IL PRETORE Letti gli atti; Osserva quanto segue. IN FATTO Con ricorso depositato il 22 luglio 1992 la S.A.C.A.R.D. S.r.l., in persona del suo amministratore pro-tempore, esponeva: 1) che la S.p.a. Ingg. Carriero & Baldi stava eseguendo lavori di ampliamento della s.s. 17 Lucera-Foggia, e che, intorno alle ore 9 del 22 luglio 1992, operai dell'impresa esecutrice dei lavori, per conto della Carriera & Baldi, avevano invaso i terreni di proprieta' dell'istante iniziando degli scavi tanto sul presupposto e in forza del decreto emesso dal Prefetto di Foggia in data 1 dicembre 1990, con il quale si era autorizzata l'occupazione in via temporanea e d'urgenza dei terreni in questione; 2) che l'occupazione de qua era stata eseguita sine titolo e illegittimamente perche': a) innanzitutto il decreto di occupazione d'urgenza non era stato eseguito nel termine di tre mesi dalla sua adozione previsto dalla legge, e pertanto detto provvedimento, ai sensi dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, non aveva piu' valore ed efficacia; non rilevava in particolare il verbale stilato il 20 marzo 1990 (di "stato di consistenza" e di "immissione in possesso"), peraltro non sottoscritto dall'impresa, in cui si dava atto di circostanze non veritiere laddove vi si leggeva che la ditta esecutrice dei lavori avrebbe appreso il possesso del fondo oggetto di occupazione d'urgenza; infatti nella missiva in data 17 maggio 1992 la Carriero & Baldi preannunziava che il 25 giugno 1992 avrebbe proceduto "alla esecuzione della nuova recinzione in sostituzione di quella da demolire", ed invitava l'istante "a rendere libera e sgombra la zona interessata dai lavori"; ne conseguiva che la societa' resistente non aveva mai appreso il possesso del fondo in discussione; tanto faceva presente la ricorrente con telegramma in data 15 giugno 1992, a mezzo del quale diffidava l'impresa esecutrice dal procedere all'occupazione; b) quest'ultima inoltre intendeva procedere, come emergeva dalla missiva del 17 maggio 1992 "alla esecuzione della nuova recinzione in sostituzione di quella da demolire", e tale attivita' edilizia era contra legem, in quanto non assentita da apposita concessione edilizia (il che, tra l'altro, avrebbe potuto coinvolgere l'amministratore della ricorrente in responsabilita' penali); c) i lavori in corso di realizzazione, interessando anche il piazzale della societa' istante, avrebbero provocato lo svellimento della rete elettrica ed idrica a servizio degli immobili di proprieta' dell'istante adibiti ad uso commerciale, il che avrebbe a sua volta comportato la completa paralisi dell'esercizio della relativa attivita' (non avendo apprestato peraltro la resistente alcuna cautela onde evitare detti inconvenienti); 3) che, in identica fattispecie, lo stesso pretore di Lucera aveva ordinato, con provvedimento in data 28 aprile 1992, alla resistente di reintegrare altri istanti nel possesso del loro fondo. Tanto premesso chiedeva al pretore di "ordinare alla impresa ingg. Carriero & Baldi S.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede in Napoli, alla via Mergellina, 23, di reintegrare immediatamente la societa' ricorrente nel possesso dei fondi siti in agro di Lucera in catasto al foglio di mappa n. 46, particelle n. 256, per mq. 1.200,00 e 257, per mq. 400,00. Vinte le spese e competenze di causa.". Si costituiva la societa' resistente deducendo: 1) di essere stata incaricata dall'A.N.A.S. dell'esecuzione dei lavori che interessavano il fondo della ricorrente, e che il cennato verbale in data 20 marzo 1990 era stato redatto in contraddittorio con Giovanni Cerresi, amministratore della S.A.C.A.R.D., ed alla presenza del testimone Vitale Pierluigi; 2) che la fantasiosa ricostruzione dei fatti della controparte era anche contraddittoria; 3) che comunque la prima censura era infondata in quanto nella specie non trovava applicazione l'art. 20 della legge n. 865/1971, bensi' la legge n. 1/1978 che a sua volta richiamava la legge n. 2359/1865, e cio' perche' la legge n. 274/1974 aveva applicato in via generalizzata la cit. legge n. 865/1971 unicamente per la parte che riguarda i criteri di determinazione dell'indennita' di espropriazione ed i rimedi giudiziari per opporvisi, e che da cio' conseguiva la validita' ed efficacia del decreto di occupazione, anche a prescindere dalla sua esecuzione, per tutto il tempo di durata in essa prevista e nei limiti di vigenza della dichiarazione di pubblica utilita'; 4) che comunque dalla cennata missiva del 17 maggio 1992, tenendo conto del precedente verbale del 20 marzo 1990, non poteva desumersi de plano che l'immissione in possesso dell'impresa resistente non fosse avvenuta nel marzo del '90 (nel qual caso sarebbe stata intempestiva l'azione possessoria proposta); 5) che il decreto di occupazione continua ad avere la sua efficacia per tre anni, ai sensi della legge n. 1/1978, efficacia che poteva essere sospesa solo dal t.a.r. competente per vizi di legittimita', mentre l'adita A.G. difettava di giurisdizione a deliberare in merito; 6) che, a prescindere dal fatto che la resistente non intendeva realizzare alcuna recinzione stabile, comunque nella specie non occorreva alcuna concessione edilizia, trattandosi di opera pubblica la cui approvazione equivale a quest'ultima. Pertanto chiedeva che il ricorso fosse disatteso perche' inammissibile, improcedibile ed infondato. Illustrate a verbale le rispettive posizioni, il pretore con ordinanza in data 7 gennaio 1993 respingeva l'istanza di reintegrazione dell'istante nel possesso del fondo precisato in ricorso e rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni e per la discussione. Indi la causa, istruita in via documentale, passava in decisione. IN DIRITTO Va in primo luogo rilevato che, secondo le Sezioni Unite della Cassazione (adito in sede di regolamento di giurisdizione) rispetto alle occupazioni di urgenza finalizzate alla realizzazione di opere stradali per conto dell'A.N.A.S. (come nel caso di specie non e' controverso, n.d.r.) non opera il disposto dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, nella parte in cui prevede la perdita di efficacia del decreto autorizzativo della occupazione stessa per non essere eseguita nei tre mesi successivi, ma si applica la disciplina di cui agli artt. 71 e 73 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, secondo la quale l'atto dichiarativo della pubblica utilita' dell'opera deve stabilire i termini di inizio delle espropriazioni e dei lavori, decorsi i quali tale dichiarazione diviene inefficace; il che, comportando anche l'illegittimita' della occupazione di urgenza, manifestamente esclude ogni dubbio di illegittimita' costituzionale della suddetta disciplina in riferimento al principio di uguaglianza" (cosi' Cass., 22 novembre 1991, n. 12587). D'altra parte, prima ancora di tale pronunzia, anche una parte della dottrina aveva avvertito che, a rigore, la norma di cui all'art. 20, comma primo, secondo periodo, legge n. 865/1971 non si applica alle occupazioni per l'esecuzione di opere che non siano di ambito regionale, giacche' l'art. 14 della legge n. 10/1977 non ne ha esteso la precettivita' anche alle opere statali. Precedentemente, l'art. 4 della legge n. 247/1974, per quanto qui interessa, aveva stabilito espressamente che: "Le disposizioni contenute nel titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865, relative alla determinazione dell'indennita' di occupazione, si applicano a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato .... (omissis)". Ne' verrebbe in contrario invocare, come la ricorrente in comparsa conclusionale, la precedente interpretazione autentica dell'art. 9 della legge n. 865/1971 ad opera dell'art. 1- ter d.l. n. 1119/71, conv. nella legge n. 13/1972; a prescindere infatti dalle tormentate vicende e dai contrasti relativi alla non agevole esegesi delle disposizioni ora in esame, bastera' qui rilevare che l'art. 4 della legge n. 247/1974, in quanto lex posterior (rispetto all'ora menzionato art. 1- ter d.l. n. 1119/71) e diretta a stabilire l'ambito di applicazione di una parte ben delimitata del titolo II della legge n. 865/71, nonche' tesa a cercare di derimere le perplessita' che pure aveva lasciato anche il cennato intervento di interpretazione autentica, non puo' che essere interpretato nel senso fatto palese dal suo tenore letterale. Cio' premesso, la questione va ora riguardata su un piano piu' sostanziale, onde verificare se sul punto che qui interessa la disciplina applicabile costituisca una irragionevole diversita' di trattamento di situazioni identiche o simili con conseguente lesione del canone costituzionale di uguaglianza (il problema specifico s'inserisce in quello piu' generale e non nuovo del progressivo aggrovigliarsi dei procedimenti espropriativi, non proprio razionalmente "incentivato dal legislatore", come e' stato osservato da ultimo in dottrina). Nella specie va osservato che il termine di tre mesi dall'emanazione del decreto, entro il quale, a mente del cit. art. 20, comma 1, della legge n. 865/1971, deve essere eseguita l'occupazione d'urgenza (a pena di inefficacia del provvedimento), ha indubbia valenza acceleratoria (non solo in vista di un inizio tempestivo dell'opera pubblica, pienamente coerente d'altronde con la natura "d'urgenza" del provvedimento autorizzativo, ma anche) in favore del privato espropriando che, in caso di "decadenza" del decreto, e' senz'altro legittimato, com'e' ormai incontroverso, a reagire anche in via possessoria contro un'occupazione tardiva e quindi con piu' titolata, (cfr. in tal senso, tra le tante, Cass., 13 novembre 1990, n. 10942), in quanto, per il principio di legalita' dell'azione amministrativa, ogni passo della pubblica amministrazione (o di chi per essa agisca quale sua longa manus, come suol dirsi) e, segnatamente, la sua intromissione nella sfera giuridica altrui devono essere autonomamente giustificati da appositi ed efficaci provvedimenti. Laddove, invece, non trovi applicazione la norma citata (come nella specie), secondo il citato arresto della Suprema Corte, rimarrebbero tuttavia a determinare le cadenze dell'azione ablatoria della p.a. i termini entro i quali dovranno cominciarsi e compiersi i lavori dell'opera pubblica da realizzare. Tale regola indefettibile (cosi' Corte costituzionale 21 dicembre 1985, n. 355), fissata fin dalla legge fondamentale in tema di espropriazione per pubblica utilita' (art. 13, primo comma, della legge n. 2359/1865), svolge una funzione garantistica (di rilievo costituzionale) nel senso che l'indicazione di quei termini costituisce la riprova dell'attualita' dell'interesse pubblico che si vuole soddisfare e della serieta' ed effettivita', del relativo progetto (cfr., ad. es., Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 1990, n. 234), per cui sia il termine d'inizio che quello di completamento dei lavori sono da ritenersi essenziali ed parimenti essenziali il loro rispetto (cfr. ancora Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 1989, n. 623); cio' infatti consente al proprietario del fondo di controllare che nei termini indicati il suo immobile sia utilizzato per la realizzazione delle finalita' pubblicistiche alle quali fa riferimento il provvedimento espropriativo (cfr., ad es., t.a.r. Lazio, sez. I, 26 agosto 1981, n. 626). Tali fondamentali principi di civilta' giuridica, tuttavia, sono stati a volte, almeno in parte, pretermessi dalla giurisprudenza, con l'affermare che "La inosservanza del termine di inizio dei lavori fissato nel provvedimento di approvazione del progetto di opera pubblica ai sensi dell'art. 13, della legge n. 2359/1865 determina unicamente la violazione delle norme poste nel pubblico generale interesse, senza dar luogo a lesione di diritti soggettivi e, comunque, non determina una situazione di carenza di potere espropriativo in quanto la decadenza della dichiarazione di pubblica utilita' per decorso dei termini fissati ai sensi del cit. art. 13 della legge e, dalla quale deriva la perdita del potere espropriativo, consegue solo alla scadenza del termine fissato per il compimento dell'opera" (Cass., 3 dicembre 1990, n. 11553). Se infatti in tale ordine di idee dovesse essere ritenuto ulteriormente ammissibile che, scaduto il termine fissato per l'inizio dei lavori, nelle ipotesi in cui non trovi applicazione l'art. 20 cit., la p.a. possa ancora occupare il fondo del privato, risulterebbe evidente come le garanzie alternative indicate dalle sezioni unite si ridurrebbe a mera lustra. Questo pretore ritiene invece che anche il termine di inzio dei lavori, almeno qualora non sia applicabile l'art. 20, svolge un insopprimibile ruolo garantistico per il privato, il quale sarebbe alla merce' della p.a., se si dovesse ammettere che, una volta scaduto quel termine, quest'ultima possa ancora, e impunemente, occupare l'immobile espropriando. In particolare, anche se la dichiarazione di pubblica utilita' e il decreto di occupazione d'urgenza hanno precipue e distinte finalita', sotto il profilo qui in esame si coglie il necessario collegamento tra i due momenti procedimentali ben sottolineato da alcune pronunzie (cfr., ad es., Cons. Stato, sez. IV, 1 giugno 1989, n. 353; tanto che, secondo t.a.r. Campania, sez. II, 19 febbraio 1991, n. 27, "la discordanza fra un (maggiore) termine di durata dell'occupazione d'urgenza ed un (minore) termine per l'esecuzione dell'opera non influisce sulla legittimita' degli atti, ma produce soltanto la conseguenza che l'occupazione debba ritenersi ridotta nei limiti in cui sia compatibile con il piu' breve termine posto in sede di dichiarazione di pubblica utilita'". Peraltro nelle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche attivate ai sensi della legge 3 gennaio 1978, n. 1 (come nel caso in esame), la circostanza che nel progetto approvato non siano indicati i termini di inizio a compimento dei lavori e' stata ritenuta irrilevante, poiche', ai sensi dell'art. 1, terzo comma, legge ult. cit., la dichiarazione di pubblica utilita' e di urgenza ed indifferibile cessa solo se l'opera non ha avuto inizio nel triennio successivo all'approvazione del progetto (Cons. Stato, sez. II, 6 dicembre 1989, n. 972/1984), con la conseguenza anche dell'illeggittimita' del decreto di occupazione di urgenza successivamente emanato, siccome reso in carenza del necessario presupposto legittimante (t.a.r. Liguria, 5 maggio 1987, n. 2619) e, va altresi' ritenuto, anche dell'occupazione eseguita oltre detto termine, ancorche' il relativo decreto sia stato tempestivamente emesso. In definitiva, alla stregua della normativa rispettivamente applicabile, nel caso di realizzazione di opere pubbliche per conto dello Stato, la p.a. sarebbe legittimata ad occupare l'immobile espropriando nel termine di tre anni dall'approvazione del progetto, mentre negli altri casi (la maggior parte) la p.a. e' senz'altro tenuta a procedere alla completa immissione nel possesso del bene nel breve termine di tre mesi dall'emanazione del decreto autorizzativo; tuttavia tale diversa disciplina appare all'evidenza non razionalmente giustificabile; non certo con l'asserita "specialita' della normativa sull'edilizia residenziale pubblica (legge n. 865/1971), dettata per attuare speciali interventi urbanistici", essendo ormai innegabile che il sistema delineato dalla legge n. 865/1971 (e dalla legge n. 2473/1974) ha una portata applicativa vastissima, sicche' e' stato ritenuto che (in un settore in cui e' indubbio che l'individuazione dei rapporti di specialita' tra disci- pline e' estremamente ardua) essa possa essere definita normativa di carattere "generale", almeno in senso quantitativo. Ne' ad escludere la prospettata irrazionalita' puo' valere il rilievo che la fissazione, nella specie ex lege, di un termine di tre anni di efficacia della dichiarazione di pubblica utilita', urgenza ed indifferibilita' scongiurerebbe il pericolo di occupazioni eseguibili senza limiti di tempo, perche' in tal modo comunque non si da' conto del perche' sia possibile, in ipotesi, una "stasi" della non breve durata massima di tre anni (contraria oltre tutto al principio di buon andamento della p.a.), nel corso della quale al privato e' dato solo di "aspettare" se la p.a. procedera' all'occupazione o meno, mentre gia' pero' e' in atto l'"ipoteca" sul suo bene, costituita dall'inizio della procedura espropriativa. In altri termini non basta affermare che vi e' comunque una garanzia quando questa, posta a confronto con un altra (oltre che considerata in se stessa), risulti irrazionalmente insufficiente e discriminatoria. In conclusione (essendo rilevante nella specie stabilire entro quale termine l'impresa esecutrice dei lavori avrebbe dovuto occupare il fondo della ricorrente) non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 20, primo comma, secondo periodo, legge n. 865/1971, in rapporto agli artt. 9 della stessa legge e 1, terzo comma, della legge n. 1/1978, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che, anche per le occupazioni di urgenza finalizzate alla realizzazione di opere statali, il relativo decreto autorizzativo perda efficacia se l'occupazione non segue nel termine di tre mesi dalla sua emanazione.