ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 3 e 6,
 della  legge  30  luglio  1990,  n. 217 (Istituzione del patrocinio a
 spese dello Stato per i non abbienti) promosso con  ordinanza  emessa
 il  10  maggio  1995  dal  pretore di Ancona sull'istanza proposta da
 Laghfiri Rachid iscritta al n. 805  del  registro  ordinanze  1995  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 48, prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministi;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12 giugno 1996 il giudice
 relatore Renato Granata;
   Ritenuto  che  il  pretore  di  Ancona  -  in  un  procedimento  di
 ammissione  al  gratuito  patrocinio  promosso  da  un  cittadino del
 Marocco (nei cui confronti era stata emessa sentenza di  applicazione
 della  pena  ex art. 444 del codice di procedura penale, poi revocata
 per sopravvenuta  declaratoria  di  incostituzionalita'  della  norma
 incriminatrice)  -  ha  sollevato,  con ordinanza del 10 maggio 1995,
 questione incidentale di legittimita'  costituzionale  del  combinato
 disposto  dei  commi 3 e 6 dell'art. 5 della legge 30 luglio 1990, n.
 217 (Istituzione del  patrocinio  a  spese  dello  Stato  per  i  non
 abbienti),  nella  parte  in  cui  impone  al  giudice di revocare il
 provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio  dello  straniero,
 ove  manchi l'attestazione dell'autorita' consolare sulla veridicita'
 dell'autodichiarazione di non abbienza del richiedente "anche  quando
 tale   mancanza  sia  dovuta  all'assenza  fisica  dell'imputato  nel
 procedimento   penale,   come    nel    caso    del    latitante    o
 dell'irreperibile";
     che,  in particolare, il giudice a quo ritiene detta normativa in
 contrasto con l'art.  24  e  con  l'art.  10  della  Costituzione  in
 relazione   all'art.   49   della  "Convenzione  di  reciproco  aiuto
 giudiziario fra l'Italia  e  il  Marocco"  (conclusa  a  Roma  il  12
 febbraio 1971 e ratificata con la legge 12 dicembre 1973, n. 1043);
     che,  infatti,  a  suo  avviso,  mentre  la riferita disposizione
 pattizia prevede che i cittadini di ciascuno dei due paesi contraenti
 godano, sul territorio dell'altro, il  beneficio  dell'assistenza  in
 giudizio  alla  pari  di  quelli  dello Stato ospitante, la normativa
 nazionale sul gratuito patrocinio, della cui legittimita' si  dubita,
 non  assicurerebbe viceversa una siffatta parita', in quanto - con il
 richiedere  la  menzionata  attestazione  consolare  in  ordine  alla
 veridicita'  della  autocertificazione  di  non  abbienza che, per lo
 straniero,  sostituisce  le  pur  piu'  minuziose   dichiarazione   e
 certificazioni   prescritte   per   il  richiedente  italiano  -  "se
 semplifica la richiesta  di  gratuito  patrocinio  allo  straniero  e
 dunque  al  cittadino  marocchino  che  sia  fisicamente presente nel
 processo, la renderebbe di fatto pero' improponibile per  colui  che,
 come   nella   specie,   dopo  aver  formulato  l'istanza,  si  renda
 latitante";
     che di detta questione l'intervenuto Presidente del Consiglio dei
 ministri ha eccepito preliminarmente l'inammissibilita', sul  rilievo
 che,   in  conseguenza  dell'intervenuta  revoca  della  sentenza  di
 condanna, l'eventuale suo accoglimento non  avrebbe  alcuna  concreta
 incidenza sulla situazione processuale e sostanziale dell'imputato;
   Considerato che va respinta l'eccezione di irrilevanza, avendo, per
 tal  profilo,  il  pretore rimettente congruamente argomentato che la
 revoca della condanna "non elimina l'interesse alla  decisione  nella
 procedura  in  corso,  poiche'  occorre  in ogni caso stabilire se al
 pagamento del compenso dovuto al difensore per l'opera  prestata  nel
 processo, debba o non far fronte lo Stato";
     che, nel merito, la questione e' manifestamente infondata;
     che,   infatti,  la  situazione  che  il  giudice  a  quo  assume
 discriminatoria nei confronti dello straniero  e  che  vorrebbe,  per
 cio',  emendata,  con sottrazione del beneficio all'automatismo della
 revoca in mancanza della  prescritta  attestazione,  e'  propriamente
 quella   in   cui   l'acquisizione   (ed   il   deposito)  di  quella
 certificazione   resti   di   fatto   impedita    dall'allontanamento
 dell'imputato e dalla conseguente impossibilita' per il suo difensore
 di  entrare  in  contatto  con  lui  e  di  metterlo in condizione di
 produrre, anche indirettamente per  suo  tramite,  la  fotocopia  del
 passaporto   o   di   altro  documento  d'identita',  come  richiesto
 dall'autorita' consolare per il rilascio dell'attestazione in  parola
 secondo quanto riferisce lo stesso giudice remittente;
     che  analoga  situazione  impeditiva  non dissimilmente puo pero'
 verificarsi anche nei confronti del cittadino italiano (che si renda,
 come nella specie, latitante "prima  di  aver  avuto  conoscenza  del
 decreto  di  ammissione  al  patrocinio gratuito e quindi del termine
 concesso" per il deposito della ben piu' complessa  documentazione  a
 lui richiesta per la certificazione del suo stato di bisogno), con la
 conseguenza  che,  anche  in  questo  caso,  il  mancato assolvimento
 dell'onere certificatorio da parte del latitante  conduce  egualmente
 alla revoca del beneficio;
     che  a  nessuna  disparita'  di  trattamento,  sul  terreno della
 difesa, tra cittadino  italiano  e  straniero  da'  quindi  luogo  la
 normativa  sub art. 5 della legge n. 217 del 1990 citata, a torto per
 cio' denunciata;
   Visti gli artt. 26, secondo comma della legge  11  marzo  1953,  n.
 87,  e 9, secondo comma delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.