IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa civile di primo
 grado iscritta  al  n.  12721  del  ruolo  generale  per  gli  affari
 contenziosi   dell'anno  1988,  posta  in  deliberazione  all'udienza
 collegiale del 4 dicembre  1989  e  vertenze  tra  Pier  Paolo  Leoni
 elettivamente  domiciliato  in  Roma,  via  Premuda,  n. 2, presso lo
 studio del procuratore avv. Enrico Guidi e avv. Giuseppe Podda che lo
 rappresentano  e  difendono per delega in atti, e Antonio Brancaccio,
 Renato Granta, Antonio Sensale, Filippo Anglani,  Adriano  Colasurdo,
 Giovanni Cassata, elettivamente domiciliati in Roma, via Tibullo, 10,
 presso lo studio del  procuratore  avv.  Luigi  Delli  Paoli  che  li
 rappresenta  e difende per delega in atti, nonche' Giuseppe Morsillo,
 Antonio Iannotta e Andrea Vela, elettivamente  domiciliati  in  Roma,
 corso  di  Francia,  197,  presso  lo studio dei procuratori avvocati
 Fabrizio Lemme e Andrea Morsillo che li rappresentano e difendono per
 delega in atti.
   Oggetto:  Risarcimento  danni  da pretesa responsabilita' civile di
 magistrati nell'esercizio di funzioni giudiziarie.
    Il collegio rileva quanto segue.
    Con  atto  notificato  il 12 aprile 1988 Pier Paolo Leoni cito' in
 giudizio avanti questo tribunale Antonio Brancaccio, Renato  Granata,
 Antonio  Vela,  Adriano Colasurdo, Filippo Anglani, Antonio Iannotta,
 Giuseppe Morsillo, Antonio Sensale e Giovanni Cassata (nei  confronti
 del  quale  la  notifica  e'  avvenuta il 26 giugno 1988), magistrati
 componenti il Collegio delle sezioni  unite  civili  della  Corte  di
 cassazione esponendo:
      che  davanti  al  predetto  collegio era stato discusso e deciso
 all'udienza del 28 maggio 1987 il ricorso (r.g. n.  8739/80)  da  lui
 proposto  avverso  la delibera 18 giugno 1980 del consiglio nazionale
 dei geometri (sentenza 28 maggio-16 dicembre 1987, n. 9319);
      che  con  altra sentenza 28 maggio-16 dicembre 1987, n. 9320, lo
 stesso collegio delle sezioni unite composto dai medesimi  magistrati
 aveva  deciso  il  ricorso  (r.g.  n.  29/82) presentato dal geometra
 Roberto  Scatolini  "in  senso  diametralmente  opposto"   a   quello
 contenuto  nella decisione relativa a quello proposto da esso istante
 benche' i due ricorsi "fossero fondati su motivazioni di fatto  e  di
 diritto   analoghe  che  andavano  pertanto  valutate  alla  medesima
 stregua";
      che le sezioni unite della Corte di cassazione "avevano posto in
 essere, un comportamento viziato da colpa grave ai sensi dell'art. 23
 del  t.u.  10  gennaio 1957, n. 3, ritenuto il difforme atteggiamento
 dei  medesimi  giudici  nel  decidere  due  questioni   perfettamente
 identiche  in  fatto e diritto" per effetto del quale l'istante aveva
 subito i  danni  derivanti  dalla  mancata  iscrizione  all'albo  del
 collegio dei geometri della provincia di Cagliari.
    Quanto  sopra  premesso,  l'attore  chiese  che  questo  tribunale
 dichiarasse i convenuti responsabili  in  solido  del  danno  da  lui
 subito e li condannasse al relativo risarcimento.
    Ritualmente   costituitisi   in   giudizi   i  convenuti  Anglani,
 Brancaccio, Cassata, Colasurdo, Granata e Sensale (avv. Delli  Paoli)
 e   Iannotta,  Morsillo  e  Vela  (avv.  Lemme)  formularono  diverse
 eccezioni preliminari contestando  nel  merito  il  fondamento  della
 domanda.
    Cio'  premesso in fatto, ritiene il collegio di dover sollevare di
 ufficio  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  di  seguito
 precisata.
    Alla  fattispecie  in  esame  (pretesa  responsabilita' civile dei
 magistrati  componenti  le  sezioni  unite  civile  della  Corte   di
 cassazione)  deve  applicarsi  la  norma  contenuta  nell'art. 55 del
 c.p.c. giacche' la sentenza che secondo l'assunto dell'attore sarebbe
 stata posta in essere dai giudici con colpa grave (profilo questo non
 in  armonia  con  il  dettato  del  citato  art.  55  del  c.p.c.  ma
 evidentemente  non esaminabile - siccome attinente al merito - se non
 dopo aver risolto le questioni di carattere processuale che  assumono
 assorbente rilievo) risulta pubblicata il 16 dicembre 1987.
    Con  d.P.R.  9  dicembre  1987,  n.  497,  si  statui' infatti che
 l'abrogazione degli artt. 55, 56  e  74  del  c.p.c.  conseguente  al
 risultato   del  noto  referendum  popolare  avesse  effetto  decorsi
 centoventi giorni dalla  data  di  pubblicazione  del  decreto  nella
 Gazzetta Ufficiale, intervenuta il 9 dicembre 1987.
    La  regola  processuale  contenuta  nell'art.  56  del c.p.c. (che
 richiede quale condizione di  procedibilita'  della  domanda  per  la
 dichiarazione  di  responsabilita'  del  giudice l'autorizzazione del
 Ministro di grazia e giustizia) non sarebbe  pero'  piu'  applicabile
 giacche'  la  citazione  e' stata notificata il 12 aprile 1988 (il 26
 giugno 1988 nei confronti del convenuto Cassata)  e  dunque  in  data
 successiva  alla  prorogatio  introdotta  con  il  citato  d.P.R.  n.
 497/1987. E' appena il caso di chiarire che detta norma dell'art.  56
 del c.p.c. essendo essenzialmente processuale secondo i noti principi
 dello ius superveniens in materia  di  diritto  processuale  andrebbe
 comunque immediatamente disapplicata.
    Anche la risposta al quesito se sia in qualche modo applicabile il
 preventivo giudizio di  ammissibilita'  previsto  nell'art.  5  della
 recente  legge  13  aprile 1988, n. 117, sulla responsabilita' civile
 dei  magistrati  dev'essere  negativa  atteso  il  chiario   disposto
 dell'art.   19,   secondo  comma  che  esclude  espressamente  (senza
 distinguere fra norme  sostanziali  e  processuali)  l'applicabilita'
 della  normativa  a  fatti  illeciti  posti  in essere dal magistrato
 anteriormente alla sua entrata in  vigore  (il  giorno  successivo  a
 quello  di  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale  avvenuta il 15
 aprile 1988).
    Risulta in sintesi evidente:
       a)  che  il  legislatore  ha pienamente avvertito la necessita'
 della prorogatio del sistema normativo espresso negli articoli 55, 56
 e  74  del  c.p.c.  (d.P.R.  9  dicembre  1987,  n.  497) per evitare
 soluzioni di continuita' in relazione al prevedibile non  breve  iter
 della nuova legge sulla responsabilita' civile dei magistrati;
       b)  che  detta  nuova  legge  13  aprile 1988, n. 117, non puo'
 essere applicata ne' in relazione al profilo sostanziale ne' a quello
 processuale  ad illeciti posti in essere dal magistrato anteriormente
 alla sua entrata in vigore;
       c)  che  nel primo caso (sistema normativo espresso negli artt.
 55,  56  e  74  del  c.p.c.)  era  previsto  un   penetrante   filtro
 (autorizzazione  del  Ministro,  quale  condizione  di procedibilita'
 della domanda);
       d)   che   non  meno  incisivo  e'  il  filtro  endoprocessuale
 (preventivo  giudizio  di  ammissibilita')  posto  dalla   legge   n.
 117/1988.
    In definitiva lo stesso legislatore, non potendo non aver presenti
 i principi  sanciti  dalla  Costituzione  (art.  da  101  a  113)  ha
 dimostrato di non potere lasciare scoperto uno spazio di tempo in cui
 fosse  possibile  qualsiasi   incontrollato   giudizio   (diretto   o
 indiretto) di responsabilita' nei confronti del giudice.
    Se  puo'  sembrare  superfluo  richiamare  la costante ratio della
 necessita' del c.d. filtro chiaramente desumibile  anche  dai  lavori
 parlamentari,  appare  nondimento  necessario ricordare che la stessa
 Corte costituzionale ha, in ripetute  pronuncie  (sentenza  14  marzo
 1968,  n.  2,  sentenza  3  febbraio  1987,  n. 26, emessa in sede di
 deliberazione di ammissibilita' del referendum abrogativo in tema  di
 responsabilita' dei magistrati) considerato necessario e rilevante la
 previsione di penetranti limiti e di precise condizioni in  relazione
 al  predetto  giudizio  di  responsabilita'  specie in considerazione
 della peculiarita' delle funzioni  giudiziarie  e  della  natura  dei
 provvedimenti giudiziari anche alla luce degli inderogabili principii
 enunciati nella Costituzione sull'ordinamento giurisdizionale,  sulla
 giurisdizione e sulla magistratura in genere.
    In  base  alle  considerazioni  che  precedono pertanto non appare
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 relativa  ad  una  normativa  che  consenta  di  instauare,  senza un
 controllo preliminare, un giudizio di responsabilita'  nei  confronti
 del giudice.
    Nel   caso  di  specie  ad  elevare  il  grado  di  non  manifesta
 infondatezza  della  questione  devesi  considerare  che   la   norma
 processuale  concretamente  applicabile  altra non dovrebbe essere se
 non quella prevista nell'art.  56  del  c.p.c.  Detta  norma  infatti
 essendo  organicamente  inserita nella unitaria disciplina previgente
 (artt. 55, 56 e 74 del c.p.c.) non puo' razionalmente essere  espunta
 relativamente  alle  posizioni  sostanziali tuttora regolate da detto
 art. 55 del c.p.c.
    In   altre   parole   sembra   un   assurdo   logico  e  giuridico
 l'applicazione frammentaria di  regole  (sostanziali  e  processuali)
 saldamente legate da un contesto normativo unitario.
    Dal  altro angolo visuale va ancora posto in rilievo che il citato
 art. 19, nel sancire espressamente la non applicabilita' delle  norme
 delle  legge  n.  117/1988  ai  fatti  illeciti  posti  in essere dal
 magistrato (nei casi previsti dagli artt. 2 e 3)  anteriormente  alla
 sua  entrata  in vigore, non puo' non fare essenzialmente riferimento
 che alle norme processuali (apparendo superfluo sancire espressamente
 l'irretroattivita' di quelle sostanziali).
    Detta  norma  in  definitiva avrebbe la funzione di introdurre una
 deroga al fondamentale principio processuale tempus regit  actum  nel
 senso che alle fattispecie poste in essere in passato (e regolate dal
 punto di vista sostanziale dall'art. 55 del c.p.c.) non si applica la
 nuova  normativa processuale neppure allorquando il relativo giudizio
 venga introdotto successivamente all'entrata in  vigore  della  nuova
 legge.
    La  ratio  della  norma va individuata anche nel convincimento che
 relativamente ai giudizi per fatti illeciti commessi  dal  magistrato
 in  passato potesse bastare la posticipazione dell'effetto abrogativo
 (d.P.R. n. 407/1988) del noto referendum popolare,  vale  a  dire  la
 prorogatio  della norma processuale contenuta nell'art. 56 del c.p.c.
    Senonche'  quello  che  si  dava  cosi'  per implicito presupposto
 (approvazione  della  nuova  legge  entro  i  centoventi  giorni   di
 posticipazione  dell'effetto abrogativo del referendum) sarebbe stato
 smentito dalla realta'.
    Conseguentemete  puo' essere individuato un limitissimo periodo di
 tempo compreso fra l'8 aprile 1988 (scadenza della prorogatio)  e  il
 16   aprile   1988   (entrata   in   vigore  della  nuova  normativa)
 relativamente al quale non sarebbe comunque applicabile nessuna delle
 due  regole  processuale  (nel  caso  in  esame  la  citazione  venne
 notificata ai convenuti il 12 aprile 1988,  escluso  Cassata  cui  la
 notifica venne effettuata il 28 giugno 1988).
    Cio'  chiarito,  e  quale  che sia l'interpretazione che si voglia
 dare del secondo comma del citato art. 19,  balza  comunque  evidente
 l'irrazionalita'  di detta norma formulata in modo tale da consentire
 che nei confronti di una categoria di magistrati (quelli  contro  cui
 si  sia  riusciti ad effettuare la notifica della citazione nel breve
 periodo  9-15  aprile  1988)  sia  possibile   promuovere   qualsiasi
 incontrollato  giudizio  di  responsabilita'  mentre  nei riguardi di
 tutti gli altri magistrati in situazione identica operebbe comunque o
 l'art.  56 del c.p.c. o il filtro endoprocessuale previsto negli art.
 5 e segg. della nuova legge.
    Piu'  specificamente,  sia in generale sia in relazione ai giudizi
 introdotti con atto notificato nel perito 9-15 aprile, deve ritenersi
 non  manifestamente  infondata  la  questione  di costituzionalita' -
 sollevata di ufficio - dell'art. 19 della legge 13  aprile  1988,  n.
 117, in quanto non prevede anche per i giudizi introdotti in ordine a
 fatti attribuibili  alla  responsabilita'  civile  del  magistrato  -
 avvenuti  prima  della  sua  entrata in vigore - l'ultrattiva vigenza
 della condizione di procedibilita' prevista nell'art. 56  del  c.p.c.
 con  riferimento  agli  artt.  3,  28,  97  e  da  101  a  113  della
 Costituzione.
    Da  ultimo,  atteso  che l'attore non ha in ogni caso richiesto la
 previa autorizzazione ministeriale (e che comunque non ha avuto luogo
 il  giudizio  di  ammissibilita'  previsto nell'art. 5 della legge n.
 117/1988)  appare  indubbia  la  sussistenza  del   requisito   della
 rilevanza  della suindicata questione di legittimita' costituzionale.