MOTIVAZIONE DELL'ORDINANZA 1. - La riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma, del c.p.p., per non risultare in contrasto con quanto sancito dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione (che, com'e' noto, attribuendo alla pena una funzione rieducativa, preclude al legislatore la possibilita' di introdurre delle norme sanzionatorie che assolvano a funzioni diverse da quella espressamente richiamata dallo stesso art. 27 citato) non puo' che considerarsi - cosi' come ha puntualmente messo in rilievo la sentenza n. 284/1990 della Corte costituzionale, - (una norma sanzionatoria che introduce) un trattamento di "favore" in ragione della condotta "processuale" tenuta dall'imputato. Invero, pensare che la diminuzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma, possa trovare la sua giustificazione soltanto nella "finalita' pratica di creare un incentivo alla richiesta di giudizi abbreviati da parte degli imputati", cosi' come sembrerebbe credere il legislatore, non e' plausibile, perche' e' evidente che in tal caso la "pena" sarebbe chiamata ad assolvere delle funzioni diverse da quella che ad essa sono attribuite dall'art. 25, terzso comma, della Costituzione. 2. - Se queste premesse non sono errate, la legge che disciplina il giudizio abbreviato, ed in particolare l'art. 442 del c.p.p. non puo' non considerarsi in contrasto con quanto sancito dagli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non consente al giudice che nonostante il consenso del p.m. alla richiesta di giudizio abbreviato presentata dall'imputato nei termini previsti dalla legge, per esigenze processuali, non ritiene si possa procedere con il rito abbreviato, di applicare, ove lo ritenga "giusto" la diminuzione di pena, a conclusione del giudizio ordinario. 3. - Invero, sotto questo profilo, non puo' non rilevarsi una palese: 3. a - disparita' di trattamento - v. art. 3 della Costituzione - tra l'imputato che puo' essere giudicato con il rito abbreviato e quello che, pur avendo espresso lo stesso "desiderio", e quindi tenuto lo stesso comportamento processuale, si vede preclusa questa possibilita', per esigenze magari "processuali" o tecniche, che sono del tutto indipendenti da lui; 3. b - violazione del diritto di difesa - v. art. 24 della Costituzione - trovandosi l'imputato "costretto" a demandare al giudice, chiamato a decidere sulla possibilita' di procedere allo stato degli atti, anche il delicato compito di valutare la possibilita' che un prosieguo dell'istruttoria in dibattimento magari volta ad accertare l'eventuale "innocenza" dell'imputato non si risolva in un'attivita' pregiudizievole per lo stesso imputato, che ha chiesto il rito abbreviato; 3. c - violazione del principio che attribuisce alla pena una funzione "rieducativa" - v. art. 25, secondo comma, della Costituzione - cosi' come gia' e' stato chiarito sub a). 4. - Ne' vale d'altra parte, contro questi rilievi obiettare che la richiesta di giudizio abbreviato puo' essere presentata per i motivi piu' disparati (tra i quali non ultimo puo' annoverarsi anche la richiesta dell'imputato che intende evitare che nel dibattimento possano essere raccolte delle prove, che non sono state acquisite durante le indagini) e che quindi nel caso sub 3. a, non si potrebbero parlare di disparita' di trattamento perche' diverse possono essere anche le situazioni prese in esame dalla legge, oppure anche, che la "modifica" dell'attuale normativa nel senso richiesto potrebbe portare tutti "gli imputati a richiedere il giudizio abbreviato, nella speranza che, comunque, la pena in caso di condanna potrebbe essere diminuita, ex art. 442 secondo comma, del c.p.p. Invero, se al primo rilievo e' agevole controbattere che nel caso in cui la richiesta dell'imputato dovesse essere dettata da "intenti" non meritevoli di un giudizio favorevole - come'' certo, per esempio, nel caso sopra ricordato - il p.m. potrebbe rilevarlo, motivando il proprio dissenso; alla seconda obiezione si puo' facilmente rispondere che lo scopo perseguito dal legislatore e' proprio quello di indurre il maggior numero possibile di imputati a "risolvere" la loro vicenda processuale mediante i cc.dd. riti alternativi. In altre parole, dunque, se per un verso la disciplina del "consenso" da parte del p.m. sta a dimostrare che le situazioni prese in considerazione dalla questione di legittimita' sollevata sub a) non possono non essere considerate identiche; per altro verso non si puo', ai fini che qui interessano, ricordare che piu' grandi sono gli incentivi, maggiori sono le possibilita' che la legge raggiunga la finalita' che si e' prefissa e cioe' quella di far diminuire i giudizi da celebrarsi secondo il rito ordinario. 5. - Un ultimo argomento a sostegno della soluzione proposta viene per altro dalla disciplina del c.d. "patteggiamento". Tenuto conto, infatti, della "similitudine" che esiste tra l'istituto del giudizio abbreviato e quello della "applicazione della pena su richiesta delle parti" non si puo' fare a meno di rilevare che proprio la disciplina contenuta nell'art. 448, che, com'e' noto consente al giudice di accogliere, nel caso in cui ritenga congrua la pena, la richiesta dell'imputato a conclusione del dibattimento, sembra stare a ribadire la "giustezza" della questione qui sollevata. 6. - In conclusione, dunque, cio' che appare contrario ai dettami costituzionali sopra richiamati e' la circostanza che la legge non consenta al giudice che ritiene, nonostante la richiesta di giudizio abbreviato dell'imputato ed il consenso del p.m., di non poter decidere allo stato degli atti, di applicare, ove lo ritenga opportuno, sempre in base ad un suo giudizio discrezionale, la diminuzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma, c.p., a conclusione del giudizio ordinario. Roma, addi' 4 luglio 1990 Il vice pretore onorario: BARTOLO 90C1060