Ricorso  per  conflitto  di  attribuzioni tra poteri dello Stato ai
 sensi degli artt. 134 Cost. e  37  ss.  legge  87/53  promosso  della
 Camera  dei  deputati in persona del suo Presidente on. prof. Luciano
 Violante, in esecuzione delle delibere dell'ufficio di presidenza  n.
 36/97  del  30  gennaio 1997 e dell'Assemblea del 4 febbraio 1997 che
 hanno elevato il conflitto, con la  rappresentanza  e  difesa  giusta
 mandato  per notar Castellini di Roma del 26 marzo 1997 n. rep. 52269
 dell'avv.  Giuseppe Abbamonte e con lui elettivamente domiciliata  in
 Roma  alla  via  Proba  Petronia,  60  presso  il dr. G. Salazar; nei
 confronti del tribunale civile di Foggia, per la dichiarazione previo
 riconoscimento  dell'ammissibilita'   del   proposto   conflitto   di
 attribuzione,  della  carenza  di potere del giudice civile in ordine
 alla domanda di risarcimento per danni morali, proposta dal dr. Luigi
 Picardi  contro  l'on.  Francesco  Cafarelli   per   fatti   compiuti
 nell'esplicazione  della  funzione  parlamentare  e,  come  tali, non
 perseguibili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della  Costituzione;
 nonche',  per  l'annullamento della sentenza del tribunale di Foggia,
 II sezione civile, n. 749/96 del 3 maggio-1 giugno 1996  di  condanna
 dell'on.le  Cafarelli  al pagamento di lire dieci milioni a titolo di
 risarcimento di danni  non  patrimoniali  in  favore  del  dr.  Luigi
 Picardi:  sentenza  emessa  con invasione della sfera di attribuzioni
 costituzionali della Camera.
                               f a t t o
   1.  - Con atto di citazione del 10 marzo 1992 il dr. Luigi Picardi,
 magistrato attualmente in servizio presso  il  tribunale  di  Napoli,
 conveniva  in  giudizio,  dinanzi  al  tribunale  di  Foggia, l'on.le
 Francesco Cafarelli, per sentirlo condannare al pagamento della somma
 di  L.    1  miliardo  a  titolo  di  risarcimento  dei   danni   non
 patrimoniali,  che  l'istante  avrebbe  subiti  a  causa  di  pretese
 dichiarazioni  diffamatorie  per  esso   attore,   allora   sostituto
 procuratore   della   Repubblica   presso  il  tribunale  di  Foggia.
 Affermazioni relative a comportamenti  del  dr.  Picardi  durante  il
 periodo  in  cui aveva svolto le funzioni di p.m. a Foggia, contenute
 in  un  esposto  inviato  dal  convenuto,  all'epoca  parlamentare  e
 segretario  della Commissione antimafia, al Consiglio superiore della
 magistratura, affermazioni successivamente  confermate  dallo  stesso
 convenuto   dinanzi  all'ispettore  ministeriale  inviato  a  seguito
 dell'apertura di procedimento disciplinare sollecitato dall'organo di
 autogoverno dei giudici.
   2. - Giova precisare al riguardo  che,  sempre  in  relazione  alla
 medesima  indagine condotta dalla ricordata Commissione antimafia, il
 dr. Baldi, altro magistrato della stessa  procura  di  Foggia,  aveva
 sporto  querela  nei  confronti  dello stesso on. Cafarelli e per gli
 stessi fatti; conseguentemente, era stato promosso, a carico di detto
 parlamentare, procedimento penale per il reato di diffamazione  (art.
 595  cod.  pen.);  procedimento sottoposto all'esame della Camera, ai
 fini  dell'allora  prescritta  autorizzazione  a  procedere,   negata
 dall'Assemblea  parlamentare  su conforme delibera della Giunta delle
 autorizzazioni a procedere: (cfr. atti parl., Camera, XI  leg.,  doc.
 IV  n.  113-A,  rel. Del Basso De Caro - doc. 4). La Camera, infatti,
 riteneva trattarsi di ipotesi rientrante nella  fattispecie  prevista
 dall'art.  68, primo comma, della Costituzione e nella delibera della
 Giunta si legge:  "la Giunta ha ritenuto che  il  deputato  Cafarelli
 con  l'esposto e le interrogazioni abbia esercitato legittimamente il
 suo diritto-dovere di sindacato politico  coperto  dalla  prerogativa
 dell'insindacabilita'  di  cui  al  primo  comma  dell'art.  68 della
 Costituzione".
   La Camera aveva pertanto gia' ritenuto non  perseguibile  ai  sensi
 dell'art.  68  Cost.  il  fatto  posto  poi  a fondamento dell'azione
 civile.
   L'odierno conflitto viene sollevato dalla Camera dei  deputati  per
 riaffermare  il  suo  potere  di valutare la perseguibilita' di fatti
 commessi  da  un  proprio  membro,  definendo  sia  la   natura   del
 comportamento  (espressione  di opinioni e voti) sia la sussistenza o
 meno della connessione tra lo stesso comportamento, divenuto  oggetto
 del giudizio civile, e l'esercizio della funzione parlamentare.
   Riaffermazione   necessaria   perche',   nonostante   il  ricordato
 precedente, il giudice civile ha ritenuto di poter pervenire  per  lo
 stesso  fatto  ad  una condanna in sede civile che la Camera contesta
 ritenendola invasiva delle sue attribuzioni (docc 3-5).
   Si deducono pertanto i seguenti
                              M o t i v i
   I. - Invasione della sfera  di  attribuzioni  costituzionali  della
 Camera  ex  artt. 64 e 68 Cost. nonche' delle prerogative dei singoli
 parlamentari ex art. 68 Cost., per avere il tribunale di Foggia nella
 denunziata  sentenza  limitato  al  giudizio   penale   gli   effetti
 dell'accertamento  di insindacabilita' degli atti dell'on.  Cafarelli
 gia' espresso dalla Camera, nel senso che trattavasi di atti compiuti
 nell'esercizio del mandato parlamentare; detto accertamento e'  stato
 indebitamente  disatteso  e  si  e'  proceduto  nel  giudizio  civile
 pervenendo alla condanna al risarcimento del danno non patrimoniale.
   Questi  fatti  sono  pacifici  ed  altrettanto  pacifiche  sono  le
 conseguenze  che ne ha tratto il tribunale di Foggia, emergendo dalla
 relativa sentenza quanto segue:
     "Ritiene il Collegio di non condividere l'orientamento di  quella
 dottrina   costituzionale   secondo   la  quale  l'immunita'  esclude
 qualunque forma di responsabilita' che non  sia  quella  disciplinare
 esercitabile degli organi parlamentari.
   Invero,   in   ordine   al   punto   controverso  della  estensione
 dell'immunita' alla  responsabilita'  civile,  la  risposta  negativa
 appare    ovvia    per   quanto   riguarda   l'ipotesi   di   diniego
 dell'autorizzazione a procedere (art. 68, 2 comma  Cost.),  dato  che
 quest'ultima  e'  universalmente  costruita  come  una  condizione di
 procedibilita' dell'azione penale che non puo'  riguardare  in  alcun
 modo l'azione civile di danno...
   ...Destano   forti  perplessita',  infatti,  le  motivazioni  della
 decisione della Giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere
 allegata agli atti, relativa al procedimento penale instaurato contro
 il convenuto a seguito di querela del giudice Baldi.
   Neppure appare condivisibile la  tesi  del  convenuto  secondo  cui
 l'esposto inviato al C.S.M. sarebbe stato redatto in via ufficiale da
 parte  di soggetto membro della Commissione parlamentare antimafia e,
 quindi, in rappresentanza di quest'ultimo organo e in adempimento  di
 un preciso dovere costituzionale..." (doc 5).
   Ora  e'  manifesta  la  violazione  da  parte del tribunale sia del
 vecchio e piu' ancora del nuovo testo dell'art. 68 Cost., primo comma
 modificato con la legge cost. 29  ottobre  1993  n.  31,  per  quanto
 questa  norma  nega  che  i  parlamentari  possano essere "chiamati a
 rispondere" per fatti commessi nell'esercizio del mandato.
   La locuzione "chiamati a rispondere" che sostituisce la  precedente
 "perseguiti"  e'  infatti chiarificatrice nel senso di includere ogni
 forma  di  responsabilita',  perche',  non  solo  gia'  l'espressione
 precedente  e'  chiara ed il cambiamento di locuzione lo e' ancora di
 piu', ma perche' non esiste alcun elemento,  ne'  di  interpretazione
 tecnica  ne'  sistematica, che possa limitare gli effetti del divieto
 di chiamare a rispondere; espressione idonea a contrapporsi  ad  ogni
 atto  di  iniziativa  giudiziaria  che  contenga  una chiamata ed una
 contestazione; una chiamata, cioe', a rispondere  per  violazione  di
 norme giuridiche e/o di lesione di interessi protetti giuridicamente.
   Inutile  dire  che  il  dato sistematico, che consiste nella specie
 nella comparazione tra vecchio e nuovo testo dell'art.  68,  fornisce
 eloquente  conferma,  specie  se  si  ha riguardo al linguaggio della
 nostra legislazione, penale e non; legislazione che in  qualche  modo
 veniva  sottesa  per limitare, in modo piu' che discutibile, la norma
 costituzionale nella precedente dizione, riferibile peraltro al  reus
 che, in senso lato, comprende anche il convenuto.
   Conseguentemente,  il  tribunale  si  sarebbe  dovuto  arrestare di
 fronte alla  pronuncia  negativa  della  Camera  sulla  richiesta  di
 autorizzazione  a  procedere  per  diffamazione in relazione al fatto
 dell'on. Cafarelli, che era  lo  stesso  fatto  posto  a  base  della
 domanda  di  risarcimento,  come  risulta  da  riportato  brano della
 sentenza. In narrativa si e'  gia'  evidenziata  la  decisione  della
 Giunta  per le autorizzazioni a procedere la quale aveva ritenuto che
 "... il deputato Cafarelli con  l'esposto  e  l'interrogazione  abbia
 esercitato   legittimamente   il   suo  diritto-dovere  di  sindacato
 politico, coperto dalla prerogativa dell'insindacabilita' di  cui  al
 primo comma dell'articolo 68 della Costituzione e, nel caso della sua
 audizione,  oggetto  di  querela,  abbia  solo  ribadito affermazioni
 contenute nei suddetti atti".
   Di fronte a questa pronuncia della Camera, il tribunale non avrebbe
 potuto comunque, procedere  nel  giudizio,  disapplicando  quanto  la
 Camera aveva gia' deciso.
   Non  esiste infatti nel nostro ordinamento alcun potere dell'A.G.O.
 di disapplicare gli atti del Parlamento, specie per  quanto  riguarda
 gli  atti  di  prerogativa  che,  in  realta',  sono delle competenze
 esclusive, aventi la funzione di tutelare l'autonomia del  Parlamento
 e  del  parlamentare,  assumendo  le  forme  e  facendo  fronte  alle
 occasioni che possano dar luogo ad attacchi a  detta  autonomia,  sia
 dei  collegi  parlamentari  sia  dei singoli parlamentari, cosi' come
 costituzionalmente tutelate.
   Autonomia    che    la    disapplicazione,    implicitamente     ma
 necessariamente,  compiuta  dal  tribunale  certamente  lede, perche'
 incide in una sfera di attribuzioni gia' concretatasi in una presa di
 posizione tipica della Camera interessata, nel senso di affermare  la
 qualificazione  degli  atti,  contestati come atti di esercizio della
 funzione parlamentare, con conseguente insindacabilita'.
   A  tutto  concedere  il  tribunale  ove  avesse  dissentito   dalla
 decisione  della  Camera,  avrebbe  potuto  sollevare un conflitto di
 attribuzioni, spettando soltanto alla Corte costituzionale,  ex  art.
 134  Cost., risolvere i conflitti tra poteri dello Stato e verificare
 se la Camera avesse ecceduto i limiti ex artt. 64 e 68 Cost.
   II. - A) Invasione della sfera di attribuzioni  costituzionali  del
 Parlamento  ex  artt.  64  e  68  Cost. perche', riconoscendo ad esse
 potesta' normative, di autoamministrazione e giudiziarie, per  quanto
 necessario  a  garantire  la  liberta'  nell'esercizio delle funzioni
 parlamentari,  individuando   procedure   idonee,   esentando   dalla
 giurisdizione  l'esercizio  delle  funzioni parlamentari, attribuendo
 determinate  potesta'   di   accertamento   e   di   giudizio   circa
 l'attribuzione,  la  delimitazione  e  l'individuazione  in  concreto
 dell'esercizio delle funzioni parlamentari.
   E'  in  sostanza  il  concretarsi  della  tendenza  storica   degli
 ordinamenti  autonomi a completarsi, per quanto necessario a tutelare
 la loro autonomia; tendenza costituzionalmente recepita, per quel che
 concerne le Camere, specialmente, nell'art. 64, prima  che  nell'art.
 68  Cost.,  laddove  l'art. 64 attribuisce alle Camere la potesta' di
 deliberare il  proprio  regolamento  a  maggioranza  assoluta,  senza
 particolari indicazioni di materia.
   Per  quanto  qui interessa, la giurisprudenza formatasi e' costante
 nell'affermare la competenza esclusiva  delle  Camere  a  valutare  i
 comportamenti  dei  parlamentari  - per stabilire se rientrino o meno
 nell'esercizio del mandato - con il relativo  effetto  di  precludere
 nuove  e/o  diverse  valutazioni  (Corte cost. 1150/88, 443/93, 129 e
 379/1996, la stessa  giurisprudenza  non  recepisce  distinzioni  tra
 giurisdizione  civile e penale che viene, anzi esclusa nelle sentenze
 120 e 379/96 come segue:
     a) nella sentenza 129/96 si afferma che:
      "Il  primo  argomento  deduce  la  regola  di  decisione   dalla
 qualificazione  dogmatica tradizionale dell'irresponsabilita' sancita
 dall'art.  68  Cost.  come  una   figura   di   immunita'   personale
 avvicinabile  alla  condizione di non punibilita': tesi non pacifica,
 alla  quale  si  contrappone   la   tesi   della   natura   oggettiva
 dell'irresponsabilita',   che  ravvisa  nell'art.  68  una  causa  di
 esclusione dell'illecito. Ma, quale che sia la  dottrina  preferibile
 circa  la natura dell'irresponsabilita' dei membri del Parlamento per
 le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, e' certo che
 alla deliberazione della Camera di appartenenza che la  riconosce  e'
 coessenziale l'effetto inibitorio dell'inizio o della prosecuzione di
 qualsiasi   giudizio  di  responsabilita'  penale  o  civile  per  il
 risarcimento dei danni".
      "... A tutela del principio ... di indipendenza e autonomia  del
 potere  legislativo  nei  confronti degli altri organi e poteri dello
 Stato,  l'art.  68   Cost.   sacrifica   il   diritto   alla   tutela
 giurisdizionale  del  cittadino che si ritenga offeso nell'onore o in
 altri beni della vita da opinioni espresse da un senatore o  deputato
 nell'esercizio  delle sue funzioni. Questa prerogativa dei membri del
 Parlamento, poiche' costituisce, sul piano del  diritto  sostanziale,
 una   causa  di  irresponsabilita'  dell'autore  delle  dichiarazioni
 contestate,  comporta,   sul   piano   processuale,   l'obbligo   per
 l'autorita'   giudiziaria   di   prendere  atto  della  deliberazione
 parlamentare e di adottare le pronunce conseguenti...".
     b) nella sentenza  n.  379/96  si  approfondisce  ancor  piu'  il
 problema come segue:
     "I  diritti  la  cui  autorita'  ed il cui esercizio abbiano come
 presupposto lo status di parlamentare  e  ne  connotino  la  funzione
 possiedono, invece, uno statuto fondato sulla Costituzione e plasmato
 dal  principio  di  autonomia  delle  Camere.  E' in relazione a tali
 diritti che la non interferenza dell'autorita' giudiziaria  civile  o
 penale  si  afferma  con  la  massima  cogenza,  in  quanto  essa  e'
 finalizzata al soddisfacimento del bene protetto dagli artt. 64, 72 e
 68 della Costituzione, la garanzia del libero  agire  del  Parlamento
 nell'ambito suo proprio e l'esclusiva competenza di ciascuna Camera a
 prevedere  ed attuare i rimedi contro gli atti ed i comportamenti che
 incidano negativamente sulle funzioni dei singoli parlamentari e  che
 pregiudichino il corretto svolgimento dei lavori.
   Tutto  cio'  in perfetta aderenza alla configurazione storica della
 liberta'  che  non  e'  limitata  alla  persona  ma  si  estende   al
 patrimonio,  che  e'  esso stesso strumento di liberta'; liberta' dal
 bisogno, che puo' seguire agli accertamenti di responsabilita' civile
 per l'attivita' politica che, perche' tale,ha estensione  ed  effetti
 difficilmente  prevedibili.  Con  la  conseguenza  che  solo l'organo
 politicamente formato e politicamente responsabile verso l'elettorato
 e' bastevolmento inquadrato nel sistema e nella realta' politica, per
 delimitare e valutare gli  atti  costituenti  esercizio  del  mandato
 politico, che hanno una dimensione necessariamente ultraindividuale e
 non sono costringibili nelle angustie del rapporto intersoggettivo.
   B)  Ulteriore supporto alla tesi sin qui sostenuta si puo' ottenere
 ricordando la cosidetta garanzia amministrativa accordata agli agents
 de gouvernement in Francia per garantirli dalle ingerenze del  potere
 giudiziario.   Garanzia   che,   come   e'   noto,  consisteva  nella
 impossibilita' di procedere a giudizio a carico dei funzionari che ne
 godevano, senza autorizzazione governativa.
   In Italia nel godevano i prefetti (art.  22  testo  unico  3  marzo
 1934,  n.  383)  ed  i sindaci nelle funzioni di ufficiali di Governo
 (art. 158 testo unico 4 febbraio 1915, n. 148).
   Vero e' che l'istituto e' venuto meno per effetto della sentenza di
 codesta Corte 18 febbraio 1965, n. 4  ma  qui  interessano  i  limiti
 entro i quali la garanzia veniva accordata durante la sua vigenza.
    In proposito e' stato ricordato che in Francia l'istituto e' stato
 ritenuto  applicabile  anche  ai  processi civili e dopo una premessa
 storica il  Ferrero  nella  voce  Garanzia  amministrativa  in  Nuovo
 digesto italiano, UTET 1938 precisa ancora:
     "In   Italia   tale   questione   si   agito'   nei  primi  tempi
 dell'applicazione dell'istituto, e vi fu qualche autore ed una  parte
 della  giurisprudenza,  i  quali,  interpretando  troppo  grettamente
 l'inciso  "ne  sottoposti  a  procedimenti"  del  testo  legislativo,
 sostennero  che  non  dovesse  essere  esteso ai procedimenti civili.
 Contro questa interpretazione e nel senso della applicabilita'  della
 garanzia  tanto  ai  procedimenti  penali  quanto a quelli civili, si
 affermo' vigorosamente una  notevole  frazione  della  giurisprudenza
 (Fondamentale  in  questo  senso  e'  la  sentenza della C.C. Torino,
 7-VII-1876 (Foro Ital. 1876, I, 1114)) e la prevalente  dottrina  che
 anzi  e'  ormai assolutamente concorde (Saredo, op. e vol. cit., pag.
 186; Mazzoccolo, Legge comunale e provinciale, 6 ediz., pag. 20, nota
 2, Milano 1912; Ferraris, L'amministrazione locale in Italia, vol. I,
 pag. 140, Padova, 1920; La torre, Commento,  ecc.,  pag.  86,  Napoli
 1934;  Zanobini,  ediz. ed op. cit., pag. 86; Vitta, op. e vol. cit.,
 pag. 451; Meucci, Istituzioni di diritto amministrativo, 4 ediz. pag.
 240, Torino, 1898).
   Opinione piu' recentemente  confermata  dallo  Zanobini,  Corso  di
 Diritto Amministrativo, vol. III, Ed. 1957, pag. 94 in cui si afferma
 che:  "E'  discusso  se  l'espressione  "sottoporre  a procedimento",
 contenuta nella vigente legge, riguardi solo il procedimento penale o
 si estenda all'eventuale giudizio civile di responsabilita' per danni
 verso terzi. La ragione e il fondamento della norma sembrano  imporre
 la  soluzione  piu'  lata; del resto, anche la lettera dell'articolo,
 che in generale esclude che i  prefetti  possano  essere  chiamati  a
 render  conto  della  loro  attivita'  se  non  dai  superiori organi
 amministrativi,  importa  che  all'autorita'  giudiziaria   non   sia
 consentito,  senza  alcuna autorizzazione di quelli, alcun sindacato,
 anche ai soli effetti civili".
   C)  Resta,  pertanto,  confermato  che,  una   volta   riconosciuta
 costituzionalmente  l'esigenza  di  tutelare  l'indipendenza  di  una
 funzione, non ha senso limitare l'esenzione alla  sola  giurisdizione
 penale perche' l'uomo e' attaccato ai beni non meno che alla liberta'
 e  cio'  specialmente  quando  si  tratta di decidere sulle azioni da
 compiere nell'adempimento dei doveri funzionali; adempimento  cui  la
 media non e' disposta a sacrificare quanto gli appartiene.
   E  qui ci si sta occupando della posizione da garantire alla classe
 dei rappresentanti politici, del passato, del presente e  del  futuro
 per  metterli  in  condizione di modellare liberamente la loro azione
 senza doversi preoccupare di evitare attacchi ai loro patrimoni.
   III.  -  Invasione  di  potesta'  delle  Camere  non  esistendo, in
 concreto,  alcun  atto  fonte   di   responsabilita'   essendosi   il
 parlamentare  limitato  ad  informare  l'organo  di autogoverno della
 magistratura di fatti  risultati  alla  Commissione  antimafia  circa
 l'attivita'  del  magistato ai sensi dell'art. 129 delle disposizioni
 di attuazione  del  c.p.p.    che  cosi'  dispone:  "Quando  esercita
 l'azione  penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro
 ente pubblico, il  pubblico  ministero  informa  l'autorita'  da  cui
 l'impiegato dipende, dando notizia dell'imputazione. Quando si tratta
 di  personale  dipendente  dai  servizi  per  le  informazioni  e  la
 sicurezza militare o  democratica,  ne  da'  comunicazione  anche  al
 comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per
 il segreto di Stato".
   Ai sensi dell'art. 82 Cost. ciascuna Camera puo' disporre inchieste
 su  materie  di  pubblico  interesse tramite apposita Commissione che
 procede ad indagini ed esami con gli stessi poteri e  con  le  stesse
 limitazioni dell'autorita' giudiziaria.
   Non  si  vede come possa escludersi l'applicabilita' di detta norma
 anche alla Commissione  antimafia  e  come  il  segretario  di  detta
 Commissione  avrebbe  potuto  omettere di informare il C.S.M., che e'
 l'autorita' da cui  dipende  il  magistrato  che  poi  ha  esercitato
 l'azione civile di risarcimento, ritenendo di essere stato leso dalle
 doverose  informazioni  fornite,  ovviamente,  allo stato degli atti,
 dall'on.le Cafarelli al C.S.M.
   Le sezioni unite penali 12 marzo 1983 in Foro it.  1984,  II,  209,
 tra  l'altro,  hanno  deciso  che:  "Non  sussiste  la  giurisdizione
 dell'autorita' giudiziaria ordinaria, ne'  di  alcun'altra  autorita'
 giurisdizionale,   sulla   domanda   di   annullamento  dell'atto  di
 commissione parlamentare di inchiesta  (nella  specie,  sulla  loggia
 massonica P2)".
   Ma  la  sentenza,  che  per  comodita'  di  lettura  si esibisce in
 fotocopia, si  segnala  per  il  diffuso  studio  che  conduce  sulla
 insindacabilita'    degli    atti   dei   parlamentari,   affermando,
 specificamente, alla fine del n. 15:
     "Ed e' per gli stessi motivi, infine,  che,  mentre  e'  prevista
 (art.  96  Cost.)  la  possibilita' di reati "ministeriali" (di reati
 comuni commessi, nell'esercizio delle loro funzioni,  dal  Presidente
 del  Consiglio  o  dai Ministri), perche' l'azione governativa e' pur
 sempre disciplinata giuridicamente (anche se la perseguibilita' e  il
 giudizio sono poi rimessi alla commissione inquirente e al Parlamento
 e  cioe'  ad  organismi  politici),  e'  impensabile,  viceversa, che
 l'azione  dei  parlamentari,  inerente  alla  loro  funzione,   possa
 concretare un'ipotesi di reato. La norma, invero, dell'art. 68, primo
 comma,  Cost.,  secondo  cui i membri delle Camere non possono essere
 perseguiti per le opinioni espresse  e  i  voti  dati  nell'esercizio
 delle  loro funzioni, riduttivamente e' definitia di "immunita'", sia
 pure  assoluta.  Essa,  invero,  presuppone  in  effetti,  una   piu'
 importante  affermazione:  la  non  ipotizzabilita',  sostanziale, di
 alcun  illecito  (civile  o  penale)  dei   membri   del   parlamento
 nell'esercizio  delle  funzioni  proprie  del  loro mandato (opinioni
 espresse, voti dati), proprio perche' l'illecito presuppone sempre la
 violazione di un limite giuridico: e nessun  limite  puo'  incontrare
 l'esplicazione del mandato parlamentare.
   L'esclusione,   quindi,   di   ogni   azione   giudiziaria  tesa  a
 "perseguire"  quell'attivita'  non   e'   altro   che   il   riflesso
 processuale,   dell'impossibilita'   sostanziale,   che   l'attivita'
 inerente alla funzione legislativa possa concretare la violazione  di
 un obbligo giuridico e quindi un illecito.
   Ed  e'  sostanzialmente,  in  base  a  tali  considerazioni  che il
 procuratore generale  sostiene,  con  la  sua  requisitoria,  che  il
 carattere   politico   delle   commissioni  parlamentari  d'inchiesta
 esclude, in radice, la protezione  giuridica  e,  quindi,  la  tutela
 giurisdizionale,  degli interessi dei terzi". Stralcio che si riporta
 a conclusione delle  argomentazioni  ed  a  decisivo  sostegno  delle
 richieste formulate.  (doc 6).