LA CORTE DI APPELLO
   Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento di ricusazione del
 giudice per l'udienza preliminare, ufficio XI, presso il tribunale di
 Napoli dott. Luigi Picardi, per incompatibilita', ai sensi  dell'art.
 34,  secondo  comma,  c.p.p. a partecipare a detta udienza, avendo in
 precedenza emesso ordinanza applicativa della misura cautelare  della
 custodia in carcere.
                            FATTO E DIRITTO
   Barbella  Vincenzo, Barbato Giovanni e Busiello Antonio - a seguito
 di richiesta di rinvio a giudizio avanzata  nei  loro  confronti  dal
 p.m. presso il tribunale di Napoli - depositavano in data 11 dicembre
 1995  distinte  dichiarazioni  di  ricusazione del g.i.p. dott. Luigi
 Picardi, motivate dal fatto che questi aveva emesso  a  loro  carico,
 nello   stesso   procedimento,  ordinanza  applicativa  della  misura
 cautelare della custodia in  carcere:  eccepivano  l'incompatibilita'
 del giudice a partecipare all'udienza preliminare, ai sensi dell'art.
 34,  secondo  comma,  c.p.p., trattandosi di ipotesi analoga a quella
 decisa con la sentenza della Corte costituzionale  n.  432  del  6-15
 settembre  1995, dichiarativa della incompatibilita' a partecipare al
 dibattimento  del  giudice  per  le  indagini  preliminari  che abbia
 applicato   una   misura   cautelare   personale   e,   gradatamente,
 l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p.,
 nella parte in cui non prevede che non possa partecipare  all'udienza
 preliminare  il  giudice  per  le  indagini  preliminari,  che  abbia
 adottato  la  misura   della   custodia   cautelare   nei   confronti
 dell'imputato.
   procedutosi  con  le  forme  di  cui all'art. 127 c.p.p., all'esito
 dell'odierna udienza in camera di consiglio osserva la corte:
     1) l'istanza  e'  ammissibile  in  quanto  proposta  da  Barbella
 Vincenzo,  Barbato  Giovanni  e Busiello Antonio nei termini e con le
 forme dell'art.   38  c.p.p.,  nell'ambito  del  procedimento  penale
 pendente  a carico loro e di altri presso l'ufficio XI del g.i.p. (n.
 9807/95);
     2) non sussiste la ragione di  incompatibilita'  sollevata  dagli
 imputati,    atteso   il   carattere   tassativo   delle   cause   di
 incompatibilita' previste dall'art. 34 c.p.p.,  che  rende  la  norma
 stessa  insuscettibile  di  interpretazione estensiva ed analogica, e
 non potendo la stessa farsi discendere  dalla  sentenza  della  Corte
 costituzionale   n.  432/1995,  per  l'assenza  di  disposizioni  che
 consentono di estendere la dichiarata  incostituzionalita'  dell'art.
 34, secondo comma, c.p.p. in fattispecie diversa da quella esaminata;
     3)  va  invece  ritenuta, conformemente all'orientamento da altre
 sezioni di questa corte, la rilevanza ai  fini  del  procedimento  di
 ricusazione  in corso e la non manifesta infondatezza della questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo  comma,  c.p.p.,
 come sollevata dagli imputati, per le seguenti considerazioni:
      a)  la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 432/1995,
 ha affermato il principio che il giudice per le indagni  preliminari,
 nel  disporre  una  misura cautelare di qualsiasi tipo, deve compiere
 valutazioni comportanti la formulazione di un giudizio  non  di  mera
 legittimita', ma di merito - sia pure prognostico ed allo stato degli
 atti  -  sulla colpevolezza dell'indagato; una valutazione sul merito
 della res iudicanda. A tale conclusione conduce  anche  l'intervenuto
 mutamento  del quadro normativo per effetto della legge 8 agosto 1995
 n. 332 che impone  al  giudice,  per  l'applicazione  di  una  misura
 cautelare  personale,  un  pregnante  apprezzamento  degli elementi a
 carico ed a favore dell'indagato, emersi dall'attivita'  di  indagine
 del p.m., e l'obbligo di dar conto dei motivi per i quali ritiene che
 assumano rilevanza, pena la nullita' del provvedimento applicativo;
      b)  nell'udienza  preliminare  l'accertamento  che il giudice e'
 tenuto a compiere, pur essendo di ordine processuale per la finalita'
 di introduzione o meno del giudizio,  non  puo'  prescindere  da  una
 valutazione  di  merito  di  tutti gli elementi probatori; la legge 8
 aprile  1993  n.  105,  abrogatrice  del   criterio   dell'"evidenza"
 richiesto  dall'art.  425  c.p.p.,  ha ampliato i poteri decisori del
 g.u.p.,  tenuto  ora  a  valutare   la   ricorrenza   di   cause   di
 proscioglimento non piu' con esclusivo riferimento al parametro della
 evidente  infondatezza  dell'accusa,  bendi'  utilizzando  piu' ampie
 regole di giudizio attraverso il controllo di merito  degli  elementi
 probatori.  Detti  poteri  valutativi  in quanto non piu' limitati al
 mero controllo di legittimita' e correttezza delle  fonti  di  prova,
 possono   essere  assimilati  a  quelli  attribuiti  al  giudice  del
 dibattimento, allorche' rimanga immutato  il  quadro  probatorio;  la
 diversita' di apprezzamento di quest'ultimo, nel caso di acquisizione
 di  ulteriori  prove, e' del resto solo di ordine quantitativo, e non
 qualitativo;
      c) consegue che il g.i.p. il quale abbia  applicato  una  misura
 cautelare   personale,   cosi'   compiendo   una   prima  valutazione
 contenutistica  dei  risultati  delle  indagini,  ha   adottato   una
 pronuncia  suscettibile  di  influenzare  lo  svolgimento  della  sua
 successiva attivita' da g.u.p.  e, in particolare, di condizionare la
 valutazione circa la sussistenza delle  condizioni  per  assoggettare
 l'imputato  al giudizio di merito, che andra' ad affermare in sede di
 emissione del provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare;
      d) cio' posto, appare in contrasto con gli articoli  3,  24,  25
 della  Costituzione  l'art.  34, secondo comma, c.p.p. nella parte in
 cui non prevede detto caso di incompatibilita'.
   La diversita'  di  trattamento  e'  ravvisabile  nei  confronti  di
 coimputato   dello   stesso  reato  nel  medesimo  procedimento,  non
 raggiunto  da  misure  cautelari  personali,  rispetto  al  quale  la
 decisione  del  g.u.p.  sara'  frutto  di un approccio valutativo non
 pregiudicato.
   La lesione del diritto di difesa  e'  conseguenza  inevitabile  del
 possibile  condizionamento  che  puo'  inquinare  il convincimento di
 detto giudice per la ridotta valenza che assumono  le  argomentazioni
 difensive  di  fronte  alla naturale tendenza a mantenere un giudizio
 gia' espresso.
   L'identita' soggettiva tra il g.i.p. che ha dispoto  l'applicazione
 di  una  misura  cautelare  personale,  esprimendosi  in  termini  di
 valutazione di alta probabilita' di  fondamento  dell'accusa,  ed  il
 g.u.p.  chiamato  a  decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio e'
 idonea a determinare (o far paventare) un pregiudizio atto  a  minare
 la garanzia costituzionale di imparzialita' del giudice, riflessa nel
 presidio della precostituzione del giudicenaturale.