IL PRETORE Con intimazione di licenza per finita locazione e contestuale citazione per la convalida, Pozzani Camilla e Berlendis Alfredo hanno convenuto in giudizio avanti questa pretura il conduttore Kozina Mario. L'intimato, costituendosi, ha riconosciuto l'esattezza della data di scadenza prospettata dai locatori ma si e' comunque opposto alla convalida, invocando in suo favore la proroga biennale di cui all'art. 11, comma 2- bis, della legge n. 359/1993, a seguito del rifiuto dei locatori di stipulare un nuovo contratto ad uso abitativo con patto in deroga, come da espressa offerta. Gli intimati, a loro volta, per neutralizzare tale pretesa, hanno motivato il rifiuto con la necessita' di riottenere l'immobile per darlo in godimento alla anziana figlia, ancora convivente. Gli stessi insistono quindi per l'emissione dell'ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni alla data di scadenza convenzionale. Su l'istanza questo pretore si e' riservato. A scioglimento della riserva, si osserva quanto segue. La materia del contendere verte esclusivamente sulla applicabilita' alla fattispecie della proroga biennale di cui all'art. 11, comma 2- bis, della legge n. 359/1992. Al riguardo vale osservare che il locatore non disconosce di aver rifiutato l'offerta del conduttore di stipulare un c.d. "patto in deroga" (circostanza questa necessaria e sufficiente - ad avviso di chi scrive - ad integrare i presupposti di legge per la proroga de iure del rapporto) ma oppone - come si e' detto - la necessita' di riottenere l'immobile per destinarlo ad abitazione della figlia. Come e' noto, con la sentenza n. 323/1993 la Corte costituzionale si e' occupata dell'eccezione di non manifesta infondatezza della disposizione del comma 2- bis li' dove - secondo i giudici remittenti - non prevede il recesso per necessita' del locatore quale fatto idoneo ad escludere la proroga biennale. La Corte, come si e' visto, ha respinto l'eccezione ricorrendo alla formula della "non fondatezza nel senso di cui in motivazione". Siamo dunque in presenza di una c.d. sentenza interpretata di rigetto, priva percio' di efficacia regolatrice generale al di fuori del giudizio in cui venne sollevato l'incidente di costituzionalita'. La Corte e' pervenuta a tale soluzione non senza ribadire la piena validita' del "principio" per cui - ogni qualvolta, come nel caso, siano introdotte proroghe legali in materia locativa - esse debbono contemplare la facolta' del locatore di recedere per necessita'. Il procedimento logico attraverso il quale l'eccezione menzionata e' stata dichiarata "non fondata" poggia quindi non sul ripudio del principio enunciato (che, in estrema ipotesi, poteva forse costituire una tollerabile via di fuga avuto riguardo all'assoluta eccezionalita' dell'innovazione legislativa) bensi' - come esplicitamente si legge in motivazione - su una diversa interpretazione della norma denunciata rispetto a quella prospettata dai giudici remittenti. Si afferma difatti che "l'interpretazione seguita dalle ordinanze di rimessione non e' in linea con il principio di necessaria applicazione del recesso .. Tale interpretazione si palesa inoltre inesatta nel contesto del sistema in cui si colloca la disposizione denunciata, la quale si presta ad una diversa e corretta lettura, adeguata ai principi costituzionali". In sintesi, l'argomentare della Corte e' il seguente: errano i giudici remittenti nel ritenere non contemplata la facolta' di recesso per necessita' del locatore in quanto l'interpretazione sistematica e coordinata dei commi 2 e 2- bis dell'art. 11 della legge n. 359/1992 conduce a risultato esegetico del tutto opposto. Viene richiamata a tal fine la previsione del comma due che, in effetti, assicura al locatore che abbia stipulato il c.d. patto in deroga il diritto a riottenere l'immobile alla prima scadenza quadriennale ove "egli intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui, rispettivamente, agli artt. 29 e 59 della citata legge n. 392/1978". L'intento del richiamo - seppure collocato in un contesto argomentativo piu' generale, volto ad enucleare un principio della legislazione di settore - e' palese: si e' voluto estendere la portata del comma due dell'art. 11 fino a ricomprendervi la fattispecie del comma 2- bis, facendo leva sull'unita' logico- giuridica dell'art. 11 nel suo insieme. In buona sostanza - secondo la Corte - all'interno della casistica tracciata negli artt. 29 e 59 della legge n. 392/1978 vi e' ricompreso anche il recesso per necessita' del locatore il quale - benche' astrattamente esposto alla proroga biennale di cui al comma 2- bis dell'art. 11 - puo' evitarla allegando e comprovando l'esigenza di riavere la casa per destinarla ad uso proprio o dei familiari. L'affermazione della Corte si presta subito ad una prima considerazione: la disciplina della proroga biennale in tanto supera il sindacato di costituzionalita' in quanto - secondo il giudice delle leggi - gia' contempla al suo interno il recesso per necessita' del locatore. Letta "a contrario" la statuizione suona nel senso che tale disciplina sarebbe costituzionalmente illegittima in assenza di siffatta previsione. L'argomento - come e' intuibile - e' di grande importanza e, sotto questo profilo, supera certamente i ristretti limiti di efficacia giuiridica della sentenza per divenire un solido punto di ancoraggio per la stessa Corte ove nuovamente investita della vicenda. Sulla scorta di questa premessa, occorre dunque valutare la persuasivita' dell'interpretazione esposta. Giova osservare che la succinta motivazione non illustra il percorso dogmatico attraverso il quale la Corte e' approdata a tale risultato; vengono invece invocate, come gia' si e' detto, esigenze di interpretazione sistematica dell'intero art. 11. Sembra quindi che l'approccio interpretativo scelto sia di tipo prettamente analogico. Pare inoltre da escludere che la Corte abbia inteso ricorrere all'interpretazione estensiva del comma 2- bis, il cui totale silenzio in tema di recesso non autorizzerebbe in alcun modo a dilatarne la portata precettiva. Si pongono quindi due problemi: il primo, attinente alla stessa possibilita' di ricorrere all'analogia laddove si dovesse ritenere l'eccezionalita' del comma due ai sensi dell'art. 14 delle preleggi; il secondo, attinente al controllo circa la sussistenza dei presupposti della "similitudine dei casi" o dell'"analogia delle materie", necessari ex art. 12 delle disp. prel. del cod. civ. ai fini dell'interpretazione analogica (se, difatti, e' certo che l'interpretazione analogica consente di sviluppare nella sua espressione logica la ratio legis, cosi' da adattarla a casi diversi, e' altrettanto vero che "questi debbono essere consimili nell'elemento di fatto decisivo per il trattamento giuridico": cfr., ad es., Cass. 10 maggio 1951, n. 1121, in Foro it. 1952, I, 1084). Quanto al primo aspetto, ad avviso di questo giudicante milita per l'eccezionalita' dell'art. 11 della legge n. 359/1992 (nei suoi singoli commi e nel suo complesso) la conclamata natura derogatoria e di mera transizione ("Fino alla revisione della disciplina ..") della disciplina in esso sottesa rispetto a quella - generale e cogente - di cui alla legge n. 392/1978. E' indubbio, difatti, che quest'ultima resti ancora il centro di gravita' di tutta la materia delle locazioni e che l'art. 79 della stessa rappresenti tuttora un sicuro presidio contro la sua disapplicazione mediante la sanzione di nullita' delle pattuizioni difformi (fatta salva, ovviamente, l'area della c.d. derogabilita' assistita). Gia' sotto questo profilo resta dunque precluso il ricorso all'analogia. Ma anche a voler prescindere da questo argomento per concentrare l'attenzione sui presupposti di cui all'art. 12 della disp. prel. (riassumibili nell'indispensabile identita' di ratio della disciplina dei commi 2 e 2- bis dell'art. 11 della legge citata), la tesi della Corte non pare ancora una volta convincente. Ampia e' la divergenza delle due fattispecie astratte. Il secondo comma, ultima parte, disciplina difatti l'ipotesi in cui le parti siano effettivamente addivenute al patto in deroga. Qui, pertanto, il previsto recesso per necessita' attribuisce al locatore il diritto potestativo di sottrarsi all'impegno contrattuale a suo tempo assunto di non disdettare il rapporto alla prima scadenza quadriennale. Si tratta, percio' di un recesso ante tempus rispetto ad una scadenza (quella del secondo quadriennio locativo) pur sempre prevista e voluta in sede di stipula del contratto (dunque di natura convenzionale). Evidente e' lo scopo della norma: essa funge da valvola di sicurezza onde evitare che la lunga durata minima del rapporto possa provocare gravi ripercussioni sul locatore il quale, al momento della stipulazione del patto in deroga, potrebbe non essere in grado di prevedere agevolmente le future necessita' personali. Del tutto opposto e' il caso regolato dal comma 2- bis. Qui, difatti, e' proprio il fallimento della trattativa finalizzata alla stipulazione del patto in deroga che produce l'effetto di prorogare d'imperio il rapporto in corso per altri due anni oltre la scadenza convenzionale. Il recesso del comma due - ove esteso per via analogica - verrebbe quindi ad operare non gia' nel senso prospettato bensi' allo scopo di evitare una proroga cogente, palesemente estranea - come tale - all'iniziale equilibrio negoziale. Non vi e' dubbio quindi che cio' comporterebbe un grave snaturamento della funzione assegnata dal legislatore al peculiare recesso di cui al comma 2. Quanto alla ratio del comma 2- bis, e' poi evidente che scopo della proroga e' quello di stimolare i patti in deroga e - all'un tempo - di sanzionare i casi di mancato accordo: il locatore, infatti, dovra' evitare la richiesta di un canone eccessivo per non esporsi al giusto rifiuto del conduttore con la conseguente proroga; il conduttore, a sua volta, sara' fortemente indotto alla c.d. deroga assistita nella prospettiva di un rapporto locativo di notevole durata minima in luogo della ben piu' modesta proroga biennale. Come si vede, le norme contenute nei commi indicati, pur nella loro indiscussa coesione (il comma due puo' essere letto, in senso lato, come la norma principale e il 2- bis come la norma di sostegno e propulsione del primo nel modo indicato), svolgono - nel disegno del legislatore - compiti del tutto diversi, tali da precludere, anche per questo verso, il valido richiamo all'analogia. Pertanto, pur consapevoli dell'indubbia autorevolezza dell'operazione esegetica della Corte, si ritiene di doversi discostare dalla ricostruzione proposta. Resta dunque l'esigenza, ribadita con forza dalla Corte stessa, di assicurare al locatore il diritto di recedere dal contratto di locazione per la necessita' abitativa propria ovvero dei familiari, come accade nel caso di specie. Facolta' che, alla luce delle considerazioni svolte, non sembra minimamente riconosciuta e contemplata dall'art. 11, comma 2- bis, della legge citata. Pertanto, secondo questo pretore, la norma si pone in palese contrasto con gli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, cosa del resto gia' evidenziata nelle precedenti approfondite ordinanze di rimessione dei pretori di Bologna e Roma, rispettivamente in data 21 dicembre 1992 e 9 dicembre 1992. Quanto alla rilevanza processuale della questione, e' appena il caso di ricordare che essa influenza inevitabilmente la possibilita' di accordare o negare l'ordinanza di rilascio ex art. 665 del c.p.c. Va pertanto ordinata la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione cennata.