IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza,  nella  causa  contro
 Cortellazzi Luciano, nato il  24  aprile  1968  a  Cremona,  atto  di
 nascita  n.  722/IA,  ivi  residente in via S. Predengo n. 7, celibe,
 diplomato   perito   agrario,   impiegato   tecnico,    impossidente,
 incensurato,  caporal maggiore in congedo, gia' in servizio presso il
 13›  battaglione  logistico  "Aquileia"  in  Portogruaro   (Venezia),
 libero,  imputato  di  furto  militare  aggravato  (art. 230, primo e
 secondo comma,  del  c.p.m.p.)  perche',  caporal  maggiore  nel  13›
 battaglione  logistico "Aquileia" in Portogruaro (Venezia), il giorno
 10 settembre  1989,  all'interno  della  caserma  sede  del  predetto
 reparto,   si  impossessava,  al  fine  di  trarne  profitto,  di  un
 martinetto idraulico, sottraendolo all'amministrazione  militare  che
 lo  deteneva;  con  l'ulteriore  aggravante  di  essere  un  militare
 rivestito di un grado (art. 47, n. 2, del c.p.m.p.).
                            FATTO E DIRITTO
    1. - Il caporalmaggiore Cortellazzi Luciano, chiamato a rispondere
 dinanzi a questo tribunale  militare  del  reato  di  furto  militare
 aggravato  (art.  230,  primo  e  secondo comma, del c.p.m.p.), si e'
 all'odierno dibattimento discolpato ribadendo quanto gia'  dichiarato
 nel  corso  dell'istruttoria: egli, nella caserma sede del reparto di
 appartenenza  in  Portogruaro,  il  10  settembre  1989,  notando  un
 martinetto  idraulico  posto  accanto  alle  ruote  di  un  automezzo
 militare,  se  ne   impossessava   allo   scopo   di   studiarne   le
 caratteristiche tecniche, con l'intenzione di restituirlo subito dopo
 aver soddisfatto tale esigenza. Tuttavia, il 12 settembre 1989  verso
 le  ore  14,30,  nel  corso  di  una  periodica "rivista al corredo",
 determinata   da   generiche   esigenze   di   controllo   da   parte
 dell'autorita'   militare,   il   suddetto  oggetto  veniva  rivenuto
 nell'armadietto del graduato da  parte  dei  superiori  gerarchici  e
 riconosciuto come appartenente all'amministrazione militare.
    Cio'   detto,   le  giustificazioni  dell'imputato  in  ordine  al
 proposito da lui avuto di mira, sin dal momento dell'impossessamento,
 di  restituire  la  cosa,  non  appaiono  infondate,  sia  in  quanto
 astrattamente compatibili con l'allegato interesse per  la  meccanica
 (nella vita civile, il giovane risulta essere impiegato tecnico), sia
 in quanto il breve lasso di tempo intercorrente tra l'impossessamento
 da  parte  dell'agente e il rinvenimento del citato attrezzo ad opera
 dell'autorita' militare, non smentisce l'intenzione  di  restituzione
 (si  consideri  anche  l'impegno profuso dal soggetto nel contempo in
 servizi di caserma e quindi  la  saltuarieta'  dell'applicazione  nei
 confronti dell'oggetto) sia, infine, alla luce della circostanza che,
 avendo il giovane fruito di libera uscita la sera  dell'11  settembre
 1989 ed essendo le "ispezioni" al corredo abituali e programmate, ben
 avrebbe avuto egli la possibilita'  di  trasferire  l'attrezzo  fuori
 dalla  caserma senza dover temere aventuali controlli, qualora la sua
 intenzione non fosse stata quella di restituire la cosa.
    Da quanto sopra esposto, si ricava il convincimento che, potendosi
 ritenere provato che l'impossessamento fu  sorretto,  oltre  che  dal
 dolo generico del reato di furto militare, dalla specifica intenzione
 di restituire l'attrezzo subito dopo l'uso, e che fino al momento del
 rinvenimento  di esso da parte dell'autorita' militare non intervenne
 alcun  mutamento  di  volonta',  il   fatto   sarebbe   riconducibile
 nell'ambito  di  applicazione  della norma di cui all'art. 233, primo
 comma, n.  1,  del  c.p.m.p.  (furto  militare  d'uso),  della  quale
 ricorrerebbero  tutti  gli  estremi, ad eccezione di quello oggettivo
 della restituzione della cosa,  non  avvenuta,  per  causa  di  forza
 maggiore (intervento dell'autorita' militare).
   Dottrina  e  giurisprudenza sono infatti dell'avviso che la mancata
 restituzione della cosa per caso fortuito e forza  maggiore,  imponga
 l'applicazione  della  normativa  del  furto  militare  (art. 230 del
 c.p.m.p.) in virtu' del principio secondo cui:  qui  in  re  illecita
 versatur  tenutur  etiam  pro  casu,  ed  in  base  al  quale sarebbe
 sufficiente il dolo della sottrazione e l'ompossessamento della  cosa
 mobile  altrui  per addebitare al soggetto anche eventi (quale, nella
 specie, la mancata restituzione dovuta ad intervento  dell'autorita')
 indipendenti ed estranei alla volonta' di quest'ultimo.
    Ne'  si  ritiene di poter in via meramente interpretativa superare
 il citato orientamento dottrinale e  giurisprudenziale,  pervenendosi
 alla  conclusione  dell'irrilevanza  della  restituzione  qualora sia
 provata  l'originaria  e  non   successivamente   mutata   intenzione
 dell'agente   di   effettuarla:   non  puo'  infatti  trascurarsi  di
 considerare che, in relazione  alla  stessa  fattispecie  di  diritto
 penale  comune  di  furto d'uso (art. 626, primo comma, del c.p.), la
 Corte  costituzionale  (sentenza  n.   1085/1988),   pur   confutando
 l'orientamento  della  citata  dottrina  e  giurisprudenza in tema di
 applicazione a detta norma del ricordato brocardo, ha  attribuito  ad
 esso,  dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  626,
 primo comma, n. 1, del  c.p.  nella  parte  in  cui  non  estende  la
 disciplina  ivi  prevista  alla  mancata  restituzione  dovuta a caso
 fortuito o forza maggiore della cosa sottratta, una rilevanza che non
 consente,  de  iure  condito, di concludere in via interpretativa che
 l'analoga fattispecie di cui all'art. 233, primo  comma,  n.  1,  del
 c.p.m.p.  sia applicabile anche alle ipotesi in cui in relazione alla
 mancata  restituzione  non   possa   addebitarsi   alcun   rimprovero
 all'agente.
    Ne  consegue  che  questo  collegio non puo' senz'altro modificare
 l'originaria imputazione di furto militare (art. 230, primo e secondo
 comma,  del c.p.m.p.) in furto militare d'uso (art. 233, primo comma,
 n. 1 del c.p.m.p.), norma che pur apparirebbe attagliarsi meglio alla
 specie, in quanto non puo' prescindersi dal requisito oggettivo della
 restituzione della cosa sottratta ed e' irrilevante che  tale  evento
 non si sia verificato per caso fortuito o forza maggiore.
    Cio'  tuttavia non esime questo giudicante dal sollevare un dubbio
 di legittimita' costituzionale di detto art. 233, primo comma  n.  1,
 del c.p.m.p. in riferimento agli artt. 27 e 3 della Costituzione.
    2.  -  In  relazione  al primo dei citati parametri costituzionali
 (art.  27  della  Costituzione),  il  Giudice  delle  leggi  ha  gia'
 ampiamente chiarito, pronunciandosi sulla norma penale "parallela" di
 cui all'art. 626, primo comma n. 1,  del  c.p.,  di  uguale  testuale
 formulazione,  che la regola di rimproverabilita' contenuta nell'art.
 27,  primo  comma,  della  Costituzione,  impone  che,  in  sede   di
 valutazione  della colpevolezza, i singoli elementi che costituiscono
 la pur  unitaria  fattispecie  penale  debbano  essere  singolarmente
 valutati ai fini del giudizio di rimprovero, che, solo se sussiste in
 relazione  a  ciascuno  di  essi,   soddisfa   il   requisito   della
 personalita' della responsabilita' penale.
    In particolare, se l'impossessamento della cosa e' elemento comune
 ad entrambe le fattispecie di furto militare e furto militare  d'uso,
 e' solo l'avvenuta restituzione a determinare l'applicazione del piu'
 mite trattamento sanzionatorio previsto da  tale  ultima  fattispecie
 criminosa.
    E'  quindi  evidente  che non puo' prescindersi, anche in ordine a
 tale evento, discriminante i due reati, da un'indagine  sull'elemento
 subiettivo  comportante  il rimprovero ex art. 27, primo comma, della
 Costituzione.
    Esso,  d'altro  canto,  non  puo' apoditticamente farsi risalire a
 quello  relativo  al  dolo  dell'impossessamento  della  cosa  mobile
 altrui, come sostenuto finora da dottrina e giurisprudenza secondo le
 quali il fondamento dell'addebitabilita' al  soggetto  della  mancata
 restituzione  dovuta  a  caso  fortuito a forza maggiore risiederebbe
 proprio nel valore negativo dell'atteggiamento psicologico  iniziale,
 integrante  di  per se' il requisito soggettivo di rimproverabilita':
 l'art. 27, primo comma della Costituzione esige invero che  "tutti  e
 ciascuno  degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore
 della fattispecie siano soggettivamente collegati all'agente  (siano,
 cioe',   investiti   dal   dolo   o   dalla  colpa)  ed  e'  altresi'
 indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano  allo
 stesso   agente   rimproverabili   e   cioe'   anche  soggettivamente
 disapprovati" (Corte costituzionale, sent. cit.).
    Si aggiunga, inoltre, che la normativa penale militare attualmente
 vigente,  prevedendo  in  caso  di  mancata  restituzione,  per  caso
 fortuito  o  forza  maggiore,  della  cosa  momentaneamente sottratta
 l'inquadrabilita' del fatto nella norma  penale  del  furto  militare
 (art. 230 del c.p.m.p.), comporta ope legis l'applicazione della pena
 accessoria della rimozione, non operante  invece  in  relazione  alla
 fattispecie  attenuata di cui all'art. 233 del c.p.m.p.: un'ulteriore
 e  non  trascurabile  effetto  gravatorio  viene   posto   a   carico
 dell'agente   militare,   come  nel  caso  di  specie,  per  la  sola
 circostanza  oggetiva  della  mancata  restituzione   e   senza   che
 acquisisca   rilievo  l'atteggiamento  psicologico  del  soggetto  in
 relazione a tale evento.
    3.  -  Quanto al principio costituzionale di cui all'art. 3 che si
 assume violato, non puo' non sottolinearsi l'evidente  disparita'  di
 trattamento  venutasi  a  creare,  a  seguito della piu' volte citata
 sentenza n. 1085/1988 della Corte costituzionale, tra il civile ed il
 militare   che,   impossessatisi   della   cosa   mobile  altrui  con
 l'intenzione di usarla momentaneamente ed  operare  la  restituzione,
 non  riescano,  poi  per caso fortuito o forza maggiore, a realizzare
 tale proprio intento: premesso infatti che le  fattispecie  criminose
 di  furto,  sia comune che d'uso, si differenziano nel diritto penale
 militare  rispetto  a  quello  comune  solo  per   taluni   secondari
 requisiti,  il  civile  viene,  de  iure  condito,  nel  caso  citato
 sottoposto al piu'  mite  trattamento  sanzionatorio  previsto  dalla
 norma del furto d'uso (art. 626, primo comma, n. 1, del c.p.), mentre
 il militare sottosta alla piu' rigorosa normativa penale prevista per
 il furto militare (art. 230, primo comma, del c.p.m.p.). Il contrasto
 con l'art. 3 della costituzione diviene, ancor piu' evidente  qualora
 si  consideri  poi  che  lo  stesso  civile,  qualora concorra con un
 militare  nell'impossessamento  in  luogo  militare  di  cosa  mobile
 appartenente  ad  altro  militare  o  all'a.m., con l'intenzione, non
 realizzatasi per caso fortuito  o  forza  maggiore,  di  restituirla,
 rispondere  di  furto militare (art. 230 del c.p.m.p.) e non di furto
 militare d'uso (art. 233, primo comma, n. 1, del c.p.m.p.): viceversa
 la  fattispecie criminosa "parallela" a quest'ultima (art. 626, primo
 comma, n. 1, del c.p.) gli verrebbe addebitata in  caso  di  concorso
 con  altro  soggetto  non avente la qualita' di militare o qualora il
 fatto avvenga anche in concorso con  un  militare  ma  non  in  luogo
 militare.
    Da   tali   dati   secondari   e   accidentali  consegue  pertanto
 l'inquadrabilita' del fatto in una fattispecie criminosa piu' grave o
 meno  grave, senza che appaia sussistente alcuna esigenza propria del
 consorzio militare tale da  rendere  razionale  e  giustificabile  la
 diversificazione del disvalore del fatto compiuto dal militare (o dal
 concorrente)  in  luogo  militare  ed   a   danno   di   militare   o
 dall'amministrazione   militare,   rispetto   a  quello  compiuto  da
 qualsiasi soggetto in mancanza di ulteriori connotazioni relative  al
 luogo ed al soggetto passivo.
    4.   -   Per   le  ragioni  esposte,  apparendo  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 233, primo comma, n. 1 del c.p.m.p. in relazione agli artt.
 3  e  27  della  Costituzione,  se  ne  rimette  l'esame  alla  Corte
 costituzionale, previa sospensione del procedimento in corso.