ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti  delle
 persone  pericolose  per  la  sicurezza e per la pubblica moralita'),
 promosso con  ordinanza  emessa  il  6  marzo  1992  dalla  Corte  di
 cassazione  nel  procedimento penale a carico di Santoriello Antonio,
 iscritta al n. 299 del registro ordinanze  1992  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  23, prima serie speciale,
 dell'anno 1992;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Ritenuto che nel corso di un giudizio in cui il  ricorrente  aveva
 impugnato  un  decreto della Corte d'appello di Salerno, confermativo
 della  misura  di  prevenzione  comminatagli  -   consistente   nella
 sorveglianza   speciale  della  pubblica  sicurezza  con  divieto  di
 soggiorno nei comuni delle  Regioni  Campania,  Lazio,  Basilicata  e
 Calabria  -  la  Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 6 marzo
 1992, ha sollevato, in riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 27
 dicembre 1956, n. 1423;
      che il giudice a quo osserva come la norma  stessa  inizialmente
 descrivesse tre ipotesi di pericolosita' sociale (normale, intermedia
 e  particolare)  riferibili  ai  soggetti  previsti nell'art. 1 della
 legge medesima nonche' agli indiziati di appartenenza ad associazioni
 di tipo mafioso ex art. 1 della legge 31 maggio 1965,  n.  575,  alle
 quali  si  correlano,  rispettivamente,  la sorveglianza speciale, la
 sorveglianza con il divieto  di  soggiorno  ed  infine  l'imposizione
 dell'obbligo di soggiorno;
      che,  a  parere  del  giudice  rimettente,  il  suddetto  quadro
 normativo avrebbe subito uno sconvolgimento  con  l'emanazione  degli
 artt.  20  e  24  del  decreto-legge  n.  152  del  1991, i quali non
 prevedono piu' - sia pure allo scopo di evitare infiltrazioni mafiose
 in  altre  parti  del  territorio  -  il divieto di soggiorno per gli
 indiziati  di  appartenenza  ad  associazioni   mafiose,   certamente
 "portatori di una carica di pericolosita' sociale piu' allarmante" di
 quella di coloro che possono invece ancora essere assoggettati a tale
 misura;
      che  e'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  dello  Stato,   la   quale
 preliminarmente  ha contestato il presupposto ermeneutico della Corte
 di cassazione ed eccepito l'inammissibilita' della questione;
      che, secondo l'Avvocatura, il trattamento riservato ai  soggetti
 indicati  nell'art.  1,  numeri 1) e 2), della legge n. 1423 del 1956
 sarebbe parificato a quello dei presunti mafiosi, con  esclusione  di
 ogni disparita';
      che,  infine,  a  parere  dell'Autorita'  intervenuta, l'opzione
 legislativa, motivata dal  rischio  di  "esportazione"  del  fenomeno
 mafioso,  avrebbe eliminato la misura del divieto di soggiorno non in
 una logica di tutela dei soggetti  interessati,  ma  per  ragioni  di
 politica  criminale fondate sulla specificita' del fenomeno mafioso e
 pertanto sarebbe da escludere  la  comparabilita'  delle  situazioni,
 rispettivamente,  del mafioso, al quale si applicherebbe l'obbligo di
 soggiorno (con la scelta se  nel  comune  di  residenza  o  in  altro
 comune)  e  del  non-mafioso al quale sarebbe comminato il divieto di
 soggiorno;
    Considerato che l'ordinanza di rimessione, oltre  a  non  motivare
 circa  la  rilevanza  della  questione,  non  offre  elementi  atti a
 consentire una completa valutazione  della  fattispecie  oggetto  del
 giudizio a quo;
      che,  in  particolare,  non  e'  dato  conoscere  -  come rileva
 esattamente l'Avvocatura dello Stato e come appare piu'  probabile  -
 se  il  caso  in esame riguardi una delle ipotesi di pericolosita' di
 cui ai numeri 1) e 2) dell'art. 1 della legge n. 1423 del 1956 ovvero
 la categoria dalla stessa norma contemplata sub 3);
      che,  in  riferimento  alla  prima   delle   due   eventualita',
 risulterebbe  applicabile  l'art.  19  della legge 22 maggio 1975, n.
 152, come modificato dall'art. 13 della legge 3 agosto 1988, n.  327,
 il  quale estende le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575,
 alle persone qualificate pericolose a termini dei citati numeri 1)  e
 2);
      che,  cio' premesso, verrebbe altresi' in evidenza l'art. 24 del
 decreto-legge 3 maggio 1991, n. 152 (convertito in  legge  12  luglio
 1991,  n.  203)  dettato per regolare la situazione di chi - versando
 nelle condizioni soggettive di cui sopra - si trovasse  sottoposto  a
 divieto di soggiorno;
      che,  pertanto,  il  sindacato  richiesto a questa Corte riveste
 un'efficacia meramente ipotetica nel giudizio  in  corso  davanti  al
 giudice  a quo, onde il giudizio di costituzionalita' non puo' essere
 ammesso;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;