LA CORTE D'ASSISE
     Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Visti  gli  atti  del  procedimento  penale  n.  19/85  r.c. corte
 d'assise;
    Sciogliendo  la riserva in ordine alla eccezione di illegittimita'
 costituzionale degli artt. 247 del d.-l. 28 luglio 1989, n. 271 e 438
 del  d.P.R.  22  settembre 1988, n. 477, sollevata dalla difesa degli
 imputati;
    Sentito il p.m.;
                            OSSERVA IL FATTO
    Nel  procedimento  a  carico  di  Apicella  Mario  + 16, prima che
 venissero  compiute  le  formalita'  di  apertura  del  dibattimento,
 l'imputato  Rossi  Luigi  avanzava  richiesta di giudizio abbreviato;
 avendo il p.m. prestato il proprio consenso e ritenente la  corte  di
 poter  decidere  allo  stato degli atti, veniva disposta la norma del
 quinto comma dell'art. 247 del d.lgs. 28  luglio  1989,  n.  271;  la
 separazione del procedimento nei confronti del predetto Rossi.
    Analoga  richiesta  di  giudizio  abbreviato veniva avanzata dagli
 imputati Lamberti Carlo, Mannara Pasquale e Risi Michele.
    Il  p.m.,  pero',  ritenendo  che per tali imputati non si potesse
 decidere allo stato degli atti, non dava il proprio consenso;
    Avendo  la  Corte  a norma dell'art. 247 cit., disposto, stante il
 dissenso del p.m., di procedersi nelle forme  ordinarie,  la  difesa,
 sollevava  l'eccezione  di  illegittimita'  costituzionale  di cui in
 premessa;
                               IN DIRITTO
    E'  pacifico  che, di fronte al dissenso motivato o immotivato del
 p.m., non possa farsi luogo a  giudizio  abbreviato,  non  avendo  il
 giudice  alcuna  possibilita'  di  accertare se il processo potesse o
 meno essere definito allo stato degli atti. E nel caso di specie tale
 impossibilita'   si  manifesta  in  maniera  clamorosa  nello  stesso
 processo.
    Mentre  infatti,  per  il  Rossi  la  corte  ha potuto procedere a
 giudizio abbreviato, per  gli  imputati  Lamberti,  Mannara  e  Risi,
 stante  il  dissenso del p.m., ha dovuto disporre di procedersi nelle
 forme ordinarie, a prescindere  dal  fatto  che  per  detti  imputati
 potesse  essere  emessa  decisione allo stato degli atti. Ne consegue
 che la corte, senza poter svolgere alcun sindacato, e' vincolata  non
 solo  nella scelta del rito ma anche nella determinazione della pena,
 non potendosi agli imputati Lamberti, Mannara  e  Risi  applicare  la
 riduzione di un terzo di cui all'art. 442 e p.p..
    Il  dettato  normativo  attribuisce  quindi al p.m. un sostanziale
 potere di veto.
    Sol  perche'  la  parte  pubblica  ha espresso il suo dissenso, e'
 precluso alla  Corte  di  accertare  se  il  processo  poteva  essere
 definito  allo  stato  degli  atti  e,  conseguentemente,  in caso di
 determinazione positiva, di procedere  alla  riduzione  di  un  terzo
 della pena da irrogare.
    Il  che  si  risolve  in  un vero e proprio potere dispositivo del
 pubblico ministero sulla sanzione penale, giacche'  soltanto  con  il
 consenso  del  predetto  il  giudice  potra' procedere alla riduzione
 della pena, a norma dell'art. 442 e p.p..
    E'  vero  che  con  la  sentenza  30 aprile 1984, n. 120, e' stata
 dichiarata non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 degli  art.  77,  primo  comma,  e  78, secondo comma, della legge 24
 novembre 1981, n. 589  (sollevata  perche'  la  possibilita'  per  il
 giudice  di  disporre  l'applicazione  delle  sanzioni sostitutive su
 richiesta dell'imputato risultava subordinata  al  parere  favorevole
 del pubblico ministero).
    In  detta  sentenza  si  precisava  pero', che tale subordinazione
 operava solamente  durante  le  fasi  dell'istruzione  e  degli  atti
 predibattimentali.
    Nel  giudizio  abbreviato, invece, a differenza di quanto e' stato
 previsto anche in ordine all'applicazione  della  pena  su  richiesta
 delle  parti  (a norma dell'art. 448 e p.p. il giudice puo' applicare
 la pena richiesta dall'imputato dopo la chiusura del dibattimento  di
 primo   grado   o   nel   giudizio  di  impugnazione  quando  ritenga
 ingiustificato il dissenso del p.m. e consegua la pena richiesta), il
 dissenso del p.m. e' vincolante in modo assoluto.
    E'  pur  vero  che i presupposti del giudizio abbreviato non hanno
 una delimitazione oggettiva che possa  essere  verificata  nel  corso
 dell'ulteriore   iter   processuale.   Ne'   avrebbe  senso  ritenere
 applicabile nelle successive  fasi  il  giudizio  abbreviato,  quando
 ormai  si sono compiute attivita' incompatibili con la struttura e le
 caratteristiche di quel rito.
    Ben  poteva,  pero',  affidarsi  al  giudice  la  possibilita'  di
 sindacare le scelte del p.m..
    In  tal  caso  si  sarebbe  attribuito  all'organo in posizione di
 terzieta' e non ad una parte il potere di  decidere  sulla  esistenza
 delle  condizioni  per  far  luogo  al  giudizio  abbreviato  e sulla
 conseguenziale e connessa riduzione di pena.
    L'istituto,  cosi'  come e' stato disciplinato, con l'attribuzione
 di una portata vincolante al dissenso  del  p.m.,  contrasta  percio'
 chiaramente con gli artt. 3, 24 e 101 della Carta costituzionale:
      1) con l'art. 3, sotto un duplice profilo:
        a)  il  principio  di  uguaglianza  e' vulnerato, in quanto il
 parere sfavorevole del p.m. determina una irragionevole disparita' di
 trattamento  tra  parte pubblica e parte privata, in quanto mentre le
 ragioni dell'imputato  debbono,  per  poter  essere  accolte,  essere
 vagliate dall'organo giurisdizionale, quelle del p.m. si impongono al
 giudice prescindendo dalla loro fondatezza e senza essere oggetto  di
 una imparziale valutazione;
        b)  vi  e'  una  ingiustificata  disparita' di trattamento tra
 imputato addirittura dello stesso processo, come nel caso di  specie,
 tra chi (avendo il p.m. prestato il proprio consenso) puo' beneficare
 della riduzione di pena e chi, invece, stanti il dissenso del p.m. al
 giudizio  abbreviato,  non  puo' beneficarne e cio' a prescindere dal
 fatto che ricorrano, o meno le condizioni per  decidere  il  processo
 allo stato degli atti;
      2)  con  l'art.  24,  1›  e  2›  comma,  in  quanto la richiesta
 dell'imputato di giudizio abbreviato e' sottratto in modo  definitivo
 alla valutazione del giudice.
    Avverso  il  dissenso  manifestato  dal p.m., non e' dato svolgere
 infatti alcuna difesa, stante  l'impossibilita'  per  il  giudice  di
 valutare le ragioni e la fondatezza del diniego;
      3)  con  l'art.  101,  secondo  comma, in quanto l'insindacabile
 decisione del  p.m.  di  consentire  o  non  consentire  il  giudizio
 abbreviato   comporta   conseguenze  non  solo  sul  piano  meramente
 processuale, ma anche su quello sostanziale,  sia  pure  soltanto  in
 termini di quantificazione della pena per il caso di condanna.
    Il  dissenso  del p.m. si configura, cioe', come un potere di veto
 che,  essendo  impedita  al  giudice   ogni   valutazione,   sconfina
 sostanzialmente   nel   campo  dell'attivita'  decisoria  sicche'  e'
 compressa  la  pienezza  del  potere  decisionale  nell'ambito  delle
 disposizioni  di  legge,  non  potendo  il  giudice  emettere, per il
 dissenso del p.m., una sua autonoma  determinazione  in  ordine  alla
 fondatezza della richiesta di giudizio abbreviato.
    Va  pertanto  dichiarata  rilevante e non manifestamente infondata
 l'eccezione di incostituzionalita' sollevata ed il giudizio in  corso
 va  sospeso  (stante  la  stretta  e  prescindibile connessione della
 posizione degli imputati Lamberti, Mannara e Risi  con  quello  degli
 altri  imputati  specialmente  in  relazione  all'imputazione  di cui
 all'art. 416- bis del c.p. ed a quelle sulla violazione  della  legge
 sulle   armi   non  appare  possibile  disporre  la  separazione  dei
 procedimenti).