IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3953/9/0 proposto da regione Lombardia, rappresentata e difesa dagli avvocati Fortunato Pagano e Vitaliano Lorenzoni ed elettivamente domiciliata presso il secondo in Roma, via Alessandria, 130, contro il Comitato interministeriale per la programmazione economica - CIPE, e Comitato per l'edilizia residenziale, in persona dei rispettivi presidenti pro-tempore, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato e la Presidenza del Consiglo dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro- tempore, e Ministeri dei lavori pubblici e del bilancio e programmazione economica, in persona dei rispettivi ministri pro- tempore, non costituitisi in giudizio, e nei confronti della regione Campania, in persona del presidente della g.r. pro-tempore, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall'avv. Mario Gianni Bocchini e presso il medesimo elettivamente domiciliata in Roma, via del Tritone, 61, e delle regioni: Abruzzo, Lazio, Toscana, Marche, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, non costituitesi in giudizio, per l'annullamento della delibera CIPE 26 giugno 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 201 del 29 agosto 1990 avente ad oggetto "Direttive per il programma di edilizia residenziale pubblica per il biennio 1988-89 ai sensi dell'art. 22, secondo comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67", nonche' di ogni atto al primo preordinato, connesso o conseguente, limitatamente alla riserva a favore del Mezzogiorno del 70% dell'intero gettito dei contributi Gescal, ivi compresa la proposta del Ministero dei lavori pubblici, segretario C.E.R., del Ministero del bilancio e il parere formulato dalla conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Cipe e Cer, nonche' della regione Campania; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti di causa; Nominato relatore, alla pubblica udienza del 1 luglio 1992 il cons. Paolo Buonvino; Uditi, l'avv. Pagano per la regione ricorrente e l'avv. Bocchini per la regione Campania; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con sentenza 26 aprile 1989, n. 241, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 22, secondo comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (legge finanziaria 1988) nella parte in cui non assegna all'edilizia residenziale pubblica, per la costruzione di abitazioni per i lavoratori dipendenti, l'intero gettito - e non le sole quote residue - dei contributi dovuti ai sensi del primo comma, lettere b) ed e), dell'art. 10 della legge 14 febbraio 1963, n. 60. Nel ripartire i fondi cosi' recuperati all'e.r.p., le amministrazioni interessate hanno, peraltro - previo parere, sul punto, del Consiglio di Stato - conservato alle regioni del Mezzogiorno la percentuale del 70% ad esse riservata dallo stesso citato art. 22, secondo comma. Assume la regione ricorrente, con il primo motivo di ricorso, che la determinazione in tal senso, in questa sede gravata, sarebbe illegittima in quanto la pronuncia della Corte avrebbe travolto anche quella parte della norma che riserva, appunto, alle regioni del Mezzogiorno la citata percentuale del 70%, questa - una volta caduto il carattere residuale delle somme destinate all'e.r.p. - dovendosi pure ritenere venuta meno ed eliminata dal contesto logico della norma, con la conseguente reviviscenza, in parte qua, del previgente tessuto normativo, che riservava alle regioni del Mezzogiorno una percentuale non inferiore al 40% dei proventi in parola (c.d.d. contributi Gescal). Sostiene, in particolare, la ricorrente, che la Corte non e' stata investita dei problemi di ripartizione dei fonti; cio' premesso, si osserva ancora, la norma che disponeva la riserva del 70% delle quote residue non potrebbe che essere considerata una norma eccezionale e temporanea; essa, invero, sarebbe priva di propria autonomia e si presenterebbe, piuttosto, come mera appendice della disposizione principale, ora cassata dalla Consulta: la norma di decurtazione della maggior parte dei contributi Gescal sottratti al finanziamento dell'edilizia e riservati alle entrate ordinarie del bilancio statale. La norma generale cui occorrerebbe ancora fare riferimento per il riparto dei contributi Gescal ora reintegrati sarebbe, percio', la norma di cui alla lett. e) dell'art. 2 della legge n. 457/1978. E sarebe questa, secondo l'assunto attoreo, la disposizione da applicare nella specie; disposizione che, invece, risulterebbe violata dalla deliberazione impugnata in quanto la parte del secondo comma dell'art. 22 della legge n. 67/1988, relativa alle quote resi- due, non potrebbe certo considerarsi autonoma rispetto alla precedente parte dello stesso comma, e quindi non potrebbe che considerarsi anch'essa cancellata dall'ordinamento in seguito alla sentenza della Corte. In altri termini, si deduce ancora, dal momento che l'intero gettito dei contributi deve essere utilizzato ai fini di edilizia residenziale pubblica per lavoratori dipendenti, sarebbe venuta meno anche l'eccezionale disciplina del riparto delle quote residue; ormai non si avrebbero, infatti, piu' quote residue e, quindi, non potrebbe essere invocata la disciplina eccezionale inserita nella legge n. 67/1988 ai soli fini dell'utilizzazione delle quote residue, disciplina non certo applicabile al riparto dell'intero gettito dei contributi Gescal. Ritiene, in particolare, la ricorrente che potrebbe, tutt'al piu', considerarsi conforme ai criteri di ragionevolezza ed in base al principio di solidarieta' la riserva a favore del Mezzogiorno di una quota del 40% del gettito dei contributi, giusta gli assetti normativi sopra richiamati, in quanto tale riserva potrebbe essere imputata a una sorta di presunzione legislativa della sussistenza di un maggiore fabbisogno nell'indicata parte del territorio nazionale; ma del tutto vani risulterebbero sforzi analoghi per giustificare una riserva del 70%: a maggior ragione se, come nel caso di specie, tale percentuale deve essere considerata il 70% non delle quote residue dei contributi, ma dell'intero monte contributivo. Si solleva, infine, censura di violazione alternativamente dell'art. 30 ovvero degli artt. 92 e 93 del trattato C.E.E. (legge 14 ottobre 1957, n. 1203), il che comporterebbe o l'annullamento diretto da parte del giudice italiano chiamato e abilitato ad annullare in via diretta gli atti amministrativi in contrasto con il diritto comunitario, ovvero la rimessione della questione incidentale alla Corte di giustizia della Comunita' ai sensi e per gli effetti dell'art. 177 del trattato stesso, ovvero infine la rimessione alla Corte costituzionale per violazione dell'art. 11 della Costituzione da parte dell'art. 22 della legge n. 67/1988. In sostanza, assume ancora la ricorrente regione, malgrado la Corte costituzionale non si sia pronunciata sulla parte del secondo comma dell'art. 22 relativo all'utilizzazione delle quote residue, la stessa (stante la sopra indicata sua evidente e totale dipendenza dalla disposizione che dirottava sul bilancio dello Stato, nelle sue poste generali di entrata, larga parte dei prelievi) sarebbe venuta meno per l'effetto additivo principale, data l'impossibilita' della sua applicazione per scomparsa del soggetto e del quid cui risultava riferita la disposta percentuale. Percio', si conclude, avrebbe dovuto essere applicata la disposizione di cui al primo comma lett. e) dell'art. 2 della legge n. 457/1978 in relazione alla quota di riserva destinata al Mezzogiorno nel regime precedente la legge n. 67/1988, cioe' determinandosi detta quota nel 40% dell'intero ammortamento dei contributi Gescal. In subordine, denuncia la ricorrente l'illegittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 22, primo comma, della legge n. 67/1988, ove dovesse essere interpretata nei sensi sopra contestati, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Sarebbe palese, infatti, che una maggiore e differenziata assegnazione di fondi destinati a determinare maggior volume di investimenti in opere di edilizia residenziale pubblica nelle regioni del Mezzogiorno, si tradurrebbe, inevitabilmente in un conseguente incremento di accessibilita' ai pubblici appalti, sia in termini di realizzazione diretta di quelle opere, sia in termini indotti di forniture complementari in favore di talune imprese rispetto ad altre. Dopo la sentenza della Corte costituzionale, e secondo l'interpretazione data dal provvedimento C.I.P.E. qui impugnato, il riparto dei contributi Gescal configurerebbe, invero, un regime di vero e proprio aiuto discriminante, costituente misura equivalente alle restrizioni quantitative alla libera circolazione dei beni e dei servizi (con violazione dell'art. 30 del trattato C.E.E.), o comunque favorente talune imprese e talune produzioni falsando o minacciando di falsare la concorrenza (con violazione dell'art. 92), o infine costituente aiuto che e' attuato in modo abusivo (art. 93). Il Cipe ed il Cer, ritualmente costituitisi in giudizio insistono, in memoria, per il rigetto del ricorso. Del pari insiste per la reiezione del ricorso la regione Campania, pure costituitasi in giudizio per resistere alle avverse pretese, ampiamente ribadite dalla parte ricorrente anche in sede di memoria conclusionale. D I R I T T O 1. - Si impugna, con il ricorso in epigrafe, la delibera del C.I.P.E. del 26 giugno 1990 avente ad oggetto "direttive per il programma di edilizia residenziale pubblica per il biennio 1988-89 ai sensi dell'art. 22, secondo comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67", limitatamente alla riserva, a favore del Mezzogiorno, del 70% dell'intero gettito dei c.d. contributi Gescal. Prevedeva, in particolare, l'art. 22, secondo comma, cit., che, per l'anno 1988 i contributi di cui all'art. 10, primo comma, lettere b) e c) della legge 14 febbraio 1963, n. 60, "dovuti con riferimento ai periodi di paga decorrenti dal 1 gennaio 1988 sono riversati dalla Cassa depositi e prestiti all'entrata del bilancio dello Stato nella misura di lire 1.250 miliardi. Per l'anno 1989, e sino al 1992, essi sono riversati all'entrata del bilancio dello Stato nella misura di lire 1.000 miliardi annui. Le quote residue restano assegnate all'edilizia residenziale pubblica per la costruzione di abitazioni per i lavoratori dipendenti, con una riserva del 70% per i territori del Mezzogiorno". Sottoposta, la norma anzidetta, al vaglio della Corte costituzionale, nella parte in cui sottraeva cospicue somme dalla destinazione all'e.r.p. per destinarle al bilancio dello Stato, essa e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima - sentenza 26 aprile 1989, n. 241 - "nella parte in cui assegna all'edilizia residenziale pubblica, per la costruzione di abitazioni per i lavoratori dipendenti, l'intero gettito - e non le sole quote residue - dei contributi dovuti ai sensi del primo comma, lettere b) e c), dell'art. 10 della legge 14 febbraio 1963, n. 60". A seguito della sentenza ora detta, il Cer, nella seduta del 6 luglio 1989, ha provveduto al riparto delle disponibilita' reinte- grate a seguito della sentenza stessa, destinando, alle regioni del Mezzogiorno, una quota pari al 48%, in applicazione del disposto dell'art. 2, lett. e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, essendo venuta meno la ratio di riservare alle regioni meridionali il 70% previsto dalla legge, ma con riferimento alle quote residue. Il Ministero del bilancio e programmazione economica, peraltro, in considerazione dell'incertezza delle norme giuridiche e della delicatezza della materia, ha preferito sottoporre la soluzione adottata dal Cer al preventivo parere del Consiglio di Stato. Il supremo organo consultivo ha espresso, sul punto, il seguente avviso: "la riserva del 70% per i territori del Mezzogiorno del monte contributivo di cui all'art. 10 della legge 14 febbraio 1963, n. 60, venne stabilita dall'ultima parte del secondo comma dell'art. 22 della legge 11 marzo 1988, n. 67, per tutto il periodo della prolungata validita' di tale obbligo contributivo per i lavoratori dipendenti, ovvero sino al periodo di paga in corso al 31 dicembre 1992. Si deve quindi in primo luogo osservare che la tesi secondo la quale la detta riserva risponde a degli obiettivi di politica economica in base a priorita' contingenti e' smentita dalla pluriannualita' della previsione che ne fa sostanzialmente una misura di medio periodo, come tale non piu' legata a fattori transeunti. Ne' d'altro canto ritiene la sezione che la ratio legis possa essere identificata nella volonta' di attribuire alle regioni del Mezzogiorno una riserva superiore al 40% previsto come minimo dall'art. 107 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 213, solo in connessione con la contemporanea sottrazione al monte contributivo di una cospicua somma (1.250 miliardi per il 1988 e 1.000 per gli anni successivi sino al 1992), quasi cioe' a voler "compensare" le regioni meridionali in un periodo di stretta finanziaria. Tale tesi non puo' essere condivisa proprio in virtu' del meccanismo agevolativo che la legge ha previsto per le regioni meridionali a fronte del resto d'Italia. In altri termini il legislatore non ha mai inteso, nella normativa precedente, attribuire al Mezzogiorno somme in assoluto de- terminate, ma ha sempre voluto solo garantire che una parte cospicua, predeterminata e proporzionalmente maggiore di fonti finanziarie fosse riservata alle regioni ricomprese in una determinata area, con cio' prescindendo dall'effettivo ammontare assoluto del finanziamento, ma comunque garantendo una voluta sproporzione tra nord e sud atta a privilegiare quest'utimo rispetto a regioni a torto o ragione considerate piu' ricche. L'abbandono di un tale criterio proporzionalistico non e' certo interdetto al legislatore, ma sicuramente esso andrebbe perseguito con una normativa piu' chiara ed esplicita, che non si ritiene affatto di individuare in una norma che continua ad esprimersi in termini di percentuale riservata. Nulla pertanto induce a ritenere, ne' nella lettera, ne' nella ratio della norma, che la percentuale del 70% di riserva ivi esplicitamente prevista possa essere in sede di interpretazione ridotta ad una misura in sostanza arbitraria, sol perche' a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 241 del 13-26 aprile 1989 l'ammontare in termini assoluti dell'intero sia lievitato. Si deve pertanto concludere che la riserva del 70% di cui al secondo comma dell'art. 22 in esame sia da applicare altresi' in occasione della ripartizione delle somme ritornate disponibili a seguito della sentenza citata. Per l'effetto, il Cer ha rinnovato la propria proposta attenendosi al parere come sopra espresso e ad esso si e' uniformato il Cipe nell'emanare il provvedimento gravato con il ricorso in epigrafe. 2. - Assume la regione ricorrente l'illegittimita' di tale determinazione, in quanto la pronuncia additiva della Corte costituzionale avrebbe travolto anche quella parte della norma che riserva alle regioni del Mezzogiorno la percentuale del 70%, questa - una volta venuto meno il carattere residuale delle somme destinate all'e.r.p. - dovendosi pure ritenere venuta meno ed eliminata dal contesto logico della norma, con la conseguente reviviscenza, in parte qua, del previgente tessuto normativo, che riservava alle regioni anzidette una percentuale non inferiore al 40% dei proventi in questione (art. 2, lett. e)), legge n. 457/1978. In particolare, si sostiene da parte della ricorrente, malgrado la Corte non si sia pronunciata sulla parte del secondo comma dell'art. 22 relativo alla utilizzazione delle quote residue, la stessa (stante l'evidente e totale dipendenza della disposizione che dirottava sul bilancio dello Stato larga parte dei prelievi) sarebbe venuta meno per l'effetto additivo principale, data l'impossibilita' della sua applicazione per scomparsa del soggetto e del quid cui risultava riferita la ripetuta percentuale del 70%. Ritiene il collegio di non poter condividere tale impostazione. E cio' non solo per le considerazioni sistematiche svolte dal Consiglio di Stato nel proprio parere - le cui conclusioni la sezione ritiene peraltro di condividere e far proprie - ma anche in quanto la Corte costituzionale con la propria pronuncia ha, in effetti, investito - nei limiti, del resto, dell'ordinanza di rimessione - solo primo e secondo periodo del secondo comma dell'art. 22 in questione, mentre non ha ritenuto, evidentemente, che tra tali disposizioni e quella, distinta, contenuta nel terzo periodo - e relativa al 70% a favore delle aree del Mezzogiorno, di cui qui si discute - sussistesse alcun intrinseco nesso di conseguenzialita' logica tale da condurre alla declaratoria di illegittimita' della stessa, altrimenti necessaria ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87. La disposizione di cui al terzo periodo dell'art. 22, secondo comma, in esame e', in effetti, per cosi' dire, influenzata dalla sentenza di incostituzionalita', ma solo nei suoi aspetti esteriori e, in particolare, per gli aspetti terminologici relativi alle "quote residue" (che, ormai, tali piu' non sono in quanto, in base a detta sentenza, reintegrate), nonche' nella parte relativa alla loro destinazione all'edilizia residenziale pubblica (la cui espressa previsione diviene, in effetti, pleonastica una volta soppressa la destinazione di parte della contribuzione al bilancio dello Stato); ma essa, per contro, non puo' ritenersi coinvolta dal travolgimento della norma a monte nella parte in cui contiene l'espressione di una voluntas legis che non e' intrinsecamente ed inscindibilmente collegata con la prima parte della norma, apparendo, in effetti - giusta sopra rilevato - il frutto di un apprezzamento per piu' versi distinto ed autonomo, ancorche' contestuale, operato dal legislatore e reso in un momento in cui andava ad innovarsi significativamente rispetto alla disciplina previgente in considerazione delle accresciute esigenze del bilancio dello Stato. Cio' che, in conclusione, porta ad escludere quella intima interdipendenza tra norma annullata e norma in esame che dovrebbe, secondo l'assunto attoreo, condurre al sostanziale venir meno o, comunque, alla perdita di efficacia della disposizione stessa la quale, per contro, doveva ritenersi pienamente operante al momento della ripartizione dei proventi di cui si discute. Ne' appare significativo, in contrario, il fatto, dedotto dalla ricorrente, in memoria, che il legislatore abbia, successivamente - art. 18 del d.l. n. 152/1991, conv. in legge n. 203/1991 -, con riferimento ai proventi di cui trattasi, stabilito che per la loro ripartizione rimane ferma la riserva di cui all'art. 2, primo comma, lett. e), della ripetuta legge n. 457/1978. Ed invero, come segnalato dal Consiglio di Stato, la disposizione di cui all'art. 22, secondo comma della legge n. 67/1988 e' una "misura di medio periodo" e, pertanto, efficace per tutta la durata, ancorche' delimitata (nella specie, 1988/92) ad essa assegnata. Se poi, nel corso del periodo stesso, il legislatore ritiene di doversi determinare diversamente, ripristinando anticipatamente l'efficacia - peraltro, solo sospesa - della norma previgente, questo rappresenta un fatto accidentale e consentito dall'ordinamento, ma non tale da incidere sull'efficacia intertemporale delle norme. Con la conseguenza che l'invocato art. 18 del d.l. n. 152/1991, conv. in legge n. 203/1991 non puo' essere riguardato alla stregua di una norma interpretativa del previgente assetto, bensi' come disposizione che innova ad esso, anticipando al 1991 la ripresa di efficacia della norma di cui alla legge n. 457/1978 e comunque tendendo a ribadire che, a regime e' quest'ultima la disciplina da applicare. Da quanto sopra discende che il Cipe ha operato la ripartizione qui impugnata attenendosi al dettato di cui all'art. 22, secondo comma, della legge n. 67/1988, come modificato dalla citata sentenza di incostituzionalita' n. 241/1989, donde l'infondatezza del primo motivo di gravame. 3. - Ne' puo' essere condiviso l'ultimo motivo di ricorso - che, in ordine logico, si esamina preventivamente - secondo cui la riserva alle regioni del Mezzogiorno del 70% dei proventi di cui trattasi, violerebbe i principi di cui agli artt. 30, 92 e 93 del trattato CEE, concernenti, il primo il divieto di introdurre restrizioni quantita- tive all'importazione o misure equivalenti, gli altri il divieto di introdurre aiuti (non autorizzati dalla commissione CEE) che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza; con la conseguenza che il collegio dovrebbe rimettere, in via pregiudiziale, ex art. 177 dello stesso trattato CEE, la questione della compatibilita' con le disposizioni del Trattato anzidette di una disciplina nazionale che privilegi l'assegnazione di cospicui fondi a beneficio di alcune sole regioni nazionali - e, dunque, implicitamente, dell'imprenditoria ivi operante - e a danno di altre. Ed invero, a parte ogni altra possibile considerazione, vi e' da osservare che a livello comunitario e' indifferente che i fondi di cui trattasi beneficino l'una anziche' altra regione del territorio nazionale; la disciplina comunitaria mira, infatti, ad evitare che le c.d. "preferenze regionali" possano - in quanto risolventisi in una riseva di produzione limitata e circoscritta alle sole imprese insediate in un ambito territoriale ristretto e definito - alterare il principio della libera concorrenza e della libera circolazione delle persone, dei capitali e del lavoro; ma nel momento in cui tutte le imprese, non solo nazionali ma anche di tutti gli altri Stati membri, sono poste in grado di esercitare, a parita' di condizioni con le imprese locali, la propria attivita' inerente allo specifico settore di cui trattasi, deve escludersi la sussistenza di inammissibili preferenze regionali. E poiche' le regioni del Mezzogiorno, come tutte le altre, del resto, sono tenute, nel campo dell'edilizia residenziale pubblica, a rispettare i principi non discriminatori sanciti dal trattato CEE e ad osservare la specifica disciplina attuativa, nel settore dei lavori pubblici, della dir. 89/440/CEE, modificativa ed integrativa della dir. 71/305/CEE (di cui, sul piano interno, al d.lgs. n. 406/1991) e, nel settore delle forniture, della dir. 88/295/CEE, modificativa ed integrativa della dir. 77/62/CEE (di cui, sul piano interno, alla legge 113/81 ed al d.lgs. n. 48/1992), non e' dato vedere in che termini potrebbero verificarsi le dedotte, inammissibili preferenze, ove si consideri che le norme e principi anzidetti, atti a garantire la trasparenza nell'assegnazione delle opere e forniture pubbliche e la par condicio dei concorrenti, nazionali e non, operano, nella stessa misura e con la stessa efficacia su tutto il territorio nazionale (e, dunque, anche nelle regioni che al Mezzogiorno non appartengono). Non e' dato vedere, percio', quale effetto, in termini giuridici, distorsivo della concorrenza e della libera circolazione di persone, capitali e lavoro, potrebbe correlarsi al solo fatto dell'assegnazione di fondi in misura regionalmente differenziata. Con la conseguenza che non puo' aderirsi neppure alla richiesta avanzata con il terzo motivo di ricorso ne' ritenersi, percio' stesso, che tale disciplina - come dedotto nello stesso motivo di gravame - possa ledere i principi di cui all'art. 11 della Costituzione. 4. - Resta da chiedersi, a questo punto, se la norma di cui trattasi, nell'assegnare il 70% dei contributi Gescal - cosi' come integrati a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 241/1989 - alle regioni del Mezzogiorno possa ritenersi o meno conforme al dettato costituzionale e, in particolare agli artt. 3 e 97 della Costituzione. Ritiene la sezione che la questione non sia manifestamente infondata. Premessa, invero, la rilevanza della questione stessa - che', stante l'infondatezza delle doglianze teste' esaminate, non puo' dubitarsi che il travolgimento o la conservazione della norma nella parte in cui riserva il 70% dei proventi alle regioni del Mezzogiorno sarebbe decisivo ai fini della definizione, rispettivamente in senso positivo o negativo, del gravame - osserva il collegio che il mantenimento della disposizione in parola nell'ordinamento giuridico si verifica in una situazione normativa - conseguente alla rimozione di altra, precedente parte della norma stessa - che il legislatore del 1988 non aveva potuto certamente prendere in considerazione. Quel che si vuol dire e' che, pur mantenendo il terzo periodo dell'art. 22, secondo comma, della legge n. 67/1988, la propria autonomia vigenza, esso, cio' non di meno, e' stato emanato tenendo conto di presupposti giuridici peculiari, successivamente venuti meno per l'intervento caducatorio della suprema Corte. Vi e', allora, da chiedersi se, sul piano della ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, possa ritenersi tuttora conforme ai principi di legittimita' una norma emanata sulla base di presupposti giuridico- normativi radicalmente modificati, con la conseguenza di portare alla produzione di effetti assolutamente diversi, in linea di fatto, ed obiettivamente distorti rispetto a quelli a suo tempo ipotizzati dal legislatore. Effetti che, incidendo anche sulla piena funzionalita' della norma stessa, fanno anche dubitare della sua conformita' ai principi di buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione. Per i suesposti motivi, in considerazione della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale teste' esaminate e attesa la cennata rilevanza delle questioni stesse ai fini del decidere, ritiene il collegio di dover sollevare la questione di legittimita' costituzionale del precitato art. 22, secondo comma, terzo periodo, della legge 11 marzo 1988, n. 67, con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, con contestuale sospensione del presente giudizio fino all'esito di quello incidentale di costituzionalita'.