ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 13, terzo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638, promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio 1990 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Salice Franca e la S.p.a. S.E.I., iscritta al n. 121 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1990; Visto l'atto di costituzione della S.p.a. S.E.I. nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 23 maggio 1990 il Giudice relatore Ugo Spagnoli. Ritenuto in fatto 1. - Decidendo circa la spettanza dell'indennita' di malattia di cui all'art. 2110 cod. civ. per un periodo di fruizione di cure idrotermali risultate rispondenti ad effettive esigenze terapeutiche ma non indilazionabili fino al periodo feriale, il Pretore di Torino, con ordinanza del 12 gennaio 1990, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, terzo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte in cui - secondo l'interpretazione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza n. 5634 del 1988) - pone a tal fine il requisito dell'indilazionabilita' delle cure, che a suo avviso porrebbe la norma in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 32, primo comma, 36, primo e terzo comma, 38, secondo comma e 102 primo comma, Cost. L'ordinanza prende le mosse dalle enunciazioni della sentenza di questa Corte n. 559 del 1987, con le quali nel concetto di "malattia" di cui all'art. 2110 cod. civ. sono state ricomprese le affezioni croniche ed e' stato riconosciuto che il diritto al relativo trattamento economico spetta - pur in assenza di un attuale impedimento al lavoro - qualora per le cure idrotermali disciplinate dal citato art. 13 sussistano "effettive esigenze terapeutiche o riabilitative", da intendersi nel senso che "risulti accertata la reale esigenza - per il conseguimento dei divisati scopi terapeutici o riabilitativi - che esse siano effettuate in periodo extraferiale". La citata sentenza delle Sezioni Unite, enunciando il principio di diritto secondo cui l'indennita' di malattia spetta solo ove sussista "l'accertata necessita', non dilazionabile sino alle ferie annuali o ai congedi ordinari, di sottoposizione del dipendente a specifici trattamenti idrotermali" - i quali debbano quindi essere eseguiti "con conveniente tempestivita' nel periodo extraferiale" - si sarebbe, secondo il Pretore, discostata dall'indirizzo della Corte, in quanto avrebbe in sostanza riesumato requisiti, quali la "necessita' non dilazionabile" e l'"indifferibilita'" delle cure, da questa definiti "impropri e troppo restrittivi". Intesa nel senso suddetto, la norma confliggerebbe, innanzitutto, con gli artt. 3 e 102 Cost. Essa, infatti, risulterebbe irragionevole giacche' - sostiene il giudice a quo - le cure idrotermali sono per loro natura sempre differibili, in quanto esse concorrono a migliorare, o a ritardare il decorso della patologia, senza che ne derivi un beneficio immediato, ne' un danno dalla loro procrastinazione. L'interessato, quindi, non potra' mai dimostrare il requisito dell'indifferibilita' - come dimostrerebbero le numerose decisioni di rigetto basate sul mancato assolvimento di tale onere probatorio -; e d'altra parte sarebbe impedita l'esplicazione della funzione giurisdizionale, dato che il giudice sarebbe chiamato ad applicare "una norma impossibile". Inoltre, costringere i soggetti affetti da malattie croniche a rinviare le cure termali significherebbe, di fatto, impedir loro di curarsi e quindi dar luogo ad un trattamento deteriore rispetto a quello delle malattie acute; a nulla rilevando, in proposito, l'efficacia solo coadiuvante e complementare delle cure in questione. Ne' sarebbe plausibile differenziare i malati cronici tra loro, sotto il profilo della differibilita' o meno delle cure, senza con cio' ledere il loro diritto alla salute. Sarebbero ancora violati, ad avviso del Pretore, gli artt. 3 e 36 Cost., dato che il lavoratore sarebbe posto in condizione di dover rinunciare o ad una retribuzione sufficiente e dignitosa o, alternativamente, alle ferie, con conseguente vanificazione della funzione di ristoro psico-fisico di queste. Del resto, la coincidenza tra le ferie e le cure idrotermali rispondenti ad effettive esigenze di cura e riabilitazione sarebbe da escludere alla stregua della sentenza di questa Corte n. 616 del 1987, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2109 cod. civ., nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo di ferie ne sospenda il decorso. 2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile - in quanto gia' risolta con la citata sentenza n. 559 del 1987 - o comunque infondata. A suo avviso, il requisito della non dilazionabilita' delle cure e' coerente con la motivazione di tale sentenza, laddove si afferma l'esigenza di "tempestiva fruizione" delle cure termali, si esclude che il lavoratore possa "essere costretto a rinviare ad altra epoca cure termali che, se effettuate prima, si rivelerebbero piu' efficaci", e si sottolinea l'esigenza che per esse siano, da sanitari qualificati, indicate "le effettive esigenze" che ne impediscono la fruizione in altro periodo. 3. - Anche la Societa' Editrice Internazionale S.p.a., convenuta nel giudizio principale, costituitasi a mezzo degli avv.ti C. N. Barone e S. Savasta Fiore, sostiene l'infondatezza della questione. A suo avviso, le interpretazioni della norma impugnata adottate da questa Corte e dalle Sezioni Unite della Cassazione sono pienamente coincidenti, in quanto anche la sentenza n. 559 del 1987, richiedendo che vi sia una reale esigenza di esecuzione delle cure termali in periodo extraferiale e sottolineando l'importanza di una motivata prescrizione al riguardo del medico specialista, ha in sostanza prospettato la distinzione tra cure differibili e non. Ne' tale distinzione potrebbe ritenersi incostituzionale, dato che sarebbe legittimo, nell'ambito del rapporto di lavoro, dettare regolamentazioni particolari a seconda del tipo di malattia. In una memoria aggiunta, poi, la S.E.I. sostiene che la questione sarebbe inammissibile, non solo perche' il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione sarebbe conforme alle enunciazioni della sentenza di questa Corte, ma anche perche' in caso contrario, non avendo l'interpretazione delle Sezioni Unite valore vincolante, il giudice a quo avrebbe dovuto adottare l'interpretazione da lui ritenuta corretta e non sollevare la questione di costituzionalita'. Questa sarebbe peraltro infondata, dato che corrisponde ad un razionale contemperamento degli interessi in gioco che le cure idrotermali siano fruite in periodo extraferiale solo se siano accertati e comprovati i requisiti di reale esigenza e conveniente tempestivita' enucleati dalle due Corti e condivisi dalla quasi unanime giurisprudenza di merito e dallo stesso legislatore, che ha al riguardo stabilito che la loro prestazione deve in tal caso iniziare entro 30 giorni dalla richiesta del medico curante (art. 1, ottavo comma, legge n. 8 del 1990). Considerato in diritto 1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Pretore di Torino dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 13, terzo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte in cui richiede, per la fruizione di cure idrotermali in periodo extraferiale con diritto alla retribuzione, la sussistenza di "effettive esigenze terapeutiche o riabilitative": cio' in quanto tale requisito sarebbe stato interpretato dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 5634 del 1988) in modo difforme da quanto ritenuto da questa Corte (sentenza n. 559 del 1987), e cioe' nel senso di richiedere la "necessita' non dilazionabile" e l'"indifferibilita'" fino alle ferie annuali delle suddette cure. Queste, secondo il giudice a quo, sono per loro natura sempre differibili: e percio' la disposizione, intesa nel predetto senso, risulterebbe irragionevole e porrebbe il lavoratore nell'impossibilita' di provare tale requisito (e quindi di godere dell'indennita' di malattia) ed il giudice nella condizione di dovere applicare "una norma impossibile", con cio' confliggendo con gli artt. 3 e 102, terzo comma, Cost. Risulterebbero violati, inoltre, gli artt. 3 e 32 Cost., in quanto il requisito in questione comporterebbe arbitrarie discriminazioni sia tra malattie acute e croniche, sia tra malattie croniche le cui cure siano o non differibili, con conseguente menomazione della tutela della salute. La disciplina contrasterebbe, infine, con gli artt. 3 e 36 Cost., in quanto il lavoratore sarebbe posto in condizioni di dover rinunciare o alle cure o alle ferie e verrebbe violata la regola - di cui alla sentenza di questa Corte n. 616 del 1987 - per cui la malattia insorta durante le ferie ne sospende il decorso. 2. - La questione non e' fondata. Essa poggia su un preteso contrasto tra la norma come interpretata dalle Sezioni Unite e il dettato costituzionale indicato da questa Corte nella sentenza n. 559 del 1987, che un'attenta lettura delle due pronuncie rivela insussistente. Il criterio guida, infatti, per entrambe le Corti discende dalla correlazione tra efficacia e tempestivita' delle cure, nel senso che si richiede non gia' l'assoluta necessita' di cure immediate, o comunque anticipate rispetto alle ferie, bensi' la loro maggiore utilita' ai fini di un piu' efficace conseguimento degli obiettivi terapeutici o riabilitativi di volta in volta perseguiti. Percio' il giudice a quo, quando basa le proprie censure di irragionevolezza e di impossibilita' di applicazione della norma impugnata sull'assunto secondo cui le cure idrotermali sarebbero "per loro natura sempre differibili, poiche' dalla loro effettuazione non deriva un beneficio immediato (ne' un danno immediato dalla loro procrastinazione)", incorre in un duplice errore. Sul piano clinico, sia perche' la maggiore efficacia di un trattamento termale tempestivo va misurata non sull'arresto o sulla risoluzione del processo morboso ma sulla funzione terapeutica o riabilitativa complementare che esso per lo piu' svolge; sia perche' in parecchi casi la tempestivita' gioca un ruolo rilevante, come ad esempio nelle malattie tendenti alla recidiva o quando sia richiesta una pronta riabilitazione. Sul piano giuridico, perche' il diritto a fruire di cure tempestive sussiste non solo quando, a giudizio del sanitario, se ne possa ricavare un beneficio (o evitare un danno) immediato, ma in tutti i casi in cui esse appaiono piu' utili ed efficaci rispetto allo scopo cui sono preordinate. Intesa in questi termini, la norma impugnata non e' ne' irragionevole, ne' di impossibile applicazione, ne' comunque tale da comportare speciali difficolta' sul piano probatorio: le quali possono agevolmente risolversi sol che i sanitari preposti adempiano al dovere che da esso deriva di esprimere uno specifico e motivato giudizio sulla maggiore efficacia ed utilita' della cura se effettuata in periodo extraferiale. Inoltre, una volta che sia assicurata la tempestivita' delle cure, vengono a cadere le ulteriori censure riferite agli artt. 3 e 32 Cost. Il diritto alla salute e' infatti adeguatamente tutelato, e le eventuali differenziazioni - quanto alla fruizione o meno delle cure in periodo extraferiale - tra malattie acute e croniche, ovvero nell'ambito di quest'ultime risultano razionalmente correlate alle esigenze di trattamento proprie delle singole manifestazioni morbose. 3. - Infondate sono, infine, anche le questioni che investono il rapporto tra le cure idrotermali e le ferie. Dal momento, infatti, che non e' vero che tali cure siano sempre differibili, ne' che sia normativamente prescritta la loro indifferibilita' per la fruizione in periodo extraferiale, viene a cadere l'assunto della costante, pratica coincidenza tra cure e ferie in base al quale il giudice a quo sostiene che il lavoratore, in violazione degli artt. 3 e 36 Cost., sarebbe posto nell'alternativa o di curarsi rinunciando alla ferie o di fruire di queste omettendo le cure. Vero e' invece che tale coincidenza si verifica quando le esigenze sanitarie non consiglino l'esecuzione delle cure in questione in periodo extraferiale; ed e' quindi con riferimento a tale sola ipotesi che va esaminata l'ulteriore censura di violazione dell'art. 36, terzo comma, Cost., che il giudice a quo prospetta argomentando dalla regola della sospensione delle ferie in caso di malattia insorta nel corso di esse, stabilita da questa Corte nella sentenza n. 616 del 1987. Sarebbe certamente artificioso negare l'effetto sospensivo osservando che nelle ipotesi qui esaminate non e' la malattia in se' ad incidere sulle ferie, bensi' le cure necessarie per dati processi morbosi che in quanto tali non ne impediscono normalmente la fruizione: cio' infatti equivarrebbe, nella sostanza, a riproporre rispetto alle ferie quell'arbitraria distinzione tra malattie acute e croniche che questa Corte ha espressamente rigettato nella sentenza n. 559 del 1987. Altrettanto artificioso sarebbe, pero', sostenere che l'effetto sospensivo si produca immancabilmente in virtu' della rilevata indistinguibilita', ai fini in esame, tra la malattia ed il suo momento curativo: giacche' in tal modo verrebbe aprioristicamente pretermessa ogni concreta verifica della effettiva incidenza delle cure sul godimento delle ferie, che e' invece essenziale per stabilire se e quando il principio costituzionale di cui all'art. 36, terzo comma possa dirsi violato. Entrambe le tesi si muovono in una prospettiva diversa da quella enunciata da questa Corte nelle citate sentenze nn. 559 e 616 del 1987: le quali convergono nell'additarne la soluzione in un adeguato bilanciamento degli interessi che muova dall'essenziale salvaguardia dei valori costituzionali in gioco. In questa prospettiva, il quesito circa l'effetto sospensivo si risolve in quello sulla compatibilita' dell'esecuzione delle cure idrotermali con la salvaguardia dell'essenziale funzione di riposo, recupero delle energie psico-fisiche e ricreazione propria delle ferie. L'esigenza di una disciplina di dettaglio enunciata nella sentenza n. 616 discende appunto da cio', che il principio dell'effetto sospensivo non ha valore assoluto, ma tollera eccezioni, per l'individuazione delle quali occorre aver riguardo alla specificita' degli stati morbosi e delle cure di volta in volta considerate. Certo, nel caso delle cure idrotermali, le caratteristiche della maggior parte delle affezioni per cui esse risultano appropriate e, soprattutto, le peculiari connotazioni modali delle relative terapie comportano che in diverse situazioni non si determina una compromissione della effettiva realizzazione delle finalita' feriali. In tali casi, l'incidenza sulla facolta' di scelta del modo di fruizione delle ferie - o piu' precisamente di una parte di queste - non e' che il riflesso del fatto che in concreto le esigenze terapeutiche non richiedevano che le cure si svolgessero in periodo extraferiale: sicche' il diniego dell'effetto sospensivo si giustifica per le medesime ragioni di legittimo bilanciamento di interessi gia' illustrate a tal riguardo nella sentenza n. 559 del 1987. Cio' non toglie, pero', che anche in materia di cure idrotermali l'effetto sospensivo delle ferie vada riconosciuto quando, in ragione della specificita' e/o gravita' della manifestazione morbosa ed altresi' (o altresi') delle modalita' del trattamento terapeutico o riabilitativo, l'essenziale funzione delle ferie possa dirsi in concreto pregiudicata. Spetta quindi alla disciplina di dettaglio - cioe' al legislatore e/o alla contrattazione collettiva - stabilire specificamente, sulla base degli anzidetti principi, i casi od i criteri in base ai quali l'effetto di sospensione delle ferie possa essere in concreto affermato, nonche' le modalita' dei relativi controlli. E poiche' la norma impugnata non e' di ostacolo ad una siffatta disciplina, essa - intesa nei predetti sensi - deve ritenersi immune da censura.