LA CORTE DI APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n.  116/87  r.g. e vertente tra la Societa' anonime Solvay e Cie, con
 sede a Bruxelles (Belgio) e sede per  l'Italia  in  Rosignano  Solvay
 (Livorno)   in   persona  del  legale  rappresentante,  elettivamente
 domiciliata presso l'avv. prof. Pasquale Russo che la  rappresenta  e
 difende   unitamente   al   prof.   Paolo   Barile,   appellante,   e
 l'Amministrazione dei Monopoli - Ministero delle finanze  in  persona
 del   Ministro   pro-tempore,   rappresentato   e  difeso  per  legge
 dall'avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di   Firenze   dove   si
 domicilia,  appellata.  Causa: Solvay c/Amm. Monopoli e Amm. Finanze;
 Conclusioni:  v.  rispettivi  atti  di  costituzione.   Rel.   Russo.
 Collegio: 6 luglio 1993.
                         CONSIDERATO IN FATTO
    Con  citazione  notificata il 23 gennaio 1987, la Societa' anonime
 Solvay e Cie, con sede principale in Bruxelles, e sede  per  l'Italia
 in  Rosignano  Solvay,  riassume  un giudizio, iniziato nei confronti
 dell'Amministrazione dei Monopoli  di  Stato  e  dell'Amministrazione
 finanziaria  dello  Stato,  con  citazione  davanti  al  tribunale di
 Firenze notificata il 28 agosto 1976, e concluso con sentenza in data
 1 ottobre-25 novembre 1980, impugnata  e  parzialmente  riformata  da
 questa  corte  con sentenza in data 7 maggio-1 luglio 1982, annullata
 con rinvio  dalla  Cassazione  con  sentenza  in  data  30  aprile-12
 novembre 1986.
    Oggetto  della  lite  e'  il canone dovuto all'Amministrazione dei
 Monopoli di Stato per l'estrazione del sale dalle miniere di  Buriano
 e Ponte Ginori, di cui l'attrice e' concessionaria in perpetuo.
    L'attrice  sosteneva,  in  principio, che l'onere del pagamento di
 tale canone era stato caducato dalla legge 5 luglio 1966, n. 519, che
 ha  esonerato  da  qualsiasi  carico  fiscale   il   sale   destinato
 all'industria.
    Sosteneva,  ancora,  che,  comunque,  dal 1 gennaio 1973, e grazie
 alle disposizioni  della  legge  n.  10/1973,  la  quale  aveva,  tra
 l'altro,  abolito  il  monopolio di vendita del sale, non vi era piu'
 spazio  per  l'autorizzazione  all'estrazione  del  sale,  e  per  il
 pagamento  del  canone  contestato,  e  dichiarava di avere, da detta
 data, sospeso il pagamento.
    Concludeva chiedendo: 1) dichiarare non piu' dovuto, dalla data di
 entrata in vigore dalla legge  5  luglio  1966,  n.  519,  il  canone
 versato  all'Amministrazione  dei  Monopoli  di  Stato; 2) condannare
 l'amministrazione stessa alal  restituzione  del  canone  pagato;  3)
 dichiarare    non    ricorrenti   le   condizioni   per   la   revoca
 dell'autorizzazione all'estrazione del sale.
    Le domande venivano disattese dal tribunale, e  riproposte,  nella
 stessa  formulazione, in appello, ove venivano accolte in parte dalla
 Corte che dichiarava non piu' dovuto il canone contestato a far  data
 dal  1  gennaio  1973, e condannava le Amministrazioni convenute alla
 restituzione delle somme per esso versate a detta data.
    A tale conclusione la  Corte  perveniva  dopo  avere  definito  il
 canone  contestato  come  corrispettivo  per  la  privativa del sale,
 sebbene strutturalmente diverso dai diritti di monopolio, e ritenendo
 che l'abolizione di ogni gravame fiscale sui prodotti  salini,  aveva
 provocato  la caducazione del diritto dello Stato alla percezione del
 canone stesso.
    "In altri termini - spiegava conclusivamente la Corte -  anche  il
 concessionario  di  miniere  di  sale si viene a trovare nella stessa
 situazione degli altri concessionari, che sono liberi  di  utilizzare
 il  materiale  estratto,  senza  dover corrispondere allo Stato altri
 corrispettivi  al  di  fuori  del  canone  fissato per la concessione
 mineraria".
    Per quel che qui rileva, e' opportuno ricordare che nel  corso  di
 entrambi  i  gradi del giudizio l'attrice aveva prospettato questioni
 di  legittimita'  costituzionale  che  i  giudici  avevano   ritenuto
 manifestamente infondate.
   Aveva,    infatti,   denunciato   l'illegittimita'   costituzionale
 dell'art. 3, n. 1, delle legge n.  907/1942:  a)  per  contrasto  con
 l'art.  3 della Costituzione, segnalando la disparita' di trattamento
 tra  acquirenti  per  uso  proprio  e  produttori  di  sale;  b)  per
 violazione  del  principio della riserva di legge, posto dall'art. 23
 della  Costituzione,  mancando  l'indicazione  dei  criteri  per   la
 determinazione  del  canone;  c)  per  violazione  dell'art. 53 della
 Costituzione, perche' il presupposto del canone era  l'autorizzazione
 del  monopolio  che  non  poteva  considerarsi  indice  di  capacita'
 contributiva; d) per violazioni congiunte degli  artt.  3,  23  e  53
 della Costituzione.
    La  sentenza  della  Corte veniva impugnata con ricorso principale
 dall'avvocatura dello Stato, per le amministrazioni convenute, e  con
 ricorso incidentale dall'attrice, e veniva annullata con rinvio dalla
 Cassazione  che  riconosceva  il persistente obbligo di pagamento del
 canone  contestato,  di  cui  negava  la  natura   pubblicistica,   e
 riconosceva  la funzione di corrspettivo della concessione traslativa
 del diritto  di  proprieta'  del  sale  e  dei  derivati  diritti  di
 utilizzazione.
    Riteneva,  poi,  non  bene  impostata la questione di legittimita'
 costituzionale   prospettata   dalla   ricorrente   incidentale   con
 riferimento   all'art.  43  della  Costituzione,  sostenendo  che  il
 monopolio del sale, in  cui  si  iscrive  il  canone  contestato,  e'
 inammissibile o inidoneo a fornire causa al canone stesso.
    Rilevava,  in  proposito,  che il canone costituisce corrispettivo
 della cessione del diritto di proprieta'  del  sale,  e  non  di  una
 facolta' oggetto di privativa.
    L'attrice   ha   riassunto   tempestivamente  la  lite  sostenendo
 l'illegittimita'costituzionale della norma giustificativa del  canone
 in   contestazione,   perche'   irrazionalmente  discriminatoria  tra
 concessionari di miniere, con assoggettamento  dei  concessionari  di
 miniere di sale a trattamento deteriore.
    Ha  sostenuto,  in  particolare, che la ratio giustificativa della
 discriminazione e' la tutela del monopolio di  estrazione  del  sale,
 che  e'  cessato  dal  1  gennaio  1973,  a  seguito  dell'abolizione
 dell'imposta di consumo e del monopolio di vendita del sale.
    Se, tuttavia, dovesse ritenersi ancora esistente,  tale  monopolio
 sarebbe   illegittimo  perche'  in  conflitto  con  l'art.  43  della
 Costituzione.
    Ha spiegato, poi,  domanda  di  ipotesi  subordinata  con  cui  ha
 chiesto  dichiararsi  la nullita' della convenzione in data 18 aprile
 1956, con la quale sono stati  definiti  i  criteri  di  calcolo  del
 canone, e determinarsi, se del caso, l'ammontare del canone medesimo.
    Le   amministrazioni   convenute  si  sono  costituite  sostenendo
 l'irrilevanza o, comunque, la manifesta infondatezza della  questione
 di  legittimita'  costituzionale  desumibile  dalla  qualificazione e
 dalla funzione riconosciuta al canone contestato  dalla  sentenza  di
 annullamento con rinvio.
    Hanno   sostenuto   anche   l'inammissibilita',   o,  in  ipotesi,
 l'improponibilita', in ragione dei naturali limiti  del  giudizio  di
 rinvio, della domanda subordinata.
    Sono  stati  depositati  i fascicoli di parte e dopo nove udienze,
 sono state precisate le conclusioni rimettendosi la causa al Collegio
 che dopo la sostituzione dell'istruttore, ed alcuni rinvii, anche per
 pendenza di  trattative  e  per  mancata  comparizione  delle  parti,
 all'odierna udienza di discussione ne ha riservato la decisione.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    L'interpretazione  dell'art.  3, n. 1, della legge 17 luglio 1942,
 n. 907, contenuta nella sentenza di annullamento  con  rinvio,  offre
 fondamento  al principio di diritto vincolante, su cui la riassumente
 radica la questione di legittimita' costituzionale.
    La questione e' prospettata in due formulazioni, la seconda  delle
 quali non e' preclusa perche' scaturisce dalla norma vincolativamente
 interpretata, e non appare manifestamente infondata.
    La  legge  mineraria  (r.d.  29  luglio 1927, n. 1443), assegna le
 miniere al patrimonio indisponibile dello Stato e le sottopone, con i
 beni  che  ne  costituiscono  pertinenza,   alle   disposizioni   che
 disciplinano gli immobili (art. 22 del r.d. n. 1443/1927).
    Le  miniere possono essere coltivate direttamente dallo Stato, ma,
 di regola, sono coltivate da privati, in forza di  concessioni  (art.
 14  del  r.d.  n. 1443/1927) abilitanti ad estrarre le risorse a fini
 economici, attivita' in cui sfocia la coltivazione.
    Le  concessioni  di  coltivazione  mineraria  sono  temporanee   o
 perpetue.
    Le  prime  si  riferiscono a miniere concesse in coltivazione dopo
 l'entrata in vigore della  legge  mineraria  (art.  21  del  r.d.  n.
 1443/1927).
    Le  altre  si riferiscono a miniere gia' coltivate dai richiedenti
 in forza di titolo (concessione, investitura, proprieta'),  all'epoca
 dell'entrata  in vigore della legge stessa (artt. 53 e 54 del r.d. n.
 1443/1927).
    I concessionari, a  termine  o  in  perpetuo,  sono  obbligati  al
 pagamento  di  un  diritto  proporzionale  annuo  per  ogni ettaro di
 superficie contenuto ento i limiti della  concessione  (art.  25  del
 r.d. n. 1443/1927).
    Nessuna  prestazione  di  contenuto patrimoniale, e necessaria, e'
 dovuta a titolo di corrispettivo dei minerali estratti dai giacimenti
 in concessione, di cui lo Stato, concedente, e' proprietario.
    Solo in via eventuale, e con previsione da inserire negli atti  di
 concessione   (unico   strumento   di  disciplina  del  rapporto),  i
 concessionari  possono  essere  obbligati  a  rendere  il  concedente
 partecipe agli utili (art. 18, lett. g), del r.d. n. 1443/1927).
    Il  rinvio  fatto alla disciplina degli immobili (art. 22 del r.d.
 n. 1443/1927), consente di ritenere che i materiali estraibili  dalle
 miniere   sono   frutti  naturali  che  entrano  nel  patrimonio  dei
 concessionari appena separati dai giacimenti (art. 821 del c.c.).
    Si puo', allora, conclusivamente,  affermare  che  le  concessioni
 minerarie  costituiscono,  da  sole,  titolo  idoneo  e sufficiente a
 conferire ai  concessionari  il  diritto  di  coltivare  le  miniere,
 separandone ed apprendendone i frutti.
    A  tale  ultime  fine  non  e'  necessario  alcun atto abilitativo
 aggiuntivo alla concessione mineraria, e alcun  pagamento  aggiuntivo
 al  diritto  proporzionale  annuo  previsto  dall'art. 25 della legge
 mineraria.
    La riassumente, Societa' anonyme Solvay e Cie, e'  titolare  delle
 concessioni   minerarie   di   salgemma  di  Buriano  e  Ponteginori,
 assentitele in perpetuo, a norma dell'art. 54 del r.d. n.  1443/1927,
 come  si  legge  nella  parte  narrativa della convenzione in data 18
 aprile 1956, prodotta in copia (settima facciata). In precedenza,  su
 tali  miniere  vantava  diritti  reali immobiliari acquistati con gli
 atti elencati nella citata convenzione.
    Puo' estrarre acque salse e sale allo stato solido,  che  utilizza
 nella propria produzione di soda, cloro e derivati (v. convenzione 18
 aprile 1956, art. 8).
    La  disciplina  delle  sue  concessioni e' diversa da quella delle
 altre concessioni minerarie, perche' si conforma non solo alla  legge
 mineraria, ma anche alla legge di tutela dei Monopoli di Stato (legge
 17 luglio 1942, n. 907).
    L'art. 3, n. 1, di tale legge, come vincolativamente interpretato,
 assoggetta  l'attivita'  di  estrazione del sale, in qualunque forma,
 esercitata in deroga  al  divieto  monopolistico,  ad  autorizzazione
 dell'Amministrazione  dei  Monopoli,  che  ha  natura  di concessione
 traslativa del diritto di proprieta' del sale.
    La concessione si aggiunge alle concessioni minerarie, costituenti
 titolo soltanto  per  l'uso  esclusivo  degli  immobili,  secondo  il
 giudice di legittimita'.
    E'  onerosa,  perche' e' rilasciata dietro pagamento di un canone,
 che  si  aggiunge  al  diritto  proporzionale  annuo  di  concessione
 mineraria,  diritto che costituisce corrispettivo per l'uso esclusivo
 degli  immobili,  secondo  la  riferita  opinione  del   giudice   di
 legittimita',  o,  anche,  prestazione  con  valore  ricognitivo  del
 diritto di proprieta', secondo il tribunale.
    Quale che sia  l'esatta  definizione  del  canone  di  concessione
 mineraria  (e  qui deve condividersi la prima per la forza vincolante
 della pronuncia che  la  contiene),  e'  certo  che  il  diverso,  ed
 aggiuntivo,   canone   di  concessione  di  estrazione  del  sale  e'
 autoritativamente  determinato  con  decreto  del  Ministro  per   le
 finanze,  sentito  il  consiglio  di  amministrazione dei Monopoli di
 Stato.
    La  concessione  dell'Amministrazione  dei  Monopoli,   conferisce
 diritto  alla  coltivazione  e all'estrazione dei frutti, e cioe' del
 sale o delle acque da cui viene estratto il sale, non essendo  a  tal
 fine sufficiente la concessione mineraria.
    Conseguentemente,  conferisce  il  diritto di apprendere i frutti,
 che per tutte  le  altre  miniere  si  acquista  con  la  concessione
 mineraria gia' conseguita, e che con ogni ragionevolezza, costituisce
 anche  il  diritto di prevalente contenuto ed interesse patrimoniale,
 non solo per il concessionario ma anche per il concedente.
    Identici sono il trattamento  e  le  condizioni,  di  esercizio  e
 gestione,  riservate dalla legge mineraria a tutti i concessionari di
 miniere, compresi i concessionari di miniere di salgemma.
    Il   salgemma,   detto   anche   halite,  e',  infatti,  minerale,
 industrialmente utilizzabile, che il r.d. n.  1443/1927,  accomuna  a
 tutti  gli  altri  minerali  utilizzabili  sotto  qualsiasi  forma  e
 condizione fisica, nella previsione unificante degli artt. 1 e  2,  e
 disciplina  con  criterio  di  uniformita' improntato al principio di
 uguaglianza negli artt. 14 e segg.
    La sovrapposizione della descritta disciplina del Monopolio  dello
 Stato  a  quella delle concessioni minerarie, colloca la riassumente,
 concessionaria in perpetuo  di  miniere  di  salgemma,  in  posizione
 differenziata,  e  deteriore,  rispetto  ai concessionari delle altre
 miniere, perche' la assoggetta ad una  prestazione  patrimoniale  (il
 canone) non dovuta dai predetti.
    Lo  strumento previsto nell'art. 3, n. 1, della legge n. 907/1942,
 e cioe' la concessione traslativa dietro pagamento del canone, inteso
 quale  corrispettivo  del  sale  di  proprieta'  dello  Stato,  offre
 l'indispensabile  supporto  tecnico  giuridico  alla discriminazione,
 coerente con il sistema delineato  dal  giudice  di  legittimita',  e
 formalmente perfetto.
    Ma  non  si  sottrae al sospetto di illegittimita' costituzionale,
 prospettato dalla riassumente nella seconda  delle  due  formulazioni
 illustrate   nell'atto  di  riassunzione,  mettendo  in  discussione,
 comunque, il Monopolio dello Stato.
    Nella  prima  formulazione,  la   questione,   e'   manifestamente
 infondata,  se  pure  e'  ammissibile, e non preclusa dalla sintetica
 trattazione  dedicata  al  tema  del  monopolio   dalla   Cassazione,
 osservando  che,  in  definitiva,  un  problema  di  legittimita' del
 monopolio non viene in evidenza perche' l'amministrazione trasferisce
 un diritto di cui, con il canone, chiede  il  pagamento,  e  non  una
 facolta'.
    Sostiene la riassumente che il monopolio di estrazione del sale e'
 stato abolito in dipendenza dell'abolizione dell'imposta di consumo e
 del  collegato  monopolio  di  vendita,  e  che,  percio',  il canone
 contestato, non e' piu' dovuto.
    E' certo che l'abolizione dell'imposta di consumo non ha provocato
 la caducazione dell'onere di pagare il canone  in  contestazione  che
 non   e'  imposta,  ed,  anzi,  non  si  collega  neanche  al  regime
 tributario,  come  ha  precisato  la  Cassazione  nella  sentenza  di
 annullamento con rinvio.
    E'  certo  anche  che il monopolio statale di estrazione del sale,
 sia  pure  in  forma   di   monopolio   solamente   industriale,   e'
 sopravvissuto  all'abolizione dell'imposta di consumo e del monopolio
 di vendita, disposta con d.l. 18  dicembre  1972,  convertito  nella
 legge  n. 10/1973, in ottemperanza, tardiva, a direttiva comunitaria.
 La sopravvenienza appare anomala, per due ordini di considerazioni.
    Prima, perche' ha investito  di  funzione  autonoma  un  monopolio
 concepito  in  origine  come  strumentale,  o  almeno prevalentemente
 strumentale, al monopolio di vendita.
    Poi perche' non sembra in armonia con le considerazioni ed i  voti
 di  chi,  gia'  venti  anni  fa,  in  sede  di conversione del citato
 decreto-legge, segnalava l'incompatibilita'  del  monopolio  sia  con
 l'impegno,  assunto  nei confronti della Comunita' economica europea,
 di procedere al piu' presto alla abolizione dei monopoli minori,  sia
 con  la  situazione economica e giuridica, e ne sollecitava la rapida
 abolizione (v. ad es.  Atti  Parlamentari:  intervento  del  relatore
 nella  seduta  dal  20  dicembre  1972;  intervento on. Sinesio nella
 seduta del 2 febbraio 1973).
    La difesa della riassumente, l'ha messa in  discussione  nell'atto
 introduttivo   della  presente  fase,  richiamando  anche  un  parere
 (favorevole all'abolizione), a suo tempo espresso  dal  Consiglio  di
 Stato   in  sede  consultiva,  ad  istanza  dell'Amministrazione  dei
 Monopoli, e spiegando argomenti rannodantisi alle difese  svolte  nei
 precedenti gradi.
    Ma   l'ha   riconosciuta   nell'ultima  conclusionale,  come  dato
 ineluttabile (v. pagg. 22  e  23),  confermato  anche  dalla  recente
 normativa   di   privatizzazione  dell'amministrazione  autonoma  dei
 Monopoli di Stato (d.l.  n.  386/1991,  convertito  nella  legge  n.
 35/1992, e deliberazione Cipe 18 febbraio 1993).
    In  conclusione,  la riserva monopolistica di estrazione del sale,
 e', sopravvissuta, non solo all'abolizione dell'imposta  di  consumo,
 ma anche all'abolizione della riserva monopolistica di vendita.
    E  allora,  e'  inevitabile  riconoscere la manifesta infondatezza
 della  questione  di  legittimita'  costituzionale   proposta   nella
 formulazione esposta, visto che il canone contestato si aggancia alla
 detta   riserva,  tuttore  esistente  ed  operante  nell'ordinamento,
 nonostante  l'avvenuta  abolizione  dell'imposta  di  consumo  e  del
 monopolio di vendita.
    Va   esaminata,   ora,  la  seconda  formulazione  della  medesima
 questione con  cui  si  denuncia  la  discriminazione,  a  danno  dei
 concessionari   di  miniere  di  sale,  i  quali,  a  differenza  dei
 concessionari di tutte le altre miniere,  sono  obbligati,  in  forza
 dell'art.  3,  n.  1,  della  legge n. 907/1942, a pagare il prodotto
 estratto.
    Non pare che la discriminazione possa ritenersi  insussistente,  o
 sottrarsi al sospetto di sostanziale irragionevolezza.
    Questo  viene  prospettato  valorizzandosi  il  collegamento della
 concessione traslativa, e del canone a fronte di essa dovuto, con  la
 riserva  monopolistica,  che  si  asserisce  illegittima,  e che, nel
 contesto, assume l'evidenza non ravvisata,  e  non  ravvisabile,  dal
 giudice di legittimita'.
    In  Cassazione,  infatti,  e' stata dedotta l'inammissibilita' del
 Monopolio dello Stato e/o la sua  inindoneita'  a  fornire  causa  al
 pagamento del canone contestato (v. controricorso pagg. 46-48).
    Ma  non  e'  stato prospettato il negativo riflesso del monopolio,
 illegittimamente  imposto  e  conservato,  sulla  razionalita'  della
 discriminazione,  attuata  a mezzo di tale canone e della concessione
 cui si aggancia.
    Il canone e' dovuto dai concessionari di miniere  di  sale,  quale
 corrispettivo,  necessario  e  non  eventuale,  venendo, formalmente,
 collegato alla concessione di estrazione, perche' il sale e'  coperto
 da riserva monopolistica.
    Dunque,  con la concessione traslativa, presiede alla tutela della
 riserva monopolistica.
    Il   collegamento   della   discriminazione   alla   funzione   di
 corrispettivo   di   concessione   traslativa,   che  il  giudice  di
 legittimita' assegna al canone, non ne esclude l'irrazionalita'.
    Questa  deriva   dalla   finalita'   di   tutela   della   riserva
 monopolistica cui, concessione traslativa e canone discriminanti sono
 strumentali.
    Non  pare irragionevole, sottolineare il collegamento tra l'art. 1
 della legge n. 907/1942, che istituisce il  monopolio  di  estrazione
 del  sale,  e  l'art.  3,  n.  1,  della  medesima legge che detta la
 disciplina denunciata.
    E' condivisibile  l'affermazione  secondo  cui  canoni  (quale  e'
 quello  imposto  dal  citato  art. 3, n. 1), autorizzazioni (quale e'
 nell'impropria definizione del testo  normativo,  la  concessione  in
 discussione)   controlli,  obblighi,  attivita'  di  vigilanza  della
 produzione,  sono  strumenti  finalizzati  alla  conservazione  della
 disponibilita' del prodotto monopolizzato.
    La  finalizzazione  si apprezza anche con riferimento al monopolio
 di produzione che, come quello di  vendita,  tende  pur  sempre  alla
 massimizzazione del profitto del monopolista.
    In  conseguenza,  non pare errato riconoscere che la seconda norma
 e' strumentale alla prima.
    Vale a dire che la concessione traslativa del diritto di  estrarre
 sale  di proprieta' dello Stato monopolista, ed il canone a fronte di
 essa dovuto, sono finalizzati alla  conservazione,  alla  gestione  e
 alla tutela della riserva monopolistica di estrazione del sale.
    Tale   riserva,  all'epoca  della  legge  n.  907/1942,  che  l'ha
 disciplinata, aveva finalita' anche industriali (oltre che  fiscali),
 ed ora ha finalita', solo industriali.
    La  funzione,  strumentale alla tutela del monopolio, dell'art. 3,
 n. 1, della legge n. 907/1942, e della concessione dietro canone  con
 funzione   di   corrispettivo,  con  questa  norma  imposto,  e'  ora
 contestata  dall'avvocatura   dello   Stato,   che   nega   qualsiasi
 collegamento  tra canone e monopolio industriale (v. comp. cost. pag.
 13, e, ultima conclusionale, pa. 14).
    Nella precedente fase di appello  e  in  Cassazione,  l'avvocatura
 aveva manifestato opinione diversa.
    Infatti,   traendo   anche   argomento   dalla   legge  istitutiva
 dell'Amministrazione  autonoma  dei  Monopoli  di  Stato  (r.d.l.  8
 dicembre  1927, convertito in legge 5 dicembre 1928, n. 2474, art. 4)
 aveva sostenuto che il monopolio del sale  e'  finalizzato  anche  al
 procacciamento   di   entrate   industriali   (oltre   che  fiscali),
 nell'ambito delle quali trova collocazione il canone  contestato  (v.
 comp.  concl.  in  appello,  pagg.  12,  in  fine e 13, e ricorso per
 Cassazione pag. 34).
    E',  allora,  sostenibile,  non  impedendolo  neanche  la   difesa
 dell'avvocatura,  ora sintetizzata, che la ratio giustificativa della
 concessione,  e  del   canone   attraverso   cui   si   realizza   la
 discriminazione  denunciata,  riposa  sulla necessita' di conservare,
 gestire, e tutelare il monopolio industriale di estrazione del  sale,
 che  lo  Stato  ha  conservato,  dopo, e nonostante, l'abolizione del
 monopolio di vendita.
    Occorre, ora, verificare se la riserva monopolistica e' esercitata
 nel  rispetto  delle  condizioni  legittimanti  il  monopolio,  poste
 dall'art. 43 della Costituzione, e se e' idonea a giustificare, anche
 sul  piano  sostanziale,  oltre  che  sul piano formale, l'obbligo di
 pagare  il   canone   contestato,   privandolo   della   connotazione
 discriminatoria denunciata.
    La  riserva  non  sembra  riferibile  ad  alcuna  delle previsioni
 legittimanti poste dall'art. 43 della Costituzione.
    In   conseguenza   non   sembra   idonea   a  conferire  razionale
 giustificazione alla discriminazione denunciata.
    Sicuramente non e' riferibile a fonte di energia, tale non essendo
 il sale e la sua produzione.
    Puo',  ancora,  escludersene  la  riferibilita'  a  situazione  di
 monopolio  in  atto  (quelle eventuali esulano dalla previsione della
 norma), per impedirne l'esercizio  in  danno  degli  interessi  della
 collettivita' costituzionalmente protetti.
    L'estrazione   del  sale,  infatti,  non  risulta,  all'attualita'
 gestita  (e  neanche  gestibile,  sempre  all'attualita',  stante  la
 riserva) da imprese o gruppi di imprese operanti come monopolisti sul
 mercato.
    Potrebbe   riferirsi   a   servizio   pubblico,  sul  rilievo  che
 l'estrazione del sale riguarda bene di uso  necessario,  e  di  costo
 minimo  per  i singoli; la sua riserva alla mano pubblica consente il
 conseguimento di entrate destinate ad impieghi pubblici, e  per  tale
 via,  persegue fini genericamente di utilita' generale, anche se poi,
 in concreto, le entrate non producono  utili,  e  talora,  anzi,  non
 coprono  neanche  i costi, come e' accaduto, ad esempio, nel 1973 (v.
 dati riportati nel controricorso per cassazione della  riassumente  a
 pagg. 44 e 45).
    Quest'ultima     circostanza     puo'     essere     sottolineata,
 incidentalmente, perche' conferma il  costante  passivo  di  gestione
 riscontrato  in  tutti  i  monopoli  statali  non  fiscali,  e rivela
 l'antieconomicita'   degli   stessi   che,   percio',   sono    stati
 apprezzabilmente    limitati    con    la    citata   disciplina   di
 privatizzazione.
    Comunque, la destinazione a fini  di  generica  utilita'  generale
 integra  motivo  che,  da  solo,  non  pare  idoneo a giustificare la
 riserva monopolistica dello Stato.
    E'   insignificante,   infatti,   sul   piano   dell'apprezzamento
 dell'essenzialita'  dell'attivita'  riservata,  costituente,  a norma
 dell'art. 43 della Costituzione, criterio oggettivo di legittimazione
 della riserva monopolistica.
    L'essenzialita' e', notoriamente, di difficile individuazione,  ma
 non  pare  errata l'opinione, ricordata anche nell'ultima conclusione
 della riassumente (v. pag. 25), che la collega all'irrinunciabilita',
 all'indispensabilita', all'assoluta necessita' di  un  dato  servizio
 perche'  rispondente, in un dato momento storico, a primari interessi
 della collettivita'.
    Di tale oggettiva connotazione non pare  dotata  l'estrazione  del
 sale  che  puo' ritenersi rinunciabile e non necessaria, posto che e'
 finalizzata al conseguimento di un bene praticamente inesauribile, in
 un paese come il nostro circondato per la maggior parte dal mare,  e,
 percio',  disponibile  in  quantita'  sufficiente  ai  bisogni  della
 collettivita',  e  a  costi  tollerabili  per  i  singoli  e  per  la
 collettivita'.
    Del  resto,  la  rinunciabilita',  e  dunque, la non essenzialita'
 della riserva statale di estrazione del sale, e' stata riconosciuta -
 prendendosi,    evidentemente,    anche    atto    della    pregressa
 antieconomicita' della gestione - dalla recente e citata normativa di
 privatizzazione dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato.
    Puo',  inoltre,  ritenersi  riconosciuta, almeno per gli operatori
 che, come la riassumente, destinano il sale estratto  in  concessione
 alla  propria  produzione,  anche  dalla  recente normativa di tutela
 della concorrenza e del mercato (legge 10 ottobre 1990, n. 287).
    Questa,  in  coerenza  con  la norma costituzionale (art. 43 della
 Costituzione), che detta criteri restrittivi di legittimazione  delle
 riserve  monopolistiche  dello  Stato,  ha  sancito  il  diritto alla
 autoproduzione.
    Ha,  percio',  escluso  dall'area  riservata,  e  riservabile,  la
 produzione  di  beni  o  servizi  "per  uso  proprio  della  societa'
 controllante e delle societa' controllate", sempre che non  ricorrano
 motivi  di  ordine pubblico, sicurezza pubblica e difesa nazionale, e
 non sia coinvolto il settore delle telecomunicazioni (art. 9, primo e
 secondo comma, della legge n. 287/1990).
    Non pare errato, in conclusione, ritenere che:
      1) il trattamento  dei  concessionari  di  miniere,  compresi  i
 concessionari di miniere di estrazione del sale, e' uguale per tutti,
 stante  la  previsione  degli  artt.  1,  2,  14  e segg. del r.d. n.
 1443/1927, che accorpano tutte le miniere in  unica  categoria  e  le
 assoggettano a disciplina, informata al principio di uguaglianza;
      2)  i  concessionari  di miniere di estrazione del sale ricevono
 trattamento diverso;
      3) tale trattamento e'  deteriore  per  l'onere  aggiuntivo  che
 comporta  (concessione  traslativa  contro pagamento di canone), e si
 collega a strumento normativo (art. 3, n. 1, della legge n. 907/1942)
 formalmente perfetto, ma finalizzato alla gestione,  conservazione  e
 tutela  della  riserva  monopolistica  di estrazione del sale (art. 1
 della legge n. 907/1942), sopravvissuta alla abolizione, a suo  tempo
 prevista,   e   nonostante   l'abolizione   della  collegata  riserva
 monopolistica di vendita del sale;
      4) la sopravvissuta riserva monopolistica di estrazione del sale
 non appare riconducibile alla previsione  legittimante  dell'art.  43
 della  Costituzione,  interpretato  anche  alla luce della produzione
 normativa successiva all'entrata  in  vigore  della  Costituzione  in
 materia di privatizzazione dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato
 e di tutela della libera concorrenza;
      5)  in  conseguenza, non puo' ritenersi manifestamente infondato
 il sospetto dell'irragionevolezza del  discriminato  trattamento  dei
 titolari  di  concessioni  minerarie  di estrazione del sale, siccome
 collegabile al rilevato fine  di  tutela  di  riserva  monopolistica,
 esercitata  in  condizioni  che  non ne escludono l'illegittimita' in
 maniera manifesta.
    Giustificata, pertanto, appare la  trasmissione  degli  atti  alla
 Corte    costituzionale    per   la   verifica   della   legittimita'
 costituzionale della razionalita', con riferimento  al  principio  di
 uguaglianza  sostanziale (art. 3 della Costituzione), del trattamento
 differenziato dei concessionari di miniere  di  estrazione  del  sale
 imposto  dall'art.  3,  n. 1, della legge n. 907/1942, a tutela della
 riserva monopolistica dello Stato, esercitata  a  norma  dell'art.  1
 della  legge  n.  907/1942,  e conservata anche dopo l'abolizione del
 monopolio  di  vendita  del  sale,   nell'apparente   assenza   delle
 condizioni legittimanti poste dall'art. 43 della Costituzione.
    La  questione  e'  rilevante  perche'  dalla sua decisione dipende
 l'accoglimento o la reiezione della domanda con cui la riassumente ha
 chiesto dichiararsi non dovuto, a far data dal  1  gennaio  1973,  il
 canone  contestato,  e  condannarsi le amministrazioni convenute alla
 restituzione dei canoni pagati.
    E'  opportuno  aggiungere  che le attivita' riservate al Monopolio
 dello Stato, sono precluse all'iniziativa economica privata.
    La legittimita' costituzionale  delle  riserve  monopolistiche  va
 apprezzata con riferimento all'art. 43 della Costituzione.
    Non pare possa essere apprezzata anche con riferimento all'art. 41
 della  Costituzione,  che  detta  le condizioni di legittimita' degli
 interventi limitativi, piu' o meno intensi, dell'iniziativa economica
 privata.
    Nella specie si  deduce,  nei  termini  esposti,  l'illegittimita'
 della riserva monopolistica dello Stato sulle attivita' di estrazione
 del sale, e della totale sottrazione di tali attivita' all'iniziativa
 economica privata.
    Non   pare,  in  conseguenza,  deducibile  l'illegittimita'  della
 riserva stessa anche con riferimento all'art. 41 della  Costituzione,
 senza, contradittoriamente, negarne la forza totalmente preclusiva, e
 riconoscerne  la diversa forza limitativa, sia pure dotata di elevata
 capacita' di penetrazione.
    Del resto, la discriminazione denunciata si riconduce a  strumento
 normativo   di   intervento   totalmente  preclusivo  dell'iniziativa
 privata, quale e' la legge a tutela della  riserva  monopolistica  di
 estrazione del sale, e il referente costituzionale della legittimita'
 di tale intervento puo' essere solo l'art. 43 della Costituzione.
    Per  queste  ragioni,  se  la valorizzazione dell'eccessivita' del
 canone imposto, e dei sintomi rivelatori dell'arbitrarieta' della sua
 determinazione, fatta  nell'ultima  conclusionale,  sono  finalizzate
 alla   prospettazione   di   ulteriore  questione  di  illegittimita'
 costituzionale   riflessa   del   trattamento    differenziato    dei
 concessionari  di  miniere di sale, con riferimento all'art. 41 della
 Costituzione,  e  allora  deve,  ragionevolmente,   concludersi   per
 l'inammissibilita' della questione.
    Le  questioni  poste  con  le  domande di ipotesi, compresa quella
 sull'ammissibilita' di tali domande e sugli intrecci di esse  con  il
 diritto  comunitario  (art.  86  trattato  C.E.E.),  oltre  che sulla
 competenza interpretativa  pregiudiziale  della  Corte  di  giustizia
 della Comunita' europea, in ordine al diritto stesso, vanno riservate
 al prosieguo.
    Sono,  infatti,  dotate  di rilievo ed interesse solo eventuali, e
 per il caso di mancato accoglimento della  domanda  di  tesi  su  cui
 potra'  essere  emessa  pronuncia di merito a seguito della decisione
 della Corte costituzionale.