IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza; Ritenuto che; FATTO E DIRITTO Trimboli Rocco, gia' direttore della casa circondariale di Bergamo, con sentenza irrevocabile di questa corte d'appello in data 9 dicembre 1987 e' stato condannato alle seguenti pene: anni tre di reclusione per il reato di concussione, accertato in Bergamo in febbraio-maggio 1984; un mese di reclusione per il reato di falso commesso a Bergamo nell'ottobre 1983 e aprile 1984; un mese di reclusione per il reato di peculato commesso a Bergamo fino al giugno 1985; un mese di reclusione per altro reato di peculato commesso a Bergamo fino al 1985; due mesi di reclusione per altro reato di concussione commesso a Bergamo tra il 1977 e 1979; un mese di reclusione per il reato di peculato commesso a Bergamo fino al giugno 1985. In totale, tre anni e sei mesi di reclusione. La custodia cautelare subita dal 1ยบ luglio 1985 al 18 ottobre 1986 ha comportato un residuo di pena inferiore a due anni e pertanto, ai sensi degli artt. 47- ter e 47, quarto comma, dell'ord. penit., l'esecuzione della pena e' stata sospesa, stante le precarie condizioni di salute del Trimboli, (gia' accertate con perizia disposta da questo tribunale) e l'eta' di oltre sessantacinque anni. Il condannato ha presentato domanda di liberazione anticipata, affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare. La domanda principale e' quella relativa all'affidamento, misura piu' ampia e favorevole al condannato. Pregiudiziale appare la questione della ammissibilita' di tale domanda. Infatti, la pena "inflitta" con unica sentenza e' di anni tre e mesi sei di reclusione. Peraltro, nella specie, la parte gia' espiata comporta una pena residua inferiore a tre anni. Ma vi e' di piu' perche' per il reato-base piu' grave (quello di concussione) preso in considerazione dalla corte ai sensi dell'art. 81 capoverso, del c.p., e' stata fissata la pena detentiva di tre anni. Il Trimboli inoltre ha gia' espiato ampiamente la parte di pena irrogata per i reati meno gravi. La Corte costituzionale con la sentenza n. 386 del 4-11 luglio 1989 risolvendo una questione sollevata proprio da questo tribunale ha stabilito che non puo' considerarsi pena "inflitta" quella gia' espiata (e pertanto estinta), qualora irrogata con sentenze diverse. Nella specie la sentenza e' unica, ma si riferisce a reati diversi, che avrebbero potuto essere giudicati con sentenze diverse e separate. Ad avviso di questo collegio, la questione di costituzionalita' che si affaccia non e' manifestamente infondata e pertanto gli atti devono essere rimessi alla corte. L'art. 81 capoverso ha creato il reato continuato per introdurre nel sistema un trattamento penale piu' mite nel caso di concorso eterogeneo od omogeneo di reati (dopo la riforma attuata con d.-l. 11 aprile 1974, n. 99), qualora sussista il medesimo disegno criminoso, coefficiente psicologico indispensabile per legare tra di loro le varie violazioni di legge, dipendenti da piu' azioni od omissioni, commesse anche in tempi diversi. La riforma del 1974 rischia di cancellare il concorso dei reati facendolo assorbire, e' stato osservato, in una "evanescente continuazione criminosa", ma, indubbiamente, anche allo stato attuale del codice, rimane la distinzione tra concorso di reati e reato continuato. Nel primo caso si e' di fronte ad una pluralita' di reati, nel secondo ad un reato unico, almeno a certi effetti, in primis quello della pena. La Corte costituzionale, fin dalla sentenza n. 9 dell'8 febbraio 1966 e successivamente con la n. 217 del 30 dicembre 1972, la n. 34 del 18 gennaio 1977 e la n. 115 del 9 aprile 1987 e' intervenuta piu' volte sull'art. 81 del c.p. ma non risulta abbia mai affrontato il problema specifico delle concessioni tra la detta norma e quella di cui all'art. 47, primo comma, dell'ord. penit. E' ormai certo che il reato continuato a certi effetti va considerato unico, ad altri effetti come "piu' reati". La scriminante puo' essere ricercata nelle conseguenze piu' favorevoli al condannato, come principio generale. Ma ai fini della pena principale (e delle pene accessorie) il reato continuato deve essere considerato unico e cio' per concorde dottrina e giurisprudenza. I reati singoli riprendono la loro autonomia soltanto ai fini della estinzione a seguito di amnistia impropria e del condono (che estinguono la pena). Infatti, anche l'ultimo decreto di clemenza (d.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865), all'art. 8, ultimo comma, dispone che quando vi e' stata condanna ai sensi dell'art. 81 del c.p., il giudice, "applica l'indulto secondo le disposizioni del presente decreto", determinando la quantita' di pena condonata. Anche l'art. 53, ultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n.689, dispone che nei casi di cui all'art. 81 del c.p. si tiene conto dei limiti fissati per la sostituzione della pena detentiva "soltanto per la pena che dovrebbe infliggersi per il reato piu' grave". Se la sostituzione e' ammissibile soltanto per alcuni reati, il giudice deve determinare, ai soli fini della sostituzione, la parte di pena per i reati per i quali opera la sostituzione. Rimangono, peraltro ad avviso del collegio, del tutto incerti i confini tra la pena "unica" irrogata ai sensi dell'art. 81 del c.p. e la pena "inflitta" secondo l'art. 47, primo comma, dell'ord. penit. Sottolineare la prevalenza della pena unica anche agli effetti esecutivi-espiativi puo' essere una tentazione forte. Infatti, il trattamento sanzionatorio nel giudizio di cognizione riservato al condannato che fruisce dell'art. 81 capoverso citato e' molto piu' vantaggioso rispetto a chi non fruisce di detta disposizione. Ma se cosi' fosse, sarebbero lesi i principi di parita' e della pena risocializzante di cui agli artt. 3 e 27 della Costituzione, perche' agli effetti dell'affidamento in prova al servizio sociale la pena unica potrebbe, come nel caso di specie, rivelarsi negativa agli effetti del trattamento dell'interessato che, se fosse stato condannato con sentenze separate per reati eterogenei, avrebbe potuto aspirare ed ottenere l'affidamento (nonostante una pena complessiva quantitativamente superiore a quella irrogata con unica decisione) secondo il principio affermato dalla Corte con sentenza n. 386/1989. In altri termini, occorre chiedersi se l'identita' del disegno criminoso, che e' un vantaggio in sede di cognizione, possa trasformarsi in un chiaro svantaggio in sede di esecuzione. Occorre anche chiedersi se la "pena detentiva inflitta" debba riferirsi non alla sentenza in quanto tale considerata ma ai reati che la stessa ha ritenuto sussistenti pur, irrogando una pena unica.