Ricorso  della  regione  autonoma  della  Sardegna,  in persona del
 presidente della giunta regionale pro-tempore, on.le  ing.  Antonello
 Cabras,  giusta  deliberazione della giunta regionale del 1½ dicembre
 1992, rappresentata e difesa - come da procura a margine del presente
 atto  -  dall'avv.  prof.  Sergio  Panunzio,  e  presso  quest'ultimo
 elettivamente  domiciliata  in  Roma, piazza Borghese n. 3, contro la
 Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente  del
 Consiglio  in  carica,  per  la  dichiarazione di incostituzionalita'
 degli artt. 13 e 13- ter, secondo comma, primo  comma,  in  relazione
 agli  artt.  9  e  10,  del  decreto-legge  19 settembre 1992, n. 384
 (recante "Misure urgenti in materia di previdenza, di  sanita'  e  di
 pubblico  impiego, nonche' disposizioni fiscali", convertito in legge
 14 novembre 1992, n. 438.
                               F A T T O
    Nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.  272  del  18
 novembre  1992 e' stata pubblicata la legge 14 novembre 1992, n. 438,
 recante - come detto in  epigrafe  -  la  conversione  in  legge  del
 decreto-legge n. 384/1992.
    Il  decreto-legge  n.  384/1992  -  nell'ambito di una complessiva
 manovra  finanziaria  diretta  a  fronteggiare  la  grave  situazione
 economica  e  finanziaria del paese - oltre ad adottare misure per il
 contenimento della  spesa  in  vari  settori,  contiene  anche  varie
 disposizioni dirette ad aumentare le entrate tributarie; disposizioni
 che sono contenute nel capo VI del medesimo "Disposizioni fiscali".
    Fra  tali disposizioni viene innanzitutto in evidenza, ai fini del
 presente ricorso, l'art. 9 del decreto-legge in questione. Questo, al
 primo comma, stabilisce che le disposizioni del primo e secondo comma
 dell'art. 3 del decreto-legge 2 marzo 1989,  n.  69  (disciplinati  i
 meccanismi  per  realizzare  la  c.d.  neutralizzazione del drenaggio
 fiscale), si applicano solo "limitatamente alle detrazioni di imposta
 e ai limiti di reddito" previsti negli artt. 12 e 13 del testo  unico
 delle  imposte  sui  redditi di cui al d.P.R. n. 917/1986: cioe' solo
 alle detrazioni di imposte e non piu' (come originariamente  in  base
 al  decreto-legge n. 69/89, convertito in legge n. 154/89) anche agli
 scaglioni delle aliquote.
    Conseguentemente, il secondo comma dell'art. 9  fissa  per  l'anno
 1993 le detrazioni di imposta ed i limiti di reddito (cui continua ad
 applicarsi la neutralizzazione del fiscal drag). Mentre il successivo
 terzo comma ridisciplina le aliquote per scaglioni di reddito (di cui
 al primo comma dell'art. 11 del t.u. n. 917/86), cui in base al primo
 comma  non si applica piu' il meccanismo di neutralizzazione del fis-
 cal drag, sostituendo quelle in vigore con effetto retroattivo dal 1½
 gennaio 1992 ("A partire dal periodo di imposta in corso alla data di
 entrata in vigore del presente decreto").
    Alla disciplina dell'art.  9  -  che  in  pratica  e'  diretta  ad
 aumentare  il  gettito  fiscale,  ridisegnando  la curva dell'IRPEF e
 ripristinando il fiscal drag - si aggiunge poi quella del  successivo
 art.  10  (intitolato "Nuova disciplina degli oneri deducibili") che,
 in particolare al primo comma, sostituisce la deduzione gia' prevista
 dalla legge per determinati oneri con una detrazione d'imposta (nella
 misura massima del 27 per cento dell'onere), ed ai  commi  successivi
 detta  altre  norme  in  argomento, anch'esse dirette ad aumentare il
 gettito tributario.
    In relazione  alla  suddetta  disciplina  dell'art.  9,  ed  anche
 dell'art.   10,   del   decreto-legge  n.  384/1992,  assume  rilievo
 determinante ai fini del presente ricorso il successivo art. 13 dello
 stesso  decreto-legge.  Tale  articolo  (intitolato  "Riserva   delle
 entrate  all'erario"),  contenuto  anch'esso nello stesso capo IV, al
 primo comma stabilisce che "1. - Le entrate  derivanti  dal  presente
 capo  sono  riservate  all'erario  e  concorrono, anche attraverso il
 potenziamento di strumenti antievasione, alla copertura  degli  oneri
 per il servizio del debito pubblico, nonche' alla realizzazione delle
 linee  di  politica economica e finanziaria in funzione degli impegni
 di riequilibrio del bilancio assunti in sede comunitaria". Al secondo
 comma lo stesso art. 13 stabilisce poi che  "2.  -  Con  decreto  del
 Ministro  delle  finanze,  di concerto con il Ministro del tesoro, da
 emanare entro sessanta giorni dalla data di  entrata  in  vigore  del
 presente  decreto, saranno definite, ove necessarie, le modalita' per
 l'attuazione di quanto previsto al primo comma".
    Giova ancora ricordare che, in sede di conversione  in  legge,  e'
 stato  aggiunto  al  decreto-legge  in  questione  un  art.  13-  ter
 ("Applicazione delle norme"), il quale stabilisce al primo comma  che
 "Le  disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni
 a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e  Bolzano  in
 quanto  non in contrasto con le norme dei rispettivi statuti e con le
 relative norme di attuazione" (mentre al secondo comma lo stesso art.
 13- ter aggiunte che "In ogni caso,  per  la  regione  Valle  d'Aosta
 l'individuazione   delle  entrate  di  cui  al  presente  capo  e  la
 determinazione del loro importo da  riversare  allo  Stato  avvengono
 previa intesa con il competente organo della regione medesima".
    Alla luce di quanto stabilito dal primo comma dell'art. 13- ter si
 potrebbe  ipotizzare  che  la disciplina legislativa sopra riportata,
 comportante la riserva allo Stato delle maggiori  entrate  tributarie
 derivanti  dagli  artt.  9 e 10, non sia applicabile (quanto meno non
 integralmente) anche alla regione autonoma  della  Sardegna,  perche'
 appunto  incompatibile  con le norme statutarie e d'attuazione che ne
 garantiscono l'autonomia finanziaria. Ma ove  cosi'  non  fosse  tale
 autonomia  risulterebbe violata. Per cui - almeno a scopo cautelativo
 - la regione Sardegna  impugna  con  il  presente  atto  le  suddette
 disposizioni  legislative,  perche' siano dichiarate incostituzionali
 in parte qua, per i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    Violazione, da parte degli artt. 13 e 13- ter, secondo  comma,  in
 relazione  agli  artt.  9  e  10,  del  decreto-legge  impugnato, dei
 principi costituzionali relativi  alla  autonomia  finanziaria  della
 regione Sardegna: spec. artt. 7, 8 e 54 dello statuto speciale (legge
 costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) e relative norme d'attuazione,
 nonche'  artt. 116 e 119 della Costituzione. Violazione del principio
 di leale collaborazione .
    1. - In base alle norme costituzionali sopra indicate  l'autonomia
 finanziaria   della   regione   Sardegna  (che  e'  l'imprescindibile
 presupposto dell'autonomo esercizio di tutte le  competenze  ad  essa
 costituzionalmente  attribuite)  si  fonda,  sotto  il  profilo delle
 entrate, sulla partecipazione  -  nella  misura  stabilita  da  norme
 costituzionali  -  al  gettito  dei  tributi  erariali  riscossi  nel
 territorio regionale. Tale partecipazione e' prevista e  disciplinata
 dall'art.  8  dello statuto speciale per la Sardegna (come sostituito
 dall'art. 1 della legge 13 aprile 1983, n. 122).
    In particolare l'art. 8, lett. a), dello  statuto  stabilisce  che
 spettano  alla  regione  "sette  decimi del gettito delle imposte sul
 reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone  giuridiche
 riscosse nel territorio della regione".
    Come  e'  evidente,  sia per la regione Sardegna, sia per le altre
 regioni ad autonomia speciale (e per le province autonome di Trento e
 di Bolzano), la cui autonomia  finanziaria  si  fonda  essenzialmente
 sulla   partecipazione  a  tributi  erariali,  la  garanzia  di  tale
 autonomia sta, da un lato,  nella  impossibilita'  per  lo  Stato  di
 procedere   (unilateralmente)   alla  modificazione  delle  quote  di
 partecipazione regionale, se non attraverso  procedure  di  revisione
 costituzionale  o,  comunque,  basate  su intese fra Stato e regione;
 dall'altro nell'applicazione della quota regionale a tutto il gettito
 derivante dal tributo erariale. Solo eccezionalmente (ove previsto da
 norme statutarie o d'attuazione) puo' essere consentito  che  aumenti
 di  gettito  conseguenti  a  modificazioni legislative disposte dallo
 Stato  siano  riservate  a  questo,  senza  entrare  nella  quota  di
 spettanza regionale.
    Tale   principio,  che  discende  direttamente  dalla  complessiva
 disciplina costituzionale della autonomia finanziaria della Sardegna,
 ed analogamente delle altre regioni a  statuto  speciale  e  province
 autonome,  e'  stato  anche  espressamente  -  seppure  variamente  -
 formulato in varie disposizioni di attuazione  di  statuti  speciali.
 Cosi', ad esempio, l'art. 4, primo comma, del d.P.R. 23 gennaio 1965,
 n.  114  (recante norme d'attuazione dello statuto del Friuli-Venezia
 Giulia); l'art. 2, primo comma del d.P.R. 26  luglio  1965,  n.  1074
 (recante  norme  d'attuazione  dello statuto siciliano); l'art. 8 del
 d.P.R. 26 novembre 1981, n. 690  (recante  norme  d'attuazione  dello
 statuto  Valle  d'Aosta);  e  da  ultimo  l'art.  9, primo comma, del
 decreto  legislativo  16  marzo  1992,  n.  268  (recante  norme   di
 attuazione  dello  statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto Adige in
 materia di finanza regionale e provinciale).
    Quest'ultima disposizione (particolarmente  significativa  perche'
 adottata  alla luce della elaborazione e del chiarimento dei principi
 nella autonomia finanziaria delle  regioni  avutesi  anche  ad  opera
 della  giurisprudenza costituzionale degli ultimi decenni) stabilisce
 che puo' essere riservato allo Stato "il maggior gettito derivante da
 maggiorazioni di aliquote o da altre modificazioni dei tributi  o  da
 nuovi  tributi  disposti  successivamente  all'entrata  in vigore del
 presente decreto" soltanto se tale maggiore  gettito  sia  "destinato
 per  legge  alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione,
 di nuove  o  maggiori  spese  che  non  rientrano  nella  materia  di
 competenza  regionale  o  provinciale,  ovvero  di  spese  relative a
 calamita' naturali".
    Come si e' detto, la giurisprudenza di  codesta  ecc.ma  Corte  ha
 avuto  occasione  piu' volte di affrontare tali problemi (per esempio
 sentenze nn.  47/1968,  49/1972,  61/1987;  ed  anche  nn.  381/90  e
 356/92).  Anche  da tale giurisprudenza si evincono taluni principi e
 criteri  che  valgono  a   garantire   il   rispetto   dell'autonomia
 finanziaria  delle  regioni  ad autonomia speciale. In particolare si
 evince che, specie allorquando non si tratti  di  tributi  nuovi,  il
 maggior  gettito  dei  tributi  erariali  conseguenti a modificazioni
 della relativa disciplina  legislativa  puo'  essere  riservato  allo
 Stato (e quindi sottratto alla quota di spettanza regionale) solo ove
 concorrano determinate condizioni. E queste sono costituite:
       a) in primo luogo dalla specificita' dello scopo, nel senso che
 la  riserva  allo  Stato disposta dalla legge deve essere finalizzata
 alla copertura di spese che  abbiano  uno  scopo  particolare  e  ben
 determinato,  e  che  siano  nello  stesso  tempo di competenza dello
 Stato;
       b) in  secondo  luogo  dalla  necessaria  determinatezza  anche
 temporale  della  riserva allo Stato stabilita dalla legge, nel senso
 che essa non puo' che avere valore di disciplina  provvisoria,  anche
 in  relazione  al  carattere  eventualmente  contingente  della spesa
 statale che la riserva e' destinata a finanziare (come  nel  caso  di
 spese relative a calamita' naturali).
    2. - Alla luce delle precedenti considerazioni, e' allora evidente
 la incostituzionalita' dell'art. 13 del decreto-legge impugnato.
    Incostituzionalita',  innanzitutto, per la genericita' dello scopo
 della riserva. Infatti, il primo comma dell'art. 13, oltre a disporre
 la riserva dello Stato delle  entrate  in  questione,  si  limita  ad
 aggiungere  che  esse concorrano a coprire gli "oneri per il servizio
 del  debito  pubblico",  nonche'  a  realizzare  "linee  di  politica
 economica e finanziaria in funzione degli impegni di riequilibrio del
 bilancio assunti in sede comunitaria".
    Ma  e' evidente che formule come quelle della copertura del debito
 pubblico o delle esigenze connesse al riequilibrio del bilancio  sono
 del  tutto generiche e stereotipe; comunque inidonee "ad identificare
 la specialita'  dell'impiego"  (sentenza  n.  61/1987)  del  provente
 tributario riservato allo Stato, come e' invece necessario secondo la
 giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte.
    Incostituzionale,  in  secondo luogo, risulta essere la disciplina
 legislativa in questione  per  il  fatto  che  essa  non  e'  neppure
 temporalmente  determinata.  Infatti  non  solo  la  disposizione che
 stabilisce la riserva allo Stato (art. 13,  primo  comma),  ma  anche
 quelle  contenenti  la nuova disciplina delle detrazioni, della curva
 delle aliquote, e degli oneri deducibili (artt. 9 e 10), pongono  una
 disciplina  che  non  solo  e'  in  parte  retroattiva (art. 9, terzo
 comma), ma che nel suo complesso e' comunque a  tempo  indeterminato.
 In  particolare  e'  a  tempo indeterminato la disciplina che riserva
 allo Stato le maggiori entrate derivanti dal "drenaggio fiscale".  Si
 tratta  cioe',  di  un  nuovo  definitivo  assetto  della  disciplina
 relativa  alla  ripartizione  fra  Stato  e   regioni   del   gettito
 dell'IRPEF, che peraltro, pur lasciando formalmente immutata la cifra
 della  quota  regionale  indicata  dallo statuto, ne deprime pero' le
 entrate sottraendo ad essa una  parte  del  gettito.  Ma  il  maggior
 gettito  derivante  cosi' allo Stato non e' in alcun modo configurato
 come  provvisorio  della   legge,   o   comunque   tale   da   dovere
 necessariamente   cessare   una   volta   raggiunti   quei   sia  pur
 genericissimi obiettivi di riequilibrio di  bilancio  richiamati  dal
 primo comma dell'art. 13.
    3.  -  Sotto  un  ulteriore  profilo  la incostituzionalita' della
 disciplina in questione appare tanto piu'  grave  per  il  fatto  che
 comunque  e'  praticamente  impossibile  distinguere,  ai  fini della
 garanzia del diritto della regione alla devoluzione  della  quota  di
 spettanza,  fra  l'effettivo gettito complessivo dell'IRPEF che sara'
 accertato in  applicazione  della  nuova  disciplina;  ed  invece  il
 gettito   risulterante   per  normale  incremento,  indipendentemente
 dall'aumento conseguente alla nuova disciplina (e quindi  soprattutto
 al  fiscal  drag), su cui si dovrebbe calcolare la quota di spettanza
 della regione. Infatti unica e'  la  procedura  di  accertamento  del
 reddito    in    cui    confluiscono    sia   l'elemento   costituito
 dall'incremento-decremento dei redditi, da un  lato,  sia  dall'altro
 gli  elementi  della eliminazione degli strumenti di neutralizzazione
 del drenaggio fiscale, della nuova  disciplina  delle  detrazioni  di
 imposta  e degli oneri deducibili, e della nuova curva delle aliquote
 per scaglioni (artt. 9 e 10) che invece -  in  base  al  primo  comma
 dell'art. 13 - operano solo a favore dello Stato cui sono riservati i
 relativi aumenti di gettito.
    La  legge,  in  realta',  non  offre  alcuno strumento per operare
 praticamente la distinzione suddetta. Il che significa che  la  legge
 non   garantisce   neppure   che   alla   regione   venga  attribuita
 integralmente la quota del gettito ad essa assegnato  dallo  statuto,
 indipendentemente   dagli   aumenti   di   gettito  conseguenti  alla
 disciplina contenuta negli artt. 9 e 10 del decreto-legge impugnato.
    Vero e' che - come si e' detto - il  secondo  comma  dell'art.  13
 demanda  ad  un  decreto  al  Ministro delle finanze, di concerto con
 quello del tesoro di  definire  le  modalita'  per  "l'attuazione  di
 quanto previsto dal primo comma" (cioe' della riserva allo Stato). Ma
 questo,  allora, costituisce di per se' un ulteriore e grave vizio di
 costituzionalita' dell'art. 13. Infatti, cosi' disponendo,  la  legge
 demanda  ad  un  atto  amministrativo di disporre la disciplina della
 ripartizione   fra   Stato   e   regione   ricorrente   delle   quote
 rispettivamente  spettanti; e quindi, in sostanza, affida al Ministro
 la determinazione delle entrate finanziarie della regione.
    Cio', di per se', costituisce una grave violazione  dell'autonomia
 finanziaria  della regione e delle norme costituzionali gia' indicate
 su cui essa si fonda (artt. 8, lett. a), dello statuto sardo,  e  119
 della Costituzione).
    Ma  vi  e'  anche una patente violazione della riserva di legge (e
 comunque del principio di legalita') ex art. 119  della  Costituzione
 (secondo   quanto   affermato   dalla   giurisprudenza   di   codesta
 eccellentissima Corte: sentenze nn. 162/1982, 307/1983  e  382/1990),
 attesa la mancanza nella disposizione legislativa impugnata (art. 13,
 secondo  comma) di un qualsivoglia criterio che valga in qualche modo
 a limitare la discrezionalita' del Governo.
    La  disposizione  del  secondo  comma  dell'art.  13   e'   infine
 incostituzionale  perche'  viola il principio di leale collaborazione
 che, secondo  un  costante  insegnamento  di  codesta  ecc.ma  Corte,
 informa  i  rapporti  fra Stato e regioni. E' inammissibile, infatti,
 che il decreto del Ministro delle finanze ivi previsto venga  emanato
 senza  una  previa  intesa  con  la  regione,  o comunque una qualche
 procedura collaborativa.
    4. - Infine un'ultima censura va formulata,  in  via  subordinata,
 nei confronti della disciplina legislativa impugnata, che anche sotto
 un  ulteriore  profilo  appare  non rispettosa del suddetto principio
 costituzionale di leale collaborazione.
    Infatti, ammesso e non concesso che la riserva allo Stato  di  cui
 all'art.  13  sia  applicabile  anche  alla  regione  autonoma  della
 Sardegna (nonostante quanto stabilito dal primo comma  dell'art.  13-
 ter); ed ammesso pure, in denegata ipotesi, che cio' possa di per se'
 ritenersi  compatibile  con  l'autonomia  finanziaria  della regione,
 costituzionalmente  garantita;  resta  comunque  il  fatto   che   la
 individuazione  delle  entrate  soggette  alla riserva a favore dello
 Stato, e la determinazione del loro importo da riservare allo  Stato,
 avrebbe  comunque dovuto essere demandata ad una previa intesa fra lo
 Stato e la regione ricorrente (analogamente  a  quanto  si  e'  detto
 precedentemente  in  relazione  al  secondo comma dell'art. 13). Tale
 necessaria conseguenza del principio di leale collaborazione e  delle
 esigenze   connesse   con   la   specialita'   dell'autonomia  (anche
 finanziaria) della regione Sardegna trova del  resto  conferma  nella
 previsione  dell'intesa  che  al  riguardo  e' prescritta dal secondo
 comma dell'art. 13- ter, ma solo per la regione Valle d'Aosta.  Anche
 tale disposizione, dunque, e' incostituzionale nella parte in cui non
 prevede l'intesa con la regione ricorrente.
    Avvalora  tale  convincimento il fatto che, al di la' dell'aspetto
 formale e letterale, la  disciplina  legislativa  impugnata  modifica
 sostanzialmente  -  come si e' visto - la disciplina statutaria della
 ripartizione  fra  Stato  e  regione  del  gettito  dell'IRPEF,  come
 stabilita  dall'art.  8,  lett.  a),  dello statuto sardo. Ma proprio
 l'art. 54, quarto comma, dello statuto, facendo applicazione espressa
 del principio di leale collaborazione, stabilisce che le disposizioni
 del titolo III dello statuto (in cui e' ricompreso l'art. 8)  possono
 si'  essere  modificate dallo Stato con legge ordinaria, ma solo dopo
 che sia stata "sentita la regione". Ma nel caso in  questione  nessun
 parere in merito e' stato richiesto alla regione Sardegna.