ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennita' di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili) e dell'art. 2 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore di mutilati ed invalidi civili), promosso con ordinanza emessa il 25 ottobre 1988 dal Pretore di Pisa nel procedimento civile vertente tra Guerri Orfeo e il Ministero degli Interni, iscritta al n. 25 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1989 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un procedimento civile promosso da Guerri Orfeo nei confronti del Ministero degli Interni per vedersi riconosciuto il diritto all'indennita' di accompagnamento prevista per gli invalidi civili assoluti dall'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, l'adito Pretore di Pisa rilevava che nella specie l'istante era affetto: a) da cecita' parziale, per la quale fruiva di una modesta pensione (L. 25.000 mensili); b) da altre gravi patologie comportanti un'invalidita' valutata in sede amministrativa nella percentuale dell'80%, che non gli dava pero' titolo ad alcuna provvidenza in ragione del superamento dei limiti di reddito stabiliti al riguardo. Dalla consulenza tecnica d'ufficio, e dall'iniziale valutazione della stessa Amministrazione resistente, emergeva che sommando la cecita' alle altre patologie ne sarebbe risultata un'invalidita' del 100%, che avrebbe dato titolo sia alla pensione d'invalidita' che all'indennita' di accompagnamento, per un totale di circa L. 800.000 mensili. Cio' premesso, il Pretore di Pisa, con ordinanza del 25 ottobre 1988, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 38 Cost., una questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 della citata legge n. 18 del 1980 e 2 della legge 30 marzo 1971, n. 118 "nella parte in cui non consentono la percezione dell'indennita' di accompagnamento prevista dalla legge n. 18/1980 al cieco parziale titolare di pensione ed anche invalido civile all'80%, posto che la complessiva invalidita' lo rende del tutto inabile a compiere gli atti quotidiani della vita". La prima di tali norme, osserva il giudice a quo, rinvia, quanto alla definizione dell'invalidita' civile che da' titolo all'indennita' di accompagnamento, alla seconda; e questa esclude che ai fini del riconoscimento dello status di invalido possano rilevare ragioni di invalidita' che - come nella specie - danno autonomamente titolo ad una prestazione diversa (ciechi, invalidi per lavoro o per servizio, ecc.). Cio', pero', a suo avviso, comporta, una manifesta disparita' di trattamento tra soggetti le cui affezioni siano nel complesso tali da impedire loro di provvedere agli ordinari bisogni della vita, a seconda che tra di essi ve ne sia o meno taluna che da' titolo ad una prestazione autonoma, posto che la presenza di questa si traduce, come nel caso di specie, in un trattamento assistenziale deteriore. 2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, dopo aver osservato che la cumulabilita' delle provvidenze previste in favore di categorie distinte - invalidi civili, ciechi civili e sordomuti si risolverebbe in una duplice valutazione delle stesse minorazioni, ha, peraltro, chiesto il rinvio degli atti al giudice a quo perche' riesamini la rilevanza della questione alla stregua della sopravvenuta normativa di cui agli artt. 1 e 3 della legge 21 novembre 1988, n. 508 e 9 del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509. Considerato in diritto 1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Pretore di Pisa dubita della legittimita' costituzionale degli artt. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 e 2 della legge 30 marzo 1971, n. 118, nella parte in cui tali norme, nel loro combinato disposto, escludono che, ai fini del riconoscimento dello stato di tale invalidita' civile assoluta che da' diritto all'indennita' di accompagnamento, possano essere computate le affezioni - come, nella specie, la cecita' parziale - che danno titolo ad un'autonoma prestazione assistenziale. Nel definire le condizioni per l'attribuzione di tale indennita' agli invalidi civili totalmente inabili, infatti, la prima di tali disposizioni richiama la seconda; e questa, nell'ultimo comma, esclude dalle prestazioni di invalidita' civile "gli invalidi per cause di guerra, di lavoro, di servizio, nonche' i ciechi e i sordomuti per i quali provvedono altre leggi". Nel caso oggetto del giudizio a quo, la congiunta considerazione della cecita' parziale e delle altre affezioni riscontrate al ricorrente - comportanti un'invalidita' valutata nell'80% - avrebbe dato luogo al riconoscimento di un'invalidita' totale con inabilita' a compiere gli atti quotidiani della vita, e quindi all'attribuzione dell'indennita' di accompagnamento; ma cio' ostava la preclusione, discendente dalle norme impugnate, a considerare nel coacervo la cecita' parziale, per la quale egli fruiva di autonoma pensione. Ad avviso del Pretore rimettente, le cennate disposizioni contrastano con gli artt. 2, 3 e 38 Cost., in quanto comportano un'irrazionale disparita' di trattamento tra soggetti parimenti abbisognevoli di assistenza continuativa perche' non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Se infatti a determinare tale condizione concorrono affezioni specificamente disciplinate come la cecita' ed il sordomutismo - che danno titolo ad autonoma prestazione, il trattamento assistenziale complessivo risulta deteriore rispetto a quello goduto da chi sia totalmente inabile a causa di affezioni di altra natura. Il descritto assetto normativo circa la spettanza dell'indennita' di accompagnamento in caso di pluriminorazione comprensiva della cecita' parziale non risulta modificato, nella prassi applicativa, dalle sopravvenute disposizioni contenute nella legge 21 novembre 1988, n. 508 e nel decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509 (cfr. circolare del Ministero dell'Interno n. 2/89 del 19 gennaio 1989): sicche' non puo' accogliersi la richiesta di restituzione degli atti per riesame della rilevanza avanzata dall'Avvocatura dello Stato. 2. - La questione e' fondata. E' d'uopo premettere che la normativa vigente non vieta, in caso di pluriminorazione, il cumulo delle provvidenze previste per l'invalidita' civile e, rispettivamente, per la cecita' (o il sordomutismo) ove ricorrano i presupposti di ciascuna; prescrive, pero', che il riconoscimento di tali invalidita' avvenga in base a malattie o minorazioni diverse, e cio' al fine di evitare l'attribuzione al soggetto di piu' prestazioni assistenziali per la stessa causa (cfr. circolare cit. e parere del Consiglio di Stato, Sez. I, n. 1973/80 del 18 dicembre 1981). Tale regola, connessa all'apprestamento di specifiche discipline per le sopradette cause di invalidita', e' gia' di per se' suscettibile di valutazioni critiche ove la separata considerazione delle singole minorazioni conduca ad un'insufficiente individuazione delle complessive esigenze di assistenza del soggetto che ne e' affetto. Ma essa risulta priva di razionalita' se applicata nei confronti dell'indennita' di accompagnamento: la quale spetta, oltre che ai ciechi assoluti, ai soggetti totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche "che si trovino nella impossibilita' di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di una assistenza continua" (cfr. art. 1 legge n. 18 del 1980 e, oggi, art. 1 legge n. 508 del 1988). La legge, infatti considera qui una condizione specifica, quella dei soggetti non deambulanti o non in grado di provvedere a se stessi per le esigenze della vita quotidiana, che e' ulteriore ed aggiuntiva rispetto allo stato di totale inabilita' al lavoro; e conseguentemente, appresta una specifica provvidenza per porli in grado di far fronte alle esigenze di accompagnamento e di assistenza che quella condizione necessariamente comporta. Tale carattere aggiuntivo dell'indennita' in questione e' dimostrato, da un lato, dal fatto che essa non spetta ove il soggetto non abbia da provvedere a tali esigenze perche' ricoverato gratuitamente in istituto (art. 1, terzo comma, legge n. 18 del 1980); dall'altro, dal fatto che essa si cumula con la pensione d'invalidita' totale, ove di questa ricorrano i requisiti reddituali, e spetta anche agli invalidi totali minori di anni diciotto, che non fruiscono di detta pensione (artt. 1 della legge n. 18 del 1980 e 12 della legge n. 118 del 1971). La possibilita' di cumulo delle prestazioni assistenziali connesse alle invalidita' con l'indennita' di accompagnamento trova quindi ragione nella diversa funzione di tali provvidenze: le quali tendono, nell'un caso, a sopperire alla condizione di bisogno di chi a causa dell'invalidita' non e' in grado di procacciarsi i necessari mezzi di sostentamento; nell'altro, a consentire ai soggetti non autosufficienti condizioni esistenziali compatibili con la dignita' della persona umana. L'assicurare tali condizioni rientra tra i doveri inderogabili di solidarieta' additati dall'art. 2 Cost., ed ha preminente rilievo nell'ambito dei compiti di assistenza posti allo Stato dall'art. 38, primo comma; e per altro verso, data l'autonomia della situazione in discorso, contrasta certamente col principio d'uguaglianza il concedere o meno la relativa prestazione assistenziale a soggetti che ne siano parimenti bisognevoli, a seconda che essi fruiscano o no di provvidenze preordinate ad altri fini. Le disposizioni impugnate vanno percio', nel loro combinato disposto, dichiarate costituzionalmente illegittime nella parte in cui escludono che ai fini della valutazione dello stato di inabilita' totale che da' diritto all'indennita' di accompagnamento possa essere considerata la cecita' parziale.