione in queste ipotesi interviene automaticamente, sempre
 che  la  costituzione  volontaria  o  la  citazione in riassunzione non
 abbiano tempestivamente luogo, e nel momento  in  cui  si  verifica  il
 singolo evento interruttivo.
     L'art.  299  non  costituisce  oggetto  di denuncia. E giustamente,
 almeno  in  riferimento  all'art.  24   della   Costituzione,   perche'
 l'interruzione  e'  comminata proprio per assicurare alla parte o ai di
 lei eredi la possibilita' di agire in giudizio per la tutela dei propri
 diritti ed interessi e l'effettivo esercizio del diritto di difesa.
     La denuncia riguarda, invece, come  si  e'  detto,  l'art.  305  in
 relazione all'art. 299.
     Nell'ipotesi  di  morte della parte (prima della costituzione) - ed
 il discorso vale con i necessari adattamenti per le rimanenti ipotesi -
 l'estinzione del processo puo' essere impedita mediante la prosecuzione
 o  riassunzione  dello  stesso.  Si  presuppone,  cosi',  che  l'evento
 interruttivo  sia  tempestivamente  conosciuto  dagli eredi della parte
 deceduta o dalla controparte e che quindi gli uni o  l'altra  siano  in
 condizione  di  attendere  con  diligenza  alla  tutela  dei rispettivi
 diritti ed interessi.
     Qualora,  pero',  i  detti  soggetti,   in   fatto,   non   vengano
 tempestivamente  a conoscenza di quell'evento, nulla gli stessi possono
 fare per impedire il prodursi dell'effetto estintivo.
     La loro posizione e' da accostare a quella delle parti del processo
 interrotto a sensi dell'art. 301 del codice di procedura civile o delle
 parti del processo sospeso per una delle cause previste dall'art.  297,
 comma primo, dello stesso codice.
     E come in quelle due altre ipotesi, valutate da questa Corte con la
 citata  sentenza  n.  139 del 1967 e con la sentenza n. 34 del 1970, e'
 stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma denunciata
 (e cioe' rispettivamente dell'art. 305 e dell'art.  297, comma  primo),
 cosi' nell'ipotesi in esame si deve pervenire alla stessa pronuncia.
     3.  -  L'illegittimita'  costituzionale dell'art. 305, in relazione
 all'art.  299,  risiede  in  cio'  che  il  termine  stabilito  per  la
 prosecuzione  o  riassunzione  del processo viene fatto decorrere dalla
 data dell'evento interruttivo anziche' da  quella  in  cui  dell'evento
 stesso abbia avuto conoscenza la parte interessata.
     Con   tale   disposizione   non   risultano   garantite  la  tutela
 giurisdizionale e la difesa in ogni stato e grado del procedimento.
     Gli eredi della parte deceduta ad es., che non sappiano della morte
 del loro dante causa, non sono infatti posti in grado di far valere  in
 giudizio le loro pretese.
     Il  contraddittorio, inoltre, non si puo' regolarmente instaurare e
 mantenere.
     Il diritto di difesa non viene  assicurato  in  modo  effettivo  ed
 adeguato  ed indipendentemente dal fatto che la parte voglia valersene.
 In  particolare,  non  e'   garantito   in   relazione   alla   vicenda
 interruttiva,  perche' l'interruzione e' ordinata in maniera produttiva
 di  possibili svantaggi ad alcuna delle parti e segnatamente nelle fasi
 di impugnazione.
     E in presenza di un termine legale di deliberazione,  la  norma  in
 esame  non  da' al soggetto la possibilita' di utilizzare per intero il
 tempo da essa assegnato.
     Ricorrono, per cio', valide ragioni perche' la questione come sopra
 sollevata debba essere dichiarata fondata.
     4. - Considerato, infine, che il processo e'  parimenti  interrotto
 al  momento  dell'evento  se la parte e' costituita personalmente (art.
 300, comma terzo, del codice di procedura civile), e che anche  in  tal
 caso  il  termine  per  la  prosecuzione  o  riassunzione  del processo
 interrotto decorre, a sensi  dell'art.  305,  dall'interruzione  e  non
 dalla  data  in cui dell'evento interruttivo la parte interessata abbia
 conoscenza, la Corte ritiene che di questa norma, ed  in  relazione  al
 citato  art.  300,  comma  terzo,  debba  dichiararsi  l'illegittimita'
 costituzionale in forza del disposto di cui all'art. 27 della legge  11
 marzo 1953, n. 87.