IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso di Benetti Arnaldo, rappresentato e difeso dall'avv. Ivone Cacciavillani, con l'elezione di domicilio presso la segreteria di questo tribunale, ai sensi dell'art. 35 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, come da mandato in calce al ricorso; contro la regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge; Il comune di S. Vito di Leguzzano, in persona del sindaco pro- tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Enrico Vettori, con elezione di domicilio presso l'avv. Franco Zambelli in Venezia - Mestre, via Ospedale 9/12; per l'annullamento del piano regolatore generale del comune di S. Vito di Leguzzano, approvato con deliberazione della giunta regionale veneta 17 dicembre 1988 n. 8330, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della regione n. 10 del 10 febbraio 1989, per la parte relativa all'area di proprieta' del ricorrente; Visto il ricorso, notificato il 24 aprile e l'11 maggio 1989 e depositato presso la segreteria il 19 maggio 1989, con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della regione Veneto e del comune di S. Vito di Leguzzano, depositati il 22 febbraio 1990 e il 29 giugno 1989; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Uditi alla pubblica udienza del 18 marzo 1993 - relatore il consigliere Luigi Trivellato - gli avv.ti Paggiaro, in sostituzione dell'avv. Cacciavillani, per il ricorrente, Francesco Vettori in sostituzione dell'avv. Enrico Vettori, per il comune intimato, e l'avvocato dello Stato Botta per la regione Veneto; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Il sig. Arnaldo Benetti, titolare della ditta Colben, e' proprietario di un'area censita al comune censuario di S. Vito di Leguzzano (Vicenza) al foglio 6 mappali 591, 813, 1163, 1164, che il programma di fabbricazione, approvato con deliberazione della Giunta regionale veneta 26 agosto 1975, n. 3517, destinava a "verde pubblico", area direttamente confinante con il centro storico nella quale sono ubicati un fabbricato ad uso abitazione del titolare ed un fabbricato ad uso officina meccanica. Con deliberazione della Giunta regionale veneta 13 dicembre 1988, n. 8330 - di approvazione del piano regolatore generale di S. Vito di Leguzzano - la zona gia' a verde pubblico e' stata classificata in parte come area per l'istruzione, in parte come area attrezzata a parco, gioco e sport, in parte come area per attrezzature di interesse comune, mentre il fabbricato del ricorrente e' stato qualificato come "attivita'" produttiva da bloccare inserita in una zona classificata B2 (superficie residenziale di completamento). Avverso quest'ultimo provvedimento il sig. Arnaldo Benetti ha prodotto il ricorso indicato in epigrafe, ricorso che si fonda sull'asserito presupposto che l'impugnato piano regolatore generale reiteri sull'area, in cui e' ubicato il suo insediamento produttivo, la previsione del vincolo a verde pubblico di cui al previgente programma di fabbricazione. I motivi di ricorso sono i seguenti: 1) violazione dell'art. 7 l.u. 1942 n. 1150 e successive modificazioni, in quanto sarebbe stato reiterato un vincolo scaduto, mentre tale reiterazione potrebbe essere disposta solo se fosse resa ragione della specifica esigenza di essa e se ne fosse data adeguata giustificazione sulla base di individuate ed enunciate ragionevoli possibilita' di attuazione del nuovo vincolo, il che mancherebbe nel caso di specie; 2) violazione delle leggi regionali 1985 n. 61 e 1987 n. 11, poiche' l'art. 24, terzo comma, legge regione Veneto 1985 n. 61 dispone che le parti del territorio anche parzialmente gia' destinate ad insediamenti produttivi debbono essere normalmente classificate in zona produttiva D. Tale norma, d'altronde, si inquadra nella prevalenza data alla tutela dei livelli occupazionali, fra l'altro, dalle leggi regionali, di deroga alla strumentazione generale, 1978, n. 73, 1982, n. 1 e 1987, n. 11; 3) eccesso di potere per carenza di motivazione e travisamento del fatto, nell'assunto che e' mancata la motivazione sulla reiterazione del vincolo e non si e' posto mente al fatto che sull'area di cui si tratta esiste un opificio, al suo valore economico e al suo valore sociale. La regione Veneto e il comune di S. Vito di Leguzzano, costituitisi in giudizio, controdeducono in fatto e in diritto chiedendo il rigetto del ricorso. D I R I T T O Osserva innanzitutto il Collegio che i motivi di ricorso primo e terzo, che per ragioni logiche, vanno considerati congiuntamente, con i quali il ricorrente sig. Arnaldo Benetti deduce l'illegittimita' della reiterazione del vincolo "a verde pubblico" sull'area di sua proprieta', sono infondati, sia perche' la zona in cui e' ubicato il suo insediamento produttivo, gia' destinata a "verde pubblico" dal previgente programma di fabbricazione, e' stata classificata nel modo sopra specificato, sia perche', comunque, i vincoli ora imposti derivano da una rinnovata disciplina generale dell'assetto territoriale disposta dalla pubblica amministrazione nell'esercizio del proprio potere di conformazione del territorio. Non potrebbe, invece, essere disatteso il secondo mezzo di gravame, con cui si deduce la violazione dell'art. 24, terzo comma, della legge regionale veneta 27 giugno 1985, n. 61, che cosi' dispone: "nelle zone di tipo D vanno comprese anche le parti del territorio gia' destinate, totalmente o parzialmente, a insediamenti per impianti industriali o a essi assimilati". Ed infatti il carattere tassativo della disposizione legislativa sopra trascritta comporta che lo strumento urbanistico deve dare atto della obiettiva destinazione produttiva delle singole parti del territorio comunale. D'altra parte, non puo' ritenersi che sia di ostacolo alla ricognizione di tale destinazione produttiva la circostanza che il fabbricato produttivo del ricorrente sia isolato, cioe' non circondato da altri fabbricati produttivi, ove si consideri che, come si evince dalla sentenza di questa sezione n. 336 del 14 aprile 1992, resa relativamente a fattispecie analoga a quella ora all'esame del Collegio, la norma citata comporta necessariamente la concreta possibilita' che la sua applicazione porti all'individuazione di zone produttive puntiformi. Senonche' il carattere tassativo della norma anzidetta, che non lascia alcun margine di discrezionalita' alla pubblica amministrazione, fa sorgere fondati sospetti di illegittimita' costituzionale della norma stessa. E la questione di legittimita' costituzionale di tale norma - indubbiamente rilevante in quanto essa deve essere applicata nel presente giudizio e condurrebbe all'accoglimento del ricorso - non appare manifestamente infondata per il seguente ordine di considerazioni. Innanzitutto l'art. 24, terzo comma della legge n. 61/1985, in quanto impone al Comune di attribuire destinazione produttiva alle zone in cui siano ubicati fabbricati industriali ed artigianali, appare lesivo della sfera di autonomia comunale riconosciuta dagli artt. 5 e 128 della Costituzione. Fra i piu' rilevanti poteri attribuiti ai Comuni in attuazione del principio dell'autonomia comunale sancito dal combinato disposto degli anzidetti artt. 5 e 128 della Costituzione vi e' indubbiamente quello relativo al governo del proprio territorio attraverso l'adozione dei piani regolatori generali, i quali, ai sensi dell'art. 7 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo modificato dall'art. 1 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, debbono, fra l'altro, prevedere la "zonizzazione", cioe' la divisione del territorio comunale in zone territoriali omogenee, con la precisazione di quelle destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la determinazione degli standards, dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna di esse. Tale contenuto dei piani regolatori generali riveste particolare importanza ove si ponga mente alla sua incidenza sia sul territorio che economica e sociale, tanto piu' che la "zonizzazione" non riguarda soltanto le parti del territorio comunale destinate ad usi residenziali, ma investe anche le aree ad utilizzazione produttiva, sia essa industriale, artigianale, commerciale o agricola. Poiche' tale potesta' pianificatoria e' attribuita ai Comuni affinche' essi possano programmare nel modo piu' razionale e conveniente, l'uso del proprio territorio, ritiene il Collegio che tale esigenza venga frustrata dalla norma, della quale qui viene sollevata la questione di legittimita' costituzionale, in quanto essa impone che ad una data parte del territorio comunale venga attribuita una determinata destinazione a prescindere dalle necessarie valutazioni discrezionali del Comune interessato. Ne' varrebbe, in contrario, addurre che alle regioni competono in materia urbanistica, funzioni legislative ed amministrative ai sensi rispettivamente degli artt. 117 e 118 della Costituzione, e cio' in quanto si deve ritenere che le norme delle leggi statali, che prevedono il contenuto dei piani regolatori generali, rechino quei "principi fissati da leggi generali della Repubblica" che, ai sensi dell'art. 128 della Costituzione, delimitano l'autonomia costituzionalmente garantita dai Comuni. Ritiene, inoltre, il collegio che l'art. 24, terzo comma, legge regionale veneta n. 61/1985, violi anche l'art. 97 della Costituzione. Osserva in proposito il collegio che, se il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, tutelato dall'anzidetta norma costituzionale, si applica prevalentemente alla materia del pubblico impiego e a quella concernente le modalita' e i criteri di organizzazione dei pubblici uffici, e' indubbio che il sindacato della Corte costituzionale si esplica pure in ordine all'idoneita' di norme di legge ad assicurare la soddisfazione dell'anzidetto principio in quanto esse incidano sui canoni di condotta dell'amministrazione, condizionandone l'agire concreto. Ad avviso del collegio, rientra nel sindacato di quest'ultimo tipo quello diretto a rilevare la possibile incostituzionalita' dell'art. 24, terzo comma, legge regionale veneta n. 61/1985, con riferimento, appunto all'art. 97 della Costituzione, poiche' l'anzidetta norma regionale costringe i Comuni ad agire in contrasto con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto impedisce che gli stessi possano determinarsi in base ad una considerazione ponderata ed obiettiva di tutti gli interessi e di tutte le esigenze che debbono essere valutati nell'esercizio del potere programmatorio in materia urbanistica. Infine, la norma legislativa regionale in questione appare in contrasto con l'art. 32 della Costituzione che tutela la salute come fondamentale interesse della collettivita'. Ed invero, considerato che, in base all'evoluzione giurisprudenziale in materia, la tutela della salute va intesa anche come tutela della salubrita' dell'ambiente, e cio' in ragione del collegamento stabile del soggetto con l'ambiente messo in pericolo (cfr. Cass. ss.uu. 6 ottobre 1979, n. 5172), pare al collegio che confligga con tale valore costituzionalmente garantito la sottrazione di ogni discrezionalita', per la pubblica amministrazione, nella programmazione del territorio in presenza di preesistenti insediamenti produttivi che, non di rado, possono presentare pericoli per la salubrita' dell'ambiente, pericoli che possono risultare potenziati anche a causa dell'ubicazione degli insediamenti stessi. Per le considerazioni suesposte appare rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 5, 32, 97 e 128 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 24, terzo comma, della legge regionale veneta 27 giugno 1985, n. 61. Pertanto, il collegio ritiene che la citata norma legislativa regionale vada sottoposta all'esame della Corte costituzionale con la conseguente sospensione del processo in attesa della relativa pronuncia.