LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso prodotto dalla signora Lussana Fabrizia, nata a S. Bonifacio (Verona) il 1º giugno 1949, ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell'avv. Rossi in via P.L. da Palestrina, 48, gia' insegnante di scuola artistica nella scuola media di Negrar (Verona), avverso il provvedimento, nota n. 21/151150/CI/82/R del 31 marzo 1983, con il quale il provveditore agli studi di Verona ha respinto la sua domanda di riscatto del periodo di studi di quattro anni presso l'Accademia di belle arti di Venezia per il conseguimento del diploma di scultura; RITENUTO IN FATTO Il richiesto riscatto e' stato denegato perche' il corso di studi presso l'Accademia di belle arti, non sfocerebbe in un diploma equiparabile a diploma di laurea, riscattabile ai sensi dell'art. 13 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092. Il ricorso si fonda principalmente sul fatto che il titolo in questione e' stato richiesto all'interessata, insieme al diploma di maturita' artistica, per l'ammissione all'insegnamento, e che l'interessata e' stata inquadrata in ruolo nel par. 280 dal 1º luglio 1976 in base alla tab. C, quadro secondo, annessa al d.-l. 30 gennaio 1976, n. 13; quadro che comprende i docenti in istituti secondari di primo grado per il cui insegnamento e' richiesto il diploma di laurea o quello d'istituto superiore. In udienza, peraltro, la discussione si e' quasi esclusivamente incentrata sulla questione pregiudiziale sollevata dal p.m. con le conclusioni scritte e cioe' dell'irrecivibilita' del ricorso perche' intempestivo (prodotto il 1º agosto 1986, con provvedimento notificato il 7 aprile 1983), ai sensi dell'art. 6 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, che prescrive il termine di novanta giorni dalla notifica per l'impugnativa dei provvedimenti in materia di riscatto. Sulla relativa questione di legittimita' costituzionale, sollevata dalla Sezione con due distinte ordinanze nn. 56423 del 7 novembre 1984 (caso Endrizzi Tito), e 57259 (caso Rouzi Maria Luisa), la Corte costituzionale si e' pronunciata negativamente - sia pure con diretto riguardo all'analogo art. 71, secondo comma, del r.d.-l. 3 marzo 1938, n. 680 - con ordinanza 852/1988; ma all'odierna udienza, difesa attrice e p.m. si sono trovati concordi nel chiedere una nuova rimessione della questione al giudice delle leggi, sotto il profilo, dei provvedimenti di riscatto adottati prima del decreto di pensione, che resterebbero soggetti al termine, e di coloro per i quali dovrebbe invece aver vigore il regime d'imprescrittibilita', proprio delle pensioni (ved. sentenza n. 8/1976 della stessa Corte costituzionale). CONSIDERATO IN DIRITTO La questione, puo' in effetti, essere riproposta al vaglio del giudice costituzionale, sotto profili parzialmente nuovi e che sembrano, comunque, piu' pregnanti. Si sgombra, anzitutto, il campo dalla considerazione, pur adombrata sia dall'avvocato di parte che dal p.m., secondo cui la Corte non avrebbe pronunciato sull'art. 6 della legge n. 46/1958: se non esplicita, tale pronuncia e' da ritenersi ovviamente implicita, infatti, in quella sull'art. 71, secondo comma, del r.d.l. n. 680/1938, a nulla rilevando di fronte alla prefissione del medesimo termine di novanta giorni per l'impugnativa dei provvedimenti di riscatto, la differenza che l'art. 71 si riferisca ai pensionati delle casse amministrate dagli istituti di previdenza, e l'art. 6, che qui viene propriamente in rilievo, ai pensionati statali. Si prende atto, naturalmente, delle affermazioni contenute nell'ordinanza n. 852 del giudice costituzionale, e cioe' che non contrasta con l'imprescrittibilita' del diritto a pensione il fatto che alcune vicende volte ad accertare i presupposti di consistenza quantitativa o perfino di esistenza del diritto a pensione si svolgano entro limiti temporali determinati, per volonta' del legislatore, purche' non tali, siffatti limiti, da impedire addirittura l'esercizio del diritto (come, appunto, il riscatto) riflesso in siffatte vicende; e che sussiste differenza di natura e struttura fra diritto di riscatto e diritto a pensione. E' su quest'ultimo punto che corre l'obbligo di porre in maggior risalto che la differenza - se c'e' - non e' tale, comunque, da determinare un diverso regime di azionamento dei due diritti. Infatti, con il riscatto, altro non si fa' che "riconoscere", non "determinare", la pensionabilita' di determinati periodi (tipico il diploma di laurea) in sostanza assimilabili a servizi propedeutici a parte ovvie differenze, non tanto nell'esistenza di un "contributo", che c'e' anche per i servizi veri e propri, quanto nelle modalita' e nei tempi oltre che nell'entita' del prelievo relativo. Negli effetti, i due istituti sembrano addirittura identificarsi (a parte il fatto che problemi di pensionabilita' sussistono anche per i servizi veri e propri, o assunti come tali); il riscatto apparendo strettissimamente finalizzato, anche in maniera determinante, alla pensione, la quale, del resto presuppone anch'essa un riconoscimento di pensionabilita'. In quest'ordine di idee sembra riproponibile l'argomentazione, seppur subordinata, relativa al fatto che, nella normativa precedente alla legge n. 46/1958, il provvedimento di riscatto non era impugnabile autonomamente (il che era segno quasi d'una riconosciuta fusione fra i due istituti), e che l'art. 6 della legge citata, nell'introdurre un termine specifico e autonomo d'impugnativa per il riscatto, non sembra averlo fatto nel riconoscimento quasi cogente d'una differenza di natura "essenziale", appunto fra riscatto e pensione. Viene qui particolarmente in risalto l'argomento del possibile diverso trattamento fra titolari di riscatti trattati con provvedimento autonomo ed altri di riscatti trattati congiuntamente con la liquidazione della pensione, sembrando oltretutto scarsamente pragmatico, oltre che poco logico, in quest'ultimo caso, far valere per l'uno (riscatto) il regime del termine di decadenza e per l'altra (pensione) quello dell'imprescrittibilita', nella contestualita' d'un provvedimento significativamente unico. Va rilevato che tale caso e' quello che si presenta piu' di frequente, essendo invalsa la prassi di considerare i problemi del riscatto (si consideri fra tutti quello del c.d. minimo influente) insieme a quelli della pensione, e al momento di questa, il che e' fra l'altro, indice non di differenza, ma di estrema connessione. Il contrasto della norma in questione, come di tutte quelle d'identico contenuto (e cioe', oltre il gia' citatto art. 71, secondo comma, del r.d.-l. n. 680/1938; l'art. 79 della legge 6 febbraio 1941, n. 176, l'art. 65 della legge 6 luglio 1935, n. 1035, l'art. 20 della legge 11 aprile 1955, n. 380), oltre che, come gia' rilevato, con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, si pone soprattutto con l'art. 3 della stessa. La manifesta rilevanza della questione sul ricorso in esame, induce a sospendere il relativo giudizio.